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Autore: _Connie    09/02/2013    7 recensioni
There's a boy who fogs his world and now he's getting lazy
There's no motivation and frustration makes him crazy
He makes a plan to take a stand but always ends up sitting
Someone help him up or he's gonna end up quitting.

«Si sentivano un po’ come del vetro rotto, caduto per terra. Poi, un giorno, Rufy entra nelle loro vite senza preavviso, come un vero e proprio ciclone, e in qualche modo raccoglie da terra quei frammenti, li rimette insieme, li salva dall’oblio in cui erano caduti senza chiedere nulla in cambio. Lui è fatto così.»
[...]In quel momento, Zoro si rese improvvisamente conto di essere appena stato raccolto da terra.
Zoro/Sanji, AU,INCOMPLETA
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mugiwara, Roronoa Zoro, Sanji, Z | Coppie: Franky/Nico Robin, Rufy/Nami, Sanji/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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{ Capitolo 3: Mugiwara Club }

 

Zoro si tolse il grembiule, si aggiustò i capelli allo specchio con un po’ di gel – aveva sempre un po’ di gel con sé per mantenere la cresta a posto – e uscì dal retro del CP9. Il suo turno era finalmente finito, non ne poteva più. Quella era stata proprio una giornata nera – peggiore di quella del giorno prima, quando aveva rovesciato la birra addosso a quella ragazza, Nami.
Quella mattina, quando si era svegliato, era andato mezzo addormentato in cucina per fare colazione. In altre parole: voleva tracannarsi una birra di primo mattino. Per i più sarebbe stato come ricevere un pugno nello stomaco e non solo, ma Zoro non aveva mai avuto problemi a bere alcolici, non importava a che ora o quanto bevesse.
Una volta arrivato in cucina – cucina, poi. Prendete un vecchio forno con un paio di piastre di cottura, un frigorifero, qualche mensola, un mobiletto dove mettere qualche pentola e qualche stoviglia, un tavolo con un paio di sedie e mettete tutto in una stanza microscopica: ecco, quella era la sua cucina. Una volta arrivato in cucina, quindi, si diresse subito verso il frigorifero, ma si bloccò. Su di esso, spiccava un foglio di block-notes giallo.
Zoro già sapeva cosa ci avrebbe trovato scritto. Già lo sapeva, eppure leggere quelle poche righe in cui sua madre lo avvisava che sarebbe stata assente per un po’ – per un po’, diavolo! – lo fece comunque andare in bestia. Ogni tanto spariva sempre da qualche parte, probabilmente con il suo nuovo fidanzato di turno, e non la vedeva per almeno una settimana o due. Poi, chissà come, ricordava finalmente di avere un figlio e una casa a cui badare, così ritornava. Il più delle volte dopo essersi lasciata col fidanzato, però.
Gli passò improvvisamente la voglia di birra, si mise i primi vestiti che gli capitarono tra le mani, afferrò MP3 e cuffie e uscì di casa sbattendo la porta alle sue spalle e imprecando. Per tutto il viaggio in autobus per arrivare al CP9 non fece altro che ascoltare i Metallica. Le loro canzoni erano quelle che più riuscivano a fargli sfogare i nervi.
Anche quel giorno, naturalmente, era arrivato tardi a lavoro. Però questa volta una bella cazziata da parte di Lucci non gliela aveva tolta nessuno.
Senza contare il fatto che, ora che il suo turno era finito, doveva andare in quel cavolo di Mugiwara Club per pagare i presunti danni che quella Nami aveva subito a causa sua il giorno prima. La giornata perfetta, insomma.
Tirò fuori dalla tasca il biglietto che gli aveva dato Rufy, dove c’era scritto l’indirizzo del club. Non doveva trovarsi molto lontano dal CP9. In una mezz’oretta sarebbe riuscito sicuramente a trovarlo.

