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Autore: Carmen Black    02/02/2013    7 recensioni
Paul, dopo l'ennesimo litigio con un membro del suo stesso branco, si allontana, ritrovandosi sulla spiaggia. E' lì, che immerso nelle sue riflessioni, intravede una sagoma da lontano. " Un pazzo suicida ", lo definisce.
Ma più la sagoma si avvicina, più i suoi contorni prendono forma e lui viene sorpreso da un evento che cambierà irrimediabilmente la sua vita. Per Sempre.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Paul Lahote, Rachel Black
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun libro/film
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Rachel

 
 
 
Ancora non riuscivo a capire che cosa stessi combinando. Ero uscita completamente fuori di testa, sì.
Non era possibile che fossi così incurante e superficiale del fatto che avessi un fidanzato con cui stavo da ben quattro anni.
Eppure da quando ero tornata a La Push sembrava che avessi dimenticato quell’importante particolare.
Paul era di fianco a me e guidava con aria imperscrutabile.
Era di una bellezza sconvolgente.
Strinsi i pugni non capendo le reazioni del mio corpo. Era tutto così dannatamente intenso.
Quando all’interno del locale si era avvicinato e mi aveva toccato in quel modo, sarei voluta morire all’istante.
Con quel suo fisico possente, i muscoli delineati ogni dove e la voce cupa, non dava a vedere quanto delicati potessero essere i suoi tocchi e invece lo erano stati. Mi aveva spiazzato in un modo così spaventoso che ero certa che una volta arrivata a casa non avrei fatto altro che pensare a lui e a tutto ciò che avremmo potuto fare insieme se… se non fosse totalmente sbagliato.
Ero fidanzata, fidanzata! Non mi era mai passato per la mente di tradire Alan, nemmeno lontanamente. E ora scalpitavo per avere attenzioni da un ragazzo che avevo ritrovato dopo tanti anni e di cui sembrava che non riuscissi a fare a meno.
«Paul?».
«Sì?».
«Mi dispiace di aver rovinato la nostra uscita».
«Magari è servita lo stesso a qualcosa».
«Cioè?», chiesi confusa.
Non lo conoscevo molto bene sotto certi aspetti, ma Paul si infastidiva quando c’era di mezzo Alan. Anche durante il pomeriggio a casa mia, quando tornammo dalla spiaggia, lui era andato via di colpo dopo avergli detto che avevo un ragazzo.
Come poteva essere? Perché delle reazioni così repentine?
Erano soltanto poche ore che ci eravamo ritrovati.
«Cioè che sei una ragazza impegnata».
«Lo sapevi già», gli ricordai.
«Già… ma certe cose tendo sempre a dimenticarle».
Quando arrivammo di fronte a casa mia, Paul spense il motore e si accasciò contro il sedile girando la testa verso di me.
Era un misto di tristezza e perseveranza.
Avevo una voglia matta di raggomitolarmi contro il suo petto e lasciarmi stringere dalle sue braccia forti. Di baciarlo. E di sentire quel calore che sprigionava contro il mio corpo.
«Ora che cosa farai?», gli chiesi.
Improvvisamente sentii un vuoto allo stomaco. Per quanto mi piacesse, Paul non sembrava un tipo affidabile.
Da Pako’s avevo subito notato come lo guardavano le ragazze. Ero più che certa che se si fosse avvicinato a qualunque di quelle tipe, nessuna avrebbe rifiutato di trascorrere una notte con lui o anche solo poche ore.
Il pensiero mi diede un fastidio inimmaginabile. Tuttavia, lui, al contrario mio, era libero da relazioni e poteva divertirsi come meglio credeva.
«Non lo so», rispose pensieroso.
«Come non lo sai?», sbottai. «Tuo padre non ti rimprovera se torni tardi?».
«Anche se lo facessi, stasera non lo saprebbe. Ha il turno di notte alla stazione operativa dei pompieri».
