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Autore: Deathbed    12/02/2013    3 recensioni
Charlotte era nuda, chiusa in camera sua. Si stava guardando allo specchio.
Si stava guardando la pelle bianca, le gambe lunghe e magre, il livido sotto il seno. I capelli neri e lisci che le spiovevano sulle spalle, gli occhi grigi e freddi. I polsi martoriati, da cui stavano ancora uscendo dei rivoletti di sangue.
Distolse lo sguardo dallo specchio.
Era sempre in silenzio, Charlotte. Era sempre fredda.
Non aveva amici, e non ne voleva. Nessuno voleva essere sua amica, ma tutti sapevano chi era. Era una di quelle persone che quando qualcuno vede a scuola, tutti cominciano a bisbigliare, smettendo subito se lei per caso si volta, e ricominciando appena se ne va. Le ragazze le odiavano per la sua bellezza, perché i maschi parlavano sempre di lei. Ma a lei non interessava. Lei li odiava, gli uomini.
Tutti sapevano chi era, ma nessuno la conosceva.
Nessuno poteva immaginare cosa c'era dietro quell'aria sempre così strafottente, disinteressata, di chi pensa di vivere mille metri più in alto rispetto agli altri. Nessuno era mai stato a casa sua.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Axl Rose
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Non so cosa dire, solo che spero vi piaccia e di recensire.

-Rape me.


«In quel momento ero così viva. Pensai che essere distesa con un uomo che grondava sopra di te era la cosa più brutta del mondo. Io ero il mortaio, lui il pestello.»
{Susi Salmon in Amabili Resti}