Le ultime parole famose. Tra una linea d’autobus sbagliata e stradine senza via d’uscita spuntate da chissà dove, era già un miracolo se era riuscito ad arrivare nel posto indicato in poco meno di un paio d’ore. Lui e il suo senso dell’orientamento del cazzo.
Si guardò in giro per un po’, non del tutto sicuro di essere arrivato nel posto giusto. Davanti a lui c’era un vecchio palazzo a due piani, uno di quelli così vecchi che non gli avresti dato un altro mese di vita. Dato che non c’era neanche l’ombra di un qualcosa che potesse lontanamente assomigliare ad un club, stava per andarsene, quando sentì improvvisamente qualcuno che lo chiamava.
«Ehi, tu! Dove stai andando? Sono qui!»
Girandosi, vide che quel qualcuno era lo stesso ragazzo che il giorno prima gli aveva dato il biglietto e si era offerto di dargli i soldi che doveva alla sua ragazza: Rufy. Si trovava dentro il piccolo vialetto che separava il cancello dal portone d’ingresso del palazzo e stava armeggiando con un mazzo di chiavi, probabilmente per trovare quella che apriva il cancello.
«Ehi!» rispose Zoro. «Tu sei Rufy, giusto? Si può sapere perché diavolo mi hai fatto venire qui?»
«Per darti i soldi per Nami, mi sembra ovvio! Piuttosto, perché ci hai messo tanto? A momenti arriverà e ci scoprirà!»
Finalmente trovò la chiave giusta e lo fece entrare, afferrandogli poi il braccio senza tanti complimenti e trascinandolo verso il retro del palazzo. Un vero ciclone quel ragazzo, non c’è che dire.
Arrivati sul retro, Rufy arrestò finalmente la loro corsa. Zoro notò che c’era una piccola scalinata che portava nel piano sotterraneo del palazzo. Sopra la porta che portava all’interno capeggiava un’insegna abbastanza grande con su scritto “Mugiwara Club”. Rufy girò il pomello, spinse la porta e la aprì.

