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Autore: Mary P_Stark    12/02/2013    2 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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Era stata altre volte senza cibo per giorni ma mai, prima di allora, si era sentita così spossata, così priva di energie.

Possibile che vi fosse qualche collegamento tra il suo deperimento accelerato, e le catene che la tenevano obbligata a terra?

Lappandosi le labbra secche, Enyl si mosse stentatamente sul pavimento freddo della cella, nel tentativo di trovare una posizione più comoda – se mai ve ne fosse una, ovviamente.

Proprio quando riuscì a mettersi seduta, la porta della prigione si aprì e fece la sua comparsa il cancelliere Bramann.

Sgranando gli occhi, Enyl lo fissò ansiosa, subodorando guai.

Non appena l’uomo si chiuse la porta alle spalle, poggiando a terra una lanterna per vedere dove mettere i piedi, la sua ansia mutò in paura.

Era ovvio nel suo sguardo cosa avesse intenzione di farle, e ben poco lei avrebbe potuto fare per difendersi, legata com’era mani e piedi, debilitata dalla prigionia e da quella maledetta catena stregata.

Sfregandosi soddisfatto le mani, l’uomo si avvicinò a lei e mormorò sornione: “A quanto pare, anche una creatura selvaggia come te, subisce gli effetti di una prigionia prolungata. Cinque giorni sono stati sufficienti a piegare anche una creaturina deliziosa come te.”

Assottigliando le palpebre, Enyl replicò recisa: “Dubito mi giudicherete deliziosa, tra poco.”

“Questo, lascialo decidere a me” sogghignò l’uomo, avvicinandosi ulteriormente prima di mettere mano alla tunica che indossava.

Non aveva la più pallida idea di quello che, in quei cinque giorni, fosse successo alla capitale, né se Ellessandar e i suoi fossero ancora vivi, o appesi alle picche come monito per chi volesse rivoltarsi contro gli invasori.

Di Kennadarya neppure l’ombra, perciò ne aveva dedotto che i carri da Nellassat non fossero giunti ancora a destinazione e, di per sé, questo fu un bene.

Questo le dava la speranza di credere che i reali fossero ancora in vita, forse tenuti come trofeo di caccia, da consegnare direttamente nelle mani di re Kevan e della sua strega.

Che fine avessero fatto i suoi amici lupi, però, non ne aveva alcuna idea.

Scrutando furente il corpo molliccio di Bramann, lo fissò accigliata quando lo vide togliersi la tunica per poi gettarla con negligenza sul pagliericcio fetido e maleodorante che Enyl non aveva mai voluto usare.

Si divincolò inutilmente, quando l’uomo si inginocchiò accanto a lei per sfiorarle una gamba con dita lascive, scivolando verso l’alto con lentezza esasperante.

Enyl scalciò per allontanarlo, disgustata dal suo tocco – che pure aveva sfiorato solo il tessuto lurido delle sue brache – e Bramann, scoppiando in una risatina querula, la afferrò malamente per un braccio e la sbatté faccia a terra.

“Mi piacciono le gattine riottose… ma fino a un certo punto” ghignò l’uomo, schiacciandole il volto contro la nuda roccia per poi armeggiare con la mano libera sulla cintura delle sue brache.

Cominciando a respirare affannosamente, il cuore a pomparle il sangue nelle vene, Enyl tentò disperatamente di divincolarsi per impedirgli di denudarla.

Bramann, però, la schiaffeggiò con violenza sul capo, bloccando ogni sua difesa.

Un rivolo di sangue caldo le scivolò tra i denti e sulle labbra raggrinzite in un ringhio, formando una piccola pozza sulla roccia umida del pavimento.

“Smettila, se non vuoi peggiorare le cose” le ringhiò contro l’uomo, iniziando a infuriarsi. “Re Kevan vuole la tua virtù, e per me se la può anche tenere. Io mi diverto in ben altri modi ma, se mi farai infuriare, non sarò affatto tenero, con te.”

“Sporco farabutto… lascia che mi liberi e io…” sibilò Enyl, ricominciando a divincolarsi sotto le sue mani avide.

Afferratala sopra i polsi, dove i pesanti ceppi le avevano già segnato le carni, Bramann le sollevò le braccia fino a farle dolere le spalle.

Con la mano libera, poi, strinse l’orlo delle brache e lo abbassò con forza, mettendo in mostra le carni morbide di Enyl.

“Bene… hai una pelle davvero splendida, piccolina. Sarà un piacere divorarla pezzo per pezzo.”

Con una risatina lasciva, sfregò la mano flaccida su una natica di Enyl mentre la ragazza, disgustata, lo insultava a più riprese.

L’uomo, invece di offendersi, iniziò a ridere divertito.

Armeggiando con i propri pantaloni, liberò la propria erezione per fare sua la recalcitrante ragazza e, con movimenti goffi, si pose perfettamente sopra Enyl, già pronto a portare a compimento il suo divertimento.

“Vedrai, se non ti dimenerai troppo, ti piacerà” sentenziò con un risolino Bramann.

“Vai a farti fottere!” gli urlò contro Enyl, già pronta a sopportare stoicamente il dolore in previsione di una sanguinosa quanto pronta vendetta.