«E quindi cosa farai di preciso?», richiesi ancora non avendo ottenuto una risposta soddisfacente.
Mi chiesi se mai gli avessi fatto una domanda diretta, del tipo, ti porterai qualche ragazza a casa?, lui mi avesse risposto con sincerità. Ma perché mai avrebbe dovuto?
«Televisione, popcorn, oppure una passeggiata nel bosco».
«Tu devi essere impazzito, Paul. Nel bosco ci sono i lupi».
«Io sono bravo a fare amicizia con gli animali», sorrise.
Allungai una mano per accarezzargli il viso. Era così bello…
«E tu cosa farai?», mi chiese a mezza voce mentre facevo scorrere le dita sulla sua bocca carnosa. Sarebbe stato sublime sentirla su di me accompagnata dalle sue mani.
«Non lo so», mentii.
Oh, io invece sapevo benissimo che cosa avrei fatto una volta sola al buio della mia stanza… avrei pensato a lui e mi sarei data della stupida finché non mi fossi addormentata.
Paul mi baciò le dita accarezzandomi il dorso della mano e io mi sentii come se stessi precipitando in un burrone senza fine.
«Ora devo andare», dissi deglutendo. «Ci vediamo…».
Mi allontanai a fatica da lui e riscesi dall’auto procedendo verso casa. Ero una stupida, dannazione!
Per quanto lo volessi e sarei rimasta con lui fino al giorno dopo, il senso di colpa per Alan mi affliggeva.
Paul ingranò la retromarcia e andò via ed io rimasta sola mi sedetti sulle scale della veranda.
Forse avevo sbagliato a volere una pausa di riflessione…
Mi stropicciai i capelli stringendomi poi le gambe intorno alle braccia.
Se mi ero invaghita così tanto di un ragazzo che conoscevo di vista, in così poco tempo, c’era qualcosa che non andava. Ma qualcosa di serio, che non si sarebbe risolta con una stupida e inutile pausa di riflessione.
«Oh, andiamo Rachel», sussurrai fra me e me poggiando la fronte sulle ginocchia. Sapevo bene che tattica stavo usando.
Stavo cercando una scusa plausibile per lasciare Alan definitivamente, per evitare di sentirmi una sporca traditrice nel momento in cui mi sarei ritrovata tra le braccia di Paul. Perché ero certa che mi ci sarei ritrovata e anche molto presto.
Il telefono iniziò a vibrare di nuovo e lo presi stavolta convinta di rispondere.
“Alan”.
“Piccola, finalmente… Non mi piace che tu non mi risponda nemmeno a uno stupido sms. Che diavolo sta succedendo? Non credevo che fossimo così ai ferri corti”.
Mi ero incantata a guardare il buio, il rumore burrascoso dell’oceano mi echeggiava nelle orecchie. Non avevo voglia di intricarmi in discorsi troppo profondi né iniziare con le scuse ridicole.
Deglutii e risposi con decisione. “Nemmeno io lo pensavo…”.
“Rachel? Mi hai assicurato che era una pausa di riflessione necessaria”.
“So che cosa ho detto”.
“E allora perché questo atteggiamento adesso?”.
Alan cercava di contenersi ma avrebbe voluto urlare. Solo che capiva anche lui che in quelle condizioni avrebbe peggiorato la situazione.
“Alan… non me la sento di continuare”.
“Che cosa stati dicendo? Ti sei bevuta il cervello?”.
“Perché non accetti le mie decisioni? Perché fai sempre di testa tua?”.
“Devo accettare le tue decisioni? Sei andata via da qui da soli due giorni. Due giorni in cui mi eviti, non vuoi parlarmi e ora mi stai lasciando!”.
“Sì”.
“Dopo quattro anni insieme, l’unica cosa che sai dire è sì?”.
“Alan per favore…”.
Mi riattaccò il telefono in faccia senza aggiungere altro.
Ero una vera stronza, una persona cattiva che calpestava i sentimenti altrui. Ma per una volta potevo agire secondo i miei desideri e non secondo quelli degli altri?
