Day 5: Coming Out
Like me
trying my hard to explain.
Quando
Cooper tornò a casa quel Natale, capì subito che qualcosa non andava non appena
entrò in casa. Come mai il sorriso di sua madre sembrava così spento e quello di
suo padre più freddo del solito? Perché l’atmosfera sembrava così fredda, senza
tutte le solite decorazioni con cui Blaine abbelliva
la casa? Ma soprattutto, dov’era suo fratello?
«Vieni
tesoro, vorrai sicuramente farti un bagno caldo per riprenderti dal viaggio,»
gli disse sua madre aiutandolo a sfilarsi il cappotto e posandolo
sull’attaccapanni dell’ingresso.
«Uh,
sì…»
Cooper
non la stava del tutto ascoltando, ma si guardava in giro, alla ricerca del
fratello. Era strano, di solito Blaine era sempre lì
ad attenderlo, con il suo solito sorriso ampio sul viso e gli occhi dorati che
brillavano per l’emozione e la gioia nel rivedere il suo fratellone; o per lo
meno, era così che lo vedeva Cooper. Quella volta, invece, l’assenza di Blaine lo lasciava stupito e con una strana sensazione
addosso.
«Dov’è
Blaine?» osò chiedere, fissando lo sguardo sul padre.
«In
camera sua…» rispose George Anderson, per poi
aggiungere a bassa voce, «Dove è giusto che stia.»
Cooper
lo fissò stranito; era certo che qualcosa non andasse, che fosse successo
qualcosa di brutto. Una lite, magari? Ma così furiosa da rendere loro padre
livido di rabbia?
***
Blaine sentì un lieve bussare alla porta della sua stanza. Si girò su un
fianco, dando la schiena alla porta della sua stanza, felice di averla chiusa a
chiave; non voleva aprire, men che meno a suo
fratello.
Sapeva
che era Cooper fuori dalla porta; lo aveva sentito arrivare e chiedere di lui.
Probabilmente si era chiesto come mai non fosse stato accolto dal solito comitato
di benvenuto rappresentato dal fratello esultante. Ma no, quella volta non
sarebbe successo. Quella volta, Blaine non avrebbe
messo da parte il rancore che provava nei confronti del fratello solo per
trascorrere un sereno Natale. Non ora che tutto era cambiato.
«Ehi,
Blaine! Ci sei?» la voce di Cooper dall’altro lato
della porta sembrava preoccupata.
Blaine strinse più forte il cuscino. È
solo la tua immaginazione, Blaine. Tuo fratello non è
veramente preoccupato per te. Tu sei una nullità, ricordi?
Cooper
bussò alla porta ancora una volta, e Blaine desiderò
solo che se ne andasse, che lo lasciasse in pace, che tutti quanti lo
lasciassero in pace. Fu accontentato.
Il
ragazzino si rigirò nel letto, senza badare alle lacrime che gli rigavano il
volto e bagnavano il cuscino.
***
Forza Blaine, devi
alzarti.
Era
quello che si stava ordinando da più di dieci minuti, ma il suo corpo sembrava
non reagire. E perché avrebbe dovuto? Perché si sarebbe dovuto alzare,
preparare, dipingersi un falso sorriso sul volto e scendere a cena? Con che
coraggio lo avrebbe fatto?
Ma
soprattutto… ce lo aveva il coraggio di affrontare a
viso aperto suo padre?
Blaine strinse i pugni; se c’era una cosa di cui era certo, era il fatto
di non vergognarsi di se stesso. Era suo padre a doversi vergognare, era lui
che avrebbe dovuto nascondersi dentro la sua stanza e non uscirne mai più. Ma
allora perché faceva così male?
Con
un enorme sforzo di volontà, Blaine si alzò dal letto
e si infilò sotto la doccia, sperando di schiarirsi le idee. Non funzionò: la
sua testa era un turbinio di pensieri contrastanti, il magone che gli serrava
la gola ormai da giorni sembrava intenzionato a non andarsene, e soprattutto,
la sua voglia di abbandonare il rifugio sicuro della sua stanza era pari a
zero.