Bramann si lasciò andare a un’altra risatina prima di gorgogliare sorpreso, voltarsi a mezzo e infine crollare sul corpo di Enyl, la bocca ricolma di sangue e gli occhi sgranati per lo sgomento.

Divincolandosi spaventata, Enyl cercò di liberarsi dal peso feroce dell’uomo quando, all’improvviso, due forti mani agirono per lei.

Una voce amica, poi, le sussurrò nella penombra: “Enyl, tranquilla, sono ‘Sandar.”

Ansando spaventata, Enyl tentò di mettersi seduta per mascherare l’imbarazzo che provava.

Non facendo caso alcuno alle sue condizioni, il principe le sistemò meglio gli abiti prima di sorriderle comprensivo e stringerla a sé in un rapido abbraccio.

Enyl, allora, si lasciò andare a un pianto dirotto ed Ellessandar, ben comprendendo la paura della ragazza, le permise di sfogarsi nonostante la loro condizione non fosse delle più sicure.

Non seppe mai realmente bene quanto tempo passò dal momento in cui Ellessandar la salvò dallo stupro a quando, finalmente, le sue lacrime cessarono di cadere.

Quando ciò avvenne, però, Enyl era nuovamente lucida e pronta.

Fissando l’amico con rinnovata sicurezza, la figlia sacra mormorò roca: “Ti chiederò dopo come fai a essere qui. Ora, devi riuscire a liberarmi da questi cosi. Sono mostruosi.”

“Penso di avere la soluzione adatta. Acqua acida. E’ un composto chimico che usano i nostri  fabbri per lucidare le armature. Corrode i metalli, se usato in gran quantità ma, con i dovuti accorgimenti, rende splendenti armi e arredi metallici” le spiegò succintamente Ellessandar, estraendo dalla sacca che teneva sulle spalle una boccetta di liquido trasparente.

“Se corrode i metalli, che fa alla carne?” ironizzò sarcastica Enyl, fissandolo dubbiosa.

“Farò in modo di non bruciarti, promesso” le strizzò l’occhio il principe, inginocchiandosi accanto a lei.

Enyl annuì, restando perfettamente ferma mentre Ellessandar si dava da fare con l’acqua acida.

Presto, un fumo denso e acre si levò dagli anelli della catena, ammorbando l’aria umida della cella e facendo pizzicare il naso della ragazza.

“Dio! E’ peggio che aprire una cloaca!” sbottò la giovane, disgustata.

“Qualcosa del genere. E’ soprattutto la reazione alla galenda, il minerale usato per creare la catena, oltre alle proprietà dell’incantesimo alchemico con cui è impregnata questa trappola” le spiegò Ellessandar, aggrottando la fronte. “Chi ha compiuto questa malia è davvero bravo.”

“E sapeva che mi avrebbe bloccata. Il che è tutto dire” sbuffò Enyl, scrollandosi di dosso le catene non appena esse cedettero di schianto.

Palpandosi le caviglie e i polsi malandati, segnati da graffi ed ecchimosi più o meno evidenti, Enyl digrignò i denti irritata e, fissando Ellessandar, gli domandò: “Dove andiamo, ora?”

“Nei passaggi segreti del castello, così potrò raccontarti più agevolmente ciò che sta succedendo” le spiegò Ellessandar, prendendola per mano. “Sono giorni che ti cerco in giro per il palazzo, attraverso questi cunicoli. Avrei dovuto immaginare che non ti avrebbero tenuta comodamente in una delle stanze ai piani alti.”

“L’importante è che tu mi abbia trovata” asserì Enyl, prima di fissare livida in viso il cancelliere Bramann.

Il suo corpo esanime, trafitto alle spalle da un pesante pugnale ricurvo, giaceva scomposto sul pavimento di pietra, e una pozza di sangue imbrattava le carni mollicce e le pietre ruvide sotto di lui.

Preda di una ferocia a stento trattenuta, Enyl afferrò un secondo coltello che il principe portava alla cintola.

Disgustata, volse il corpo esanime dell’uomo con un colpo di piede e fissò il suo membro ora flaccido prima di compiere la sua personale, sanguinosa vendetta sul suo aguzzino.

Ellessandar preferì non commentare la scelta compiuta dalla ragazza – comprendendola pienamente – ma,  pur non volendo, un lungo brivido gli corse lungo tutto il corpo, portandolo ad allontanarsi dall’uomo, ora martoriato a dovere.

Preso un gran sospiro di soddisfazione, Enyl restituì l’arma all’amico dopo averla ripulita sulla tunica di Bramann e, gelida, sentenziò: “Ora possiamo andare.”

“Mi fai paura, a volte” dichiarò con un mezzo sorriso Ellessandar, pigiando una mano sul muro.

Prima ancora di poter replicare alle sue parole, la pietra sfiorata dal principe affondò nella muratura e, subito dopo, un piccolo varco si aprì su uno stretto cunicolo buio.

“Prego, dopo di lei” sorrise Ellessandar, indicandole lo stretto pertugio.

“A destra o a sinistra?” mugugnò lei, storcendo la bocca.

