Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: nevaeh    09/02/2013    2 recensioni
Currently on hiatus
Quando Louis Tomlinson chiede alla sua fidanzata Eleanor Calder di sposarlo, non può minimamente immaginare il caos e gli eventi che si scateneranno nella monotona - ma è davvero così? - vita degli invitati. Tra cene di prova, finte relazioni e litigi generazionali, siete tutti invitati a quello che sarà il matrimonio più esclusivo e strambo della vostra vita!
***
«Puoi dirmi a chi pensi, quando sei con lei?»
«A te. Ogni secondo.» rispose Louis, ormai completamente soggiogato da quelle labbra e da tutte le loro promesse.
«Puoi dirmi che non la sposerai, Louis?»
E Louis non rispose. Semplicemente rimase in silenzio e abbassò nuovamente lo sguardo, colpevole. E Harry capì che, nonostante tutto, forse non lo amava abbastanza da affrontare tutto.
«Era quello che volevo sentirmi dire.»
[Harry/Louis, Niall/Eleanor]
Genere: Angst, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


 

 

Louis William Tomlinson e Eleanor Jane Calder

sono lieti di invitarLa alle loro Nozze

che si terranno il 25 luglio alle ore 10:00 presso Villa Calder.

Cordiali Saluti.

                                                                                  R.S.V.P

 

Niall entrò con uno sbadiglio nell'androne del palazzo in cui viveva quando erano ormai passate da un pezzo le cinque del mattino. Puzzava un po' di fumo e molto di erba, non ricordava buona parte della serata ed era quasi convinto di non aver mai posseduto la maglia che il quel momento aveva addosso. Il giovane si grattò una guancia intontito, notando con disappunto il leggero strato di barba che lo ricopriva; lei lo avrebbe linciato, se fosse stata lì. Con una smofia prese un malloppo di bollette dalla cassetta e si sistemò meglio la chitarra acustica chiusa nel fodero sulla spalla. L'appartamento in cui viveva era piccolo e disordinato, perennemente coperto da uno strato di fumo. Niall nemmeno ricordava l'ultima volta in cui uno straccio era passato sul pavimento, o un qualsiasi detersivo sul piano cottura. Fece una doccia in fretta, tornando nella cucina con solo l'aciugamano che gli cadeva sui fianchi troppo bianchi. Ebbe un'improvvisa voglia di caffè, poi, dal momento che nemmeno ce l'aveva, la macchina del caffè, si decise per un pacco di salatini e la suddivisione della posta. Non era così difficile, bastava prendere tutte le bollette e gettarle nel cestino dei rifiuti, strappare lo spam e ignorare allegramente ogni tipo di cartolina o lettera. Il giovane si sedette e cominciò a scartare le intestazioni delle aziende di luce, acqua e gas, poi gettò via una lettera promozionale di un negozio di articoli sportivi e qualche volantino colorato e di cattivo gusto, infine si alzò soddisfatto e si stiracchiò. L'invito lo notò solo in quel momento. Giaceva lì, in cima alle lettere da cestinare.

«Non è possibile...»esclamò sottovoce, mentre apriva e leggeva l'invito. E non era possibile davvero, soprattutto dopo tutto quello che lei... e allora, complice la sbronza che non gli era ancora completamente passata e la rabbia, prese il cellulare sul tavolo e compose quel numero che ormai conosceva a memoria.

«Cristo, Niall, lo sai che non puoi chiamarmi a quest'ora!»disse concitata la voce dall'altra parte della cornetta. Il giovane notò che erano solo le sei meno dieci del mattino, e probabilmente lei stava ancora dormendo.

«E tu sai che non puoi sposarti, ma lo stai facendo lo stesso!» urlò allora il giovane. Eleanor allora rimase in silenzio, e Niall continuò« dimmi se ti sembra normale, El.» sibilò quasi nel ricevitore.

Eleanor sbuffò, poi sentì un fruscio come se stesse spostando le lenzuola; Niall immaginò Louis dormire lì accanto e gli venne un conato di vomito «ne avevamo già parlato.»

