INTRODUZIONE
E PRECISAZIONI.
- Fan fiction
POST-REICHENBACH
- Capitoli scritti in prima persona, ognuno dal punto di vista
di un personaggio diverso (ad alcuni ho dedicato più
capitoli di altri).
- Un doveroso ringraziamento a Charme e al tempo che dedica sempre
alle mie fan fiction.
Buona lettura.
Nella
mia mente era diventata una visione surreale e neanche le visite
periodiche al
cimitero erano riuscite a farmi cambiare idea.
“Buon
pomeriggio, dottor Watson!” mi salutò qualcuno
dall’altro lato della strada.
“Salve,
signora Pool!” risposi subito, riconoscendo la donna.
Era
stata una mia paziente diverse settimane prima.
Alla
fine, dopo sei mesi o poco più di semi precarietà
ero riuscito ad ottenere il
posto fisso in un ambulatorio. Inizialmente, si trattava ancora del
‘ambulatorio di Sarah’ (che nella mia disperazione
aveva deciso di darmi una
seconda possibilità – ovviamente solo da un punto
di vista professionale), ma
dopo circa un anno di attività, si era sposata ed era andata
a vivere a
Liverpool. Così il nuovo proprietario era diventato la sua
più stretta
collaboratrice ed io a mia volta ero stato nominato vice.
Un
salto di qualità non indifferente.
Ma se
la mia vita lavorativa stava ormai andando a gonfie vele, non si poteva
dire lo
stesso del resto.
Nei
primi mesi dopo l’accaduto avevo ripreso la mia terapia in
modo più frequente,
ma dopo quasi un anno avevo deciso di prendermi una pausa anche da
quello,
perché le sedute erano diventate noiose, asfissianti ed ero
praticamente
diventato apatico e poco collaborativo. Avevo completamente abbandonato
il mio
blog, nonostante capitasse, ogni tanto, di visitarlo e mi accorgevo che
molte
persone continuavano a seguirlo, per via di commenti di
supporto o simili ai miei vecchi articoli.
“Perché
sono tutti così interessati alla mia vita?” mi
ritrovavo a pensare il più delle volte, con molto fastidio.
Dopo un po’, anche
quelli però cessarono.
In
ogni caso, era stato proprio il lavoro a salvarmi. Erano gli unici
momenti in
cui riuscivo ad esprimermi al meglio, ed ero soddisfatto di
ciò che facevo.
Proprio all’ambulatorio avevo conosciuto un paio di persone
con cui ero uscito,
ma nessuna di queste relazioni era durata a lungo. Non più
di qualche settimana
ciascuna. Ero proprio svuotato, e non riuscivo a comprendere il
perché. Al
momento però, stavo uscendo con una nuova ragazza, e le cose
sembravano andare
decisamente meglio. La storia stava durando da quasi tre mesi e lei
sembrava
essere molto comprensiva con me, lasciando che io avessi i miei spazi.
Ed era
durante quelle ore che mi dedicavo a lunghe passeggiate per il centro
di Londra.
Il più delle volte mi ritrovavo ad osservare le persone e
cercavo di capire di
cosa stessero parlando, o cosa facessero nella vita, o magari quanti
anni
avessero. Mi rimproveravo il più delle volte. Questo era
quello che faceva
sempre lui.
Ma non
me ne accorgevo. Era diventata un’abitudine inconscia.
Improvvisamente
la mia attenzione si rivolse verso la donna che avevo davanti, a cui si
era
rotta una busta della spesa, da cui erano cadute diverse arance e delle
mele.
“Accidenti!”
esclamò lei, con tono lamentoso.
Mi
mossi velocemente per aiutarla.
“Aspetti,
le do una mano.” dissi subito.
Lei
sbuffò, ma poi mi ringraziò, raccogliendo nel
frattempo tre arance e cercando
di inserirle nella busta che aveva nell’altra mano.
“Si
figuri. Questi nuovi materiali sono economici ma il più
delle volte non molto …
” mi fermai improvvisamente guardando più
attentamente il volto della donna e
lei fece lo stesso con me.
