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Autore: Alchbel    01/02/2013    2 recensioni
Ebbene sì, eccoci di nuovo per una "AnderBros Week" a cui davvero non vedevamo l'ora di partecipare! Perché una sola puntata con quei due ha dato vita a davvero troppe cose nelle nostre teste e questa sarà una bellissima occasione per provare a riempire alcuni vuoti lasciati dal telefilm.
Enjoy it ♥
Day 1: Klaine break-up + Cooper.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Cooper Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Day 5: Coming Out

 

Like me trying my hard to explain.

 

Quando Cooper tornò a casa quel Natale, capì subito che qualcosa non andava non appena entrò in casa. Come mai il sorriso di sua madre sembrava così spento e quello di suo padre più freddo del solito? Perché l’atmosfera sembrava così fredda, senza tutte le solite decorazioni con cui Blaine abbelliva la casa? Ma soprattutto, dov’era suo fratello?

 

«Vieni tesoro, vorrai sicuramente farti un bagno caldo per riprenderti dal viaggio,» gli disse sua madre aiutandolo a sfilarsi il cappotto e posandolo sull’attaccapanni dell’ingresso.

 

«Uh, sì…»

 

Cooper non la stava del tutto ascoltando, ma si guardava in giro, alla ricerca del fratello. Era strano, di solito Blaine era sempre lì ad attenderlo, con il suo solito sorriso ampio sul viso e gli occhi dorati che brillavano per l’emozione e la gioia nel rivedere il suo fratellone; o per lo meno, era così che lo vedeva Cooper. Quella volta, invece, l’assenza di Blaine lo lasciava stupito e con una strana sensazione addosso.

 

«Dov’è Blaine?» osò chiedere, fissando lo sguardo sul padre.

 

«In camera sua…» rispose George Anderson, per poi aggiungere a bassa voce, «Dove è giusto che stia.»

 

Cooper lo fissò stranito; era certo che qualcosa non andasse, che fosse successo qualcosa di brutto. Una lite, magari? Ma così furiosa da rendere loro padre livido di rabbia?

 

 

***

 

 

Blaine sentì un lieve bussare alla porta della sua stanza. Si girò su un fianco, dando la schiena alla porta della sua stanza, felice di averla chiusa a chiave; non voleva aprire, men che meno a suo fratello.

 

Sapeva che era Cooper fuori dalla porta; lo aveva sentito arrivare e chiedere di lui. Probabilmente si era chiesto come mai non fosse stato accolto dal solito comitato di benvenuto rappresentato dal fratello esultante. Ma no, quella volta non sarebbe successo. Quella volta, Blaine non avrebbe messo da parte il rancore che provava nei confronti del fratello solo per trascorrere un sereno Natale. Non ora che tutto era cambiato.

 

«Ehi, Blaine! Ci sei?» la voce di Cooper dall’altro lato della porta sembrava preoccupata.

 

Blaine strinse più forte il cuscino. È solo la tua immaginazione, Blaine. Tuo fratello non è veramente preoccupato per te. Tu sei una nullità, ricordi?

 

Cooper bussò alla porta ancora una volta, e Blaine desiderò solo che se ne andasse, che lo lasciasse in pace, che tutti quanti lo lasciassero in pace. Fu accontentato.

 

Il ragazzino si rigirò nel letto, senza badare alle lacrime che gli rigavano il volto e bagnavano il cuscino.

 

 

***

 

 

Forza Blaine, devi alzarti.

 

Era quello che si stava ordinando da più di dieci minuti, ma il suo corpo sembrava non reagire. E perché avrebbe dovuto? Perché si sarebbe dovuto alzare, preparare, dipingersi un falso sorriso sul volto e scendere a cena? Con che coraggio lo avrebbe fatto?

 

Ma soprattutto… ce lo aveva il coraggio di affrontare a viso aperto suo padre?

 

Blaine strinse i pugni; se c’era una cosa di cui era certo, era il fatto di non vergognarsi di se stesso. Era suo padre a doversi vergognare, era lui che avrebbe dovuto nascondersi dentro la sua stanza e non uscirne mai più. Ma allora perché faceva così male?