«Già, e non ricordo di essermi detto d'accordo. Cristo, El, io ti amo!» quasi urlò il ragazzo, forte per il rhum nelle vene e per la stanchezza.

La giovane rimase in silenzio, poi mormorò «anche io ti amo, ma sai che non possiamo stare insieme.»

«No, El, non lo so! Perché?»

Eleanor, nella sua casa a Manchester, si passò una mano sul volto «Louis è un bravo ragazzo, ha un ottimo lavoro e mi da sicurezza. I miei genitori lo adorano...»

«Tu non lo ami.»proferì Niall. Eleanor non rispose, quindi il giovane scosse la testa «sai che non verrò al matrimonio, vero?»

«Sei il mio migliore amico, Niall. Non farmi questo.»lo pregò lei.

Niall rimase un attimo in silenzio, alzandosi per raggiungere la stanzetta che usava per dormire «No, El. Tu non farmi questo. Non farmi rimanere a guardarti mentre mandi all'aria il nostro futuro.»

Eleanor si arrabbiò, nel giardino dove si trovava digrignò i denti «il nostro futuro, Niall?»quasi urlò nella cornetta. Poi ricordò che tutti stavano dormendo e cercò di darsi una calmata «non vivi nello stesso posto per più di sei mesi, non vuoi impegni seri, non hai un lavoro e una casa... Quale futuro possiamo costruire?»

Niall rimase ammutolito: era tutto vero, e lui si odiava per questo «non deve essere per forza così, io...»

«No, Niall»rispose Eleanor, con un sorriso amaro «e lo sappiamo entrambi. Io ho bisogno di una famiglia, di un uomo su cui fare affidamento e su cui poter riporre tutta la mia fiducia. Tu cosa puoi darmi?»lo sfidò.

Il giovane però quella volta non accolse la provocazione «io ti amo» ripeté allora «ed è questo che ti fa paura, Eleanor» non la chiamava mai col suo nome completo, e la ragazza sospirò sconsolata, «meglio Louis e il suo bel lavoro e la sua bella auto e la sua bella casa, non è vero?»

Eleanor ribatté piccata: «è sempre stato questo il tuo problema, Niall: mandi tutto a rotoli e poi ti lamenti di come la colpa sia stata del mondo. Se io non ti ho voluto seguire Barcellona era colpa della paura di avventure nuove, non per la tua allergia alle relazioni serie. Se io ho cominciato a frequentare Louis è stata colpa della mia infedeltà, non del tuo essere sparito per sei mesi senza telefonare nemmeno una volta. Se lui mi ha chiesto di sposarlo e io ho accettato è per la mia incapacità di amarti, non perché tu eri in un altro Stato a suonare la chitarra e fare l'autostop invece di impedirmelo.» il risentimento trapelava da ogni singola sillaba. Eleanor dovette addirittura riprendere fiato. Niall non ebbe nessuna ragione per controbattere, e saggiamente decise di rimanere in silenzio «allora, Niall? Chi è che ha paura, dei due?»di nuovo il ragazzo non rispose. Eleanor sbuffò e decise che poteva bastare, ad essere presa in giro in quel modo.

«Non sposarlo, El.» un secondo prima che chiudesse la chiamata il ragazzo si decise a parlare, quasi in una supplica.

«E poi?»

Niall nemmeno ci pensò, «cambierò, te lo giuro.»

Eleanor si espresse in una risata amara, «e quanto durerebbe, Niall? Un mese? Due? Non sei fatto per il tipo di vita di cui io ho bisogno, e non ho la minima intenzione di costringerti ad essere quello che non sei.» il tono della ragazza si era fatto dolce, quasi premuroso. Niall si beò della sua voce, e allora di decise.

«Dimmi che mi ami e farò di tutto per riconquistarti, El.»

