34) La lontananza, sai,
è come il vento.
Il
domani arriva sempre,
anche quando non vuoi che arrivi.
Anche quando desideri con
tutto il cuore che il tempo si fermi e faccia un’eccezione
solo per te.
Anche quando sai che il
domani e i suoi avvenimenti per la tua vita saranno una catastrofe.
Il mio domani è arrivato –
indesiderato e infelice – il 26 dicembre. È una
giornata fredda e grigia, sono
le sette e mezzo di mattina e io sono seduta sul letto guardando fisso
davanti
a me e ascoltando i rumori della casa: i borbottii insonnoliti di Erin
nella
stanza accanto e mia madre che parla con mia nonna al telefono che
c’è in
corridoio.
A quanto pare si prospetta
un ultimo dell’anno a Tijuana, sentendo cosa si dicono.
“Bello schifo!” Borbotto a
bassa voce infilandomi le ciabatte e cercando le sigarette.
La trovo nascoste nel mio
cappotto nero e ne tiro fuori una, so che è un pessimo modo
di iniziare la
giornata, ma tanto la giornata stessa farà schifo.
Apro la finestra, aspiro
la prima boccata e mi guardo attorno: le luminarie sono ancora accese,
i giardini
e le pozzanghere sono gelate e l’aria è pungente.
Sarebbe il colmo che la
neve venisse oggi a far visita a San Diego, roba da mettersi a
bestemmiare Dio
e gli antenati per esternare in qualche modo il dissenso.
Il fumo della prima
sigaretta si disperde lento, a ritmo con i miei pensieri deprimenti.
Finita, occupo il bagno e
mi restauro, giusto per darmi un aspetto decente: felpa presa a San
Diego
(quella con i quattro pupazzi punk), minigonna di jeans, calze pesanti
a righe
blu elettrico e azzurro.
Dabbasso trovo una Erin
spenta che mangia cereali in pigiama.
“Giorno di merda, vero?”
“Sì, muovi il culo o Mark
partirà senza che tu lo abbia salutato.”
“Ricevuto.”
Quando io ho finito di
fare colazione e lei di prepararsi usciamo di casa con
l’umore sotto i piedi.
“Per me nevicherà.”
“Spero di no, sarebbe il
colmo se Dio sprecasse la neve per un momento così di merda!!
Lei non dice nulla e si
stringe nel suo giubbotto di pelle – comodamente avvolta in
una sciarpa
leopardata – con una mini giro passera portata su delle calze
a rete mi chiedo
se non abbia freddo.
Arriviamo davanti alla
casa di Mark in meno di dieci minuti, lui e Anne sono già
fuori e stanno
chiacchierando con un Tom insolitamente mogio.
“Ehi!”
Urla Erin non appena
scende dalla macchina, io la seguo a ruota.
Scambio due parole e un
abbraccio con Anne e poi mi fiondo tra le braccia di Mark, mai come
oggi mi
sembrano accoglienti e perfette per me.
Come farò a lasciarlo?
“Buongiorno.”
“Buongiorno a te.”
Mi fa male il cuore, puoi
ripararlo non partendo, piccolo?
“Il giorno dei giorni è
arrivato.”
“Purtroppo, Dio solo sa
quanto mi farei volentieri il viaggio con te.”
Lui sgrana gli occhi.
“Sei un genio! Posso fare
il viaggio con te!”
Io scuoto la testa, mogia.
“A mamma serve la macchina
tra un paio d’ore, la sua ha avuto la brillante idea di
tirare le cuoia ieri.”
“Ah!”
Sembra infinitamente
deluso e scoraggiato, sapesse come lo sono io! Per cercare di tirarlo
su gli
schiocco un bacio sulle labbra, che lui approfondisce subito. Oh, Mark!
“Mi manchi già.”
“Anche tu, ma sei ancora
qui, no?”
Lui annuisce e mi stringe
a sé.
“Non avrei mai pensato che
un giorno te ne saresti andato.”
La voce di Tom ci
sorprende.
“Nemmeno io, Tom.”
Lo guardiamo in faccia e
io mi allontano – credo che anche DeLonge si meriti un
abbraccio – ma Mark mi
trattiene per un polso e fa segno all’amico di avvicinarsi:
un abbraccio a tre.
Tom ci sovrasta tutti, ma
sembra il più perso, il più piccolo, un cucciolo
che fa tenerezza. Credo si
senta perso senza il suo fratellone, quello che lo trattiene dal fare
eccessive
cazzate.