 

Con un enorme sforzo di volontà, Blaine si alzò dal letto e si infilò sotto la doccia, sperando di schiarirsi le idee. Non funzionò: la sua testa era un turbinio di pensieri contrastanti, il magone che gli serrava la gola ormai da giorni sembrava intenzionato a non andarsene, e soprattutto, la sua voglia di abbandonare il rifugio sicuro della sua stanza era pari a zero.

 

Tuttavia, dopo neanche venti minuti, Blaine stava scendendo le scale, i capelli sistemati sotto un quintale di gel e la cravatta legata al collo; sul viso sfoggiava un sorriso ampio, falso e certamente non adatto a un ragazzino di appena quattordici anni.

 

Quando entrò in cucina, neanche notò la tavola imbandita e l’enorme albero di Natale vicino alla finestra addobbato in maniera esemplare; in condizioni normali, ne sarebbe stato entusiasta, ma ora il suo sguardo saettò tra il padre, che non sembrò neanche notarlo, e Cooper, che era seduto a fianco del padre con lo sguardo perso oltre il vetro della finestra.

 

Non appena Cooper lo vide, si alzò in piedi e lo raggiunse, stringendolo in un abbraccio.

 

«Ehi, Schizzo, sei cresciuto!»

 

Blaine ricambiò poco calorosamente l’abbraccio, anche se avrebbe voluto con tutte le sue forze aggrapparsi alle spalle del fratello e lasciarsi proteggere da lui. Ma il non sapere come avrebbe potuto reagire il ragazzo di fronte a lui lo terrorizzava; nel giro di una settimana aveva perso i suoi genitori, ora non voleva perdere anche il fratello – nonostante i rapporti tra loro non fossero dei più rosei.

 

«Prima sono passato in stanza da te, ma non mi hai aperto… Ti eri addormentato, vero?» chiese Cooper con un sorriso, che però non si estendeva agli occhi.

 

Per un attimo, Blaine sperò che Cooper capisse che c’era qualcosa che non andava e gli chiedesse qualcosa; ma cosa avrebbe potuto dire?

 

«Già, mi ero addormentato,» rispose Blaine con un sorriso mesto e prendendo posto a tavola, davanti a suo fratello e tra i suoi due genitori.

 

Nella stanza cadde un silenzio di tomba: George sedeva rigido, lo sguardo fisso davanti a sé, come se fosse da solo nella stanza; Cooper faceva saettare lo sguardo da Blaine al padre, ora ben conscio che ci fosse qualcosa che non andava – Blaine era sempre stato il preferito di papà, così elegante e contenuto; e Blaine infine aveva il capo chino sulle gambe, immaginando solo di trovarsi di nuovo chiuso nella sua stanza, al riparo da suo padre.

 

Fortunatamente, la madre scelse quel momento per entrare nella stanza con in mano il primo piatto. Dopo pochi minuti, stavano tutti mangiando in religioso silenzio, cosa che Cooper non sopportò per molto.

 

«Allora papà, come sta andando il lavoro?»

 

«Molto bene, Cooper,» rispose George. «Le tue lezioni all’università?»

 

Cooper si grattò il capo. «Ehm… ti ricordi che ho lasciato l’università questo settembre, vero?»

 

Il padre spostò per la prima volta lo sguardo su di lui, gelandolo sul posto. «Certo che lo ricordo. È un po’ difficile dimenticarsi che hai abbandonato i tuoi studi di Economia per dedicarti alla recitazione; ma speravo che nel frattempo ti fosse tornato un po’ di buon senso.»

 

Cooper abbassò lo sguardo, ferito. Alice Anderson a quel punto tossì, imbarazzata, e disse: «Su, su, non è il caso di parlare ora di questi argomenti.»

 

«E quando sarebbe il momento, di grazia?» le chiese il marito con voce mortalmente gentile. «Dopotutto, non possiamo pretendere che Blaine venga su in maniera decente se ha come esempio quello scapestrato di suo fratello.»

 

«Io non sono uno scapestrato!»

 

«Non è colpa sua…» pigolò Blaine, aprendo la bocca per la prima volta da quando era iniziata la cena.

 

Alice, immaginando dove quel discorso li avrebbe condotti, cercò di salvare la situazione. «Tesoro, andiamo, mangia. Ora non è il momento di-»

 

«È esattamente questo il momento di parlare, invece!» gridò il marito, per poi riportare la voce a un tono normale. «Cooper, lo sapevi che tuo fratello è un finocchio?»