La ragazza rise, «lo sai che ti amo, ma è troppo tardi. E non è più solo per noi o per Louis.»e senza dargli il tempo di controbattere chiuse la chiamata.

Niall rimase in asciugamano, grondante d'acqua dai capelli e con il cellulare all'orecchio. Guardò l'invito che aveva ancora in mano, ormai quasi illegibile per la forza con cui l'aveva stretto durante la conversazione con lei. Sospirò, sedendosi e passandosi distrattamente una mano sul volto. Fu con la convinzione di star facendo la cosa più importante o più idiota della sua vita, quando pochi minuti dopo comprò un biglietto per tornare a Londra.


***


«Merda, merda, Mer...» Charlie chiuse il cellulare e lo poggiò senza troppi complimenti sul tavolo della cucina; Zayn Malik alzò lo sguardo dal suo pc per un istante, infastidito.

La piccola cucina nella periferia di Bristol era calda e stranamente soleggiata, Charlotte Calder sedeva scompostamente con una tazza di caffè tra le mani e l'espressione accigliata sul volto, i capelli rossi disordinatamente raccolti in una treccia che posava sulla spalla. Erano i primi giorni di Luglio, e il caldo cominciava a farsi sentire: Lena Malik, in improbabili pantaloncini fiorati, entrò nella stanza con una montagna di libri dall'aria estremamente pesante tra le braccia e un sorriso sul volto. quando li scaraventò con uno sbuffo sul tavolo, Zayn Malik la fulminò con lo sguardo.

«Non guardarmi così, tu! Sei mio fratello e mi hai lasciata portare da sola tutti questi libri.»

Il ragazzo si strinse nelle spalle, «è il peso della cultura, no?» borbottò, questa volta senza nemmeno alzare gli occhi dal pc.

Lena gli fece una linguaccia, «spero che tu non ti creda simpatico, perché non lo sei per niente. E tu,» passò a rivolgersi all'altra ragazza nella cucina «chi era al telefono?» Lena frequentava il primo anno di legge all'Università e si sentiva quindi autorizzata a fare domande più o meno indiscrete a chiunque le capitasse a tiro.

«Mia sorella Eleanor.» rispose allora Charlie, senza nemmeno rifletterci su. Da quando si erano incontrate per la prima volta, quando Charlie aveva affittato il monolocale accanto a quello della famiglia Malik, avevano stretto una bella amicizia.

Lena sedette al tavolo e aprì uno dei tomi, inforcando poi un paio di occhiali da vista che le pendevano storti sul naso un po' a patata «mi piace tua sorella.»

«Anche a me, quando non parla di mamma e papà.» sospirò Charlie, per poi stiracchiarsi e alzarsi e urtando così leggermente il tavolo.

Zayn alzò per la terza volta gli occhi dal computer e chiuse lo schermo con uno scatto infastidito, «ma è possibile che non è possibile studiare in pace, in questa casa?»

«Dovrai parlare con i tuoi genitori, prima o poi.» Lena ignorò completamente suo fratello e sorrise a Charlie, ormai pronta per uscire.

«Meglio poi, credimi. E comunque» la ragazza si rivolse a Zayn che stava radunando le sue cose stizzito «potresti essere anche più cortese, non credi?»

Zayn non rispose nemmeno, limitandosi a sbuffare e a uscire dalla stanza carico di libri. Le due ragazze rimasero in silenzio, Lena si strinse nelle spalle.

«E' sempre stato strano, tranquilla.» la rassicurò ridendo.

«A volte sembra che mi odi, anche se so che non è vero. Comunque, mia madre ha chiesto ad Eleanor se sarò al suo matrimonio.»

Lena annuì «E lei le ha detto di sì?»

Charlie annuì, «vorrà parlarmi, non so se vorrò farlo.»

«Credo che tu debba stare solo tranquilla, non sarai costretta a farlo.» Lena sorrise «hai deciso con chi andarci?»

«Dove?»

La padrona di casa sbuffò, «al matrimonio di tua sorella, mi pare ovvio.»

