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Autore: Hinier    22/08/2007    2 recensioni
Questo racconto parte dagli ultimi capitoli dell’Half-Blood Prince. Narra la storia di Navar il Corvaccio, un simpatico mago oscuro che, come Potter, frequenta il sesto anno ad Hogwarts.
Genere: Dark, Comico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo X

Pioggia



All’alba del giorno successivo, la prua della barca incontrò nuovamente la terraferma. Risalì la piccola spiaggia naturale di ghiaia grigia per almeno un metro, prima di arrestarsi definitivamente. L’insenatura, poco più di una sbeccatura nella vasta scogliera a gradoni, era protetta da un piccolo boschetto di esili alberi nodosi sbiancati e bruciati dalla salsedine, propaggine più provata di una vasta e rigogliosa macchia di imponenti latifoglie che sibilava rumorosa al vento fra le rocce più elevate; sembrava quasi fosse parzialmente scivolata verso la spiaggia assieme alla franosa scogliera che la sorreggeva ad opera di un qualche antichissimo smottamento.

Navar smontò d’un balzo, atterrando morbidamente sullo spesso strato di pietrisco intriso d’invisibile acqua.

«Terra», mormorò soddisfatto, avanzando di qualche passo sulla battigia.

Quando udì alle sue spalle la ragazza sbarcare a sua volta, lo stregone si voltò lentamente e si preparò ad esporre il suo piano.

«Benvenuta nell’anonima terra dove prenderemo dimora per i prossimi giorni – o mesi, che siano», esordì Navar, vedendo tuttavia la sua punta d’entusiasmo infrangersi contro il volto affranto dell’intirizzita apprendista.

Il suo piano non poteva certo essere mandato all’aria da esigenze inessenziali come il benessere fisico, e lo stregone non aveva osato praticare un solo sortilegio da quando avevano lasciato il molo. Non che un semplice incantesimo termico potesse farlo scoprire – di questo era certo, ma il modo increscioso in cui era stato costretto alla fuga gli proibiva di favorire in alcun modo ulteriori incidenti.

«Dove ci troviamo?», balbettò lei qualche istante più tardi, quasi si fosse disabituata al linguaggio durante la lunga traversata.

«La prima precauzione che devo adottare, purtroppo, è appunto tenerti all’oscuro su questo punto», spiegò con il massimo tatto possibile lo stregone.

La ragazza non parve particolarmente scossa dalla notizia, e Navar temette di poter scorgere in lei i primi segni di una pericolosa rassegnazione. Da un lato, la sua conoscenza libraria parlava chiaro: i manuali per inquisitori chiarivano la fondamentale importanza che rivestivano l’isolamento e la spersonalizzazione nel piegare le più profonde resistenze degli inquisiti – tecnicamente il suo unico obiettivo, per quanto la concerneva: l’aveva condotta con sè appunto per ottenere informazioni preziose sul suo avversario, dopotutto; d’altro canto, Navar era orripilato dalla sola idea di attentare alla magnifica complessità di un’anima. Era il crimine supremo, ben oltre qualsiasi altro concepibile, per lo stregone. Non l’avrebbe commesso se non per salvare se stesso, e non dubitava che le conseguenze sul proprio equilibrio interiore sarebbero state ugualmente catastrofiche. Questo è il mio limite, pensò amaramente Navar, un limite che Tom ha evidentemente superato

«Dunque, a poche miglia da qui si trova una piccola cittadina babbana», espose lo stregone, «Un luogo molto discreto; una chiesa, un municipio, due dozzine di vecchie abitazioni, un insignificante porticciolo e nient’altro nel raggio di molte decine di miglia.»

La ragazza annuì meccanicamente, poggiandosi con discrezione alla barca; le sue gambe tremavano leggermente.

«Come avrai intuito, è un luogo un po’ particolare, troppo per le nostre esigenze», proseguì lui, muovendo qualche passo all’indietro, «Ed infatti non vi sosteremo a lungo. Ci servirà solo per recuperare l’equipaggiamento necessario ad una perfetta integrazione con il mondo non-magico senza destare eccessivi sospetti.»

Lei non replicò, contemplando assorta il propagarsi dell’acqua fra i minuscoli sassolini che formavano la spiaggia al sopraggiungere delle onde. Navar la fissò.

«Andiamo», sbottò infine, cominciando a risalire il lieve pendio sassoso che precedeva la boscaglia e sentendola procedere quieta alle sue spalle.

L’attraversamento della macchia, abbarbicata su grossi massi che solo a malincuore consentivano di superare il notevole dislivello, richiese parecchio tempo. Né l’uno né l’altra erano avvezzi a protrarre simili sforzi fisici tanto a lungo, ma Navar concesse solo un paio di brevi soste quando assolutamente indispensabili. Se fosse davvero necessario affrettarsi tanto, era aspro argomento di contesa nella mente di Navar.