“Sinistra. Dopo un centinaio di passi si allargherà e compariranno delle scale ma, per ora, devi procedere gatton gattoni” le spiegò succintamente il principe.

Detesto il buio” brontolò Enyl, infilandosi nello stretto passaggio con aria accigliata.

***

Stretta nell’abbraccio di Elmassary, Enyl aveva buoni motivi per piangere disperata.

Kell, il suo adorato Kell, era rimasto vittima del primo assalto dei mercenari pagati dalla corona di Nellassat.

Il lupo, con il suo sacrificio, aveva permesso alla regina e al suo consorte di rifugiarsi nei condotti segreti del palazzo.

Non appena aveva visto comparire Enyl dallo stretto cunicolo in cui era scomparso il figlio meno di un’ora prima, Elmassary era corsa ad abbracciarla in lacrime.

Nello spiegarle ciò che era successo, durante i suoi cinque giorni di prigionia, la sovrana aveva dovuto ammettere anche quella tragica perdita.

Nulla sapevano dei lupi di Ran, Naell e Kalia, ma Enyl dubitava fossero ancora vivi, almeno stando ai racconti di Ellessandar su ciò che stava avvenendo fuori delle mura di palazzo.

Nascosti entro le mura interne del maniero, unici a conoscerne i meandri interminabili, avrebbero potuto sopravvivere a qualsiasi attacco.

Nel frattempo, però, la popolazione avrebbe ceduto sotto i colpi dei soldati che avevano attaccato proditoriamente il palazzo.

Skytana, raggiunta per tempo dall’alabardiere che Enyl aveva messo sulle sue tracce, gravava in pessime condizioni, dopo il primo attacco subito dalle guardie di palazzo.

Aveva fatto da scudo al re, venendo colpita da una raffica di frecce, scagliate per aprirsi la strada all’interno del maniero.

Sarebbe sopravvissuta, almeno stando alle parole di Elmassary, ma difficilmente avrebbe potuto riprendere la carriera delle armi.

Gran parte dell’esigua forza armata, di stanza a Yskandar, era stata spazzata via da quel primo, improvviso attacco all’arma bianca.

A parte la famiglia reale, e alcune decine di servitori che Ellessandar era riuscito a mettere in salvo, pochi altri rimanevano liberi dalla forte mano del nemico.

Fuori dalle mura della città, i corazzieri reali e la guardia a cavallo, giunta in forze dal porto di Ylleru, attendevano inermi notizie del loro re.

Tenuti in scacco dai nemici, grazie alla minaccia di bruciare l’intera Yskandar e gli abitanti tutti, era immobili dinanzi alle mura della capitale, impossibilitati a colpire.

Ancora nell’abbraccio di Elmassary, Enyl si asciugò le lacrime col dorso di una mano prima di mormorare roca: “C’è la possibilità di raggiungere in qualche modo i soldati fuori le mura?”

“Da qui? I condotti sbucano nel tempio di Soanes e, da lì ai cancelli, c’è più di un miglio a piedi. Troppo pericoloso” scosse mestamente il capo Ellessandar.

Annuendo grave, Enyl sospirò tremula prima di chiudere gli occhi e tentare di mettersi in contatto con il fratello.

Sperava ardentemente che stesse bene.

“Ran?”

“Enyl, sia ringraziato il Cielo! Stai bene?!” esclamò nella sua mente Rannyl, sollevato.

Nell’ombra, Enyl sorrise e, annuendo, replicò: “Io sto bene, e sono più o meno illesa. Ho solo qualche livido a polsi e caviglie. Tu?”

“Sano come un pesce e irritato come un istrice. Che diamine sta succedendo in città? Siamo bloccati da ieri mattina nei pressi delle mura, insieme a un buon numero di soldati, e abbiamo saputo che il nemico ha in mano i reali. E’ vero?”

“Per niente. E credo che, quando Kennadarya arriverà e scoprirà che le cose non sono andate come sperava, andrà su tutte le furie” presagì Enyl, aggrottando la fronte. “Di quanti uomini disponete, Ran?”

“Diecimila, più la guarnigione portuale, che conta duecento cavalieri e un centinaio tra corazzieri e picchieri”  le spiegò succintamente Rannyl.

“A giudicare dal freddo che percepisco nel cuore, Kennadarya è vicina. Non più di un giorno o due. Con lei, ci sarà sicuramente il grosso dell’esercito, perciò è di vitale importanza che la città venga espugnata prima del suo arrivo. Non combatterò contro di lei all’interno delle mura di Yskandar.”

“In che senso… combatterai?” replicò preoccupato Rannyl.

“Tu dovrai occuparti di riprendere la città assieme a Naell. Il mio compito è un altro, ormai l’ho capito.”

“Non te lo lascerò fare da sola!” protestò sonoramente Rannyl, turbato dalle sue parole.

“Al momento opportuno, chiederò il tuo aiuto, ma lo scontro avverrà tra me e Kennadarya solamente.”

Nel suo tono, Rannyl percepì una sicurezza che, nelle settimane passate, non aveva mai avvertito. Cosa l’aveva fatta divenire così certa delle proprie azioni?

“Sorellina… ne sei sicura?”

