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Autore: moira78    03/02/2013    4 recensioni
[Maison Ikkoku]
E vissero per sempre felici e contenti... ma sarà stato proprio così? Nella quotidianità della vita familiare ci sono sempre mille problemi da affrontare e Kyoko e Godai non fanno eccezione: per loro convolare a giuste nozze è solo l'inizio di un'avventura costellata da novità, problemi, sorprese e, tanto per cambiare, vicini invadenti!
Genere: Commedia, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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IL MISTERO DELLA VALIGETTA

Il vento faceva ondeggiare le lenzuola che stava stendendo e le scompigliava i capelli. Aspirò profondamente l'aria che sapeva ancora di pioggia e in quel momento il sole fece capolino dalle nubi costringendola a schermarsi gli occhi.

"Ah, che bella giornata! Non sei d'accordo anche tu?", domandò accarezzandosi il ventre prominente.

Chissà se sei maschietto o femminuccia e chissà quando ti deciderai a darmi il primo calcetto...

Ridacchiò all'idea della sua pancia che si deformava sotto la spinta di un piedino: che faccia avrebbe fatto Yusaku? E lei cosa avrebbe sentito? Sarebbe stato doloroso o semplicemente le avrebbe fatto il solletico?

"Ehi, Kyoko!". Il vocione di Ichinose interruppe i suoi pensieri piacevoli e la riportò con i piedi a terra: era di nuovo l'amministratrice di Casa Ikkoku e per il momento non potevano ancora permettersi un appartamento. Ma d'altronde lei era felice anche così, no?

Alzò la testa per guardare l'inquilina affacciata alla finestra del piano superiore: "Buongiorno Ichinose, non è una bellissima giornata?".

"Sì, sì, ma adesso sali, c'è qualcosa che non va nella stanza di Yotsuya!". Il suo umile tentativo di indurre una conversazione leggera aveva miseramente fallito. Problemi in vista, probabilmente. E cosa ci faceva quella ficcanaso in una stanza che doveva essere chiusa a chiave? Per un attimo desiderò che suo marito fosse lì con lei e le parve assurdo: se l'era sempre cavata da sola ma da quando era sposata con Godai non poteva fare a meno di lui nemmeno per un momento. E lui in quel momento era al lavoro, naturalmente.

"Ma...". La donna era già scomparsa all'interno, non lasciandole altra scelta che salire la rampa di scale per raggiungerla. Fece i gradini con una certa fatica e si chiese come avrebbe fatto quando il pancione fosse stato di dimensioni ben più importanti.

Ichinose era per metà sporta nella stanza numero quattro: quella che doveva essere chiusa a chiave. "Mi dici come hai fatto a entrare?", domandò contrariata.

La coinquilina sorrise sorniona prima di mostrarle una forcina che aveva nei capelli.

"Ichinose!".

"Ah, smettila di fare la moralista e vieni a vedere!", sbottò scomparendo nella stanza. Kyoko la seguì con un sospiro, chiedendosi cosa potesse esserci di tanto strano nella camera di quello svitato di Yotsuya.

Sacchetti di polvere bianca. Sparsi ovunque. Alcuni si erano aperti lasciando uscire il contenuto; altri erano pieni di una polvere di colore verde-marrone.

Kyoko deglutì rumorosamente. Possibile che...

"E non è tutto. Ho notato che manca anche la sua ventiquattrore!", esclamò Ichinose gesticolando concitata.

"Insomma, è normale che la valigetta non ci sia, no? Stamattina ha detto che partiva per un viaggio di lavoro, l'avrà portata con sé!".

La donna chiuse gli occhi e si accese una sigaretta, annuendo con aria grave: "Un uomo parte in fretta e furia con una valigetta piena di bustine di polvere bianca dicendo che ha un lavoro urgente. Non ti sembra strano?".

"Ma non sappiamo se ne ha portate...", tentò, ma gli occhi dell'inquilina si piantarono sui propri come due coltelli affilati, mettendola a disagio. Molto a disagio. No, non poteva essere. Yotsuya era un uomo misterioso e un po' folle ma lo conosceva da anni e non credeva fosse quel tipo di persona.

"Inoltre non abbiamo mai capito che lavoro faccia e lui si è sempre rifiutato di dircelo".

L'ultima frase di quell'impicciona non fece altro che affondarla ancora di più in un mare di dubbi. Tentava con tutte le sue forze di non cedere al panico ma, naturalmente, il ragionamento di Ichinose non faceva una piega.

"Pensa se - continuò imperterrita, prendendo una boccata dalla sigaretta - per tutti questi anni ti avesse pagato l'affitto con soldi sporchi". Anche se non avesse usato tutta quell'enfasi, a Kyoko sarebbe comunque crollato il mondo addosso dopo aver realizzato quella consapevolezza: il cuore le mancò un battito e s'impose di calmarsi per il bene del bimbo che portava in grembo.

Ma Ichinose non aveva intenzione di porre fine a quella tortura e aggiunse con aria tragica: "Potrebbe addirittura lavorare per la Yakuza".

Un macigno le piombò direttamente sulla testa e Kyoko si chiese se avrebbe retto a una simile verità. "Adesso basta, Ichinose! Non possiamo fare tutte queste... elucubrazioni mentali!", esclamò in cerca del termine adatto. "Ora usciamo da questa stanza e quando ritornerà Yotsuya-san chiederemo spiegazioni a lui!". Detto questo, le voltò la schiena e camminò fino alla soglia, dove venne raggiunta dall'odore della sigaretta. "E per favore non fumare in mia presenza, non lo sai che fa male al bambino?".

"Ti dico solo un'ultima cosa." Ichinose fece una pausa ad effetto e a Kyoko venne l'insano desiderio di strozzarla seduta stante. "Se le cose stanno così, Yotsuya potrebbe anche non tornare".

                                                                                              ***

Godai correva verso casa, domandandosi cosa diamine fosse accaduto. Kyoko, solitamente così seria e controllata, gli aveva telefonato in preda all'agitazione parlando di strani sacchetti nella stanza di Yotsuya e di Yakuza; aveva blaterato qualcosa sul fatto di essere l'amministratrice e quindi responsabile dei suoi inquilini e poi lo aveva pregato di tornare a casa al più presto. Per quel che ne sapeva, il suo ex vicino di stanza era partito quella mattina molto presto, addirittura prima che lui uscisse per andare al lavoro: cosa c'entrava, poi, con la Yakuza? Il pensiero che quell'idiota si fosse ficcato in qualche guaio destabilizzando la serenità di sua moglie incinta lo faceva fumare di rabbia.