Tuttavia,
dopo neanche venti minuti, Blaine stava scendendo le
scale, i capelli sistemati sotto un quintale di gel e la cravatta legata al
collo; sul viso sfoggiava un sorriso ampio, falso e certamente non adatto a un
ragazzino di appena quattordici anni.
Quando
entrò in cucina, neanche notò la tavola imbandita e l’enorme albero di Natale
vicino alla finestra addobbato in maniera esemplare; in condizioni normali, ne sarebbe
stato entusiasta, ma ora il suo sguardo saettò tra il padre, che non sembrò
neanche notarlo, e Cooper, che era seduto a fianco del padre con lo sguardo
perso oltre il vetro della finestra.
Non
appena Cooper lo vide, si alzò in piedi e lo raggiunse, stringendolo in un
abbraccio.
«Ehi,
Schizzo, sei cresciuto!»
Blaine ricambiò poco calorosamente l’abbraccio, anche se avrebbe voluto
con tutte le sue forze aggrapparsi alle spalle del fratello e lasciarsi
proteggere da lui. Ma il non sapere come avrebbe potuto reagire il ragazzo di
fronte a lui lo terrorizzava; nel giro di una settimana aveva perso i suoi
genitori, ora non voleva perdere anche il fratello – nonostante i rapporti tra
loro non fossero dei più rosei.
«Prima
sono passato in stanza da te, ma non mi hai aperto…
Ti eri addormentato, vero?» chiese Cooper con un sorriso, che però non si
estendeva agli occhi.
Per
un attimo, Blaine sperò che Cooper capisse che c’era
qualcosa che non andava e gli chiedesse qualcosa; ma cosa avrebbe potuto dire?
«Già,
mi ero addormentato,» rispose Blaine con un sorriso
mesto e prendendo posto a tavola, davanti a suo fratello e tra i suoi due
genitori.
Nella
stanza cadde un silenzio di tomba: George sedeva rigido, lo sguardo fisso
davanti a sé, come se fosse da solo nella stanza; Cooper faceva saettare lo
sguardo da Blaine al padre, ora ben conscio che ci
fosse qualcosa che non andava – Blaine era sempre
stato il preferito di papà, così elegante e contenuto; e Blaine
infine aveva il capo chino sulle gambe, immaginando solo di trovarsi di nuovo
chiuso nella sua stanza, al riparo da suo padre.
Fortunatamente,
la madre scelse quel momento per entrare nella stanza con in mano il primo
piatto. Dopo pochi minuti, stavano tutti mangiando in religioso silenzio, cosa che
Cooper non sopportò per molto.
«Allora
papà, come sta andando il lavoro?»
«Molto
bene, Cooper,» rispose George. «Le tue lezioni all’università?»
Cooper
si grattò il capo. «Ehm… ti ricordi che ho lasciato
l’università questo settembre, vero?»
Il
padre spostò per la prima volta lo sguardo su di lui, gelandolo sul posto.
«Certo che lo ricordo. È un po’ difficile dimenticarsi che hai abbandonato i
tuoi studi di Economia per dedicarti alla recitazione; ma speravo che nel
frattempo ti fosse tornato un po’ di buon senso.»
Cooper
abbassò lo sguardo, ferito. Alice Anderson a quel punto tossì, imbarazzata, e
disse: «Su, su, non è il caso di parlare ora di questi argomenti.»
«E
quando sarebbe il momento, di grazia?» le chiese il marito con voce mortalmente
gentile. «Dopotutto, non possiamo pretendere che Blaine
venga su in maniera decente se ha come esempio quello scapestrato di suo
fratello.»
«Io
non sono uno scapestrato!»
«Non
è colpa sua…» pigolò Blaine,
aprendo la bocca per la prima volta da quando era iniziata la cena.
Alice,
immaginando dove quel discorso li avrebbe condotti, cercò di salvare la
situazione. «Tesoro, andiamo, mangia. Ora non è il momento di-»
«È
esattamente questo il momento di parlare, invece!» gridò il marito, per poi
riportare la voce a un tono normale. «Cooper, lo sapevi che tuo fratello è un
finocchio?»
Cooper
strabuzzò gli occhi, spostando lo sguardo su Blaine
che sembrò farsi piccolo piccolo nella sua sedia. Il
fratello stava stringendo forte le posate, deglutendo il piccolo boccone di
cibo che gli si era sicuramente incastrato in gola; aveva gli occhi pieni di
lacrime. Cooper non riusciva a staccargli gli occhi di dosso, mentre il padre
continuava a insultare Blaine.