“Ho avuto cinque giorni per pensarci, bloccata all’interno del mio cervello, senza alcun altro da ascoltare se non me stessa. Sì, ho compreso cosa volle dirmi Hevos, sostenendo che noi siamo Luce. La tua luce servirà per portare beneficio a questo popolo, la mia luce servirà per scacciare le tenebre. Così deve essere.”

“Ho guarito My-chan, sai? E anche alcuni soldati.”

“Bene. Vuol dire che non temi più il tuo potere. Ti servirà interamente, per riconquistare la città. Resta comunque a portata d’orecchio, Ran, perché ti cercherò ancora.”

“Ci mancherebbe! Cerca piuttosto di non esagerare, Enyl, perché voglio riabbracciarti” brontolò Rannyl, scocciato.

Enyl ridacchiò e infine disse: “Parlerò con Ellessandar su come meglio procedere, poi ti richiamerò.”

Un attimo dopo, Enyl si rivolse a Ellessandar e dichiarò: “Gli uomini sono pronti per attaccare. Bisogna solo stabilire come. Ran, Naell e Kalia si trovano con il grosso dell’esercito, e attendono nostre notizie.”

“Lei… stanno tutti bene?” balbettò Ellessandar, fissando speranzoso l’amica.

Enyl gli sorrise benevola e annuì.

“Sta bene e, a quanto pare, è alla testa degli uomini che hanno radunato via via nel deserto.”

“Come?” esalò sorpreso Ellessandar.

“Non ho chiesto a mio fratello, ma ho letto nella sua mente quel che è successo a Jilli’nat. Sono stati attaccati poche ore prima di noi e, nel conflitto, diversi tuoi ufficiali e soldati hanno perso la vita per difendere Naell. A quel punto, lei ha preso le redini degli uomini rimasti e, con l’aiuto di un sottoufficiale, sono tornati in tutta fretta verso Yskandar, radunando mano a mano i soldati dalle varie guarnigioni sparse per il deserto. Al momento, possiamo contare su circa diecimila e trecento uomini, tra cavalleria, fanteria e picchieri.”

Annuendo più e più volte, raccogliendo in fretta quelle notizie per ristrutturarle in un più ampio schema, Ellessandar si fece pensieroso.

Fissando con autentica sorpresa la fanciulla, Erenokt esalò: “Come puoi… che magia è mai questa, fanciullina?”

“Io e mio fratello siamo speciali, sire. Gli unici gemelli mai nati tra i figli sacri, e abbiamo doni particolari, tra cui la lettura del pensiero” gli spiegò con un mezzo sorriso Enyl, scrollando le spalle.

“Santi dèi!” esclamò sorpreso Erenokt, facendo tanto d’occhi.

“E’ luna nuova” commentò all’improvviso Ellessandar, sorprendendo tutti loro.

“Spiegati meglio” lo esortò Enyl, facendosi attenta.

“Stanotte sarà luna nuova e, con la città completamente al buio, per una manciata di soldati scelti ad arte, sarà facile per loro entrare e sgominare gli uomini che presidiano le porte” le spiegò con un mezzo sorriso Ellessandar, convinto che il piano potesse funzionare.

“Scelti ad arte?” ripeté Enyl, confusa.

“Uomini che siano agili nei movimenti e che possano arrampicarsi senza problemi lungo…”

Bloccandosi un momento, Ellessandar scoppiò a ridere ed esclamò: “Che sciocco che sono!”

Strabuzzando gli occhi, Enyl esalò: “E perché, di grazia?”

“Cosa entra ed esce da ogni città, non vista e non controllata?” ironizzò Ellessandar, battendosi una mano sulla fronte.

Erenokt scoppiò a sua volta a ridere sommessamente prima di dichiarare: “Le fogne. I maledetti condotti fognari.”

“Scommetto tutto quello che volete che a nessuno dei mercenari è venuto in mente di mettere delle guardie di ronda presso le condutture principali della città che, tra le altre cose, passano sotto la strada che conduce al porto, esattamente dove si trova adesso il grosso dell’esercito” sogghignò sempre più soddisfatto Ellessandar, già pregustando la battaglia.

“I soldati di certo non gradiranno la cosa ma, a questo modo, potranno entrare molti più armigeri, e sparpagliarsi nei punti strategici della città. Qui a palazzo, dove si trovano le bocchette delle condutture?” si informò Enyl, sorridendo all’idea del fratello in mezzo a una fogna.

“Nelle cucine” intervenne Elmassary. “Le altre bocchette sono troppo piccole perché vi passino degli uomini ma, da lì, potranno entrare speditamente. Sempre che non siano controllate da qualche soldato.”

“A quello penserò io” replicò Ellessandar, prima di notare il cipiglio di Enyl. “Penseremo noi. Dai condotti, possiamo sbucare direttamente nelle cucine passando da sud-est, perciò potremo controllare agevolmente se qualcuno controlla quei locali.”

“Ottimo” sentenziò Enyl, alzandosi in piedi con energia ritrovata. “Andiamo a controllare, dopodiché chiamerò Ran. Dovremo agire sinergicamente, se vogliamo sgominare il nemico.”