Arrivò a Casa Ikkoku con il fiatone ed ebbe appena il tempo di chiedere lumi che venne trascinato letteralmente al piano di sopra da una concitata Ichinose; Kyoko era ferma davanti alla stanza numero quattro e teneva in mano un foglio spiegazzato. Glielo porse con aria seria: "Dobbiamo andare. Potremmo essere indagati anche noi, senza contare che lui potrebbe trovarsi in pericolo".

La guardò stralunato. "Ma di che diavolo stai parlando?! Io non...". Kyoko lo afferrò per un braccio, inducendolo a guardare nella stanza. Sentì la mascella allentarsi e cadergli letteralmente dalla faccia: fortuna che c'era l'articolazione a tenergliela attaccata alla testa, o non si sarebbe stupito di vederla rotolare allegramente ai suoi piedi.

Sacchetti di... di...

"Ma... ma non possiamo essere sicuri che sia quello che pensiamo, no?", balbettò in un ultimo tentativo di ripristinare una parvenza di normalità in quell'assurda faccenda. "E poi quale mafioso degno di tale nome lascerebbe tutta la merce sparpagliata per la stanza alla mercé di tutti?!".

Ichinose e Kyoko si limitarono a fissarlo con aria grave, poi la donna più bassa tirò fuori dalla tasca l'ultima cosa che si sarebbe aspettato di vedere. "Abbiamo trovato anche questa in un cassetto".

Con uno squittio spaventato e tutt'altro che virile, Godai incespicò all'indietro trascinando con sé sua moglie, nel tentativo di allontanarla il più possibile da un tale abominio.

"Ehi, che ti prende? Non sappiamo nemmeno se è carica!", disse maneggiando la rivoltella come se fosse un pacchetto di chewing-gum.

"Proprio per questo non... non agitarla così!".

"Ichinose, ti avevo detto di metterla via, potrebbe essere pericoloso!". Meno male che Kyoko non aveva perso del tutto la ragione, ma era pallida e seria e questo non andava bene.

"D'accordo, andrò io a vedere cosa sta combinando e se sarà necessario... chiamerò la polizia", sentenziò ostentando un coraggio che non aveva affatto.

"No!", esclamarono all'unisono le due donne.

Le fissò stupito: per ficcanaso che fosse, Ichinose non poteva certo immischiarsi in una cosa del genere, e Kyoko poi...

"Non se ne parla nemmeno! Aspetti un bambino, non permetterò che tu e nostro figlio siate coinvolti in una questione così rischiosa!". L'espressione decisa di sua moglie non lo sorprese più di tanto e si ritrovò a pregare che cambiasse idea anche se, testarda com'era, la cosa era alquanto improbabile.

"Che io lo voglia o no sono l'amministratrice di questo condominio, te l'ho già detto. E continuerò a occuparmi dei miei inquilini fintanto che sono sotto la mia responsabilità!". Godai la guardò fisso per qualche secondo, cercando di controllarsi e di trasmetterle tutte le emozioni che traboccavano da lui in quel momento. Terrore. Preoccupazione. Senso d'impotenza.

"C'è... c'è qualcosa che posso fare per impedirti di venire con me?", le domandò senza smettere di guardarla. L'espressione di Kyoko si ammorbidì un poco e un lieve sorriso le affiorò sulle labbra.

"No. Ma non preoccuparti. Non correremo rischi inutili. Voglio solo parlare al più presto con Yotsuya-san e farmi spiegare come stanno le cose. Se necessario chiameremo la polizia". Quella era la Kyoko che conosceva, decisa a perseguire la verità ma con i piedi ben piantati per terra.

"È deciso, allora, vado a chiamare Akemi!", dichiarò Ichinose dirigendosi verso il telefono e strappandolo ai suoi pensieri.

"Akemi?! Ma cosa c'entra lei?". Domanda stupida: se dovevano ficcarsi nei guai, lo avrebbero fatto come al solito tutti insieme, come era loro usanza da sempre.

"Vado a preparare una borsa con dei vestiti, sarà meglio partire leggeri". Kyoko si stava già allontanando e fu allora che Godai si ricordò del foglio che aveva in mano e che ormai era tutto stropicciato.

"Ehi, qui c'è il numero di telefono di dove alloggia, potremmo semplicemente chiamarlo!". Si aggrappò a quella flebile speranza ben sapendo che sarebbe stata subito stroncata.

Infatti, mentre componeva il numero del Chachamaru, Ichinose strillò: "Ci abbiamo già provato ma il padrone ci ha detto che lì non alloggia alcun Yotsuya!".

Appunto.

Abbassò lo sguardo sulla nota e vide che l'uomo aveva scribacchiato gli orari del treno che portava a Fuji Hakone, a circa un'ora e mezza da lì, e il nome di una locanda situata a Miyanoshita, con tanto di numero telefonico.

"Quindi è qui che siamo diretti", mormorò infilandosi il foglio in tasca e richiudendo la stanza che, evidentemente, era stata già ben controllata da Ichinose e Kyoko.

Sarebbe stato un lungo viaggio. E non in termini di tempo.

                                                                                              ***

"Io ho portato anche il costume da bagno! So che lì ci sono le terme e non voglio farmele sfuggire!", trillò allegramente Akemi facendole pulsare un nervo sulla fronte.

"Guarda che non siamo in viaggio di piacere!", la rimbeccò Kyoko stringendo la stoffa della gonna con tanta forza che le si sbiancarono le nocche. Aveva paura, era inutile negarlo. Yotsuya si era ficcato in un mare di guai se le cose stavano come aveva immaginato e avrebbe rischiato di trascinare anche loro nel baratro. Quella pistola poi... già si vedeva i titoli sui giornali: 'Amministratrice di una pensione e inquilini indagati per favoreggiamento del mafioso Yotsuya'. Rabbrividì e il braccio di suo marito la strinse protettivo.