Poco dopo esce la signora
Hoppus, ha la faccia tirata e le occhiaie, non credo voglia andarsene e
sradicare i suoi figli, ma ci è costretta.
Il momento è arrivato,
salutiamo e abbracciamo Anne – che è la prima a
salire e viene trattenuta a
lungo da Tom – e poi arriva il turno di Mark.
La prima a salutarlo è
Erin – poche parole, l’ennesimo abbraccio
– poi tocca a Tom che gli consegna
delle corde e dei plettri per il basso, alla fine arriva il mio turno.
Ho il cuore in gola e le
lacrime agli occhi, sono totalmente impreparata, nonostante me lo sia
immaginato parecchie volte in questi giorni.
“Eccoci qui.”
Io non dico niente e mi
porto le mani al collo: come al solito porto la mia mano di Fatima, ma
dubito
che mi servirà ancora e poi al massimo me ne
comprerò un’altra.
Con un po’ di fatica apro
il gancio della collana e poi gliela consegno.
“Ti ricordi cosa ti ho
detto la prima volta che ci siamo visti?
Che serviva a scacciare
gli spiriti maligni?
Ecco, te la regalo, perché
a San Francisco non potrò più cacciarli con i
miei poteri e ci penserà lei.”
Lui deglutisce e se la
allaccia al collo, fa un po’ strano vedere un ragazzo con una
mano di Fatima,
ma Mark è Mark: è quello con i capelli blu e
prima ancora era quello che si
metteva l’eye-liner e si pettinava i capelli a cespuglio per
somigliare a
Robert Smith.
“Bella, mi sta bene. Ora
posso riprendere a fare il goth.”
“A Robert Smith
piacerebbe.”
“Quando lo vedrò gliene
regalerò una simile, questa me la tengo io e non la cedo
nemmeno a lui, bruja.”
Lui fa un sorriso amaro,
io una risata acquosa, poi ci guardiamo negli occhi per un attimo
lunghissimo.
Baciarci appassionatamente
– come se fossimo in un film – è la cosa
più naturale del mondo, ma allo stesso
tempo mi spacca il cuore.
“L’ultimo bacio”potrebbe
essere il titolo penoso di un filmetto romantico per adolescenti.
“Mark.”
Al richiamo della signora
Hoppus ci stacchiamo, lui mi stringe un’ultima volta a sé e sale
nella station vagon di famiglia:
quella bastardissima macchina che me l’ha fatto conoscere e
che me lo sta
portando via.
Piccoli fiocchi iniziano a
cadere proprio adesso, come aveva previsto Erin.
Fanculo alla neve.
Me lo dico mentre la
macchina si allontana piano.
Fanculo alla neve.
I
primi giorni senza di lui
sono uno schifo.
Esco poco dalla mia stanza
e quando succede sono scontrosa con tutti: Erin, mia madre, un Tom
sottotono,
Matt, David, Scott.
Il 28 dicembre – a cena
– mia
madre annuncia che domani mattina
alle cinque partiremo per Tijuana, per
passare l’ultimo dell’anno da nonna e che Tom
– dietro espressa della mia
adorabile vecchietta – verrà con noi.
Bene, il che significa che
mi sveglierò all’orario di quando mi addormentato
dalla partenza di Mark e che
devo fare le valige. Che palle!
Senza troppa voglia, dopo
cena, butto qualcosa a casaccio in valigia, imprecando fino ad attirare
l’attenzione di mia sorella.
“Ho capito.” Mormora
vedendo lo scempio che c’è in camera mia.
“Faccio io, tu vai a
letto. ADESSO.”
Io le do retta a
malincuore, il sonno ultimamente sembra aver deciso che io non ho
diritto alla
sua presenza e diserta alla grande.
Sento Erin smadonnare per
un po’ poi finalmente cado in un sonno senza sogni, che mi
strappa per qualche
ora al mio dolore.
Alle cinque – implacabile
– suona la sveglia, una rapida occhiata alla stanza mi svela
che mia sorella si
è addormentata sulla mia valigia.
Sospirando, mi alzo e la
scuoto. Lei annuisce, mezza addormentata e si alza,decido che
è lei a meritarsi
il primo turno in bagno e scendo a fare colazione.
Alle cinque e venti siamo
fuori casa, mamma ha una faccia scura, Erin triste e io sono assorta
nel mio
mondo. Non me ne frega niente di niente ad essere onesti,
l’unica cosa che mi
interessava era avere Mark qui per l’ultimo
dell’anno e la cosa non può avvenire.