«Non lo so, stavo pensando anche che in fondo la mia presenza non sarà tanto indipensabile.» Charlie si morse un labbro, pensierosa.

«Stai scherzando? Non torni a casa da due anni!»

L'altra ragazza sbuffò, cadendo di nuovo a sedere sulla sedia, «appunto. Sarò nella fossa dei leoni praticamente da sola!»

«Mi dispiace davvero non poterti accompagnare.»

«Stai tranquilla, Lena,» Charlie prese la borsa e ci mise dentro chiavi e cellulare mentre si alzava e si sistemava il top «lo so che devi studiare per l'esame. Davvero, non c'è problema.»

Lena si alzò a sua volta e scortò l'amica fino all'ingresso, «Magari potresti prendere un permesso al lavoro, uno di questi giorni... Potremmo andare a cercare qualcosa da metterti!»

«Ho appena detto che non sono sicura di andarci e tu mi proponi di andare a fare shopping?» chiese divertita Charlie, inforcando gli occhiali da sole.

Lena sorrise «Ovviamente! Dai, vai che è tardissimo, ci vediamo più tardi!» e senza troppe altre cerimonie la sospinse fuori dalla porta. Charlie scosse la testa uscendo, senza però stupirsi troppo. Aveva conosciuto Lena e Zayn in un pomeriggio di due anni prima, dopo soli pochi giorni a Bristol. Non conosceva nessuno e si era ripromessa di non fare troppe amicizie, ma la voce dei due fratelli che bisticciavano davanti all'ascensore come due bambini l'aveva subito fatta sorridere; erano entrati nella sua vita senza che lei potesse fare niente , forse a causa del fatto che fosse completamente sola lì, o forse perché era difficile respingere una personalità come quella di Lena. La ragazza aprì la porta del bilocale che aveva affittato e lasciò la borsa in un angolo, dedicandosi subito al letto sfatto e alla casa completamente in disordine. In un modo o nell'altro le piaceva quella sistemazione, nonostante a volte la ritenesse abbastanza piccola; c'era una piccolissima cucina componibile che fungeva anche da salotto, una porticina portava al bagno e l'altra alla stanza da letto, composta solo da un letto matrimoniale e da una cassettiera. C'era anche una culla, in un angolo, e fu lì che Charlie si precipitò non appena finite le sue faccende. Sophie, un anno e mezzo, la guardava con gli occhi verdi identici ai suoi.

«Mamma!» bofonchiò soltanto, accennando un sorriso: era quello il vero buongiorno per Charlie.

Accese la radio e preparò la colazione per la bambina in silenzio, poi la preparò per il nido e si lavò il viso per alleviare il caldo. Quando bussarono alla porta, Charlie e sua figlia erano ormai pronte per uscire.

«Pronte?» Lena entrò e prese in braccio la bambina, per poi metterla subito a terra quando quella cominciò ad agitarsi. L'altra ragazza annuì prese le ultime cose che sarebbero servite al lavoro. Non poteva permettersi una macchina, e Lena non le aveva mai fatto pesare il passaggio che le dava al lavoro tutte le mattine; Charlie gliene era grata, anche se si vergognava un po'.

«Allora,» Lena riprese a parlare quando tutte e tre furono pronte per parire, «a quale giorno stavi pensando per andare a vedere il vestito?»

Charlie sbuffò, «Ti ho detto che non mi va tanto di andarci.»

«Sai che è importante per tua sorella, Charlie! E poi non riesco a capire per quale motivo hai cambiato idea, visto che fino a ieri eri entusiasta di rivedere tua sorella e la casa al lago.»

«Probabilmente non avevo realizzato che avrei dovuto passare la giornata con tutti i parenti, con i miei...»

Lena annuì e rimase in silenzio per qualche secondo, apparentemente concentrata sulla strada. Poi disse: «E' per Sophie?».