“Con te e Ran, ce la faremo” affermò allegramente Ellessandar prendendola per mano per incamminarsi verso i condotti che li avrebbero portati verso le cucine.

Enyl preferì non dirgli che, a un certo punto della battaglia, lei avrebbe dovuto prendere la via del tempio di Soanes per la sua parte in quella guerra.

Non lo avrebbe accettato, e lei doveva mantenersi salda per la battaglia che l’avrebbe vista protagonista assieme a Kennadarya.

***

Passeggiando nervosamente in lungo e in largo per l’enorme salone del trono, ora del tutto spogliato dei suoi averi, Korissar sobbalzò terrorizzato quando udì la porta della sala aprirsi di botto.

Tirato un sospiro di sollievo non appena vide avvicinarsi il capo della milizia pagata da re Kevan, Korissar esclamò: “Ancora nulla?!”

“No, signore. Dei reali nessuna traccia. Sembrano scomparsi nel nulla. Abbiamo setacciato tutte le case della capitale, tutti i fienili, i capannoni, ma niente” scosse il capo l’uomo, teso in viso e visibilmente preoccupato.

Aveva ben ragione d’essere in ansia.

Ben cinque giorni erano passati dall’assalto iniziale e, dopo aver scorto per un attimo la coppia reale in fuga lungo un corridoio, Korissar non aveva più avuto alcuna nuova di loro.

L’unico corpo esanime che avevano trovato lungo la strada, era stato quello del lupo biondo di Enyl che, evidentemente, aveva protetto loro la fuga fino all’estremo sacrificio.

Poche ore più tardi, nel giardino interno di palazzo, Korissar aveva trovato anche i corpi dei due lupi di Rannyl e Kalia ma, della coppia reale, neppure mezza traccia.

Che diamine stava facendo poi, Bramann, ancora nelle segrete?

Stava uccidendo quella ragazza, con le sue attenzioni?!

Se, oltre alla mancanza dei reali, Enyl fosse stata data in pasto a Kevan meno che pura, sarebbero saltate parecchie teste, tra cui sicuramente la sua!

Certamente, Kennadarya si sarebbe irritata a morte per non essere stata avvisata di quel piccolo inghippo nel loro piano.

Se poi, a peggiorare il tutto, Enyl non fosse stata come avevano richiesto, davvero non aveva idea di quello che avrebbe potuto succedere.

Irritato e spaventato al tempo stesso, Korissar infine ordinò: “Manda un uomo a cercare il consigliere Bramann. Desidero parlare urgentemente con lui.”

Con un cenno del capo, l’uomo annuì e si avventurò fuori dalla sala con uno scalpiccio degli stivali sul marmo pallido del pavimento, sbattendo poi alle spalle il pesante portone di legno laccato.

Passandosi una mano tra i radi capelli sale e pepe, Korissar esalò sconvolto: “Kennadarya ci ucciderà tutti se, prima del loro arrivo, i reali non salteranno fuori!”

***

“… e questo è quanto. Ellessandar ed Enyl hanno controllato le cucine per due ore buone e, a parte qualche movimento di alcune cuoche, non hanno notato la presenza di armigeri. E’ evidente che non sospettano che il passaggio delle fogne passi proprio di lì e che, soprattutto, possa essere usato per entrare a Yskandar” terminò di dire Rannyl, rivolto agli ufficiali presenti al suo fianco, oltre che a Kalia, My-chan e Naell.

Una piccola marea di teste annuì quasi all’unisono, mentre battute più o meno volgari si susseguirono circa l’idea di riprendersi la città attraversando i canali maleodoranti che scorrevano sotto di essa.

Naell rise nel sentirle e si unì a loro dicendo la sua, scatenando per diretta conseguenza l’ilarità generale e il rispetto sempre crescente dei soldati che avrebbero condotto quell’assalto notturno.

Stando a ciò che aveva detto loro Rannyl, era di vitale importanza riprendere la città prima dell’arrivo di Kevan e del suo esercito.

Da dietro le mura di Yskandar, sarebbe stato più semplice mantenere una posizione di vantaggio durante la battaglia.

Naell non aveva voluto chiedere nulla in merito a Kennadarya ma, a giudicare dal suo sguardo accigliato, la strega canuta non sarebbe stato un problema loro.

Questo la impensierì non poco, perché questo voleva dire una cosa soltanto. Ci sarebbe stata soltanto Enyl, a proteggere il potere della Luce contro quell’immonda creatura.

Ormai, invece, era sicura del suo compito. Guidare gli akantaryan, essere il loro baluardo, la loro forza fino a che Ellessandar non avesse ripreso nelle sue mani il comando.

Era stato così, in quei giorni di rientro frettoloso, e lei aveva tratto forza e coraggio da loro, come loro da lei.

Rivolgendo per la prima volta da ore il suo sguardo in direzione della cugina, Rannyl le confidò a bassa voce: “Ellessandar vorrebbe che tu rimanessi in disparte, per il tuo stesso bene.”

“Beh, può andare a quel paese. Riprenderò Yskandar assieme ai suoi uomini” replicò con falsa alterigia Naell.

Rannyl allora le sorrise orgoglioso e, battendole affettuosamente  una mano sulla spalla, le disse: “Sono onorato di combattere al tuo fianco, cugina.”