L’ho chiamato ieri
pomeriggio e – oltre ad averlo sentito parecchio
giù di morale – mi ha detto
che sia lui che Anne sono bloccati a San Francisco perché la
madre ha bisogno
di loro per sistemare le cose e ambientarsi.
Alle cinque e venticinque
carichiamo un Tom assonnato e poco loquace – saluta a
malapena Erin – e ci
dirigiamo verso San Diego.
DeLonge crolla sulla mia
spalla in nemmeno cinque minuti, io invece resisto almeno fino a quando
entriamo in autostrada.
Mi risveglio quando una
tetra Erin mi scuote e mi fa segno di uscire, siamo quasi al confine e
mamma ha
deciso di fare una pausa in una tavola calda per fare colazione.
Io e Tom scendiamo –
assonnati e scorbutici – e ingolliamo del caffè
imbevibile e dei muffin
confezionati nel ‘44. Bello schifo.
Il resto del viaggio
trascorre in silenzio, Tijuana e il suo caos parlano al nostro posto ed
è con
autentico sollievo che accolgo il fatto che mamma abbia imboccato la
strada
costiera che porta a casa di nonna.
Il mare è grigio e piatto,
il cielo è pallido: qualche raggio di sole cerca di spuntare
dal mare, ma
sembra che una forza potente e invisibile lo trattenga.
Curioso il parallelismo
con il mio buonumore, che è lì lì per
spuntare, ma non ce la fa.
Cinque minuti dopo il sole
sorge in tutto il suo splendore e incendia il mare, togliendomi per un
attimo
il fiato: amo queste manifestazioni della natura.
Amo le albe e i tramonti,
amo anche questa grigia alba, anche se dura poco: il sole viene subito
ingoiato
dalle nuvole. È di nuovo prigioniero di qualcosa che non lo
lascia splendere,
così come il mio buonumore ed è curioso che io
sia diventata così dipendente da
un ragazzo.
Il grugnito di Tom – si
sta svegliando – mi distrae dal filo dei miei cupi pensieri e
mi fa voltare
verso il ragazzo che dorme con la testa appoggiata alla mia spalla.
DeLonge ha gli occhi
semiaperti e guarda lontano, non ho bisogno dei miei poteri da strega
per
sapere a quale lontano stia guardando. Il lontano che entrambi stiamo
scrutando
è San Francisco, in cima alla penisola della California.
“Siamo sotto lo stesso
cielo, non è a Nibiru.”
Lui annuisce e poi
sospira.
Ho detto una frase
stupida, anche io so che Mark è sotto il mio stesso cielo,
lo stesso mi manca e
mi sembra che sia su Nibiru e non nel mio stesso stato.
“Ehi, voi! Siamo arrivati,
cercate di non sembrare troppo dei cadaveri, non voglio che mia madre
si
preoccupi.”
“Tanto le basterà
un’occhiata per capire che è successo qualcosa,
non è stupida.”
Siamo ormai in vista del
vialetto che porta alla casa di mia nonna e – seguendo il
consiglio di mia
madre – cerco di ricompormi un attimo, Ruby la zombi non
è un bello spettacolo
per nessuno.
Mamma lo imbocca e
parcheggia nel cortile, nonna e nonno ci aspettano sul portico.
Abbracciarli è molto
bello, chiacchieriamo un po’ e poi ci defiliamo con la scusa
di disfare le
valige, cosa che faccio alla velocità della luce, il letto
è un richiamo troppo
forte.
Sono felice di dormire
qui, è il letto dove ho fatto la prima volta
l’amore con Mark, qui c’è qualcosa
che mi ricorda lui e secondo le mie convinzioni
c’è qualcosa di lui stesso, il
suo fantasma in compagnia del mio.
Dormo fino a sera, quando
scendo tutti gli altri sono spariti, c’è solo mia
nonna che guarda la tv e fuma
distrattamente una sigaretta.
“Ben svegliata, Maria.”
Quando mi chiama con il
mio secondo nome ha qualcosa di importante di cui discutere con me.
“Ciao nonna, scusa, ma
ultimamente non dormo molto.”
“Me ne sono accorta e
sembri non coltivare nemmeno molto le relazioni sociali, né
tu né Tom.”
Mi porge una sigaretta
alla vaniglia che accendo volentieri.
“Cosa è successo?”
Io sospiro.
