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Autore: Layla    08/02/2013    3 recensioni
"Apro la porta e vorrei non averlo mai fatto, visto che ho una visione in primo piano del culo del suo ragazzo prima di scollegare del tutto il cervello e mettermi a urlare come una pazza.
"MA VOI SIETE DELLE BESTIE! STATE SCOPANDO SUL MIO LETTO! IO VI UCCIDO!!”
Sto per mettere in atto le mie minacce quando due braccia mi afferrano e, da come si capovolge il mondo, temo che mi carichino sulla schiena del loro proprietario.
Lancio un ultimo sguardo di fuoco a quella bastarda con cui condivido il dna – che ricambia con uno sguardo smarrito – e al tizio che se la stava scopando.

Finisco per identificarlo come Tom DeLonge, uno del nostro anno, a causa dei capelli platinati, del tatuaggio e degli svariati piercing.
[....]“Ah, Ruby Ruby! Dopo tuuuuuuutto il tuo tuonare contro i punk ti interessa uno di loro!”
“Erin vaffanculo!”
E dopo questo brillante scambio di opinioni lascio la stanza di mia sorella, per oggi l’ho sopportata abbastanza e mi ha dato fin troppe cose su cui pensare.
E no, a me non piace Mark.
Ma proprio no!"
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Mark Hoppus, Nuovo personaggio, Scott Raynor, Tom DeLonge
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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34) La lontananza, sai, è come il vento.

 