"Tutto bene, cara?".

"Sì", mentì in un bisbiglio. Le pareva di rivivere il dejà-vu del loro viaggio a Nigata, qualche anno prima, quando Yusaku la stava portando a conoscere i suoi genitori e lei era nervosa come una scolaretta.

"Ma insomma, che facce lunghe che avete! Ha ragione Akemi, finché non sappiamo come stanno le cose è inutile preoccuparsi. Godiamoci il viaggio piuttosto e festeggiamo il diversivo!". Con la noncuranza che la caratterizzava, la donna tirò fuori ventagli festosi e lattine di birra e si mise a brindare con la rossa al suo fianco.

"Insomma, disturbate gli altri passeggeri! Non vedete che vi guardano tutti?", gemette Yusaku assumendo un colorito porpora.

Che vergogna, erano sempre gli stessi! Non poté fare altro che portarsi una mano al viso, come cercando un ridicolo nascondiglio da quella situazione irreale. Quando l'altoparlante annunciò la loro fermata e si alzò per scendere dal treno, avvertì un capogiro che la fece barcollare: naturalmente Godai l'afferrò e lei si rilassò un poco a contatto con il suo petto.

"Kyoko, cos'hai?". La voce di suo marito era chiaramente allarmata e lei se ne dispiacque: doveva farsi forza, non era il momento di essere deboli.

"Tutto bene, tranquillo, era solo un giramento di testa".

"Continuo a dire che tu non dovresti sottoporti a un simile strapazzo". Il tono voleva essere di rimprovero ma lei avvertì chiaramente la preoccupazione che traspariva. Si impose di sorridergli.

"Stai tranquillo, magari potremmo cercare davvero di vederla come una specie di gita, no?". Non era convinta per niente di quello che diceva ma tentò di alleggerire l'atmosfera con una bugia a fin di bene. Dall'espressione perplessa di suo marito, però, capì che aveva fallito miseramente.

"Va bene, facciamola finita. Andiamo a cercare Yotsuya e poniamo un termine a questa storia". Lui annuì e l'accompagnò fino all'uscita.

"Finalmente! Pensavamo che avreste proseguito fino alla fermata successiva!", esclamò Ichinose abbandonandosi a una delle sue grasse risate.

"Bene, ora che ne dite di cercare un taxi fino a destinazione? Io proseguirei anche a piedi ma mi sa che Kyoko sverrebbe nel tentativo...", disse Akemi squadrandola dalla testa ai piedi. Doveva aver notato che era pallida.

"Ma no, non spendiamo soldi inutili, vediamo se c'è un autobus!", propose cercando di apparire allegra.

"Assolutamente no! Non se ne parla! Ora, mentre voi le fate compagnia su quella panchina laggiù io cerco un telefono in stazione e chiamo un taxi. Inoltre penso che tu debba mangiare qualcosa, tesoro, sei bianca come un lenzuolo".

Alla fine si arrese all'evidenza: non si fidava delle proprie gambe e rimase in attesa di Yusaku sgranocchiando un dolce alle mandorle mentre Akemi e Ichinose brindavano ancora con le loro lattine di birra.

"Al viaggio inaspettato!", gridavano, oppure: "Alle terme!", o ancora: "Alla Yakuza!". A quell'ultima esclamazione quasi si strozzò e intimò loro di smetterla con una veemenza tale che le due si limitarono a sorseggiare la bevanda senza più dire niente.

Suo marito tornò di corsa qualche minuto dopo.

"Allora? Hai trovato un taxi?", gli domandò la donna più anziana.

"Purtroppo no, però ho trovato una corriera che parte tra qualche minuto e ha dei sedili comodi e spaziosi. Per te va bene, Kyoko?".

Gli sorrise, stavolta non dovette fingere: tutte quelle attenzioni le facevano sempre un piacere enorme, anche dopo tanto tempo. Continuava a non capacitarsi di quanto fosse stata fortunata a incontrare un altro uomo tanto meraviglioso dopo la prima, triste esperienza.

"Ma certo che va bene,  te l'ho detto, andava benissimo anche un semplice autobus".

"Solo il meglio per la mia bellissima moglie", dichiarò scherzoso prendendola sottobraccio e incamminandosi con lei verso l'area dove la corriera attendeva.

Per un momento non le importò più di nulla, neanche di essere in viaggio per scoprire che forse uno dei suoi inquilini era un mafioso dedito allo spaccio di droga: c'erano solo loro due e la creatura che le cresceva in grembo. Si sentiva attraversata da una corrente elettrica che la rinvigoriva e non si trattava solo del dolce che l'aveva rinfrancata. Era un'elettricità che proveniva dallo spirito e le indicava quanto fosse bella la sua vita ora e quanto ancora di più lo sarebbe stata da adesso in poi. Quasi non udì le voci complici delle due affittuarie alle sue spalle.

"Ma guardali, tubano come due piccioncini alle prese con il primo appuntamento!".

"Se continuano così mi verrà il diabete".

"Che dici, ci accomodiamo in un sedile lontano da loro?".

"Io vado a comprare dell'altra birra...".

                                                                                              ***

Quanto era passato? Un minuto? Due? Quel che era certo era che se Yotsuya avesse scritto il nome della locanda sui suoi appunti, si sarebbe guardato bene dal prenotare delle stanze proprio lì. Ora stavano tutti sulla soglia a fissare l'insegna come dei beoti, lui e Kyoko in silenzio, le due pettegole invece si stavano lasciando andare a commenti di tutti i tipi tra una risata e l'altra.

D'altronde come potevano rimanere indifferenti di fronte a quella coincidenza pazzesca? Erano andati a cercare Yotsuya, che sospettavano spacciasse droga per conto della mafia, e si trovavano ad alloggiare al ryokan Kyodai (1)!

Si riscosse, non voleva mettere fine alla serenità che Kyoko sembrava aver riacquistato alla stazione: "Adesso basta, voi due, vi ricordo che Kyodai significa anche fratelli o sorelle! Probabilmente è un ryokan a conduzione familiare, andiamo!". Avrebbe tanto voluto crederci anche lui! La verità era che gli pareva di essere finito in una sorta di scherzo di pessimo gusto. Con una moglie incinta e altre due donne al seguito, lui era l'unico uomo nel loro gruppo squinternato e per un attimo rimpianse che Akemi non avesse convinto il marito a mollare quel dannato locale per seguirla: si chiese se sapesse che la moglie si era imbarcata in un viaggio del genere.