Entrare nel Mugiwara Club era come essere catapultati in un altro mondo. L’ambiente era piuttosto grande, formato da un’unica stanza – non contando quelle che dovevano essere un bagno e una piccola cucina – ed era pieno zeppo di oggetti. Le pareti di calcestruzzo bianche erano decorate con quadri e foto varie, le lampadine pendevano dal soffitto senza protezione e c’erano mobili antichi e vecchi oggetti ovunque e di tutti i tipi: piccole statuette, specchi antichi, cassapanche e scrivanie tarlate erano messe al fianco di tavoli e sedie da poker, divani e poltrone fatte con jeans riciclati e cianfrusaglie varie. Sembrava quasi di trovarsi in un negozio d’antiquariato e di oggetti usati.
Zoro notò subito di non essere l’unico, a parte Rufy, a trovarsi lì. Un ragazzo con i capelli lunghi e ricci e con il naso più lungo che avesse mai visto – sembrava la versione rasta di Pinocchio, davvero – stava costruendo uno strano aggeggio di dubbio utilizzo con un altro ragazzino, che non doveva avere più di sedici anni. Quest’ultimo aveva dei capelli azzurri che per colore facevano concorrenza ai suoi e, cosa che lo fece accigliare non poco, non indossava pantaloni. Aveva solo le mutande, cazzo!
Accanto a loro, un uomo, che doveva avere poco più di trent’anni e che sembrava Slash vestito con abiti d’epoca, strimpellava qualche nota su un violino, accompagnando il tutto con qualche “Yohohoho”. Ma che era, L’isola del tesoro* o cosa? Era la risata più strana che avesse mai sentito.
Dall’altro lato della stanza, seduta su una di quelle poltroncine fatte coi jeans, c’era invece una ragazza, anche lei sui sedici anni, completamente immersa nella lettura di un libro – preso con ogni probabilità dalla libreria che si trovava al suo fianco. Aveva gli occhi nocciola nascosti dietro un paio di occhiali da lettura, mentre i capelli neri erano raccolti in una coda che lasciava però ricadere la frangetta sulla fronte. Era così concentrata sul suo libro che sembrava non fare caso a tutto il casino che stavano facendo gli altri tre.
Quando Rufy sbatté la porta alle sue spalle con tutta la forza che aveva, però, si girarono tutti verso di lui, sorridendogli. Si accorsero solo in un secondo momento della sua presenza – che doveva comunque spiccare abbastanza, visto che non era da tutti i giorni ritrovarsi improvvisamente nel proprio club un tizio mai visto prima con una cresta spaventosa e con borchie dappertutto.
«Rufy, e lui chi è?» chiese infatti il nasone, con un’aria un po’ spaventata. Il ragazzo in mutande aveva alzato il sopracciglio, un po’ stupito, imitato poi dallo pseudo-Slash, mentre la ragazza interruppe la sua lettura e iniziò a fissarlo con occhi curiosi e indagatori.
Ecco, lo sapeva. Ogni volta che qualcuno lo vedeva rimaneva impaurito o schifato dal suo aspetto e dalla sua aria da punk e non gli si avvicinava neanche morto, manco avesse la lebbra o che altro. Ma ormai s’era abituato a quell’atteggiamento di superiorità che avevano certi fighetti nei suoi confronti. Un bel “vaffanculo” e tutto si risolveva, in fondo.
«Lui è Zoro, ma per ora non importa! Dov’è la cassaforte, piuttosto?»
La ragazza gli indicò un punto in un angolo della stanza e Rufy si fiondò subito in quella direzione.
Mentre quello metteva a soqquadro tutto ciò che gli capitava tra le mani nella disperata ricerca della cassaforte, Zoro sentì qualcosa che si stava fastidiosamente strusciando vicino alle sue gambe. Abbassando lo sguardo, notò che quel qualcosa era un gatto marrone. Sembrava averlo preso in simpatia, tanto che iniziò a fare le fusa e a tentare di arrampicarsi su di lui.
Non gli risultava che gli animali avessero mai fatto i salti di gioia per la sua presenza, quindi si accigliò non poco. Lo afferrò per la collottola e se lo portò davanti al viso, per fissarlo meglio negli occhi. Nel farlo, però, notò che aveva il naso di colore… blu?!
«Oi, tu, che razza di naso ti ritrovi?» gli chiese, sfiorandoglielo con l’altra mano.
Di tutta risposta il micio, a causa del solletico che gli aveva procurato quel gesto, gli starnutì in faccia. Cominciò poi a divincolarsi, evidentemente infastidito dal modo in cui Zoro l’aveva afferrato. Quest’ultimo lo lasciò andare, ma, invece di allontanarsi, il gatto gli saltò addosso, tanto che Zoro fu costretto ad afferrarlo con un braccio per non farlo cadere. Uno strano micio davvero. Rispecchiava a pieno i suoi padroni, però.
«Super! Chopper ti ha preso subito in simpatia. Non capita molto spesso, sai?»
A parlare era stato il tizio coi capelli azzurri, che ora gli stava mostrando un sorriso divertito. «Davvero, è rarissimo che si affezioni ad una persona. Sai, a causa di quel naso blu era visto male da tutti e nessuno si curava di lui.»
Allora siamo in due, pensò Zoro, mentre iniziava ad accarezzare leggermente il capo di Chopper.