Il domani arriva sempre, anche quando non vuoi che arrivi.
Anche quando desideri con tutto il cuore che il tempo si fermi e faccia un’eccezione solo per te.
Anche quando sai che il domani e i suoi avvenimenti per la tua vita saranno una catastrofe.
Il mio domani è arrivato – indesiderato e infelice – il 26 dicembre. È una giornata fredda e grigia, sono le sette e mezzo di mattina e io sono seduta sul letto guardando fisso davanti a me e ascoltando i rumori della casa: i borbottii insonnoliti di Erin nella stanza accanto e mia madre che parla con mia nonna al telefono che c’è in corridoio.
A quanto pare si prospetta un ultimo dell’anno a Tijuana, sentendo cosa si dicono.
“Bello schifo!” Borbotto a bassa voce infilandomi le ciabatte e cercando le sigarette.
La trovo nascoste nel mio cappotto nero e ne tiro fuori una, so che è un pessimo modo di iniziare la giornata, ma tanto la giornata stessa farà schifo.
Apro la finestra, aspiro la prima boccata e mi guardo attorno: le luminarie sono ancora accese, i giardini e le pozzanghere sono gelate e l’aria è pungente.
Sarebbe il colmo che la neve venisse oggi a far visita a San Diego, roba da mettersi a bestemmiare Dio e gli antenati per esternare in qualche modo il dissenso.
Il fumo della prima sigaretta si disperde lento, a ritmo con i miei pensieri deprimenti.
Finita, occupo il bagno e mi restauro, giusto per darmi un aspetto decente: felpa presa a San Diego (quella con i quattro pupazzi punk), minigonna di jeans, calze pesanti a righe blu elettrico e azzurro.
Dabbasso trovo una Erin spenta che mangia cereali in pigiama.
“Giorno di merda, vero?”
“Sì, muovi il culo o Mark partirà senza che tu lo abbia salutato.”
“Ricevuto.”
Quando io ho finito di fare colazione e lei di prepararsi usciamo di casa con l’umore sotto i piedi.
“Per me nevicherà.”
“Spero di no, sarebbe il colmo se Dio sprecasse la neve per un momento così di merda!!
Lei non dice nulla e si stringe nel suo giubbotto di pelle – comodamente avvolta in una sciarpa leopardata – con una mini giro passera portata su delle calze a rete mi chiedo se non abbia freddo.
Arriviamo davanti alla casa di Mark in meno di dieci minuti, lui e Anne sono già fuori e stanno chiacchierando con un Tom insolitamente mogio.
“Ehi!”
Urla Erin non appena scende dalla macchina, io la seguo a ruota.
Scambio due parole e un abbraccio con Anne e poi mi fiondo tra le braccia di Mark, mai come oggi mi sembrano accoglienti e perfette per me.
Come farò a lasciarlo?
“Buongiorno.”
“Buongiorno a te.”
Mi fa male il cuore, puoi ripararlo non partendo, piccolo?
“Il giorno dei giorni è arrivato.”
“Purtroppo, Dio solo sa quanto mi farei volentieri il viaggio con te.”
Lui sgrana gli occhi.
“Sei un genio! Posso fare il viaggio con te!”
Io scuoto la testa, mogia.
“A mamma serve la macchina tra un paio d’ore, la sua ha avuto la brillante idea di tirare le cuoia ieri.”
“Ah!”
Sembra infinitamente deluso e scoraggiato, sapesse come lo sono io! Per cercare di tirarlo su gli schiocco un bacio sulle labbra, che lui approfondisce subito. Oh, Mark!
“Mi manchi già.”
“Anche tu, ma sei ancora qui, no?”
Lui annuisce e mi stringe a sé.
“Non avrei mai pensato che un giorno te ne saresti andato.”
La voce di Tom ci sorprende.
“Nemmeno io, Tom.”
Lo guardiamo in faccia e io mi allontano – credo che anche DeLonge si meriti un abbraccio – ma Mark mi trattiene per un polso e fa segno all’amico di avvicinarsi: un abbraccio a tre.
Tom ci sovrasta tutti, ma sembra il più perso, il più piccolo, un cucciolo che fa tenerezza. Credo si senta perso senza il suo fratellone, quello che lo trattiene dal fare eccessive cazzate.
Poco dopo esce la signora Hoppus, ha la faccia tirata e le occhiaie, non credo voglia andarsene e sradicare i suoi figli, ma ci è costretta.
Il momento è arrivato, salutiamo e abbracciamo Anne – che è la prima a salire e viene trattenuta a lungo da Tom – e poi arriva il turno di Mark.
La prima a salutarlo è Erin – poche parole, l’ennesimo abbraccio – poi tocca a Tom che gli consegna delle corde e dei plettri per il basso, alla fine arriva il mio turno.
Ho il cuore in gola e le lacrime agli occhi, sono totalmente impreparata, nonostante me lo sia immaginato parecchie volte in questi giorni.
“Eccoci qui.”
Io non dico niente e mi porto le mani al collo: come al solito porto la mia mano di Fatima, ma dubito che mi servirà ancora e poi al massimo me ne comprerò un’altra.
Con un po’ di fatica apro il gancio della collana e poi gliela consegno.
“Ti ricordi cosa ti ho detto la prima volta che ci siamo visti?
Che serviva a scacciare gli spiriti maligni?
Ecco, te la regalo, perché a San Francisco non potrò più cacciarli con i miei poteri e ci penserà lei.”
Lui deglutisce e se la allaccia al collo, fa un po’ strano vedere un ragazzo con una mano di Fatima, ma Mark è Mark: è quello con i capelli blu e prima ancora era quello che si metteva l’eye-liner e si pettinava i capelli a cespuglio per somigliare a Robert Smith.
“Bella, mi sta bene. Ora posso riprendere a fare il goth.”
“A Robert Smith piacerebbe.”
“Quando lo vedrò gliene regalerò una simile, questa me la tengo io e non la cedo nemmeno a lui, bruja.”
Lui fa un sorriso amaro, io una risata acquosa, poi ci guardiamo negli occhi per un attimo lunghissimo.
Baciarci appassionatamente – come se fossimo in un film – è la cosa più naturale del mondo, ma allo stesso tempo mi spacca il cuore.
“L’ultimo bacio”potrebbe essere il titolo penoso di un filmetto romantico per adolescenti.
“Mark.”
Al richiamo della signora Hoppus ci stacchiamo, lui mi stringe un’ultima volta  a sé e sale nella station vagon di famiglia: quella bastardissima macchina che me l’ha fatto conoscere e che me lo sta portando via.
Piccoli fiocchi iniziano a cadere proprio adesso, come aveva previsto Erin.
Fanculo alla neve.
Me lo dico mentre la macchina si allontana piano.
Fanculo alla neve.

 