"Buongiorno signori, posso aiutarvi?".

Se possibile, la vista dell'uomo vestito di nero lo sconvolse anche più del nome della locanda: notò subito che gli mancava un dito della mano sinistra... precisamente il mignolo (2), e non era forse un tatuaggio quello che occhieggiava dalle pieghe della sua giacca da camera? (3).

Ora svengo... ci sono talmente vicino...

"Allora?!". Il vecchio proprietario aveva avvicinato il volto in modo quasi inquietante e poté avvertire il suo fiato sulla faccia. Doveva riscuotersi e prendere immediatamente una decisione: si guardò alle spalle e vide che Ichinose e Akemi annuivano furiosamente. Anche sua moglie, pallida ma risoluta, faceva sì con la testa.

"Vo... vorremmo due camere, per favore. Una per me e mia moglie e una per le due signore". Ridacchiò in maniera sciocca per compensare il balbettio che l'aveva afflitto all'inizio della frase ma il risultato fu che dovette apparire al vecchio ancora più spaventato di prima. Lo fissò perplesso, inarcando un sopracciglio candido, poi scoppiò in una fragorosa risata e cominciò a dargli delle pacche sulla schiena che per poco non lo fecero cadere.

"Ah ah ah! Ma certo, figliolo, vi darò le stanze migliori! Solo comodità e cortesia da Kyodai!".

Deglutì e strinse forte la mano di Kyoko mentre salivano la rampa di scale. Quando, poco dopo, si ritrovarono soli, si riunirono tutti e quattro in un'unica camera per fare il punto della situazione. Per un tacito accordo, decisero che era meglio partire dalla fine: dovevano cercare Yotsuya; sì, probabilmente alloggiava lì con un nome falso; no, lo scambio di droga non poteva essere avvenuto alla luce del giorno con gli ospiti in giro per il ryokan, forse avrebbe agito di notte. Esauriti gli argomenti principali calò il silenzio, interrotto solo dal loro rumoroso sorseggiare; stranamente anche Akemi e Ichinose stavano bevendo del the, invece della solita birra.

"Come mai voi due bevete dell'ignobile the?", scherzò con l'intenzione di alleggerire l'atmosfera.

"Perché stanotte dovremo essere lucide per affrontare il proprietario del ryokan; non dirmi che non hai notato il suo mignolo, Godai!". Per l'appunto, la risposta della rossa lo fece ricadere con i piedi per terra.

"E il tatuaggio sul petto? Avete visto?", rincarò Ichinose.

"Già, senza contare che vestiva di nero... come fanno la maggior parte dei membri della yakuza". La voce pacata di Kyoko gli parve la cosa peggiore; pensava, per caso, che non fosse così sveglia da non essersi accorta di tutte quelle stranezze? O che il non dirle ad alta voce l'avrebbe protetta dal pericolo? No, inutile rifuggire la realtà, era il momento di mettere le carte in tavola.

Posò la tazza con un rumore forte, facendo fuoriuscire qualche goccia di the sul tatami: "Bene, ecco cosa faremo", disse guardandole una a una.

                                                                                              ***

Si fidava di Yusaku. Ciecamente. Eppure non smettevano di tremarle le mani mentre, nel buio dei corridoi, cercavano le scarpe di Yotsuya fuori dalle stanze.

Avevano atteso che calasse la notte e poi si erano divisi: Akemi e Ichinose erano andate a cercare la stanza del padrone del ryokan mentre loro due avrebbero localizzato il loro squinternato coinquilino. Il primo movimento falso di uno dei due avrebbe portato a un pedinamento volto a scoprire l'eventuale scambio di droga e a quel punto avrebbero chiamato la polizia. Sarebbe stato inutile chiamarla senza avere uno straccio di prova: solo dopo aver assistito alla reale consegna delle bustine potevano avere la certezza che fosse necessaria una perquisizione dell'albergo.

A piedi nudi, con le mani gelate e la fronte sudata, Kyoko stringeva una mano a suo marito e con l'altra artigliava il proprio ventre, nel disperato tentativo di proteggere la nuova vita che stava crescendo in lei da quella missione assurda.

Arrivati a questo punto, ormai...

Un rumore la fece sobbalzare. Godai soffocò un' imprecazione e spostò la torcia sul suo piede indicandole che era solo una tavola di legno che aveva scricchiolato sotto il suo peso; annuì, battendo i denti per il tremore che si andava diffondendo: ora sì che le avrebbe fatto piacere una birra. Era da quando aveva scoperto di essere incinta che non toccava una goccia di alcool e si ritrovò a desiderarne disperatamente.

Di' la verità, non dispiacerebbe neanche a te in questo momento, vero, piccolo mio?

Risolse di essere impazzita, perché lui o lei non poteva sapere in che razza di situazione anomala si fosse cacciata la sua stolta mamma, eppure doveva avere la percezione del terrore che mandava continue scariche di adrenalina nel suo sangue. Doveva calmarsi o il bambino avrebbe deciso di nascere per lo stress. E lei non voleva che nascesse con tutto quell'anticipo, no? Cominciò a respirare come le avevano insegnato a fare durante i corsi nei quali si imparava a controllare il dolore delle contrazioni e le parve che il suo battito cardiaco tornasse a livelli normali. Stava cominciando a rilassarsi quando delle voci da una delle stanze attirarono la sua attenzione. Smise di respirare e anche Yusaku si fermò improvvisamente.

"Oh, caro, ma che fai, non possiamo! Non siamo ancora sposati!".

Incredibilmente, le venne da ridacchiare e l'impulso divenne irrefrenabile quando suo marito si voltò a guardarla imbarazzato con un sorrisetto di circostanza. Si mise una mano davanti alla bocca e procedette oltre quando lui le fece cenno di rimanere in silenzio, mentre a sua volta tentava di trattenere le risa con l'unico risultato di produrre un buffo suono dalle narici.