Quando riemersero dal folto, il sole si era già sollevato, bianco e splendente oltre le spire di rapide nuvole sfaldate dalle correnti; enormi volute di vapore cominciarono ad ascendere maestose dalle scure fronde alle loro spalle. Davanti a loro, si estendeva una vasta piana d’un verde quasi troppo intenso, punteggiata da bianchi e solitari massi erratici depositati chissà quanti millenni prima dai grandi ghiacciai. Il villaggio era l’unico discreto segno della presenza dell’uomo sulla faccia della Terra che minacciava di turbare quel nulla così magnifico. Distava altri pochi chilometri, e non c’era strada, solo un tenue accenno di sentiero fra l’erba non troppo alta. Bellamente allo scoperto, constatò lo stregone, ma nessuna via alternativa avrebbe garantito una copertura significativa ed il rischio che occhi indiscreti potessero controllarlo in quella landa desolata era in ogni caso irrisorio; non osò tuttavia abbandonare del tutto la prudenza…

Lo stregone scrutò l’orizzonte, osservando con interesse un gigantesco fronte nuvoloso che muoveva rapido da occidente, spinto dalle forti correnti oceaniche. Lo indicò alla ragazza, decisa ad impedire che il suo respiro ansante giungesse alle orecchie dello stregone ma tradita dal sudore che le imperlava il volto – non più confondibile con la rugiada che trasudava dal fitto sottobosco appena attraversato.

«Aspetteremo che piova, prima di avvicinarci, così che il nostro abbigliamento possa passare per appropriato», disse Navar, toccando il proprio cappuccio, abbandonato sulla schiena.

In effetti, durante i suoi studi sulle abitudini babbane, aveva notato come il loro vestiario da intemperie tendesse a recuperare modelli relativamente antiquati, sicché anche un tabarro da mago poteva passare abbastanza tranquillamente per un più comune impermeabile.

Lo stregone, dunque, si accomodò su una piccola roccia sollevata dalle radici di un’inquietante frassino secolare, e lì attese. Timidamente, anche la ragazza si trovò un luogo comodo dove riposare, rispettosamente a distanza ma non fuori dal campo visivo del Corvaccio, che la controllava con la coda dell’occhio. Non appena si fu seduta, tuttavia, Navar si voltò verso di lei.

«Quale artificio ti lega alle sembianze della signorina Granger?», chiese interessato.

«Mero polisucco», mormorò lei senza guardarlo, quasi delusa di se stessa.

«E quanto dureranno ancora i suoi effetti?», insistette Navar.

«Forse meno di un’ora… non so che ore siano…»

La sua voce era poco più di un sussurro, a malapena udibile sopra lo scroscio del fogliame e lo spazzare incessante del vento dell’ovest. In effetti, era inspiegabile come le sue parole potessero essere intese…

Lo sguardo che finalmente posò su di lui fu poco più che istantaneo, ma innescò un moto profondo nell’animo di Navar; uno sguardo perduto.

«Basta», tuonò lo stregone senza alcun preavviso, forgiando un ineludibile contatto visivo con la ragazza, i cui occhi si dilatarono dalla paura.

Improvvisamente, capì di essere infuriato. Infuriato come non era mai stato da tempi immemori, forse mai scesi nella sua clessidra. Con un movimento inavvertibile nella sua fulmineità, puntò l’ebano contro la ragazza.

«Genie», la chiamò per la prima volta, con forza, assaporando un’inedita sensazione di contatto incorrotto, di sincerità indubitabile che aveva la certezza di condividere con la ragazza che si stagliava così fragile contro la distesa rutilante della nera foresta.

L’apprendista continuò a fissarlo, ma la paura era scomparsa dai suoi occhi. Una foglia stormì all’improvviso accanto ai suoi riccioli scuri, ma non ebbe il potere di incrinare quella comunione sospesa.

«Non hai nulla da temere da parte mia», mormorò infine Navar, abbassando lo sguardo e riponendo la bacchetta.

Quando lo risollevò, il tuono scuoteva i tronchi e la pioggia scendeva irruenta come una cascata. Si trascinò il cappuccio fin sopra il capo per pura abitudine.

«E’ l’ora», dichiarò lo stregone, sorridendo alla ragazza oltre le spesse cortine grigie della tempesta.

Lei ricambiò, tranquilla, sollevandosi con grazia fra gli schizzi del fango e scostando dal volto una chioma troppo lunga e scura per essere solo bagnata…




Chiedo perdono per il ritardo, ma avevo un paio di altre cose da fare… oltre naturalmente a leggere Deathly Hallows, che non commento per rispetto a coloro che ancora non l’hanno letto, ma che non ha potuto lasciarmi del tutto indifferente per la stesura del mio racconto.

Suppongo che ormai Derfel sia di ritorno ai nostri comuni lidi… probabilmente anche con una nuova scorta di idromele.

Per quanto concerne il consiglio conclusivo della recensione di Dian Nefer, il fatto stesso di pubblicare un capitolo mi proibisce sostanzialmente di rivederlo fino ad opera conclusa… motivo per cui ho scelto di pubblicare a puntate. Senza questo pretesto, non potrei mai andare avanti.

  
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