Ma
Cooper non lo sentiva. Era come se avesse messo una specie di filtro tra le sue
orecchie e le parole che uscivano di bocca al padre; osservava solo come certe
parole facessero rabbrividire Blaine davanti a lui.
Un rabbia che non si sarebbe mai aspettato di provare lo colse del tutto
inaspettato; poche volte nella sua vita aveva osato discutere con il padre, ma
quella volta… oh, quella volta avrebbe davvero voluto
fargli male. Non poteva sopportare di vedere il suo fratellino, di solito così
pieno di entusiasmo e gioia, ridotto a quel pulcino tremante e spaventato,
triste come non mai.
«Basta…» si trovò a sussurrare, ma nessuno sembrò sentirlo.
«Basta!» urlò quindi più forte, alzandosi dal tavolo e sbattendoci una mano
sopra.
Il
silenzio calò tra di loro, ma durò poco.
«Come
osi?» sibilò George in direzione del figlio maggiore.
«No,
come osi tu?! Come osi insultare così tuo figlio?» chiese Cooper con sguardo
infuocato. «Insomma, guardalo! È Blaine. È sempre Blaine, lo stesso Blaine che fino
a poco fa adoravi per la sua compostezza e gentilezza; niente è cambiato!»
«Tutto è cambiato,» decretò suo padre,
distogliendo lo sguardo dai suoi due figli e tornando a mangiare.
Blaine non ce la faceva più; non poteva stare lì seduto e continuare a
mangiare. Sentiva le lacrime premere per uscire, il cuore gli batteva
furiosamente nel petto, la confusione gli agitava l’animo e soprattutto le
parole del padre lo torturavano, risuonandogli in testa come un monito. Così si
alzò dalla tavola e scappò via.
«Blaine, torna subito qui!» urlò George, battendo un pugno
sul tavolo e facendo per alzarsi. Ma fu bloccato da Cooper.
«Non
osare…» gli disse soltanto prima di voltarsi e
seguire il fratello su per le scale.
***
«Dai
Blaine, fammi entrare!»
Cooper
era seduto davanti alla porta della stanza del fratellino da più di dieci
minuti ormai. All’inizio si era preoccupato, ma ora lo sentiva piangere
attaccato alla porta, come se anche lui si fosse appoggiato contro di essa. Non
stentava a credere che fosse davvero così, soprattutto perché riusciva a vedere
la sua ombra da sotto alla porta.
Sentire
il fratello piangere in quel modo gli spezzava il cuore. Blaine
poteva sembrare un ragazzo forte, ma la verità era un’altra; quella era una
facciata con cui nascondeva la sua fragilità e insicurezza. Cooper lo capiva
perché lui faceva lo stesso.
«Blainey, ti prego… Aprimi.»
Sospirò. «Sono preoccupato per te…»
Non
ottenne nessuna risposta.
«Blaine… perché non me lo hai detto?» si lasciò sfuggire
Cooper.
Aveva
questa domanda che gli martellava in testa sin da quando il padre gli aveva
detto dell’omosessualità di Blaine. Quello era di
gran lunga il modo peggiore in cui avrebbe potuto venire a saperlo. Sarebbe
dovuto essere Blaine; avrebbe dovuto sentirlo dire
dal fratello, e non urlato in quel modo volgare dal loro stesso padre.
Blaine aveva smesso di piangere dall’altro lato, e Cooper si sgridò
mentalmente. Stupido, ti pare il caso di
fargli una domanda del genere in questo momento?
«Cooper…»
L’interpellato
sussultò sentendo finalmente il fratellino rispondergli.
«Sono
qui…»
«Avevo
paura,» sussurrò Blaine, così piano che Cooper
dovette sforzarsi per sentirlo. «Insomma, tu sei sempre lì a correggere tutto
quello che faccio e dico e… pensavo che avresti reagito
esattamente come ha reagito papà.»
Cooper
sospirò, passandosi una mano sul volto; fece per rispondergli, ma Blaine riprese subito a parlare.