Mentre tentavano di riprendere il controllo procedendo per il corridoio, il fascio luminoso della torcia si fermò su un paio di scarpe nere: impossibile sbagliarsi, per anni il loro coinquilino non ne aveva portate altre ed erano consumate anche se perfettamente lucide.

"Magari... magari non sono le sue e lui non alloggia affatto qui", bisbigliò Yusaku con voce malferma; sarebbe piaciuto anche a lei che tutto tornasse alla normalità e che quell'avventura non si rivelasse altro che un brutto sogno. Ma non era così e dovevano rendersene conto. D'altronde cosa potevano rischiare? Al massimo avrebbero chiamato la polizia e spiegato le loro ragioni.

Sì, faremo così, pensava mentre superava la figura di suo marito per esaminare le scarpe più da vicino. Le girò e sulla suola era scritto chiaramente 'Yotsuya', anche se le lettere erano sbiadite dal tempo e dall'uso.

"Ora non dobbiamo fare altro che rimanere qui e aspettare. Prima o poi potrebbe uscire", mormorò riponendo le scarpe con delicatezza per non fare rumore.

"Io aspetterò, tu torna in camera nostra", le disse Yusaku con fermezza.

"Non se ne parla affatto!", ribatté con forza. "Siamo arrivati fin qui insieme e insieme aspetteremo".

"Invece io ti dico che devi tornare in camera e riposare!".

"E invece io...!".

Si bloccarono nel medesimo istante, rendendosi conto che avevano parlato ad alta voce e che la porta di Yotsuya si stava aprendo.

Il suo primo istinto fu di scappare, nascondersi, ma rimase a fissare Godai negli occhi come uno stoccafisso; poteva udire le parole non dette che attraversavano le loro menti in un dialogo che non stava avvenendo davvero: 'Accidenti, abbiamo alzato la voce senza accorgercene!', 'Colpa tua che sei così testarda!', 'Scappiamo!', 'Troppo tardi, sta già uscendo...' , 'Ci ha scoperti', 'Oh, Kami!'.

Mai la figura del suo coinquilino le era parsa così minacciosa come nell'istante in cui aprì la porta e li guardò col suo viso eternamente pallido e perplesso, le sopracciglia inarcate nella sua tipica espressione interrogativa.

"Yo... Yotsuya-san, ma che combinazione!", balbettò suo marito nel disperato tentativo di inventarsi una scusa decente. "Ci siamo detti: perché non fare una vacanza alle terme! E guarda un po' chi ha avuto la nostra stessa idea!".

Kyoko deglutì a fatica, notando che Yotsuya era imperturbabile. "Non m'incanti, Godai, so benissimo che mi stavate spiando".

Ed ecco che il cuore le accelerava di nuovo e l'adrenalina riprendeva a riversarsi a fiumi nelle vene: li aveva scoperti! Tentò di mettere le cose a posto; Yotsuya non avrebbe mai fatto del male a una donna incinta, per di più la sua padrona di casa da anni! Si avvicinò a lui di un passo.

"Yotsuya-san, in realtà io mi sentivo poco bene e mio marito mi stava accompagnando in bagno a rinfrescarmi un po', così...".

Le parole le morirono in gola e Kyoko Godai realizzò, in quel preciso istante, che stava per raggiungere il suo ex marito in Cielo abbandonando Yusaku su questa Terra e portando con sé il loro primo figlio.

Yotsuya aveva estratto una pistola dalla tasca della giacca da camera e gliela stava puntando addosso.

                                                                                              ***

Sbuffò. Si era davvero stufata di aspettare e aveva bisogno di una birra gelata: erano almeno cinque ore che non ne beveva una!

"Insomma, Akemi, vuoi stare un po' ferma? Se ti agiti così ci scoprirà!", borbottò la sua grassa compagna.

"È che mi sto annoiando, quest'attesa è sfibrante!", si lamentò arricciandosi su un dito una ciocca rossa.

"Hai ragione, non ci siamo nemmeno portate da bere", annuì Ichinose accomodandosi meglio nel suo angolo: da dietro quella colonna potevano spiare tranquillamente la porta della stanza più grande del ryokan, quella in cui alloggiava il vecchio padrone di casa. Il silenzio era assoluto e stava per proporre una morra cinese per decidere chi delle due sarebbe andata a rimediare della birra quando udì, lontano ma distinto, uno scricchiolio provenire dal soffitto. Alzò lo sguardo, puntando la torcia.

"Viene dal piano di sopra", commentò.

"Già".

"Morra cinese?".

"Cosa?!". Ichinose la fissò senza capire.

"Morra cinese. Per decidere chi delle due va a prendere le birre in frigo. Sai? Sasso, carta, forbice...".

"Ho capito, ho capito! Ma non dobbiamo ubriacarci, cosa succederebbe se ci addormentassimo qui?".

"E dai, solo un paio di lattine!", pregò mettendo il broncio.

La donna più anziana sogghignò e disse che sarebbe andata personalmente a pescare un paio di 'rifornimenti' direttamente dal frigo delle cucine. Non più di due, però, eh? Fece appena in tempo a voltarsi che udirono un nuovo scricchiolio che rivolse la loro attenzione alla porta: stavolta era quest'ultima che si stava aprendo.

Ichinose cominciò a fare gesti concitati con la mano grassoccia per indurla a spegnere la torcia e a nascondersi meglio dietro la colonna, ma quell'aggeggio non ne voleva sapere di scattare e dovettero usare quattro mani per far arretrare finalmente l'interruttore nella posizione off. Dopodiché si accucciarono il più possibile e si misero a osservare l'ombra dell'uomo illuminata solo dalla luce della luna.

Il vecchio si stirò le membra, allungando le braccia, e poi fece una cosa che le gelò il sangue nelle vene: tirò fuori qualcosa dalla tasca, vi infilò un dito dentro e se lo portò sulla punta della lingua come per assaggiarlo, quindi annuì compiaciuto.

"La droga! L'ha già avuta e sta sentendo se è di buona qualità!", emise Ichinose alle sue spalle, in un verso strozzato. Per tutta risposta, Akemi le piantò un gomito sul torace senza tante cerimonie e si mise a cercare freneticamente nella tasca della vestaglia.

"Ahio, ma sei impazzita?! Cosa cerchi? Svelta, dobbiamo seguirlo!".