Il sottoufficiale Rodan sguainò la spada, levandola alta verso il cielo oscurato dall’imbrunire ed esclamò: “Per Yskandar! Per Akantar! Per il regno!”

Uno a uno, i soldati seguirono il loro esempio e Naell, assieme a Kalia e Rannyl, li imitarono, mettendo in quel grido tutta la loro speranza, i loro sogni e le loro paure inespresse.

Ben presto, le loro armi sarebbero state snudate per ben altro motivo ma, in quel momento, Naell volle godersi quell’istante di condivisione di un destino, del ponte venutosi a creare tra i loro due popoli.

Era questo ciò che Hevos aveva predetto per lei.

Quelle armi unite in un’unica forza, quelle lame che si sfioravano tra loro a crearne una sola.

Esse rappresentavano il ponte che lei aveva creato tra sé e il popolo che, in quegli anni, era giunta ad amare come il proprio e che, a costo della propria vita, lei avrebbe difeso.

Gli uomini di Ellessandar erano morti per proteggerla e ricondurla viva a Yskandar.

Lei avrebbe pagato lo stesso prezzo, se fosse stato necessario perché, indipendentemente da come sarebbe andato l’esito della battaglia, da come sarebbe terminato il suo colloquio con il principe, quello era il suo popolo.

E nessuno si sarebbe messo in mezzo tra lei e la sua gente.

***

La luna sarebbe sorta entro breve ed Enyl era pronta per recarsi al tempio, dove avrebbe passato le ore successive in profonda meditazione.

Al sorgere del sole, avrebbe affrontato l’arrivo della sua nemica, la nemesi per eccellenza della Luce.

Nell’allontanarsi dal rifugio di fortuna dove i reali e parte della servitù si erano ritirati, si era fermata un istante a rincuorare Skytana assicurandole che, una volta ripreso il controllo sul palazzo, Rannyl avrebbe pensato alle sue ferite.

Inutile dire che la donna si era fatta beffe di lei, asserendo che, per quella notte, sarebbe stata già pronta per imbracciare la sua fida scimitarra, incurante delle profonde ferite  che la tenevano bloccata su un pagliericcio di fortuna.

Enyl le aveva sorriso, plaudendo alla sua forza e al suo coraggio e, con un ultimo saluto, si era allontanata per seguire Ellessandar lungo gli stretti cunicoli che attraversavano il palazzo.

Grazie a essi, e per il suo sommo gaudio, aveva udito lo strepitare ossesso di Korissar che, per merito di uno dei soldati mercenari, era infine giunto a conoscenza della morte prematura del consigliere Bramann.

Avrebbe tanto voluto scorgere il suo volto allampanato farsi rugoso per l’ansia e, ancor di più, avrebbe voluto affondare la daga nelle sue viscere per reclamare come sua anche quell’inutile vita.

Con tutta probabilità, però, la sua esistenza sarebbe giunta alla fine quella notte stessa per mano dei soldati di Akantar.

Poteva accontentarsi di questo. Forse.

Alla fine della loro perlustrazione, comunque, Enyl aveva dovuto ammettere con Ellessandar il suo ruolo nella battaglia imminente e, con sua grande sorpresa, il principe non aveva avuto nulla da obiettare.

Con un sospiro e un sorriso pieno di mestizia, aveva ammesso di aver compreso fin da quel giorno al tempio che il suo compito sarebbe stato ben diverso dal loro.

Vederla coronata di luce come una dea scesa in terra, gli aveva fatto comprendere con amara consapevolezza quanto poco sarebbe stato utile, lui, nell’impresa di sconfiggere Kennadarya.

Enyl lo aveva abbracciato con calore, ammettendo di avere paura, ma di essere consapevole anche della profonda fiducia che loro nutrivano in lei.

Quel particolare, più di qualsiasi altra cosa, l’avrebbe resa forte nel momento decisivo.

Ellessandar, allora, si era proposto come suo accompagnatore fino alle porte che conducevano al tempio, assicurandole che lì, la battaglia, non sarebbe mai giunta.

E ora si trovavano a quel bivio, una botola di legno a dividerli dall’ineluttabile, niente più di qualche asse di legno di palma tra loro e le fredde navate del tempio.

Fuori, il silenzio assoluto della notte.

Nulla si muoveva, come la quiete prima della tempesta, come se gli animali stessi sapessero che ogni minimo rumore avrebbe interferito con la ripresa della città.

Enyl si volse per salutare Ellessandar e, nello sfiorare il suo volto con le mani, lo attirò gentilmente a sé per baciarlo sulle labbra.

“Dallo da parte mia a Naell. Capirà.”

“Pensa anche a te stessa, là fuori. Non solo alla salvezza delle genti. Voglio rivederti sana e salva, Enyl” la pregò con veemenza Ellessandar, stringendola in un abbraccio feroce prima di lasciarla andare.

“Farò quel che potrò” si limitò a dire lei, scostando con decisione il pannello di legno per passare oltre.

Strette le mani a pugno per impedirsi di afferrarla e riportarla al sicuro all’interno del cunicolo, Ellessandar fissò con occhi lucidi di lacrime il pannello mentre veniva rimesso al suo posto.