Mi mordicchiai un’unghia un po’ nervosa. Conoscendo Alan ero certa che non sarebbe finita lì e avrebbe insistito finché non avrebbe ottenuto le spiegazioni che voleva.
Doveva capire che avevo bisogno di stare da sola per un po’, lo avevo già deciso prima… non era colpa mia se Paul era improvvisamente entrato nella mia vita.
L’ultima cosa che avrei mai immaginato era di cacciarmi in una simile situazione.
Un fidanzato ferito che non aspettava altro che bastonarmi al momento opportuno, un ragazzo giovane e adorabile che sembrava dovesse trattenersi da quanto mi desiderava e io… che non vedevo l’ora di farmi travolgere dalla sua passione.
Mi sollevai dalle scale della veranda e mi inoltrai tra le case del villaggio. Mio padre non si sarebbe accorto della mia assenza e figuriamoci se Jacob sarebbe andato a controllare in camera mia.
Era tradimento, lo sapevo. Non bastava lasciare una persona per far sì che un legame si spezzasse e il senso di colpa ti lasciasse in pace. Stavo andando a casa di Paul dopo qualche minuto dopo aver lasciato il mio fidanzato.
Beh, tanto lo sapevo solo io… e la mia coscienza già sporca.
Ricordavo dove si trovava la casa di Paul, c’ero stata un paio di volte durante qualcuno dei suoi compleanni, avevo accompagnato Jacob ed Embry.
Non mi importava se avessimo parlato o avessimo guardato un film in silenzio… bastava che stessimo un po’ insieme.
Quando sarebbe stata ora di andare via, l’avrei capito e avrei raggiunto la mia piccola stanza solitaria.
Mi accorsi che più mi avvicinavo a lui e più mi tremavano le mani. Ero fuori fase.
Durante il mio cammino, mi capitò più volte di fermarmi e guardare alle mie spalle, ora però non potevo più  né volevo.
La casetta rossa di Paul era davanti ai miei occhi, le luci erano spente fatta eccezione di una piccola lanterna sulla veranda. La sua auto era abbandonata di sbieco a fianco un grosso albero, evidentemente non aveva avuto la voglia di parcheggiarla.
Pensai a qualcosa da dire nel momento in cui mi avrebbe aperto la porta, ma la mia mente non riusciva a pensare, avrei inventato qualcosa lì per lì.
Mossi qualche passo in avanti e poi la porta di Paul si spalancò e ne uscì lui con indosso solo dei calzoncini di jeans. Vidi che aveva uno strano tatuaggio sul braccio, non ci avevo mai fatto caso.
«Rachel?».
Sbattei le palpebre mordicchiandomi un’unghia.
«Mi viene il dubbio che tu sia uno spogliarellista».
«Co-cosa?».
«Te ne vai in giro mezzo nudo…».
Paul sembrava sorpreso di vedermi e beh… io lo ero più di lui. «Come mai sei da queste parti?», chiese evitando la mia domanda.
Ok, respira. «Non avevo sonno… così ho pensato che potessimo parlare un po’…».
Lui annuì, rivolgendo lo sguardo verso la foresta per qualche istante, indeciso su qualcosa da farsi.
«Però se hai da fare, vado via», aggiunsi.
«No, no», si affrettò a dire. «Ero uscito solo per prendere della legna, mi era venuta voglia di accendere un bel fuoco nel camino».
Scese un altro gradino e allungò un braccio verso di me. «Vieni, entriamo. Fa freddo qui fuori».
«Non sei molto credibile, visto che indossi pressoché nulla», sorrisi a stento, cercando di mascherare la mia ansia.
Stavo entrando in casa di un bellissimo ragazzo mezzo nudo, ed eravamo completamente soli.
Beh era inutile essere ipocriti con se stessi, tanto lo sapevo benissimo a che cosa andavo incontro, sin dal primo momento che avevo deciso di andare da lui.