Ci fu
un attimo di silenzio.
“John?”
“Clara?!”
esclamai incredulo.
“Oh, mio
dio, da quanto tempo!”
Mi
diede un leggero abbraccio, ma il gesto fece nuovamente cadere le
arance a
terra.
“Povera
me! Sono una pasticciona!” disse facendo una piccola risata.
Io ero
ancora senza parole.
Clara,
la ex moglie di Harry. Erano anni che non la vedevo.
L’aiutai
a mettere le ultime cose all’interno dell’altra
busta, ormai
traboccante.
“Meno
male che abito proprio qui.” continuò a dire,
indicando due porte più in là di
dove ci trovavamo.
“Già,
meno male.” mi ritrovai a rispondere.
Ci
muovemmo verso la sua abitazione.
“Sembri
dimagrito. Non sei mica tornato in servizio?” mi chiese,
prendendo dalla borsa
una chiave e aprendo la porta.
“Oh
no, assolutamente no. Ma sto svolgendo comunque un lavoro.”
Lei
sorrise ed entrò, posando le buste a terra: le arance
caddero di nuovo.
“Prego,
entra pure, John.
Preparo del the, così
parliamo un po’. Mi
fa piacere vederti,
dopotutto.”
Sì,
nonostante ciò che era successo con mia sorella, anche io
ero contento di
vederla. Clara mi
era sempre stata
simpatica.
“Va
bene. Accetto volentieri il the.”
Clara
sorrise e mi fece spazio.
Mi
guardai un po’ intorno e notai subito l’ampiezza
dell’appartamento. Entrammo in
cucina, dove lei appoggiò le buste della spesa sul lavandino
e mise subito
dell’acqua a riscaldare.
“Siediti”
fece verso di me e mi accomodai sulla prima sedia che trovai.
“Hai
una bella casa.” le dissi in modo spontaneo.
“Grazie”
rispose lei con un mezzo sorriso. “Dopo la separazione, vivere nella casa che
avevamo preso insieme
non è stato più così entusiasmante e
stimolante, così sono venuta qui…”
Ok,
pessima domanda. Avevo iniziato nel modo sbagliato, probabilmente.
Lei
però non parve essere imbarazzata e continuò la
conversazione.
“Allora”
si sedette di fronte a me “Dove stai lavorando?”
Le
raccontai dell’ambulatorio e lei mi disse che stava ancora
lavorando nella
stessa azienda di design dove era stata assunta nel periodo in cui si
era
sposata con Harry.
“Seguivo
il tuo blog” disse poi, prendendo due tazze e servendo il
the. “Ma non ci
scrivi da un pezzo.”
Inizialmente
rimasi sorpreso, poi ci pensai meglio. Chi
è che non seguiva il mio blog?
“Beh,
sai… in realtà era solo un mezzo alternativo per
proseguire la terapia di
recupero a cui ero sottoposto. Sono due anni che ho
rinunciato.”
Abbassò
lo sguardo. “Mi dispiace, forse non avrei dovuto chiedertelo.
Dopo tutto quel
periodo di sciacallaggio e speculazione fatti sul tuo amico Sherlock
Holmes…”
Mio dio…
da quanto tempo non sentivo pronunciare il suo nome
da qualcuno?
“Se
ti
può consolare, non ci ho mai creduto.” Clara
ricominciò a parlare guardandomi
con più decisione.
“Una
mia collega vi contattò tempo fa. Mi disse che il signor
Holmes era
bravissimo.”
Eccezionale. Unico.
“Gli
bastò solo un pomeriggio per capire chi avesse fatto sparire
quella somma di
denaro.”
Terminai
il mio the e la osservai mentre sparecchiava e metteva la spesa in
frigorifero.
Non era
cambiata affatto dall’ultima volta che l’avevo
vista, anni prima. I capelli
color caramello (come amava definirli mia sorella) che le arrivavano
giusto
sopra le spalle, gli occhi nocciola, il corpo esile, le labbra sottili
arricciate spesso in un sorriso leggero.