“I genitori di Mark hanno
divorziato e lui è stato costretto a trasferirsi a San
Francisco con la madre,
mi manca.”
La causa del dolore è
semplice, meno semplice è viverlo.
“Capisco.
Lascia che ti racconti una
cosa successa molti anni fa. Un
anno
dopo essermi sposata con tuo nonno, mi contattò mia sorella
per propormi un
lavoro visto che qui a
Tijuana non se ne
trovava uno stabile. Lei viveva a
Los
Angeles e il lavoro me l’avrebbe trovato lì e solo
per me.
Mia sorella detesta tuo
nonno, non l’ha mai sopportato e non si era certo impegnata a
trovare qualcosa
anche per lui.”
“Zia Penelope lo odia?”
Lei annuisce.
“È gelosa di lui, diceva
che mi aveva disonorato e palle varie, ma la verità
è che non ha mai digerito
il fatto che lui mi abbia preferita a lei…
Tornando a noi, io e tuo
nonno parlammo a lungo e nonostante tutte le perplessità
decidemmo insieme che
io dovevo partire.
Ho vissuto tre anni a Los
Angeles senza di lui. Tre lunghissimi anni in cui scendevo a Tijuana
solo a
Natale, Pasqua e durante le vacanze estive e in cui lui saliva appena
riusciva
e fu una merda.
Una vera merda, Ruby.
Ci vollero tre anni per
mettermi in regola, trovare un lavoro a lui e metterlo in
regola.”
“Come hai fatto a
sopravvivere?”
Lei sorride.
“Non è stato facile, i
primi tempi ero come te: scontrosa, poco socievole, lunatica, triste e
arrabbiata.
Credevo che la vita mi
avesse fatto un torto e che perciò non valesse la pena di
sorriderle, visto
quanto fosse stata cattiva con me.”
“Poi cos’è successo?”
“All’epoca facevo le
pulizie da una signora bianca, ricca e triste. Chiusa nel mio dolore
non le
avevo mai chiesto perché, non m’importava di
nient’altro se non me stessa.
Una sera, prima che io
andassi a casa, mi chiese come mai una ragazza bella e giovane come me fosse così
arrabbiata e sorridesse così
poco e io le raccontai che mi mancava tuo nonno.
Lei sorrise e mi disse che
ero fortunata.”
Io sgrano gli occhi.
“Hai capito bene,
fortunata. Io reagii come te e le chiesi perché, ero troppo
sbalordita per
essere arrabbiata, pensavo fosse in preda a un attacco di demenza
senile.”
“Cosa ti ha detto?”
“Che ero fortunata perché
io potevo comunque rivedere tuo nonno, poco, non quanto avrei voluto,
ma potevo
vederlo, lei invece non avrebbe più rivisto suo marito.
Era vedova da dieci anni,
ma lo amava ancora e le mancava ogni giorno, senza avere la speranza di
rivederlo se non quando la santa muerte l’avesse accompagnata
da lui.
Quella sera non dormii, rimuginai
tutta notte sulle sue parole e mi dissi che aveva ragione, che in fondo
io
potevo vedere il mio Carlos almeno ogni tanto.
Da allora cambiai
lentamente atteggiamento e smisi di escludere gli altri dalla mia
vita.”
“La morale è questa?”
Lei annuisce.
“Smettila di escludere tua
sorella, ci sta male e dillo anche a Tom.
Non è detto che Mark
rimanga per sempre a San Francisco.”
Già.
“Grazie, nonna.”
“Di niente, ora va a
mangiare, ti ho lasciato delle lasagne in forno.”
“Grazie.”
Senza dire nient’altro mi
avvio verso la cucina, pensierosa. Forse ho un po’ esagerato
in questi giorni e
forse è arrivato il momento di rivedere il mio atteggiamento.
Mangiate
le lasagne
di nonna non so
cosa fare.
La tv messicana è una noia
a quest’ora e dormono tutti o forse no, magari anche Tom
è insonne e potrei
fare una chiacchierata con lui.
Vado in camera sua e non
lo trovo, ma sento strani rumori provenire dal tetto, come se qualcuno
stesse
tenendoci un discorso.
Incuriosita salgo in
soffitta e dalla soffitta mi arrampico
tramite una finestra sul tetto, se mi vedesse qualcuno mi
prenderebbe
per pazza.
Le mie ricerche hanno un
esito, Tom è seduto vicino al camino – pazzo
– con la sua chitarra accanto.