«Poi un giorno ha incontrato Rufy e… pouf! Ecco che diventa la mascotte del nostro club!» Ora anche quel ragazzo stava accarezzando Chopper, il quale sembrava gradire, viste le fusa che stava facendo. Poi gli tese improvvisamente la mano, sorridendogli sinceramente. «Comunque, il mio nome è Cutty Flam, ma tutti mi chiamano Franky. Piacere!»
Zoro abbassò lo sguardo su quella mano, un po’ sorpreso e titubante. Ma poi gliela strinse con forza, rispondendogli «Zoro» ed accennando un sorriso – o meglio, un ghigno. Per qualche motivo, i suoi sorrisi erano da sempre stati più simili a ghigni che altro.
«Zoro, eh? Yohohoho! Io invece mi chiamo Brook, mentre il ragazzo che prima tremava dalla fifa è Usopp!»
«Ehi! N-non è vero che avevo paura!» ribatté l’altro, con il tono di voce di chi ha avuto effettivamente paura.
«Dai, non fare l’idiota! Non mangia mica!»
Usopp lo stette a guardare per un’altra manciata di secondi, cercando probabilmente di auto-convincersi del fatto che non avesse con sé alcuna pistola e che comunque non avesse l’abitudine di andare in giro a far del male alla gente. Zoro ne aveva conosciuti di fifoni, ma non a questi livelli.
Alla fine, sebbene ancora un po’ intimorito – anche se cercava in tutti i modi di non darlo a vedere –, gli tese una mano. «U-usopp, p-piacere.»
Zoro strinse anche la sua, e l’altro sembrò decisamente più rilassato.
«Solo una cosa» gli bisbigliò Franky all’orecchio, lanciando qualche occhiata alla ragazza seduta sul divano. «Quella lì è Robin ed è la mia super-ragazza, quindi non pensare nemmeno di provarci, chiaro?»
«Non preoccuparti Franky, tanto non sono interessata a lui.»
Senza nemmeno staccare gli occhi dal libro, Robin disse quelle parole come se riuscire a sentire da quella distanza una persona parlare con una voce così bassa per lei fosse una cosa normalissima. Poi, mentre le guance di Franky diventavano di un rosso pomodoro, alzò lo sguardo, lo puntò su Zoro e gli sorrise dolcemente. «Comunque, io sono Robin. Piacere.» Com’era prevedibile, non gli diede nemmeno il tempo di risponderle con un cenno di saluto che subito tornò ad addentrarsi tra le pagine del suo libro.
«L’ho trovata! Ho trovato la cassaforte!»
La voce di Rufy attirò l’attenzione di tutti, che infatti si voltarono nella sua direzione. Aveva tra le mani una cassaforte abbastanza piccola, ma Zoro sarebbe stato pronto a giurare che pesava molto più di quel che sembrava. Si chiese da dove diavolo avesse tirato fuori tutta quella forza.
Sorridendo soddisfatto, come se avesse appena compiuto un’impresa titanica, Rufy si precipitò subito verso il tavolo e vi poggiò sopra la cassaforte. Stette qualche secondo a tentare di ricordare la password – era una di quelle casseforti con la password numerica – prima di digitare velocemente qualche numero. La lucina da rossa diventò verde e, dopo un sonoro click, finalmente si aprì.
Zoro non aveva mai visto tanti berry tutti insieme in vita sua. Non che in realtà ne avesse visti molti, ma quella lì dentro era davvero una bella somma. Come diavolo faceva un club del genere ad avere così tanti soldi?!
Rufy afferrò qualche banconota, le contò e infine gliele diede, sorridendogli. «Ecco qui, 30.000 berry tondi tondi.»
Zoro rimase immobile, non sapendo che cosa fare. Ora che quel ragazzo gli stava effettivamente dando quei soldi – cosa di cui aveva seriamente dubitato fino a pochi minuti prima –, non se la sentiva di prenderli. Insomma, nonostante quella Nami avesse esagerato, era pur vero che era per causa sua se si era ritrovata bagnata fradicia di birra. E poi chi era lui per farsi dare una tale somma di denaro da quel ragazzo? Non lo conosceva nemmeno! Gli sembrava di fargli un vero e proprio torto, accettandoli.
Mentre Zoro era ancora lì titubante, l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento aprì la porta del Club e vi fece il suo ingresso. 

 

*Non so se conoscete la canzone del libro L’isola del tesoro, ma per chi non la conoscesse Oda si è ispirato ad essa per la risata di Brook e il Sake di Binks: “Quindici uomini sulla cassa del morto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum! Il vino e il diavolo hanno fatto il resto, yo-ho-ho! E una bottiglia di rum!”.

[Angolo dell’autrice]
Bene bene! Come potete notare, Zoro ha finalmente conosciuto (quasi) tutti i membri del Mugiwara Club. L’aspetto di quest’ultimo non l’ho inventato di sana pianta come potreste pensare, ma è ispirato a quello di un club che io frequento. È identico, solo che quello “reale” è formato da più stanze. E francamente lo adoro.♥
Comunque, non ho voglia di parlare dei miei fatti. u_u Commentate e fatemi sapere che ne pensate! :)
P.S. Chopper-gatto è un amore! *-*

  
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