I primi giorni senza di lui sono uno schifo.
Esco poco dalla mia stanza e quando succede sono scontrosa con tutti: Erin, mia madre, un Tom sottotono, Matt, David, Scott.
Il 28 dicembre – a cena –  mia madre annuncia che domani mattina alle cinque partiremo per Tijuana,  per passare l’ultimo dell’anno da nonna e che Tom – dietro espressa della mia adorabile vecchietta – verrà con noi.
Bene, il che significa che mi sveglierò all’orario di quando mi addormentato dalla partenza di Mark e che devo fare le valige. Che palle!
Senza troppa voglia, dopo cena, butto qualcosa a casaccio in valigia, imprecando fino ad attirare l’attenzione di mia sorella.
“Ho capito.” Mormora vedendo lo scempio che c’è in camera mia.
“Faccio io, tu vai a letto. ADESSO.”
Io le do retta a malincuore, il sonno ultimamente sembra aver deciso che io non ho diritto alla sua presenza e diserta alla grande.
Sento Erin smadonnare per un po’ poi finalmente cado in un sonno senza sogni, che mi strappa per qualche ora al mio dolore.
Alle cinque – implacabile – suona la sveglia, una rapida occhiata alla stanza mi svela che mia sorella si è addormentata sulla mia valigia.
Sospirando, mi alzo e la scuoto. Lei annuisce, mezza addormentata e si alza,decido che è lei a meritarsi il primo turno in bagno e scendo a fare colazione.
Alle cinque e venti siamo fuori casa, mamma ha una faccia scura, Erin triste e io sono assorta nel mio mondo. Non me ne frega niente di niente ad essere onesti, l’unica cosa che mi interessava era avere Mark qui per l’ultimo dell’anno e la cosa non può avvenire.
L’ho chiamato ieri pomeriggio e – oltre ad averlo sentito parecchio giù di morale – mi ha detto che sia lui che Anne sono bloccati a San Francisco perché la madre ha bisogno di loro per sistemare le cose e ambientarsi.
Alle cinque e venticinque carichiamo un Tom assonnato e poco loquace – saluta a malapena Erin – e ci dirigiamo verso San Diego.
DeLonge crolla sulla mia spalla in nemmeno cinque minuti, io invece resisto almeno fino a quando entriamo in autostrada.
Mi risveglio quando una tetra Erin mi scuote e mi fa segno di uscire, siamo quasi al confine e mamma ha deciso di fare una pausa in una tavola calda per fare colazione.
Io e Tom scendiamo – assonnati e scorbutici – e ingolliamo del caffè imbevibile e dei muffin confezionati nel ‘44. Bello schifo.
Il resto del viaggio trascorre in silenzio, Tijuana e il suo caos parlano al nostro posto ed è con autentico sollievo che accolgo il fatto che mamma abbia imboccato la strada costiera che porta a casa di nonna.
Il mare è grigio e piatto, il cielo è pallido: qualche raggio di sole cerca di spuntare dal mare, ma sembra che una forza potente e invisibile lo trattenga.
Curioso il parallelismo con il mio buonumore, che è lì lì per spuntare, ma non ce la fa.
Cinque minuti dopo il sole sorge in tutto il suo splendore e incendia il mare, togliendomi per un attimo il fiato: amo queste manifestazioni della natura.
Amo le albe e i tramonti, amo anche questa grigia alba, anche se dura poco: il sole viene subito ingoiato dalle nuvole. È di nuovo prigioniero di qualcosa che non lo lascia splendere, così come il mio buonumore ed è curioso che io sia diventata così dipendente da un ragazzo.
Il grugnito di Tom – si sta svegliando – mi distrae dal filo dei miei cupi pensieri e mi fa voltare verso il ragazzo che dorme con la testa appoggiata alla mia spalla.
DeLonge ha gli occhi semiaperti e guarda lontano, non ho bisogno dei miei poteri da strega per sapere a quale lontano stia guardando. Il lontano che entrambi stiamo scrutando è San Francisco, in cima alla penisola della California.
“Siamo sotto lo stesso cielo, non è a Nibiru.”
Lui annuisce e poi sospira.
Ho detto una frase stupida, anche io so che Mark è sotto il mio stesso cielo, lo stesso mi manca e mi sembra che sia su Nibiru e non nel mio stesso stato.
“Ehi, voi! Siamo arrivati, cercate di non sembrare troppo dei cadaveri, non voglio che mia madre si preoccupi.”
“Tanto le basterà un’occhiata per capire che è successo qualcosa, non è stupida.”
Siamo ormai in vista del vialetto che porta alla casa di mia nonna e – seguendo il consiglio di mia madre – cerco di ricompormi un attimo, Ruby la zombi non è un bello spettacolo per nessuno.