“Di’ un po’, sei
impazzito?
Avresti potuto ammazzarti
se fossi scivolato.”
Lui sbuffa.
“Vale anche per te.”
“Io almeno non avevo la
chitarra!”
Con un po’ di fatica mi
siedo accanto a lui, che mi attira in un abbraccio dopo avermi visto
leggermente spaventata e infreddolita.
“Che ci fai, comunque?
Dormire nel letto è troppo
mainstream?”
Lui ridacchia.
“Non riuscivo a dormire e
ho deciso di mettermi a guardare le stelle, mentre suonavo.”
Io annuisco.
“Molto romantico.”
“Mi manca. È il mio
migliore amico, il mio compagno di cazzate, di band, mio fratello e ora
non
posso vederlo, se non poco.
Fanculo, i genitori non
dovrebbero separarsi, dovrebbero stare insieme per i figli.”
Io rimango in silenzio,
penso a mio padre, al divorzio dei miei e di come io e mia madre
l’abbiamo
cancellato dalla nostra vita. E penso anche alla sua seconda famiglia,
quella
parallela, quella che ha vinto e di cui mia sorella non sa niente.
Sì, i genitori non
dovrebbero separarsi e se dovesse
succedere – la vita è bastarda e imprevedibile
– uno dei
due non dovrebbe dimenticarsi dei
figli in favore di un’altra famiglia.
“Manca a me, sai?
Ma ho capito una cosa, non
è giusto escludere gli altri e tu non dovresti escludere
Erin: soffre per il
tuo comportamento.
Forse vorrebbe consolarti
e starti accanto e tu non glielo permetti.”
“Il fatto è che voglio
stare da solo, ma forse hai ragione: rischio di mandare a puttane la
mia storia
con Erin e non voglio che succeda.
I lividi di Halloween
hanno smesso di farmi male l’altro giorno.”
Fa una lunga pausa di
silenzio.
“Come mai mi dici questo?
Mi sembra che anche tu
fossi nella stessa barca.”
“Lo ero e lo sono, solo
che ho parlato con mia nonna prima e mi ha fatto capire che stavo
sbagliando.”
“Tua nonna è una grande,
le devo un sacco. È stata la prima ad accettarmi e a tifare
per me e mi ha
aiutato a convincere tua madre che non ero un teppista.”
“Mi ha anche fatto
riavvicinare a Erin. Lo devo molto anche io.”
Rimaniamo un altro po’ in
silenzio, solo il vento si muove tra le foglie e bisbiglia qualcosa,
forse
approva, forse parla di lontananza.
“Credo che abbia ragione,
ho un po’ trascurato Erin ultimamente. Credo che
andrò da lei, le piace
svegliarsi con me.”
“Bravo ragazzo. Tu almeno
hai lei vicino.”
Lui annuisce e mi stringe
a sé.
Lo guardo scendere dal
tetto con un mezzo sorriso sulle labbra, ho fatto qualcosa di buono
oggi, ora
posso stare da sola.
Mi accomodo meglio, cerco
di trarre qualche nota dalla chitarra – Tom se
l’è dimenticata – ma tutto
quello che ottengo sono delle note stridule.
Mi conviene lasciar
perdere o chiedere lezioni a Tom, in fondo le dà anche alla
sorella di Lynn e
guardare le stelle.
Chissà se anche lui le sta
guardando?
“Siamo sotto lo stesso
cielo in fondo, no?
Sognare e sperare non
costano nulla.”
Mi stringo un po’ di più
nella felpa e mi accorgo che c’è qualcosa nelle
tasche: una margherita che mi
ha regalato dopo la nostra notte nel deserto.
Esitante, stendo la mano e
lascio che voli via, portata dal vento notturno, piccola macchia contro
il
cielo.
Va’ da lui e digli che lo
amo che mi manca.
Vai, piccola margherita,
tu che puoi.
Angolo di Layla.
Mi dispiace per non essere riuscita a rispondere alle recensioni, ma domani ho un esame e sono in para nera. Mi hanno fatto ovviamente piacere e vi ringrazio infinitamente per avermele lasciate.
Spero che questo capitolo vi piaccia e non temete, Mark e Ruby non rimarrano separati ancora a lungo anche perché manca poco alla fine di questa storia (4 capitoli, ma non temete, ci sono due seguiti).
Ringrazio LostinStereo3, A_DeLonge182 e eve 182 che non
è riuscita a recensire perché efp si è
mangiato (?) il testo della recensione.