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Autore: Maracuja    13/02/2013    5 recensioni
Sasuke, Sakura e Hinata frequentano un collegio per studenti dotati. Il nuovo arrivato, Naruto, sembra essere un attaccabrighe; infatti gli bastano poche settimane per mettersi contro i ragazzi più forti dell'istituto. Su di lui si vociferano tante cose, ma nessuno ha capito il vero motivo per cui sia finito in quella scuola.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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La scheda scolastica di Naruto riportava le voci: “resilienza, intelligenza sociale, rapidità di apprendimento e di reazione”, termini specifici e sicuramente più appropriati di quelli con i quali era solito descriversi lui, ma mancava dell'unica dote che si riconosceva davvero: l'intuitività. Certo, non la applicava a tutti i campi dello scibile, ma se la cavava discretamente con le persone. Per esempio quando aveva conosciuto Sakura aveva capito che non era realmente interessata a lui, ma cercava una scusa per presentargli la sua amica Hinata che, al contrario, sembrava sinceramente intenzionata a parlargli. Poi aveva visto Sasuke, e la sua capacità cognitiva era di colpo svanita. Il fisico slanciato era sottolineato dal portamento dritto, quasi orgoglioso, il viso pallido e dai lineamenti morbidi, incorniciato da ciocche corvine, sembrava fatto per essere preso tra le mani. I pollici si sarebbero mossi impulsivamente ad accarezzare quegli zigomi poco pronunciati, le labbra ne avrebbero sfiorato la mascella, la fronte e il mento. Aveva visto tutte queste immagini in successione come uno sfondo alle pozze illuni al centro del suo viso: era bastato uno sguardo ai suoi occhi per capire quanto uno come lui non potesse essere trascurabile. Doveva essere sveglio, intelligente, diffidente e forte, la loro profondità diceva questo. Il taglio così tipicamente orientale, la piega delle sopracciglia, l'increspatura delle palpebre: erano tutti dettagli che era riuscito a notare e memorizzare, tanto che al loro successivo incontro gli sembravano già familiari.

Anche in quel momento, mentre lo guardava pescare un onigiri con le bacchette e portarselo alla bocca, prestava attenzione al modo in cui socchiudeva le palpebre appesantite dalla stanchezza e le sbatteva a intervalli frequenti per schermare gli occhi dalla luce insistente che filtrava dalle vetrate.
Era stato attento a non mostrare alcun segno di interesse, evitarlo quando più iniziava ad attrarlo, e alla fine tutto questo li aveva involontariamente uniti, come un elastico tirato fino all'estremo. Naruto era fatto così: se una persona gli era indifferente non aveva problemi a parlarci, ma quando provava davvero il desiderio di conoscerla finiva per ignorarla totalmente. Con Sasuke si era costretto a cambiare atteggiamento, alla fine; dopotutto era cresciuto, se avesse continuato a comportarsi come un bambino avrebbe avuto ancora meno possibilità di piacergli.

Gettò la scatola di ramen vuota in un cestino mentre si alzava dalla sedia, si congedava dai suoi amici e si dirigeva verso il tavolo appartato a cui Sasuke mangiava da solo, la testa china su un libro di fisica.

«Ehi, teme!» lo salutò. «Come mai mangi da solo?».

«Lo faccio tutti i giorni» rispose atono rivolgendogli un'occhiata fugace prima di tornare alla sua lettura.

«Davvero?».

Naruto girò una sedia in modo da poterci salire cavalcioni, le braccia incrociate sulla spalliera.

«Non sai che mangiare da soli rallenta il metabolismo?».

Sasuke alzò nuovamente gli occhi dal libro e li fissò in quelli di Naruto con un sopracciglio inarcato.

«Te lo sei inventato» sentenziò.

«Forse, ma questo non significa che non sia vero».

«E va bene, signor filosofo» chiuse il libro e incrociò le braccia sul tavolo. «Se non ci tieni a passare gli esami di fine trimestre non sono affari miei, ma di sicuro la tua compagnia rallenta il mio studio dei modelli di gravitazione, quindi, se non hai niente in contrario...».

Raccolse libro, tracolla e l'ultimo onigiri rimasto nella scatola e fece per andarsene quando Naruto scattò in piedi e gli afferrò un polso. Sasuke si voltò con un'ombra di sorriso che, tuttavia, fu certo di non avere immaginato.

«L'esame è il mese prossimo. Si vede che sei stanco, vieni a fare un giro» scrollò le spalle e terminò la frase col tono di voce più convincente che riuscì a trovare, concentrandosi per non incrociare istintivamente le dita.

«Un giro?» ghignò. «Parli proprio come una matricola».

«E allora? Cosa dovrei dire, “vieni a giocare a tennis”?; “andiamo in camera mia”?» si alterò gesticolando con la mano libera.

«Vuoi invitarmi in camera tua?».

Naruto avvampò e si affrettò a lasciargli il polso.

«Era tanto per dire... non era un invito».

Gli lanciò un'occhiata e vide il suo sorriso allargarsi sadicamente.

«Perché?» aggiunse. «Ci verresti?».

Sasuke scrollò le spalle e spostò il peso della tracolla da un braccio all'altro.

«Sei uno che arriva subito al dunque, eh?».

«Cosa? Ma che hai capito? Io non-» fu interrotto dalla sua risata.