 

Cooper strabuzzò gli occhi, spostando lo sguardo su Blaine che sembrò farsi piccolo piccolo nella sua sedia. Il fratello stava stringendo forte le posate, deglutendo il piccolo boccone di cibo che gli si era sicuramente incastrato in gola; aveva gli occhi pieni di lacrime. Cooper non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, mentre il padre continuava a insultare Blaine.

 

Ma Cooper non lo sentiva. Era come se avesse messo una specie di filtro tra le sue orecchie e le parole che uscivano di bocca al padre; osservava solo come certe parole facessero rabbrividire Blaine davanti a lui. Un rabbia che non si sarebbe mai aspettato di provare lo colse del tutto inaspettato; poche volte nella sua vita aveva osato discutere con il padre, ma quella volta… oh, quella volta avrebbe davvero voluto fargli male. Non poteva sopportare di vedere il suo fratellino, di solito così pieno di entusiasmo e gioia, ridotto a quel pulcino tremante e spaventato, triste come non mai.

 

«Basta…» si trovò a sussurrare, ma nessuno sembrò sentirlo. «Basta!» urlò quindi più forte, alzandosi dal tavolo e sbattendoci una mano sopra.

 

Il silenzio calò tra di loro, ma durò poco.

 

«Come osi?» sibilò George in direzione del figlio maggiore.

 

«No, come osi tu?! Come osi insultare così tuo figlio?» chiese Cooper con sguardo infuocato. «Insomma, guardalo! È Blaine. È sempre Blaine, lo stesso Blaine che fino a poco fa adoravi per la sua compostezza e gentilezza; niente è cambiato!»

 

«Tutto è cambiato,» decretò suo padre, distogliendo lo sguardo dai suoi due figli e tornando a mangiare.

 

Blaine non ce la faceva più; non poteva stare lì seduto e continuare a mangiare. Sentiva le lacrime premere per uscire, il cuore gli batteva furiosamente nel petto, la confusione gli agitava l’animo e soprattutto le parole del padre lo torturavano, risuonandogli in testa come un monito. Così si alzò dalla tavola e scappò via.

 

«Blaine, torna subito qui!» urlò George, battendo un pugno sul tavolo e facendo per alzarsi. Ma fu bloccato da Cooper.

 

«Non osare…» gli disse soltanto prima di voltarsi e seguire il fratello su per le scale.

 

 

***

 

 

«Dai Blaine, fammi entrare!»

 

Cooper era seduto davanti alla porta della stanza del fratellino da più di dieci minuti ormai. All’inizio si era preoccupato, ma ora lo sentiva piangere attaccato alla porta, come se anche lui si fosse appoggiato contro di essa. Non stentava a credere che fosse davvero così, soprattutto perché riusciva a vedere la sua ombra da sotto alla porta.

 

Sentire il fratello piangere in quel modo gli spezzava il cuore. Blaine poteva sembrare un ragazzo forte, ma la verità era un’altra; quella era una facciata con cui nascondeva la sua fragilità e insicurezza. Cooper lo capiva perché lui faceva lo stesso.

 

«Blainey, ti prego… Aprimi.» Sospirò. «Sono preoccupato per te…»

 

Non ottenne nessuna risposta.

 

«Blaine… perché non me lo hai detto?» si lasciò sfuggire Cooper.

 

Aveva questa domanda che gli martellava in testa sin da quando il padre gli aveva detto dell’omosessualità di Blaine. Quello era di gran lunga il modo peggiore in cui avrebbe potuto venire a saperlo. Sarebbe dovuto essere Blaine; avrebbe dovuto sentirlo dire dal fratello, e non urlato in quel modo volgare dal loro stesso padre.

 

Blaine aveva smesso di piangere dall’altro lato, e Cooper si sgridò mentalmente. Stupido, ti pare il caso di fargli una domanda del genere in questo momento?

 

«Cooper…»

 

L’interpellato sussultò sentendo finalmente il fratellino rispondergli.

 

«Sono qui…»

 

«Avevo paura,» sussurrò Blaine, così piano che Cooper dovette sforzarsi per sentirlo. «Insomma, tu sei sempre lì a correggere tutto quello che faccio e dico e… pensavo che avresti reagito esattamente come ha reagito papà.»