Ma lei fece finta di non sentire e continuò a cercare: sentiva il peso nella tasca ma non riusciva a trovarla. Non c'era tempo di chiamare la polizia, se solo...

"Se ne sta andando, Akemi!". Ichinose aveva alzato la voce e questo la fece voltare bruscamente. Era vero, il vecchio si stava dirigendo verso l'area in cui c'erano i bagni. Allora dovevano incontrarsi lì! Ma dov'erano Kyoko e Godai? Yotsuya era già sceso e loro non l'avevano intercettato? Dannazione, doveva trovarla subito o...

L'urlo fermò il flusso dei suoi pensieri e la sua inquilina, che stava uscendo circospetta dal nascondiglio, si accucciò di nuovo alle sue spalle con un balzo; la mano le rimase paralizzata nella tasca dove aveva appena afferrato la sagoma di ciò che cercava.

"Fermo, Yotsuya!". Era la voce di Godai.

Strinse la mano sul calcio della pistola e si voltò verso Ichinose mettendosi un dito perentorio sulle labbra: gli occhi della donna erano spalancati dal terrore quando le fece cenno di seguirla in silenzio.

                                                                                              ***

Yotsuya che portava una mano nel kimono, la ritraeva impugnando una rivoltella e la puntava addosso a Kyoko, indifesa di fronte a lui.

Tutto ciò non poteva che far parte di un incubo.

Continuava a pensarlo anche mentre la propria mano lasciava cadere la torcia illuminando la scena dal basso, nel momento esatto in cui sua moglie si lasciava sfuggire un urlo dalle labbra cineree e lui le si parava davanti a braccia spalancate intimandogli di stare fermo.

Il tempo si bloccò.

Morire non era più la peggiore delle ipotesi se questo significava salvare la vita a sua moglie e a suo figlio. Il perché Yotsuya si fosse messo in un giro come quello era irrilevante, ora la priorità era proteggere la sua famiglia; non importava se le gambe tremavano e il sudore colava in grosse gocce dalla fronte accecandogli gli occhi. Doveva essere forte e cercare di ridurre i danni al minimo.

"Ora ragiona, Yotsuya, metti giù quell'affare e parliamone con calma, va bene?".

L'uomo aprì la bocca per rispondere, ma fu interrottò dalla voce di Akemi: "Fai come dice lui, Yotsuya, ti comunico che ho una mira infallibile!". La rossa, da quel che poteva vedere, era alle sue spalle: aveva evidentemente salito la rampa di scale nel più assoluto silenzio e puntava a sua volta quella che aveva tutta l'aria di un'arma.

Oh, no, Ichinose deve averla data a lei!

"Oh, ma che sorpresa, ci siete anche voi?", disse Yotsuya.

"Ehi, ma cos'è tutto questo baccano in piena notte? Mi ero alzato per andare in bagno e sento un fracasso... ma che succede?". Quella voce era del padrone del ryokan! Ma non dovevano tenerlo d'occhio quelle due?! Che guaio, la situazione si stava facendo pericolosa! Akemi continuava a puntare l'arma contro Yotsuya spostandosi lentamente di lato, Ichinose rimaneva  alle sue spalle ripetendo a pappagallo a Yotsuya di non muoversi ma schermandosi, seppur malamente vista la stazza, dietro la schiena di Akemi.

Fu allora che udì il respiro di Kyoko accelerare all'improvviso e poi bloccarsi: "Si è mosso!".

Senza spostare il corpo, perché Yotsuya non aveva abbassato la mano con la pistola, Godai girò la testa verso di lei: sua moglie era pallida e sudata ma sorrideva mentre ansimava.

"Il bambino. Mi ha dato il suo primo calcetto!", disse prima di accasciarsi al suolo priva di sensi.

                                                                                              ***

Al risveglio aveva sempre la dolce sensazione di tornare a casa. Dopo l'incoscienza della notte, veniva cullata dalla consapevolezza di stare accanto all'uomo che amava, ascoltandone il respiro; poi la mano sul ventre le ricordava che il frutto del loro amore cresceva lì, come il più meraviglioso tra i miracoli, e avrebbe avuto i loro lineamenti.

Stavolta invece ebbe una sensazione di bagnato. Acqua. Che le cadeva sul viso in spruzzi regolari.

Che diamine?!

La prima cosa che vide quando aprì gli occhi fu la canna di una pistola e il ricordo di poco prima

ore? Giorni?

le ripiombò addosso come un macigno mozzandole il fiato in gola.

Erano a Miyanoshita, in una locanda gestita da un membro della yakuza per cercare Yotsuya. Yotsuya, che nascondeva sacchetti di droga in camera; Yotsuya, che li aveva scoperti mentre lo cercavano nella notte. Yotsuya, che le aveva puntato una pistola mentre lei avvertiva, per la prima volta, muoversi il bambino dentro di sé.

Yotsuya, chino su di lei dopo che era evidentemente svenuta, e le stava ancora puntando l'arma.

Gridò, scalciando via le coperte con cui dovevano averla avvolta, e cominciò a indietreggiare furiosamente. La sua attenzione era concentrata sul dito dell'uomo che si stava muovendo sul grilletto, come in un incubo, al rallentatore.

E lo premeva.

E dell'acqua fuoriusciva a inzupparle ancora il viso.

Acqua.

Una dannata, maledettissima pistola ad acqua?!

"Insomma, Yotsuya, vuoi farla svenire di nuovo?! Ti diverti tanto a terrorizzare le donne incinte?", urlò Yusaku strappandogli di mano il giocattolo.

Una. Pistola. Ad acqua. Un giocattolo.

"Beh, che vuoi fare, picchiarmi? Stavo solo tentando di rinfrescarla, come poco fa sulla porta. Ora che sai anche tu che contiene acqua non dovresti prendertela tanto!".

Rinfrescarmi?! Cosa avevo detto poco prima che si aprisse la porta? Che mio marito mi stava accompagnando al bagno per rinfrescarmi. E la pistola. Ad ACQUA...

"E chi sospettava che questi aggeggi somigliassero tanto a quelle vere?". Era Akemi ad aver parlato, seduta poco distante, mentre spruzzava addosso a Yusaku con un'altra pistola.

AD ACQUA.

