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Autore: The queen of darkness    31/01/2013    11 recensioni
La normalità sembra essere cementata nella vita quotidiana dei nostri amati personaggi...ma siamo sicuri che tutti siano d'accordo a queste condizioni?
--Naturalmente non possiedo nessun diritto su questa magnifica storia, creata dal genio di Miss Rumiko Takahashi--
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inuyasha, Kagome, Un po' tutti | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fra le fronde degli alberi in piena fioritura, soffiava un vento gentile.
Immerso nel bosco, circondato da alberi e natura non ostacolata nella propria opera, stava in ascolto, cercando di catturare la sua singolare preda.
Ad un ascoltatore distratto, sarebbe parso che l’ambiente era circondato da un’immobilità disarmante, ma non era affatto vero: drizzando le orecchie, poteva distintamente avvertire il lieve alternarsi del suo respiro.
Quasi poteva addirittura odorare il fiato tiepido di Lei.
Si mosse furtivo, sposandosi dietro un’altra corteccia.
Ecco, adesso lo sentiva chiaramente: una leggerissima ondata di profumo evanescente, unico e posseduto solo da Lei. Perché, per quanto si sforzassero, i contadini al villaggio sapevano sempre e comunque di terra, e le loro mogli non riuscivano del tutto a celare l’odore delle rape e della fatica dalle mani ruvide e callose.
Ma Lei, anche se passava pomeriggi interi all’aperto un po’ per dovere e un po’ per vocazione, non riusciva mai a confondersi con le erbe mediche, con il sangue di donne partorienti che assisteva, oppure con i misteriosi intrugli che fabbricava.
Manteneva sempre quella vena originale anche nell’olfatto.
Una risatina leggera, nel vano tentativo di essere celata. Sul suo viso si dipinse un sorriso cauto; era certo di averla trovata.
Piccole pozze di luce riuscivano a farsi strada fra le foglie fruscianti e profumate. Doveva ammettere che quel tripudio di suoni e odori un po’ lo confondeva, ma d’altra parte era proprio quello il senso della caccia. La fatica della corsa, il rincorrere la preda, lo scovare l’obbiettivo.
Tutto il riquadro rendeva le ore molto più interessanti.
Senza fare il minimo rumore, spostò i piedi nudi alla base dell’albero dove sapeva era nascosta, e si acquattò alle sue radici, in silenzio. Non osava nemmeno respirare come al solito, trattenendo il fiato dentro ai polmoni, liberandone la minima parte.
Era certo che Lei non l’avesse sentito, perché rimaneva immobile oltre la corteccia, cercando disperatamente e inutilmente di non far rumore.
Lui aveva in viso un’espressione soddisfatta, perché la giovane era migliorata parecchio grazie ai suoi insegnamenti. Ossessionato com’era da un possibile rapimento demoniaco, per altro molto comune quando si trattava di sacerdotesse così dotate, le aveva fornito tutto il possibile per farla stare in campana.
Come muoversi nei boschi, come orientarsi con l’indispensabile, come agire in silenzio…l’antica arte dei samurai mischiata ad un po’ di sano apprendimento casalingo.
Non si mosse, non si voleva spostare. Aspettava che fosse lei a sporgersi dal tronco e vedere la sua schiena rossa, appoggiata lì placidamente.
Le dava le spalle: due corpi divisi da un albero, come una volta. Come quando l’aveva trovato, ormai quasi quattro anni prima. Possibile che fosse riuscito a vivere senza di lei per tre anni? Com’era stato possibile?
-Spiegami come fai a trovarmi ogni volta – disse la giovane con disappunto. –Oggi non ho fatto rumore.
Lui chiuse gli occhi, godendo appieno della sua voce fresca. –Ridevi.
-Ma come si fa a non farlo se mi insegui?
-Anche se ti trattieni lo sai che ti trovo lo stesso.