Henry aveva visto tutto.
La sua bambina, la sua piccola, la sua Charlotte. In giro per Lafayette. con un ragazzo!
E quel figlio di puttana che l'aveva toccata, abbracciata, le aveva anche dato un bacio. Non in bocca, però. Grazie al cielo. Henry li aveva visti, tornando dal lavoro. E quasi non poteva crederci che quella era sua figlia. Ma i capelli neri e lunghi, il vestito a fiori, la pelle bianca, e il modo in cui si muoveva erano inconfondibili. E aveva visto tutto, li aveva visti uscire dalla gelateria, e quel ragazzo, quel lurido bastardo con i capelli rossi, che continuava a toccarla.
Più ci pensava più si sentiva salire la rabbia, più stringeva i pugni fino a sentir male. D'impulso avrebbe voluto scendere dalla macchina e andare a dividerli, e ridurre quel ragazzo a uno spezzatino. Poi però ci aveva ripensato. La cosa più importante da fare era fare un bel discorsetto a sua figlia. Che non doveva fare la puttana. Così era tornato a casa, aveva costretto sua moglie a prendere due pasticche di sonnifero, e l'aveva messa a letto. E adesso era lì, in cucina, ad aspettare sua figlia.
Henry non era veramente cattivo. Semplicemente non aveva sentimenti. Riusciva solo a provare un senso di rabbia, costante, che a volte esplodeva, e quando succedeva era sempre sua figlia a pagarne le conseguenze. Perché lei era l'unica cosa bella della sua vita, l'unica cosa luminosa. Ricordava perfettamente ogni istante della sua vita, da quando era nata. I suoi primi passi, quando aveva cominciato a parlare. La prima volta che aveva detto 'papà'. Il suo primo giorno di scuola, minuscola bambina con la cartella enorme sulle spalle. Lei era la cosa migliore della sua vita, ed era un dovere di padre proteggerla.
Questo era quello che più o meni pensava Henry.
Ed era davvero convinto di essere nel giusto, ed era davvero convinto che un giorno sua figlia l'avrebbe ringraziato. Così rimaneva fermo, seduto in cucina, ad aspettare la figlia.
Quando Charlotte arrivò erano le 6, e tutto si aspettava tranne che trovare suo padre. Perché di solito suo padre arrivava non prima delle 8. E non aveva mai sgarrato. Per questo, quando entrò e lo vide seduto in cucina, con le braccia incrociate e nessuna espressione sul volto, si era sentita gelare il sangue nelle vene. Non perché era truccata, non perché quel vestito non era abbastanza lungo. Ma perché era evidente che era appena rientrata.
E suo padre sapeva.
Per questo era lì.
Che la fissava, senza dire niente.
Charlotte rabbrividì.
Finalmente si decise a parlare.
-Ti sembra questa l'ora di rientrare?- chiese.
Charlotte non disse niente. Allora il padre, vedendo che non rispondeva, esplose. Si alzò di scatto, la prese e la sbatté contro il muro.
-Charlotte, ti ho fatto una domanda! Ti sembra ora di rientrare?- sibilò. -Cosa credi, di poter uscire senza che io me ne accorga? Pensi che non abbia visto?!- adesso gridava. -Ti sbagli, ho visto tutto! Quante volte te l'ho detto che non devi fare la puttana, eh?! Quante volte? Cosa devo fare per farmi ascoltare da te?!- sbraitò, sbattendola ripetutamente contro il muro.
Charlotte allora cominciò a piangere.
E vedendola piangere, suo padre si sentì in colpa. Perchè era la prima volta che Charlotte piangeva davanti a lui. Ma poi glitornò in mente quello che aveva appena visto, e la scena di sua figlia fra le braccia di quel ragazzo.
Henry sapeva cosa fare. Forse era in ritardo, forse avrebbe dovuto farlo anni prima...ma era necessario comunque. Doveva fare in modo che quella scena non si ripetesse, doveva sradicare da sua figlia qualsiasi desiderio di avvicinarsi nuovamente ad un ragazzo. E quello era l'unico modo. Così la prese per le spalle, la fece sdraiare per terra e si mise a cavalcioni sopra di lei, slacciandosi la cintura. E Charlotte lentamente si rendeva conto di quello che stava per succedere. E provava un grande senso di ribellione, di schifo. Quella era una cosa che non andava via, non sbiadiva come i lividi. Non te lo potevi dimenticare mai. Una volta era venuta a scuola sua una donna. Avrà avuto circa trent'anni, e a ventidue era stata violentata da un suo ex. Aveva raccontato alla classe la sua esperienza, faceva parte di una campagna di sensibilizzazione contro la violenza alle donne. E Charlotte la ricordava ancora. Di solito se ne fregava altamente di quello che facevano a scuola, ma quella lezione le era rimasta impressa nella mente in maniera indelebile. La donna aveva fatto fatica a parlare davanti a tutta la classe, nel silenzio più assoluto. Le tremavano le mani, e teneva sempre gli occhi bassi. Charlotte in quel momento, con suo padre sopra di lei, riuscì solo a pensare che non voleva, davvero non voleva diventare così. Lo pensò con tutte le sue forze. Ma fu solo un attimo. Poi suo padre la penetrò, e lei provò dolore, un dolore fisico lancinante, peggiore delle botte, peggiore di qualsiasi cosa. Però non rimase impassibile. Continuò a piangere, e a gridare, per cercare di non sentire. Ma questo non lo fermò, non gli impedì di continuare. E mentre lui continuava a spingere, sempre più forte, lei pensò a Bill. Era tutta colpa sua. Se non l'avesse invitata ad uscire, se non l'avesse abbracciata. Se lei non avesse accettato. Ma come poteva saperlo? No,non era colpa di nessuno, se non di suo padre. Ma forse, nel profondo, non era neanche colpa sua. Forse non è colpa di nessuno, o forse di tutti...o forse semplicemente di quel dio che lei era costretta a pregare ogni domenica, in chiesa. Ma in quel momento, sdraiata sotto suo padre che continuava a spingere, Charlotte era sicura di una sola cosa. Che da quel momento in poi avrebbe odiato tutto e tutti, costantemente, finchè non sarebbe invecchiata e non sarebbe morta. Perchè come fai ad amare e sentirti amata in un mondo in cui i padri violentano le figlie e le madri stanno a guardare? In quel momento, da qualche parte là fuori, una coppia di ventenni stava litigando forte, e loro figlio piangeva, non sentito da nessuno. Un bambino era appena morto per un errore di un medico. Una ragazza tale e quale a lei era chiusa in bagno con la lametta, e stava seriamente pensando al suicidio, e un ladro aveva appena spaccato la testa a una vecchietta, nel corso di una rapina finita male. Come si fa a vivere in un mondo così? Charlotte aveva paura che, dopo quel gesto, anche quel minuscolo calore, anche quella piccola fiamma che Bill era riuscito ad accendere dentro di lei, si sarebbe spenta per sempre.
  
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