Kyoko sentì un formicolio alla gola e capì che era una risata isterica in procinto di esplodere.

"Oh, vedo che la signora si è ripresa, finalmente! Però che idea balzana: uno spaccio di droga nel mio rispettabile ryokan! Yotsuya-san, non avevi detto ai tuoi amici che smerciavi sale di ottima qualità?". Quello era il padrone dell'albergo; l'uomo vestito di nero, il presunto yakuza.

Sale? Bustine... di sale?!

Storse la bocca in una smorfia che doveva essere un sorriso e ricadde sdraiata.

Acqua. E sale.

"Tesoro che hai, ti senti ancora male? Vuoi che chiami un medico?". Yusaku fu subito accanto a lei. Scosse la testa e tentò di rassicurarlo ma non riuscì a fare altro che ridere, dando sfogo a tutta la tensione accumulata. Rise così tanto che gli occhi le si riempirono di lacrime e lo stomaco si contrasse.

"Beh, almeno ha ripreso colore!", esclamò la voce di Ichinose.

Ci vollero quasi due minuti interi prima che riuscisse a smettere, allora si asciugò gli occhi e accettò il bicchiere che le porgeva suo marito.

Un bicchiere d'acqua, pensò avvertendo l'ilarità solleticarle nuovamente la gola.

Bevve avidamente e si sentì rinata, come se il macigno che si stava trascinando da quella mattina si fosse trasformato in una piuma.

"Ora, per favore, mi spiegate cosa mi sono persa?". Godai la guardò accigliato.

"Sei sicura di stare bene? Poco fa ho temuto davvero che stessi per morire, o per perdere il bambino o... entrambe le cose...". Fu allora che si rese conto di quanto doveva essere stato in pena. Scosse la testa e gli mise una mano sul viso, sorridendogli.

"Sono solo svenuta per la paura.  Sicuramente Yotsuya non avrebbe dovuto farmi prendere uno spavento simile ma ora sto bene. E anche il bambino; prima mi ha dato il suo primo calcetto e se metti una mano qui sentirai che è ancora bello arzillo".

Portò la mano di Yusaku sul ventre e fu una sensazione indescrivibile: sentiva qualcosa tirare deliziosamente dentro

un piedino o una manina, chissà

e il calore del palmo di Godai fuori.

"Oh, cara, che meraviglia...". Era commossa anche lei e se non fosse stato per il vocione di Ichinose che intimava loro di rimandare le smancerie a più tardi, sicuramente si sarebbero abbracciati teneramente.

Ora sì che vorrei una casa tutta nostra, si sorprese a pensare mentre Yotsuya in persona si preparava a raccontare la verità pura e semplice.

                                                                                              ***

"La ditta per cui lavoravo è fallita e così sono rimasto con un carico di merce nella valigetta che non sapevo a chi vendere. Mi sembrava stupido usarla quando avrei potuto farci un sacco di soldi".

"Ti ci sono voluti anni per rivelarci che facevi il rappresentante. E dire che noi pensavamo a qualcosa di più eccitante e misterioso!", borbottò Akemi sorseggiando una birra.

Fredda al punto giusto e con quella nota amarognola che amava tanto. Ne offrì a Kyoko che scosse la testa: razza di testarda, bambino o non bambino le avrebbe fatto bene dopo quello che aveva passato!

"Ti ricordo che vi sto raccontando tutto questo solo perché siete arrivati fin qui e vi siete spaventati a morte, altrimenti non vi avrei mai raccontato i fatti miei. Vi rammento inoltre che sono molto riservato riguardo la mia vita privata e non ne parlerei neanche sotto tortura!".

Lo liquidò con un gesto, intimandogli di continuare. Lui si schiarì la gola e proseguì:

"Grazie a un giro di telefonate sono riuscito a trovare un acquirente che mi avrebbe comprato una certa quantità di sale e spezie, così stamattina ho preparato la valigetta in fretta e furia e sono corso qui. Se non avessi venduto tutto entro questa settimana non avrei avuto neanche i soldi per pagare l'affitto".

Scoccò un'occhiata all'amministratrice che ascoltava con interesse: "Capisco ma... non c'era bisogno di precipitarsi in questo modo così... ehm... sospettoso".

"Non arrossire, Kyoko-san, sappiamo benissimo chi ti ha messo in testa la storia della droga e della mafia giapponese!", ribatté facendo un cenno col mento in direzione di Ichinose.

La donna incrociò le braccia, piccata: "Non è colpa mia se Yotsuya si comporta in maniera misteriosa e mi fa venire il sospetto che nasconda qualcosa in camera! Che modo è, poi, quello di mettere tutto all'aria in quel modo?! E per del volgarissimo sale... bah!".

"Per tua informazione ero molto di fretta perché avevo il treno all'alba e la sveglia non era suonata e non ti azzardare più a chiamarlo volgarissimo sale, ci siamo intesi?!".

Caspita, Yotsuya era proprio sensibile su quell'argomento! Beh, era anche normale visto che era la sua unica fonte di denaro, al momento, e che il suo acquirente principale era lì davanti a loro.

"Questo sale si chiama Aguni ed è naturale al cento per cento, prodotto dalle sole forze della natura di una sconosciuta isola del Giappone! (4)". Yotsuya aveva ripreso con fervore.

"Ma... ma la pistola ad acqua?". Dal pallore sul volto di Kyoko capì che anche lei se l'era quasi fatta sotto dal terrore: era addirittura svenuta! Lei stessa avrebbe perso i sensi se non fosse prevalso l'istinto di autoconservazione che l'aveva indotta a impugnare a sua volta un'arma per salvarsi la pelle. Dopo, quando tutto si era chiarito, si era accasciata a terra sentendosi come svuotata.

Il sollievo generale era stato istantaneo e si erano tutti adoperati per far rinvenire Kyoko.

"Era carina e l'ho comprata. Me la porto sempre dietro per rinfrescarmi", rispose l'idiota spruzzandosi la faccia con aria di sufficienza. "E siccome mi piaceva molto ne ho comprate due".

"Oh...", fu l'unica risposta dell'amministratrice. Scosse la testa, chiedendosi quale sorta di segatura marcia avesse mai nella testa il suo ex coinquilino.