La sentì sbuffare. –Non c’è divertimento a giocare con te -. Ma il suo tono di voce tradiva tutto il contrario.
Rimasero in silenzio per qualche istante; in quei casi le cose da dire non erano molte, soprattutto se il gioco si concludeva in quel modo calmo e pacifico, che faceva scivolare i concorrenti in una sorta di dolce apatia.
Lui, Inuyasha, avrebbe voluto vederla, ma la consapevolezza che lei era lì, dietro di lui, lo faceva sentire meglio senza bisogno di altre conferme.
-Secondo te è ora di pranzo? – chiese distrattamente Kagome. Lui avrebbe scommesso che cercava di scorgere il cielo, perché quando si perdeva nelle sue riflessioni cercava sempre lì l’ispirazione.
-Al villaggio ho visto Kunieko rientrare – rispose lui, senza aprire gli occhi. L’unica cosa che voleva vedere era lei, la natura se la godeva già da quasi cent’anni, e non era cambiata granché. –Però lo sai che lei entra sempre prima.
La ragazza in questione era la figlia di un contadino vedovo, che viveva al limitare del bosco, ed era il loro punto di riferimento quando partivano, la mattina presto. Ormai diventava sempre più raro che Kagome avesse del tempo libero, e volevano sfruttarlo al massimo. Come a voler recuperare quegli strazianti tre anni.
-Quanto tempo fa?
Già poteva sentirla drizzarsi contro il tronco e sistemarsi i vestiti sporchi di polvere.
-Credo un’ora – rispose con semplicità.
-Oh, accidenti, Inuyasha! Quando pensavi di dirmelo? Miroku e Sango ci aspettano! – sbottò alzandosi.
-Lo sapevano che andavamo nel bosco, quindi credo se lo aspettassero.
La sentì ridere, un suono fresco e allegro che gli fece distendere ogni singolo muscolo. –Che pigrone! Muoviti, alzati, il riso non si cucina mica da solo!
Lui sbuffò chiaramente, appoggiandosi ancora di più contro la superficie legnosa e ruvida. Non aveva assolutamente intenzione di alzarsi, nonostante stesse morendo di fame a causa del gioco di quella mattinata, che andava avanti da ore. Voleva solo godersi la pace nell’aria frizzante e, magari, accarezzarle i capelli…ben sapendo che sarebbe stato impossibile.
Col suo naso allenato poté seguire i movimenti della giovane anche a palpebre serrate, che schiuse solamente quando fu sicuro che Lei gli stava davanti.
Tutta la sua magnifica bellezza di donna quasi ventenne esplose davanti al mezzo-demone: capelli neri e lucenti, occhi allegri con un taglio perfetto e quasi provocante, un viso sereno, la bocca carnosa e rosata, la pelle che sembrava splendere…possibile che una donna umana potesse raggiungere una simile avvenenza?
Per non parlare dei vestiti che indossava quando l’aveva conosciuta, un invito esplicito a fissare quelle gambe snelle e perfette. Cosa che, a dire il vero, aveva fatto senza troppi complimenti.
Kagome gli tirò scherzosa una manica della tunica cremisi, fingendosi impaziente. In realtà sapeva benissimo che se Inuyasha non aveva intenzione di alzarsi avrebbero potuto aspettare anche delle ore.
Alla fine fu lui a cedere, completamente stregato dal suo sorriso. Si alzò rischiando di farla cadere per la sorpresa, dal momento che era in bilico su una radice sporgente.
All’ultimo istante, le posò un braccio dietro la schiena, sostenendola. Così facendo, però, avvicinò pericolosamente i due corpi, che arrivarono ad un soffio l’uno dall’altro. Poteva chiaramente sentire il seno di lei contro il torace ampio e scolpito, celato solo da un minimo di stoffa, così sottile.
-Grazie! – disse lei avvampando, per sorridere imbarazzata e sciogliersi.