Quando esso fu saldamente fissato alla parete, seppe che ormai nulla poteva più fare, per Enyl.

La sua vita, ora, era nelle salde mani di un dio.

A lui restava da compiere ben altro compito.

Recuperare la città, prepararsi a difenderla dall’assalto dell’esercito di Nellassat e, se possibile, uccidere re Kevan per stroncare le forze nemiche sul nascere.

“Buona fortuna, Enyl” mormorò alla fine Ellessandar, correndo indietro per raggiungere il cunicolo delle cucine, da cui avrebbe visto giungere i suoi uomini per la rappresaglia contro i mercenari di Kevan.

***

Si sentiva maleodorante come una montagna di sterco, coi piedi bagnati di liquami cui preferì non pensare più di tanto, ma il suo cuore batteva di attesa, colmo di speranza e fiero come mai prima di allora.

Non le importava quale aspetto avrebbe avuto una volta uscita da quello stretto cunicolo, che li obbligava a procedere in fila e ripiegati in avanti per non urtare il soffitto a volta.

Voleva solo rivedere Ellessandar, abbracciarlo e muoversi con lui per riprendere la città che lei amava come Rajana, dove lei era nata e cresciuta.

Certo, il pericolo incombeva, e sapeva bene che la spada che teneva saldamente legata al fianco sarebbe stata ben presto snudata.

Quel che sarebbe avvenuto quella notte, però, era ciò per cui si era allenata per anni assieme a My-chan.

Sapeva che il suo intervento sarebbe stato come una goccia nel mare ma, tutti assieme, avrebbero formato quella marea che avrebbe dilavato la città per eliminare le forze nemiche ivi presenti.

“Siamo quasi arrivati” sussurrò dinanzi a lei Kalia, lo sguardo fisso su Rannyl, che guidava la fila di uomini.

Avevano stabilito di comune accordo che il giovane, in quanto membro più forte e veloce dell’intero gruppo, sarebbe stato il primo a fare breccia all’interno delle cucine.

Qualora si fosse ritrovato dinanzi dei nemici, la freoha avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per tutti loro.

Naell non era stata molto lieta di quella decisione – in cuor suo, ancora temeva per lui, pur sapendo quanto fosse logica quella soluzione – ma non se l’era sentita di smentire la sicurezza che aveva percepito nelle parole del cugino.

Quando, però, lo udì aprire la botola per entrare nelle cucine, scatenando la paura nelle poche cuoche presenti, seppe di essersi grandemente sbagliata.

Assieme alle poche serve rimaste in vita – e che, in quei giorni, si erano date da fare controvoglia per sfamare l’esercito nemico – Rannyl aveva anche trovato quattro soldati ad attenderlo, ma ciò non lo aveva minimamente turbato.

Forte della freoha che ne incendiava il sangue, si mosse così veloce che, a stento, i mercenari ne colsero le movenze e, con grazia letale, si accanì su di loro recidendo le loro gole con un solo colpo di daga.

Alla fine di quella macabra danza, durata in tutto meno di dieci secondi, Rannyl si  ritrovò accucciato sul bordo di una credenza, la posa in tutto simile a quella di un lupo a caccia e gli occhi dorati che emanavano scintille.

Le cuoche, spaventate loro malgrado da quello spettacolo di morte, si rintanarono in un angolo solo per emettere identici ansiti di sorpresa quando, dalla conduttura delle fogne, comparvero altri uomini in armi e diverse donne, tra qui la principessa e il renpardo del principe.

Dopo aver digrignato un’ultima volta i denti, cercando di contenere la freoha, Rannyl discese con balzo silenzioso accanto a Kalia.

Nell’ammirare il suo lavoro pulito e letale, quest’ultima annuì al giovane e chiosò: “Oserei dire che i tagli hanno la stessa lunghezza su ogni collo.”

“Se ho calcolato bene la forza, sì” scrollò le spalle noncurante Rannyl, annuendo alla muta domanda nascosta nello sguardo di Naell.

Rassicurata dal fatto che Ran stesse bene, Naell lanciò uno sguardo a Rodan per dirgli: “Ora, dobbiamo solo attendere che il principe si…”

Non fece in tempo a terminare la frase che una botola nel muro si aprì dinanzi a loro e, sotto lo sguardo lieto di tutti, Ellessandar fece la sua comparsa all’interno delle cucine.

Tale fu la gioia che provò nel vederlo sano e incolume, che Naell non poté trattenere un singhiozzo incontrollato.

A quel punto, Ellessandar le sorrise al colmo della felicità e, indifferente alle persone che si trovavano nella cucina e alla situazione disperata in cui si trovavano, corse verso di lei a grandi passi e, senza dire nulla, la avvolse in un abbraccio stritolante.

Sollevatala di peso da terra, le fece fare un mezzo giro in tondo prima di impadronirsi della sua bocca calda e, come aveva sperato, percepì la sua piena risposta e la dolce sorpresa in essa trattenuta.