Charlie scosse la testa «lei è l'unica cosa bella della mia vita, lo sai. E' per... con che faccia mi presento lì? Mi sono a stento diplomata, cresco una figlia di un anno e mezzo in un bilocale nella periferia di Bristol da sola perché Sean, dopo avermi messa incinta, ha preferito l'erasmus in Spagna. E come dargli torto...»

le strinse la mano «odio quando ti autocommiseri. Pensa a quello che hai fatto per Sophie,» fece una pausa, durante la quale Charlie si girò verso la bambina nel seggiolone e le accarezzò distrattamente il piedino «hai diciannove anni e vivi da sola e stai tirando su un figlio. Perché dovresti sentirti umiliata? Le persone dovrebbero tenerti a mente come esempio da seguire.»

Charlie non rispose a quelle parole, limitandosi a sorridere distrattamente. Non sentiva di aver fatto qualcosa di eccezionale, anzi spesso si chiedeva se quello che faceva per la sua bambina fosse abbastanza. L'auto accostò davanti all'insegna di un asilo nido.

«E poi,» riprese Lena a parlare, senza guaradare la sua amica in faccia «Sean è stato davvero un idiota. Non dovresti pensare a lui.»

«L'idiota» ribatté Charlie «è suo padre. E non posso non pensare a lui. Come mi presento davanti a tutti... loro» riprese poi, come se ci stesse riflettendo solo in quel momento «da sola, senza... Non lo so nemmeno io senza cosa, Lena, ma la questione è chiusa: io non andrò a quel matrimonio.» si decise infine la ragazza, che poi scese e sganciò Sophie dal saggiolino. Le due amiche si separarono con un saluto e un mezzo sorriso: una nuova giornata cominciava.


***


In casa c'era un silenzio assordante. Louis si guardò intorno sospirando, mentre pensava quanto gli sarebbe mancata quella casa. In cucina c'erano del piatti sporchi nel lavello, un paio di calzini pendevano dal bancone per la colazione e la televisione accesa trasmetteva un programma di cucina. Louis amava ogni muro, ogni spigolo, ogni mobile della sua casa. Della loro casa.

«Harry?» chiamò il giovane addentrandosi nel corridoio.

La loro casa, certo. Quella casa che gli aveva visti stanchi, felici, arrabbiati, annoiati, rilassati. Quella casa che era stata teatro dei loro momenti più importanti e più insignificanti.

«Qua» la voce del suo quasi ex coinquilino lo raggiunse in un bisbiglio, come se in realtà non volesse poi tanto farsi trovare. Louis entrò nella camera che fino a quella mattina era stata sua e scorse con la coda dell'occhio Harry seduto sul pavimento, la schiena contro la parete. Non era abituato, Louis, a vedere la sua camera in ordine, senza vestiti sul pavimento, avanzi di cibo tra le coperte e la scrivania nel caos più completo. Probabilmente in quel momento Harry stava pensando alla stessa cosa, perché guardava il letto con solo il materasso su come se non riuscisse a credere che non fosse ricolmo di cd e avanzi di pizza. Non lo stava guardando, però, e a Louis faceva male.

«Ciao» provò il più grande dopo aver indugiato qualche secondo sulla porta.

«Ciao» freddo, disinteressato. Il tono di voce gli faceva intuire che della sua presenza, lì in quel momento, non gliene importava assolutamente nulla. Gli occhi, però, che continuavano a sfuggirgli, erano più chiari di mille sfumature. Gli erano sempre piaciuti, gli occhi di Harry: riusciva a carpirne lo stato d'animo dal colore e credeva che fosse la cosa più sincera di lui.

Cosa gli stavano dicendo in quel momento?

«Certo che è strano, così tutto spoglio» tentò di cominciare la conversazione il maggiore, con un mezzo sorriso imbarazzato sulle labbra e la voglia contenuta di sedersi accanto a lui sul pavimento. Imbarazzo tra di loro? E da quando? Louis dondolò un po' sui talloni, indeciso «non ricordavo nemmeno più il colore del pavimento» cercò allora di scherzare.