Era in situazioni come quelle che lui dubitava di riuscire a continuare così, da buon amico e nulla di più. Il suo corpo era un richiamo irresistibile, e Inuyasha faticava sempre di più per frenare la risposta. Era un uomo, dopo tutto, e con quella ragazza costantemente vicino per  sua stessa decisione il suo autocontrollo minacciava di sgretolarsi.
O meglio, lui adorava la sua compagnia, ma non era da poco che desiderava qualcosa in più.
Perché, a  differenza di ciò che si potrebbe pensare, i due una volta tornati non si erano affatto sposati. I motivi, erano sconosciuti agli stessi interessati: traboccavano di passione l’uno per l’altra, ma non osavano nemmeno abbracciarsi, o tenersi per mano.
Il massimo era che lei lo prendesse sottobraccio, come in quel momento, quando passeggiavano, oppure stargli vicino in ogni momento della giornata.
Inoltre Kaede, sotto pressione dei paesani e dei monaci dei villaggi limitrofi, aveva dovuto celebrare una cerimonia in pompa magna per insignire Kagome a sacerdotessa. La cosa non voleva avere risvolti malvagi, ma era stato solo un modo per ringraziare il gruppo, finalmente riunito, di aver liberato il Giappone da quel terribile demone quale Naraku.
Ma, mentre Miroku era prontissimo a trasgredire come testimoniava la sua stessa amata famiglia, Kagome era costretta alla rigidità da un controllo perpetuo.
Il dolce, caro Inuyasha, si era trovato così beffato. E non poteva fare nulla se non starle accanto, cosa che per lo meno gli donava una felicità immensa.
Ma piccoli incidenti del genere minacciavano di mettere a repentaglio tutta la loro fatica. Ed entrambi finivano imbarazzati e a disagio, senza motivo.
-Speriamo che non siano già arrivati – disse Kagome, tenendosi al braccio di lui. –Sai che figuraccia farli aspettare per tutto questo tempo?
Inuyasha si limitò a sbuffare, scorbutico come al solito. Anche se certi momenti in compagnia gli facevano piacere, in quell’istante aveva in mente ben altre attività. E no, non avevano a che fare col cibo.
Fecero presto a tornare, forse troppo: ad entrambi pareva di essersi addentrati molto di più. Passarono vicino al Goshinboku senza negargli un’altra occhiata piena di ricordi, poi girarono volutamente al largo del pozzo, ancora troppo doloroso per entrambi.
Si immersero così nel pieno centro abitato contadino, dai campi deserti e le zappe abbandonate a terra dopo ore di fatica. La replica era nel pomeriggio, ma per il momento si godevano il pranzo con le famiglie.
Quei pochi ragazzini fuori sul selciato con questa o quella stoviglia da raccogliere salutavano calorosamente la sacerdotessa, che rispondeva senza scomporsi. Faceva finta di niente, persino di essere sottobraccio ad un mezzo-demone.
In realtà, i bambini erano le creature segretamente preferite da Inuyasha perché, anche se lo infastidivano con i loro giochi pericolosi ai danni delle sue orecchie, erano gli unici che l’avessero automaticamente accettato come membro del villaggio. I loro genitori, nonostante venissero aiutati da lui ogni pomeriggio e liberati da qualsiasi demone di passaggio, nutrivano ancora qualche remora nei suoi confronti.
Arrivarono davanti ad uno spiazzo erboso, abitato da una piccola capanna solitaria. Il camino fumava e le porte erano aperte, lasciando passare un vociare allegro di adulti e bambini.
-Ti prego – disse Kagome vacillando, - dimmi che non stanno ancora giocando con le mie pentole.
-Te l’ho detto, era meglio se rimanevamo nel bosco. Potevo pescare qualcosa e accendere un fuoco.
La vide alzare gli occhi al cielo, divertita. –Andiamo, Superman, ho bisogno di una sfuriata -, disse tirandolo per un braccio verso l’interno.
Chi diamine era Superman? 
  
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