“Come
sta Harry?”
Mi ero
aspettato quella domanda e notai che il tono della conversazione era
diventato
più grave.
“Sta
meglio.” risposi semplicemente e sperai scioccamente che le
bastasse.
“Alla
fine ha accettato di andare in cura?”
“Ci ha
provato e sta meglio” ripetei di nuovo.
Finalmente
sorrise, ma questo mi fece star male.
Le
stavo mentendo spudoratamente, senza che se ne accorgesse, solo
perché non
volevo che sapesse che mia sorella non aveva mai smesso di bere,
aggravando
sempre di più il suo stato di salute. Un giorno, forse,
avrebbe dovuto
ringraziare il cielo per averle dato un fratello medico.
“Ma
certo! Harry e Clara. Lo avevo rimosso.” mi
aveva detto Sherlock il giorno seguente la nostra avventura con il
taxista e la
signora in rosa.
“Rimosso?”
“Harry
Watson, l’assistente del professor De Angelis,
docente di Diritto ed Economia (sicuramente molto più
competente nella prima
disciplina). E’ all’università che
probabilmente si sono conosciute lei e Clara. La proposta di matrimonio
che tua
sorella le ha fatto non è stata di certo durante un momento
intimo. C’erano
almeno duemiladuecento persone intorno a loro.”
Ero
rimasto a fissarlo per diversi secondi.
“Ok, la proposta di matrimonio
è stato un
evento pubblico. Quel giorno a Trafalgar Square si stavano radunando
per un Gay
Pride e la notizia finì su alcuni giornali, ma…
l’assistente del professor De
Angelis, e l’incontro con Clara?”
Lui mi
aveva rivolto quello sguardo pieno di superiorità che era
solito mostrare e mi
aveva risposto con determinazione.
“Conoscere tutti gli ambienti
universitari di
Londra ha i suoi vantaggi. L’incontro con Clara è
stata una deduzione casuale.”
“Dovresti
giocare alla lotteria le tue deduzioni casuali” gli
avevo risposto, facendolo sorridere.
“E
comunque” aveva poi proseguito
“Clara avrebbe dovuto pensarci un po’ meglio prima
di accettare una proposta
così impegnativa. Ci sono sondaggi che indicano , anche se
in piccole
percentuali, che l’alcolismo può essere un vizio
maturato prima dell’eventuale
drammatico episodio che è solitamente causa di azioni
autocommiserative… e
credo che sia proprio il caso di Harry.”
Aveva
girato lo schermo del suo computer verso di me, mostrandomi la foto
famosa in
cui Harry, inginocchiata, aveva chiesto a Clara di sposarla e mi aveva
indicando prima l’anello che le stava porgendo e poi la
bottiglia di birra
stretta nell’altra mano.
Mi
alzai.
“Grazie
per il the, Clara. E grazie per la conversazione.”
“Grazie
per le arance.” rispose lei riferendosi al piccolo incidente
di prima. “Spero
di rivederti. Sei sempre stato gentile con me, John.”
Mi
accompagnò alla porta.
La
salutai alzando la mano e poi raggiunsi il marciapiede.
La
serata era limpida e fresca, tipico del mese di Maggio, e prima di
incamminarmi
presi un bel respiro.
Visto
che ormai si era fatto buio, ed ero a piedi, decisi di abbreviare il
percorso
fino al mio appartamento tagliando per un’altra strada. Mi
resi conto troppo
tardi che, seppur più breve, quel tragitto alternativo mi
avrebbe portato anche
a Baker Street.
Fermarmi
davanti al 221b non era stata la mia iniziale intenzione. Ma mi ero
sempre lasciato
guidare dai miei passi ed ora ero lì.
Alzai
lo sguardo verso il primo piano. Era tutto buio, era tutto immobile. Se solo avessi avuto
un’immaginazione più
sviluppata, probabilmente avrei visto quelle tende spostarsi, o qualche
ombra
muoversi proprio lì dietro, ma non c’era
più nessuno, ormai.
Era
una casa vuota.