Mamma lo imbocca e parcheggia nel cortile, nonna e nonno ci aspettano sul portico.
Abbracciarli è molto bello, chiacchieriamo un po’ e poi ci defiliamo con la scusa di disfare le valige, cosa che faccio alla velocità della luce, il letto è un richiamo troppo forte.
Sono felice di dormire qui, è il letto dove ho fatto la prima volta l’amore con Mark, qui c’è qualcosa che mi ricorda lui e secondo le mie convinzioni c’è qualcosa di lui stesso, il suo fantasma in compagnia del mio.
Dormo fino a sera, quando scendo tutti gli altri sono spariti, c’è solo mia nonna che guarda la tv e fuma distrattamente una sigaretta.
“Ben svegliata, Maria.”
Quando mi chiama con il mio secondo nome ha qualcosa di importante di cui discutere con me.
“Ciao nonna, scusa, ma ultimamente non dormo molto.”
“Me ne sono accorta e sembri non coltivare nemmeno molto le relazioni sociali, né tu né Tom.”
Mi porge una sigaretta alla vaniglia che accendo volentieri.
“Cosa è successo?”
Io sospiro.
“I genitori di Mark hanno divorziato e lui è stato costretto a trasferirsi a San Francisco con la madre, mi manca.”
La causa del dolore è semplice, meno semplice è viverlo.
“Capisco.
Lascia che ti racconti una cosa successa molti anni fa.  Un anno dopo essermi sposata con tuo nonno, mi contattò mia sorella per propormi un lavoro visto che qui  a Tijuana non se ne trovava uno stabile. Lei viveva a  Los Angeles e il lavoro me l’avrebbe trovato lì e solo per me.
Mia sorella detesta tuo nonno, non l’ha mai sopportato e non si era certo impegnata a trovare qualcosa anche per lui.”
“Zia Penelope lo odia?”
Lei annuisce.
“È gelosa di lui, diceva che mi aveva disonorato e palle varie, ma la verità è che non ha mai digerito il fatto che lui mi abbia preferita a lei…
Tornando a noi, io e tuo nonno parlammo a lungo e nonostante tutte le perplessità decidemmo insieme che io dovevo partire.
Ho vissuto tre anni a Los Angeles senza di lui. Tre lunghissimi anni in cui scendevo a Tijuana solo a Natale, Pasqua e durante le vacanze estive e in cui lui saliva appena riusciva e fu una merda.
Una vera merda, Ruby.
Ci vollero tre anni per mettermi in regola, trovare un lavoro a lui e metterlo in regola.”
“Come hai fatto a sopravvivere?”
Lei sorride.
“Non è stato facile, i primi tempi ero come te: scontrosa, poco socievole, lunatica, triste e arrabbiata.
Credevo che la vita mi avesse fatto un torto e che perciò non valesse la pena di sorriderle, visto quanto fosse stata cattiva con me.”
“Poi cos’è successo?”
“All’epoca facevo le pulizie da una signora bianca, ricca e triste. Chiusa nel mio dolore non le avevo mai chiesto perché, non m’importava di nient’altro se non me stessa.
Una sera, prima che io andassi a casa, mi chiese come mai una ragazza bella e giovane come  me fosse così arrabbiata e sorridesse così poco e io le raccontai che mi mancava tuo nonno.
Lei sorrise e mi disse che ero fortunata.”
Io sgrano gli occhi.
“Hai capito bene, fortunata. Io reagii come te e le chiesi perché, ero troppo sbalordita per essere arrabbiata, pensavo fosse in preda a un attacco di demenza senile.”
“Cosa ti ha detto?”
“Che ero fortunata perché io potevo comunque rivedere tuo nonno, poco, non quanto avrei voluto, ma potevo vederlo, lei invece non avrebbe più rivisto suo marito.
Era vedova da dieci anni, ma lo amava ancora e le mancava ogni giorno, senza avere la speranza di rivederlo se non quando la santa muerte l’avesse accompagnata da lui.
Quella sera non dormii, rimuginai tutta notte sulle sue parole e mi dissi che aveva ragione, che in fondo io potevo vedere il mio Carlos almeno ogni tanto.
Da allora cambiai lentamente atteggiamento e smisi di escludere gli altri dalla mia vita.”
“La morale è questa?”
Lei annuisce.
“Smettila di escludere tua sorella, ci sta male e dillo anche a Tom.
Non è detto che Mark rimanga per sempre a San Francisco.”
Già.
“Grazie, nonna.”
“Di niente, ora va a mangiare, ti ho lasciato delle lasagne in forno.”
“Grazie.”
Senza dire nient’altro mi avvio verso la cucina, pensierosa. Forse ho un po’ esagerato in questi giorni e forse è arrivato il momento di rivedere il mio atteggiamento.