Harry alzò lo sguardo. Gli occhi erano grigi, come una tempesta, e fermi. Incrociò distrattamente le caviglie, piegò il viso di lato, come a voler inquadrare il suo interlocutore «perché sei qui, Louis?» l'ultima volta che lo aveva chiamato col suo nome di battesimo era stato... no, mentre il giovane annaspava alla ricerca di una risposta si ritrovò a pensare che Harry non lo aveva mai chiamato con il suo nome per intero. D'altronde aveva pienamente ragione, in quel frangente: perché era lì? La sua auto lo aveva portato lì da sola, in realtà. Avrebbe mai potuto dirglielo, però, questo?

«Credevo che avrei potuto passare un po' di tempo con il mio migliore amico.»

Harry rise, di una risata gutturale e forzata «e io credevo che saresti andato a fare l'ultima prova dello smoking, pensa un po'»

«Dobbiamo ancora parlarne?» chiese - codardamente - stancamente Louis.

«Ne abbiamo mai parlato?» gli fece allora notare il più piccolo, che sciolse l'intreccio delle caviglie e si staccò dal muro come pretendendo una risposta che - sapevano entrambi - non sarebbe mai arrivata.

La lettera, spiegazzata e strappata da un lato, giaceva accanto al corpo del giovane, che la prese e cominciò a leggere, con nota ironica: «Louis W. Tomlinson e Eleonor J. Calder sono lieti di invitarLa al loro matrimonio, che si terrà il...»

«Ok ok, non serve leggere. Lo conosco il testo dell'invito» Louis sventolò le braccia come a voler cacciare una mosca fastidiosa «credevo che saresti stato felice, che almeno io...»

«Almeno tu cosa, Louis? Che almeno tu sia riuscito a seppellire la verità? Che sei riuscito a trovare una perfetta ragazza fantasma che possa essere una perfetta moglie fantasma? Che...»

Louis strinse le braccia al petto, scivolando a sedere contro il muro di fronte a quello cui era poggiato Harry, «cosa avrei dovuto fare?»

«Non lo so, Louis. La sparo se dico – e il tono divenne nuovamente ironico – dichiarare a tutti che stai con me, che ami me e lasciar perdere la ragazza fantasma?»

Di nuovo Louis boccheggiò, preso alla sprovvista dalle parole dell'altro. Non gli aveva mai detto che lo amava, ma riusciva a sentirlo. E faceva male. E stava per sposarsi; «è... complicato» cercò allora di rispondere, ripetendo quelle parole come un mantra.

È complicato.

Per la sua famiglia, che non avrebbe capito e che non lo avrebbe supportato.

È complicato.

Per Eleonor, per tutte le persone che erano intorno a loro e che non poteva certo deludere. Il matrimonio perfetto, i figli perfetti, il lavoro perfetto. La moglie perfetta.

È complicato.

Per lui, che aveva paura di un sentimento così grande e così sbagliato. Per lui che voleva solo piangere e nascondere il viso nella camicia azzurra di Harry e baciarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene.

È complicato.

«Cosa?» implacabile, Harry non aveva intenzione di dargli tregua. Lo sguardo era sempre così freddo e grigio che Louis rabbrividì, nel momento in cui incontrò i suoi occhi.

«Tutto»

Harry sorrise, amaro «è complicato o è sbagliato, Louis?»

«Tutto» ripeté l'interpellato, chiudendo gli occhi per un secondo e riaprendosi subito dopo. Faceva male tenerli aperti, e lui stava già soffrendo troppo. Harry scosse la testa mordendosi un labbro con i denti, quasi a sangue. Con un colpo di reni si alzò e si pulì distrattamente i pantaloni. Dall'altra parte della stanza Louis continuava a tenere gli occhi abbassati sulle sue mani che erano diventate bianche; la fedina di fidanzamento brillava minacciosa sul suo anulare. Il più piccolo si guardò intorno un'ultima volta, poi si avviò a passi lenti verso la porta, accanto all'altro ragazzo.