«Sono
sbagliato, vero? Sono io a essere sbagliato… è colpa
mia? Sono uno… scherzo della natura? Una nullità?» Blaine fece una pausa. «Ti prego, Cooper, dimmi che non
sono una nullità…»
Cooper
si ritrovò con un magone a serrargli la gola, e quello che seguì non fu poi in
grado di ricordarselo bene. Ricordava solo di essersi alzato in piedi, di aver
dato un pugno alla porta e aver implorato il fratello di aprirgli; e, non sa
quanto tempo dopo, si era ritrovato a stringere Blaine
a sé, quasi prendendolo in braccio.
Blaine serrò gli occhi e affondò il viso nel maglione soffice del
fratello, facendosi cullare dalle sue mani che gli accarezzavano la schiena e
dalla sua voce che gli ripeteva, «Tu non sei una nullità, tu non sei una
nullità, tu non sei una nullità.» Blaine scoppiò a
piangere, il primo vero e proprio pianto che si lasciava sfuggire da quando
aveva fatto coming out con i suoi genitori,
aspettandosi di trovare appoggio e comprensione ma avendo ottenuto invece solo
insulti.
Cooper
lo prese in braccio ed entrò nella stanza di Blaine,
chiudendosi la porta alle sue spalle e andandosi a sedere sul letto. Continuava
ad accarezzare i capelli e la schiena di Blaine,
lasciandolo sfogare.
Quando
alla fine Blaine si staccò e si sedette al suo fianco
sul letto, asciugandosi gli occhi con una mano, Cooper non esitò un istante a
prendergli il mento tra le dita e costringerlo a guardarlo.
«Tu
non sei una nullità,» ripeté con tono deciso. «Non c’è nulla di sbagliato in
te, hai capito? Sono loro a essere sbagliati, tu non hai fatto nulla di male.»
«Ma
io-»
«No,
niente ma. Sei un ragazzo in gamba, studi molto, di certo non possono
lamentarsi di te. Tu sei perfetto così come sei.»
Blaine a quel puntò scoppiò di nuovo a piangere e abbracciò di nuovo
Cooper, che lo lasciò fare; doveva sfogarsi per quanto possibile, aveva troppe
cose dentro di sé che non riusciva più a trattenere.
Dopo
qualche minuto si ritrovarono sdraiati vicini, Blaine
ancorato a Cooper mentre cercava di riportare il suo respiro accelerato a una
velocità normale e lasciando che il fratello gli accarezzasse i capelli.
Stravolto per tutto quello che era successo, chiuse gli occhi e sprofondò nel
sonno. Prima di addormentarsi, però, chiese a Cooper: «Ora sarà tutto più
complicato, vero Coop?»
Cooper
si irrigidì, non sapendo che cosa rispondere al fratellino che si stava
addormentando tra le sue braccia, proprio come faceva quando erano bambini.
«Sì…» sussurrò alla fine, perché sarebbe stato inutile
mentirgli; e Blaine era troppo intelligente per
credere in una bugia tanto grossa.
Blaine strinse con forza la maglia del fratello, ma non disse niente.
Così Cooper cominciò a fischiettare una vecchia canzone degli Athlete,
lasciando che la sua voce cullasse Blaine, che si
rilassò, riconoscendo la canzone. Non appena si accorse che Blaine
si era addormentato con uno sguardo sereno in viso, Cooper strinse più forte a
sé il fratello; non avrebbe sempre potuto difenderlo dalla cattiveria della
gente, ma avrebbe per lo meno potuto regalargli quella notte serena.
NdA:
Ed
eccomi qui con quest’altro prompt! Dopo esserci(mi)
dedicata a storie dal timbro abbastanza leggero o sul fluff, questa urlava angst da tutte le parti, perciò ne è venuto fuori questo. Il
titolo della storia è un verso di una canzone degli Athlete, Chances – che gli amanti di Doctor Who riconosceranno in un
batter d’occhi –, che sarebbe poi la stessa canzone che canticchia Cooper a Blaine per farlo addormentare.
Con
questa, io vi saluto! Era il mio ultimo prompt della Anderbros Week, le ultime due sono della Alch! È stato, come sempre, un piacere scrivere di Blaine, Cooper e Kurt.
Alla
prossima!
Bel