Parecchi uomini ridacchiarono, mentre altri si limitarono a tossicchiare imbarazzati mentre le donne soldato, con ampi sorrisi, ammiccavano a Ran e Kalia, che stavano  rischiando di scardinare le loro mascelle per il gran sorridere.

Quando Ellessandar la rimise a terra, il viso di Naell rosso di piacere e imbarazzo, il mondo tornò a riprendere corpo intorno a loro.

Resosi finalmente conto di dove si trovava, e di chi vi fosse presente, il principe rise sommessamente ed esalò: “Le mie più profonde scuse.”

Naell, ora imbarazzata a morte, affondò il viso nel torace di Ellessandar mentre Rodan, con un gran sorrisone, si limitò a dire: “Immagino che quello avesse la precedenza, Altezza. Quali sono i vostri ordini, ora?”

Sempre tenendo stretta a sé Naell, Ellessandar tornò serio nel giro di pochi attimi e, rivolto uno sguardo significativo a Rannyl, che annuì, disse con veemenza: “A palazzo, ci sono circa una trentina di uomini, mentre il resto dell’armata nemica si trova sparpagliato per la città, dislocato principalmente accanto alle porte di entrata. Una parte di voi, andrà in avanscoperta per aprire le porte al grosso dell’esercito, mentre una decina di voi rimarrà a palazzo per aiutarmi a sgominare i mercenari ivi presenti. Una volta fatto questo, ci riverseremo in città e punteremo direttamente a ovest, verso la via per il porto.”

Tutti annuirono e, mentre Rodan abbaiava ordini alla trentina di uomini e donne presenti nelle cucine, Ellessandar si chinò sull’orecchio di Naell e sussurrò: “Parleremo più tardi di quello che non ci siamo detti in questi anni per la troppa stupidità. Per il momento ti chiedo… stai bene?”

“Benissimo, anche se puzzo come una latrina” ridacchiò lei, ancora incredula di aver ricevuto quel bacio divorante da Ellessandar.

Quanto era stata stupida, in quegli anni vissuti nella paura dei suoi stessi sentimenti?

Ellessandar rise di quel commento, limitandosi a dire: “Non mi importa un accidente, credimi. Sei sicura di voler partecipare alla lotta, o preferisci nasconderti tra le mura assieme ai miei genitori?”

“Lotterò al tuo fianco” dichiarò allora Naell scostandosi per scrutarlo in viso.

I suoi occhi verdi dalle pagliuzze dorate brillarono di convinzione, ed Ellessandar non poté che amarla ancora di più per il suo coraggio.

“Combatteremo fianco a fianco, allora… mia principessa” assentì allora Ellessandar, levando la sua mano destra per baciarne il dorso.

Naell sorrise lieta e, sentendosi più forte e fiera di quanto non lo fosse mai stata fino a quel momento, mormorò: “Non ti deluderò, mio principe.”

“Non potresti mai” replicò lui, prima di intrecciare la mano alla sua e tornare a scrutare il viso serio e pronto di Rodan. “Andiamo, comandante.”

“Sì, mio principe… mia principessa…” assentì l’uomo, onorando entrambi di un profondo inchino.

Al muto cenno di Ellessandar, i gruppi si divisero come due onde di piena ben distinte.

Una volta usciti dalle cucine, si riversarono per il palazzo come locuste su un campo di grano mentre, coloro i quali dovevano occuparsi delle porte, si dileguarono lungo i corridoi della servitù per non essere visti dai nemici.

Imperativo per tutti era contenere le urla dei mercenari, cosicché i soldati all’esterno non percepissero - se non troppo tardi - ciò che si stava svolgendo entro le mura del palazzo.

A tal fine, sarebbe stato necessario colpire con rapidità e, spesso e volentieri, mandando all’aria le regole stesse della cavalleria in battaglia.

Naell, al fianco di Ellessandar, si fece valere con la sua corta spada dalla lama sottile e, sotto gli occhi sorpresi e orgogliosi del principe, fece il suo dovere senza lasciare nulla di intentato.

Rannyl, nel gruppo che aveva il compito di aprire le porte della città, correva nel frattempo assieme a Kalia e al resto degli uomini guidati da Rodan e, immersi nel buio silenzioso della città, pensò alla sorella.

“Come ti senti?” le domandò mentre, leggero come una piuma, balzava da un tetto all’altro, sopravanzando gli akantaryan per aprire loro la strada qualora vi fossero stati dei mercenari in agguato.

“Pronta. Ti chiederò un favore, durante la battaglia, quindi rimani nei pressi del Tempio. Sarà vitale la sinergia tra noi, Ran, perciò sappi questo; sarà necessario un numero di persone pari al perimetro delle mura templari, cosicché possiate formare un cordone attorno a esso.”

“E, naturalmente, non mi spiegherai il perché, vero?”

“Penso che il non saperlo sia meglio per te, poiché temo potresti non essere d’accordo col mio piano.”

“Il che la dice lunga su ciò che hai intenzione di fare” brontolò lui.

Fidati di me, fratello.”

“Non l’ho sempre fatto?”

“Sì.”

Il contatto si interruppe e Rannyl, nel lanciarsi dal tetto dove si trovava in quel momento, si preparò a dar battaglia. La resa dei conti era infine giunta.

  
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