"Continuando la mia storia... sono arrivato qui e mi sono registrato con un nome falso perché la concorrenza dei miei colleghi rimasti senza lavoro non mi potesse raggiungere neanche per sbaglio".

"Eh, eh! Un buon venditore sa come difendere i suoi affari! Anche mio figlio lo diceva sempre...". Il vecchio proprietario cominciò a singhiozzare penosamente e lei guardò in aria, esasperata.

Ci risiamo, ora ricomincia...

Kyoko, da cuore fragile qual era, gli stava per l'appunto chiedendo cosa fosse accaduto al suo povero figliolo. Così le toccò ascoltare un'altra volta la storia.

"Anche mio figlio era un rappresentante: commerciava the verde di altissima qualità ma rimase ucciso in un incidente stradale durante uno dei suoi spostamenti: pare che al guidatore si fosse bloccato il pedale del freno! Per questo porto il lutto da cinque lunghi anni...".

E giù, singhiozzi e lacrime a non finire; Akemi si alzò in piedi e annunciò che si sarebbe andata a prendere un'altra birra. Alle sue spalle, Kyoko e Godai stavano dicendo qualcosa di confortante e il vecchio si stava soffiando il naso con un rumore terribile.

Bleah, che razza di ryokan abbiamo beccato!

Quando tornò, l'uomo anziano si era ricomposto e stava terminando la storia.

"Per questo quando ho sentito la voce di questo volenteroso giovane al telefono gli ho detto che poteva venire con il suo sale quando voleva, in un ryokan le spezie servono sempre. Mi ricordava tanto il mio giovane figliolo...".

Stavolta si limitò ad asciugarsi una singola lacrima all'angolo dell'occhio. Meno male che Ichinose stava scoppiando a ridere proprio in quel momento.

"Volenteroso! E giovane per di più! Ahahahahah!".

"Smettila di prendermi in giro, sono di certo più giovane di te!".

"Ah, sì? E quanti anni hai?", gli domandò stappando la lattina con dito esperto.

"Non ve lo dico", rispose Yotsuya voltando la testa ostinatamente.

"E dai, questa è la sera delle rivelazioni!".

"No che non lo è!", insisté lui, riluttante.

"Ehm... a proposito di rivelazioni...". Incredibilmente, il timido Godai stava per porre una domanda. Forse proprio quella che aleggiava già da prima e a cui il vecchio non aveva dato risposta neanche a loro, perso com'era nei ricordi del figlio morto.

"Cosa... cosa è successo al suo dito?".

Bingo! Era esattamente quello che voleva sapere! Improvvisamente tutti pendevano dalle labbra dell'uomo.

"Questo?", domandò mostrandolo con noncuranza. "Oh, un incidente di giardinaggio! Stavo potando le piante quando mi è venuto in mente il mio povero Eikichi... sniff!".

Oh, no, non di nuovo!

Quella storia lacrimevole non sarebbe finita mai e la sua sarebbe stata una sbronza triste e malinconica; non sarebbe mai dovuta andare fin laggiù con Ichinose e gli altri! Attese pazientemente che il proprietario smettesse di frignare ed ebbe anche la risposta alla sua ultima domanda.

"Vedete questa cicatrice? Il mio povero cuore non ha retto al dolore e qualche mese fa ho subìto un intervento molto lungo". Si scostò il kimono e rivelò che quello che avevano creduto un tatuaggio yakuza altro non era che la ferita di un'operazione.

Rabbrividì.

"Insomma, si sa che gettare del sale dietro la spalla sinistra porta bene, no? Direi che questo signore ha bisogno di tutto quello che ti è avanzato, che ne dici, Yotsuya?". Un pedale del freno che causa un incidente, il figlio che muore; poi la sventura in giardino con tanto di dito mozzato e infine l'operazione a cuore aperto. Ah, già, stava quasi dimenticando quella specie di avventura thriller-mozzafiato che avevano appena vissuto...

"Ma quello non si faceva solo quando ne cadeva a tavola?", domandò Ichinose finendo la propria birra.

"Akemi!", la redarguì stizzosamente Kyoko.

"Oh, è la verità. Ho proprio bisogno di un po' di fortuna in questa casa...", disse l'uomo con aria sconsolata.

Yotsuya gli prese le mani con trasporto: "E allora, mio sfortunato signore, che ne dice se domani torno a casa a prendere quello rimasto e glielo porto tutto? Glielo vendo a soli trentamila yen!".

"Trentamila yen? Oh, no, figliolo, è troppo caro! Facciamo ventimila".

"Venticinquemila e ci aggiungo anche un po' di spezie per cucinare".

Non poteva restarsene là a guardare quei due che mercanteggiavano, urgeva una bella festa notturna. Si alzò in piedi decisa ad annunciare la sua intenzione ma scoprì con orrore che Ichinose era caduta addormentata e completamente ubriaca in un angolo.

Ma come, fino a poco fa era sveglia!

Godai invece stava inginocchiato accanto a Kyoko con una mano sulla pancia a sentire le acrobazie del loro bambino e rideva scioccamente.

"Oh, che vita grama la mia, stare qui porta veramente sfortuna!", commentò uscendo dalla stanza. Aveva una mezza idea di farsi raggiungere da suo marito, cercare un altro ryokan e concedersi una seconda luna di miele alle terme.

Dopo tutto se lo meritava, no?

 

(1) Membro della Yakuza al terzo posto nella gerarchia.

(2) Amputarsi l'ultima falange del mignolo è una pratica che nella Yakuza viene usata da chi, per aver commesso un errore, si autoinfligge la suddetta punizione in segno di fedeltà per farsi perdonare dal capo.

(3) I membri della Yakuza, notoriamente, hanno il corpo ricoperto da tatuaggi.

(4) "Proveniente da una sconosciuta isola del Giappone, questo sale è prodotto solamente dall’interazione delle forze della natura: il mare cristallino, il vento, il sole, gli alberi del bambù e una lenta essiccazione su legno. Questa tipo di lavorazione conferisce al sale un gusto piacevole e morbido. Inoltre è ideale per la salute data la sua naturale proprietà di neutralizzare gli effetti dell’eccessiva assunzione di caffeina". Che la fonte sia attendibile o no mi è servita allo scopo!

   
 
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