Solo che in quell’occasione era stato impossibile combattere con la mia volontà.
«Io sono resistente al freddo, ho la pellaccia dura. Tu invece no…».
«Ti preoccupi che possa prendere un raffreddore?», chiesi sollevando gli occhi verso i suoi e afferrando la sua mano.
Era anche premuroso… c’era qualcosa di lui che non andava bene? Esisteva qualcosa che mi facesse ricredere sul suo conto e scappare lontano da lui e dal quel corpo peccaminoso?
I suoi muscoli erano perfettamente scolpiti… i tendini del collo tirati i pettorali larghi, ogni singolo addominale sembrava inciso sul suo ventre.
«Entriamo», sussurrò pianissimo. Era con lo sguardo perso altrove. Mi chiesi che direzione avessero preso i suoi pensieri e se fosse uguale alla mia.
Riaprì la porta, dall’interno proveniva solo il bagliore celestino della televisione accesa.
Il suo tocco era deciso e stretto intorno alla mia mano. Lo seguii senza batter ciglio, donandomi l’impressione che avesse fretta di fare qualcosa.
Una volta dentro, mi ritrovai inchiodata con le spalle alla porta di casa, con il corpo di Paul che premeva contro il mio.
Persi il respiro per un attimo, poi sentii il suo fiato sulla mia guancia, la sua bocca che scorreva sul mio collo mentre le sue mani mi sfilavano con maestria la giacca.
«Paul?», ansimai.
«Scusa», mormorò.
La mia giacca cadde al suolo e le sue dita si arpionarono ai miei fianchi. La sua bocca adesso lasciava scie bollenti sulla mia gola. Mi sembrava quasi impossibile che sentissi il martellare del suo cuore contro il mio.
Mi sollevai sulle punte e allacciai le mie braccia intorno al suo collo.
Tutto il resto non importava… io lo volevo.
Mi prese il viso fra le mani, il suo respiro era accelerato sulla mia bocca. «Non dovevo... mi perdoni?».
Scossi la testa. «No...». Affondai con le dita nei suoi morbidi capelli. La pelle di Paul aveva un odore così buono. Sapeva di La Push, sapeva di casa.
«Perché no?», chiese a mezza voce.
Con la tenue luce del televisore riuscivo a vedere metà del suo viso mentre l’altro era immerso nell’oscurità. C’erano due Paul lì con me.
«Perché voglio che lo rifai ancora», rivelai senza alcuna vergogna. «Magari alla prossima ti perdono…»,
Era tutto improvvisamente facile con lui, come guardare una vecchia fotografia di cui si conosce ogni piccolo particolare. O un vecchio film… sai ciò che succederà.
Le labbra si Paul si avvicinarono alle mie come se stesse cercando qualcosa di essenziale. Strinsi ancora di più l’abbraccio finché le nostre bocche non si sfiorarono. I nostri occhi erano incatenati, i nostri corpi uniti.
Mi baciò leggero provocando uno schiocco quasi inudibile, poi sentii subito il suo respiro nella mia bocca, le sue labbra esigenti premevano con impazienza sulle mie.
Gli diedi ciò che cercava aprendo poi la bocca per dare spazio alla sua lingua che inquieta cercava la mia.
Il suo sapore dolce m’invase e io mi sentii arrendevole con lo stomaco che mi faceva male e le gambe malferme.
Il mio corpo era schiacciato tra lui e la porta, felice di non avere nessuna possibilità di fuga.
Mi stringeva così forte… mi ritrovai a gemere avvolta dal piacere che mi stava donando con dei semplici tocchi.
Mi sentii sollevare da terra e poi mi ritrovai sdraiata sul divano di casa, con la testa tra i cuscini e il corpo di Paul incastrato al mio…
 


Angolino Autrice

Beata Rachel... mi viene da dire solo questo...
A domenica prossima, spero che anche questo capitolo vi piaccia!

  
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