«Cosa posso fare?» quasi lo supplicò allora Louis, prendendogli un braccio nel momento in cui Harry gli passò accanto.

Il giovane si fermò senza abbassare lo sguardo «puoi dirmi che mi ami?»

Louis non ci pensò nemmeno un istante, «si» rispose, sorprendendo anche se stesso. Quante volte aveva immaginato di dirglielo, nell'impeto di un amplesso o durante una serata davanti a un film. Non lo aveva mai fatto, però. Per il cellulare che continuava a lampeggiare il nome di Eleonor mentre squillava, per sua madre che già aveva visto una culla per il prossimo erede, per il mondo che “oh, non si può amare un uomo se sei un uomo”.

Harry assorbì quell'unica sillaba in silenzio, senza mutare espressione; «puoi dirmi che lei per te non è niente?»

«Assolutamente niente, lo sai» certo che lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Harry sapeva di essere l'unico destinatario di quel sorriso che lo faceva morire e resuscitare in un respiro, l'unico proprietario di ogni centimetro di pelle e del suo corpo, l'unico padrone dei suoi sensi. E anche Louis lo sapeva, da prima che le loro labbra si incontrassero per la prima volta e che suoi denti si imprimessero a fondo nella spalla dell'altro.

Questa volta Harry si concesse un mezzo sorriso diverso da tutti quelli che gli aveva rivolto quel giorno: un sorriso consapevole, malandrino e sincero; un sorriso che gli perdonava le colpe commesse e lo macchiava di altre ancora più gravi.

«Puoi dirmi a chi pensi, quando sei con lei?»

«A te. Ogni secondo.» rispose Louis, ormai completamente soggiogato da quelle labbra e da tutte le loro promesse.

«Puoi dirmi che non la sposerai, Louis?»

E Louis non rispose. Semplicemente rimase in silenzio e abbassò nuovamente lo sguardo, colpevole. E Harry capì che, nonostante tutto, forse non lo amava abbastanza da affrontare tutto.

«Era quello che volevo sentirmi dire» fu il mormorio del più giovane che, liberatosi dalla stretta dell'altro, lasciò la stanza. Louis lo lasciò fare, stringendo i pugni e i denti e gli occhi e dicendosi che, ehi, forse era meglio così, e che le cose avevano un loro corso e un loro destino. E poi, ehi, si disse, forse era proprio un idiota, e allora si alzò dal pavimento che era diventato bollente e raggiunse la cucina.

Harry stava seduto sul divano, con il telecomando in mano e la televisione che aveva smesso di parlare. Era fermo, i gomiti sulle ginocchia e le mani intrecciate mollemente; i capelli che ricadevano davanti al viso.

Louis si avvicinò al divano quasi di corsa, e fece quello che aveva sognato per tutto il pomeriggio.

«Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace...» il ragazzo cominciò a mormorarlo senza sosta mentre affondava le dita tra i capelli ricci del suo compagno e il naso nel suo collo.

Harry lo accolse immediatamente, circondandolo con le braccia e tirandoselo addosso come a volerlo sentire completamente, come a voler diventare parte di lui.

E poi quello non bastò più. E i singhiozzi di Louis si trasformarono in sospiri e poi in gemiti. E gli occhi di Harry divennero lucidi per l'emozione, prima che per il tocco dell'altro. La camicia azzurra finì sul pavimento, i bottoni strappati; i jeans del maggiore rimasero rovesciati sul bordo del divano e i pieni nudi si intrecciarono tra loro. C'era la rabbia, in quell'abbraccio. La rabbia di non poter urlare al mondo quello che erano. La rabbia del dover abbassare lo sguardo. La rabbia di dover dire “è complicato” e sapere che lo è, ma non per le ragioni degli altri.

Harry sospirò forte mentre le sue labbra incontravano quelle di Louis e tocchi caldi che lo facevano rabbrividire.