 

Mangiate le lasagne di  nonna non so cosa fare.
La tv messicana è una noia a quest’ora e dormono tutti o forse no, magari anche Tom è insonne e potrei fare una chiacchierata con lui.
Vado in camera sua e non lo trovo, ma sento strani rumori provenire dal tetto, come se qualcuno stesse tenendoci un discorso.
Incuriosita salgo in soffitta e dalla soffitta mi arrampico  tramite una finestra sul tetto, se mi vedesse qualcuno mi prenderebbe per pazza.
Le mie ricerche hanno un esito, Tom è seduto vicino al camino – pazzo – con la sua chitarra accanto.
“Di’ un po’, sei impazzito?
Avresti potuto ammazzarti se fossi scivolato.”
Lui sbuffa.
“Vale anche per te.”
“Io almeno non avevo la chitarra!”
Con un po’ di fatica mi siedo accanto a lui, che mi attira in un abbraccio dopo avermi visto leggermente spaventata e infreddolita.
“Che ci fai, comunque?
Dormire nel letto è troppo mainstream?”
Lui ridacchia.
“Non riuscivo a dormire e ho deciso di mettermi a guardare le stelle, mentre suonavo.”
Io annuisco.
“Molto romantico.”
“Mi manca. È il mio migliore amico, il mio compagno di cazzate, di band, mio fratello e ora non posso vederlo, se non poco.
Fanculo, i genitori non dovrebbero separarsi, dovrebbero stare insieme per i figli.”
Io rimango in silenzio, penso a mio padre, al divorzio dei miei e di come io e mia madre l’abbiamo cancellato dalla nostra vita. E penso anche alla sua seconda famiglia, quella parallela, quella che ha vinto e di cui mia sorella non sa niente.
Sì, i genitori  non dovrebbero separarsi e se dovesse succedere – la vita è bastarda e imprevedibile –  uno dei due non dovrebbe dimenticarsi dei figli in favore di un’altra famiglia.
“Manca a me, sai?
Ma ho capito una cosa, non è giusto escludere gli altri e tu non dovresti escludere Erin: soffre per il tuo comportamento.
Forse vorrebbe consolarti e starti accanto e tu non glielo permetti.”
“Il fatto è che voglio stare da solo, ma forse hai ragione: rischio di mandare a puttane la mia storia con Erin e non voglio che succeda.
I lividi di Halloween hanno smesso di farmi male l’altro giorno.”
Fa una lunga pausa di silenzio.
“Come mai mi dici questo?
Mi sembra che anche tu fossi nella stessa barca.”
“Lo ero e lo sono, solo che ho parlato con mia nonna prima e mi ha fatto capire che stavo sbagliando.”
“Tua nonna è una grande, le devo un sacco. È stata la prima ad accettarmi e a tifare per me e mi ha aiutato a convincere tua madre che non ero un teppista.”
“Mi ha anche fatto riavvicinare a Erin. Lo devo molto anche io.”
Rimaniamo un altro po’ in silenzio, solo il vento si muove tra le foglie e bisbiglia qualcosa, forse approva, forse parla di lontananza.
“Credo che abbia ragione, ho un po’ trascurato Erin ultimamente. Credo che andrò da lei, le piace svegliarsi con me.”
“Bravo ragazzo. Tu almeno hai lei vicino.”
Lui annuisce e mi stringe a sé.
Lo guardo scendere dal tetto con un mezzo sorriso sulle labbra, ho fatto qualcosa di buono oggi, ora posso stare da sola.
Mi accomodo meglio, cerco di trarre qualche nota dalla chitarra – Tom se l’è dimenticata – ma tutto quello che ottengo sono delle note stridule.
Mi conviene lasciar perdere o chiedere lezioni a Tom, in fondo le dà anche alla sorella di Lynn e guardare le stelle.
Chissà se anche lui le sta guardando?
“Siamo sotto lo stesso cielo in fondo, no?
Sognare e sperare non costano nulla.”
Mi stringo un po’ di più nella felpa e mi accorgo che c’è qualcosa nelle tasche: una margherita che mi ha regalato dopo la nostra notte nel deserto.
Esitante, stendo la mano e lascio che voli via, portata dal vento notturno, piccola macchia contro il cielo.
Va’ da lui e digli che lo amo che mi manca.
Vai, piccola margherita, tu che puoi.

Angolo di Layla.

Mi dispiace per non essere riuscita a rispondere alle recensioni, ma domani ho un esame e sono in para nera. Mi hanno fatto ovviamente piacere e vi ringrazio infinitamente per avermele lasciate.

Spero che questo capitolo vi piaccia e non temete, Mark e Ruby non rimarrano separati ancora a lungo anche perché manca poco alla fine di questa storia (4 capitoli, ma non temete, ci sono due seguiti).

Ringrazio LostinStereo3, A_DeLonge182 e eve 182 che non è riuscita a recensire perché efp si è mangiato (?) il testo della recensione.

   
 
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