 

Cooper sospirò, passandosi una mano sul volto; fece per rispondergli, ma Blaine riprese subito a parlare.

 

«Sono sbagliato, vero? Sono io a essere sbagliato… è colpa mia? Sono uno… scherzo della natura? Una nullità?» Blaine fece una pausa. «Ti prego, Cooper, dimmi che non sono una nullità…»

 

Cooper si ritrovò con un magone a serrargli la gola, e quello che seguì non fu poi in grado di ricordarselo bene. Ricordava solo di essersi alzato in piedi, di aver dato un pugno alla porta e aver implorato il fratello di aprirgli; e, non sa quanto tempo dopo, si era ritrovato a stringere Blaine a sé, quasi prendendolo in braccio.

 

Blaine serrò gli occhi e affondò il viso nel maglione soffice del fratello, facendosi cullare dalle sue mani che gli accarezzavano la schiena e dalla sua voce che gli ripeteva, «Tu non sei una nullità, tu non sei una nullità, tu non sei una nullità.» Blaine scoppiò a piangere, il primo vero e proprio pianto che si lasciava sfuggire da quando aveva fatto coming out con i suoi genitori, aspettandosi di trovare appoggio e comprensione ma avendo ottenuto invece solo insulti.

 

Cooper lo prese in braccio ed entrò nella stanza di Blaine, chiudendosi la porta alle sue spalle e andandosi a sedere sul letto. Continuava ad accarezzare i capelli e la schiena di Blaine, lasciandolo sfogare.

 

Quando alla fine Blaine si staccò e si sedette al suo fianco sul letto, asciugandosi gli occhi con una mano, Cooper non esitò un istante a prendergli il mento tra le dita e costringerlo a guardarlo.

 

«Tu non sei una nullità,» ripeté con tono deciso. «Non c’è nulla di sbagliato in te, hai capito? Sono loro a essere sbagliati, tu non hai fatto nulla di male.»

 

«Ma io-»

 

«No, niente ma. Sei un ragazzo in gamba, studi molto, di certo non possono lamentarsi di te. Tu sei perfetto così come sei.»

 

Blaine a quel puntò scoppiò di nuovo a piangere e abbracciò di nuovo Cooper, che lo lasciò fare; doveva sfogarsi per quanto possibile, aveva troppe cose dentro di sé che non riusciva più a trattenere.

 

Dopo qualche minuto si ritrovarono sdraiati vicini, Blaine ancorato a Cooper mentre cercava di riportare il suo respiro accelerato a una velocità normale e lasciando che il fratello gli accarezzasse i capelli. Stravolto per tutto quello che era successo, chiuse gli occhi e sprofondò nel sonno. Prima di addormentarsi, però, chiese a Cooper: «Ora sarà tutto più complicato, vero Coop?»

 

Cooper si irrigidì, non sapendo che cosa rispondere al fratellino che si stava addormentando tra le sue braccia, proprio come faceva quando erano bambini.

 

«Sì…» sussurrò alla fine, perché sarebbe stato inutile mentirgli; e Blaine era troppo intelligente per credere in una bugia tanto grossa.

 

Blaine strinse con forza la maglia del fratello, ma non disse niente. Così Cooper cominciò a fischiettare una vecchia canzone degli Athlete, lasciando che la sua voce cullasse Blaine, che si rilassò, riconoscendo la canzone. Non appena si accorse che Blaine si era addormentato con uno sguardo sereno in viso, Cooper strinse più forte a sé il fratello; non avrebbe sempre potuto difenderlo dalla cattiveria della gente, ma avrebbe per lo meno potuto regalargli quella notte serena.

 

 

 

 

NdA:

Ed eccomi qui con quest’altro prompt! Dopo esserci(mi) dedicata a storie dal timbro abbastanza leggero o sul fluff, questa urlava angst da tutte le parti, perciò ne è venuto fuori questo. Il titolo della storia è un verso di una canzone degli Athlete, Chancesche gli amanti di Doctor Who riconosceranno in un batter d’occhi –, che sarebbe poi la stessa canzone che canticchia Cooper a Blaine per farlo addormentare.

 

Con questa, io vi saluto! Era il mio ultimo prompt della Anderbros Week, le ultime due sono della Alch! È stato, come sempre, un piacere scrivere di Blaine, Cooper e Kurt.

Alla prossima!

Bel

 

   
 
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