Alla fine non ci fu nient'altro che non fosse il respiro di Louis sulla sua pelle, i gemiti di Louis sulle sue labbra, il membro di Louis dentro di lui.

Quanto ci voleva, a dimenticare tutto? Una spinta, un bacio, uno sguardo. Eppure la fedina era fredda contro la sua schiena, l'invito giaceva sul pavimento della stanza vuota in fondo al corridoio e il telefono sotto il tavolino del soggiorno lampeggiava il nome di Eleonor, vibrando.

Dopo, quando tutto finì, rimasero in silenzio. Gli occhi del più grande erano ancora rossi, quelli di Harry erano diventati di un verde così chiaro che sembravano stessero per sparire.

Dopo, quando tutto finì, Harry comprese che non era cambiato niente. Gli occhi del più grande erano sfuggenti, mentre si rivestiva. I suoi si incupirono nuovamente; «puoi dirmi che mi ami?» chiese per la seconda volta il più giovane.

Louis stava di spalle, rivestendosi. Rispose «si», ma non si voltò verso di lui.

«Puoi dirmi che lei per te non è niente?»

«Lei non è niente.» disse di nuovo l'altro, infilando la t-shirt.

Harry si sedette composto sul divano, abbassò lo sguardo «puoi dirmi a chi pensi, mentre sei con lei?»

«Solo a te.»

«Allora perché la sposerai lo stesso, Louis?» il suo tono era cambiato radicalmente, facendosi stanco e tirato e rassegnato. Il giovane di spalle non rispose, limitandosi a prendere il telefono dal pavimento e spegnerlo con un gesto secco. Si alzò, voltandosi verso il suo compagno e lasciandogli un bacio sulle labbra. Bollente e colpevole.

«Non sai nemmeno quanto ti amo, Harry, e non hai idea di quanto sia difficile.» mormorò.

«No! Non lo è se non lo fai!» questa volta il più piccolo lo stava pregando, mettendo da parte l'orgoglio e la dignità. Ne valeva la pena?

Louis non rispose, si raddrizzò e raggiunse a passi lenti la porta d'ingresso, indugiando poi con la mano sulla maniglia.

Harry nel frattempo si era alzato, senza preoccuparsi di coprirsi. Che senso aveva, se poi si sentiva tanto nudo dentro? «lo sai che se vai via non ci sarà più niente che potrai fare, per riavermi?»

Il più piccolo non lo vide, standogli alle spalle, ma Louis mandò indietro una lacrima mentre girava la maniglia «lo so.» disse solo, uscendo dall'appartamento.

 

***

 

Primo capitolo di una storia a cui lavoro da questa estate e a cui sono particolarmente affezionata. Un grazie speciale va a Donatella, che deve sorbirsi ogni giorno i miei complessi, e a Chiara, che non deve sorborsi solo quelli.

L'idea generale è abbastanza semplice: proviamo a scrivere una storia vera, dove ci sono porblemi e incomprensioni, dove non esistono Mary Sue - anzi! - e dove ognuno, come in ogni famiglia che si rispetti, ha i suoi scheletri nell'armadio.

La storiasarà sempre divisa sempre in tre paragrafi e sarà completamente ambientata nell'arco temporale di poche settimane, specialmete in quella che precede il matrimonio tra Eleanor Calder e Louis Tomlinson. Le romance presenti saranno di due tipo: eterosessuali e omosessuali. Personalmente non sono una grandissima esperta in quest'ultimo campo, vogliate quindi perdonare le possibili imprecisioni. Gli One Direction descritti di questa storia, per quanto in OOC, non mi appartengono; Charlotte Calder, Lena Malik, Sophie Calder e gli altri personaggi inventati che compariranno successivamente, invece, sono mia proprietà intellettuale come anche l'idea della trama e la stesura della storia; sono per tanto sono vietati riproduzioni e plagi.

Spero che questo primo capitolo vi piaccia; grazie anche a Jas per lo splendido banner.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: nevaeh