«Stavo scherzando, dobe».

«Beh, non l'ho capita» si imbronciò. «Comunque se preferisci studiare piuttosto che-».

«Ci vengo».

Naruto lo fissò strabuzzando gli occhi, confuso.

«Dove?».

«A fare un giro, in camera tua... dove ti pare».

Il cuore iniziò a martellare, lo stomaco si contorse e il cervello si spense.

«Ah...».

«Non pensare male» precisò distogliendo lo sguardo. «E' che ormai non sono più concentrato, tanto vale cambiare aria per un po'».

Naruto annuì spasmodicamente.

«Non stavo pensando male».

«Bene».

«Allora?».

«Cosa?».

«Andiamo o no?».

«Ah, sì, certo!».

Naruto superò Sasuke con le mani in tasca e lo condusse lentamente fuori dalla sala, verso il cortile che il freddo aveva reso inagibile. Le fronde degli alberi erano immobili, si stagliavano su uno sfondo quasi bianco, velato da qualche nuvola evanescente. La brina sull'erba corta l'aveva resa rigida e opaca e sul ciottolato piatto che conduceva al cancello c'erano ancora i residui dell'ultima neve, ma il clima invernale non toglieva nulla alla luminosità caratteristica del posto.

«Quasi non me n'ero accorto...» Naruto si girò verso di lui e sorrise del suo sorriso allegro, quello più largo. «Tra poche settimane è Natale».

«E' vero» commentò lui con un sospiro. «E' difficile ricordarsene qui dentro, non ci sono case in questa zona della città e non si vedono le luci».

«Vuoi dire che non addobbano l'accademia?» si rabbuiò. «Ci sono almeno tre pini in cortile, sarebbe un peccato lasciarli spogli».

Sasuke scrollò le spalle.

«E' la politica del Katatsumuri, le uniche feste riconosciute sono lo Shōgatsu e l'Obon*. Se vuoi puoi sempre addobbare la tua stanza, tanto sei da solo, no?».

Naruto annuì senza cambiare espressione.

«Stavo pensando...» attaccò.

«Cosa?».

«Tu condividi la stanza con qualcuno?».

«Con Shikamaru, perché?».

«Ah... beh, niente è che, sai... niente».

Sasuke smise di camminare e si fermò davanti al muretto sul quale era accovacciato all'arrivo di Naruto in collegio, mentre l'altro proseguì di qualche passo.

«Non è una buona idea» sentenziò.

«Cosa?» Naruto si voltò verso di lui con espressione sorpresa.

«Condividere una stanza. Non ne verrebbe fuori niente di buono».

«Perché dici così?».

Gli lanciò un'occhiata indecifrabile e saltò appoggiando le mani sul muretto per sedercisi.

«Con Shikamaru funziona bene perché entrambi stiamo bene da soli. Lui frequenta per lo più lezioni notturne e io quelle pomeridiane, non ci sentiamo in dovere di conversare e ognuno pensa ai fatti propri. Con te una cosa del genere non sarebbe possibile».

«Beh, ma così è come vivere da soli, no? E poi non mi sembri così solitario. Adesso, per esempio, sei con me».

«Con te è un altro discorso» alzò gli occhi al cielo. «Dirti di starmi alla larga è come parlare a un muro, vivere insieme sarebbe una tortura».

«Ehi! Se non ti piaccio puoi sempre tornare nella tua stanza a studiare quello stupido libro, non che mi importi» borbottò offeso.

Scrollò le spalle, infilò le mani in tasca e fece per andare, rallentando il passo nell'accorgersi che Sasuke non faceva niente per fermarlo. Alla fine del viale si fermò, incrociò le braccia e tornò sui suoi passi, stizzito.

«Ecco quello che intendevo» sospirò Sasuke quando lo spinse bruscamente per avere posto sul muretto accanto a lui. «Sei un rompiscatole».

«Puoi dire quello che vuoi, ma sei tu ad avere iniziato».

«Io?».

«“Non ignorarmi, Naruto, non sono invisibile!”» lo scimmiottò.

Sasuke avvampò di rabbia e sgranò gli occhi.

«Non ho mai detto niente del genere, razza di-!».

«Davvero? A me sembra di sì».

«Stai per prenderle!».

«Dovevi vedere la tua faccia quando sei venuto a parlarmi, Tenten mi ha chiamato e me ne sono andato lasciandoti lì come un imbe-».

Un pugno, secco, sul naso. Naruto impiegò una manciata di secondi prima di rendersi conto di cosa fosse successo, la schiena sul terreno freddo e le mani, schiacciate contro il viso, bagnate di un liquido vischioso. Strabuzzò gli occhi e si tastò la parte dolente, la vista ancora annebbiata.

«Ma sei scemo? Mi hai rotto il naso, brutto stronzo!» inveì, la voce storpiata dalla mano che gli copriva la bocca.

«Non esagerare» rispose lui con voce pacata saltando giù dal muretto. «Te la sei cercata».

«Ma io ti ammazzo! Vieni qui, dove stai andando, Sasuke?» urlò tentando di rimettersi in piedi.

«A studiare» rispose senza voltarsi.

«No, non abbiamo finito!».

Gli afferrò una spalla e, prima che potesse accorgersene, finì nuovamente a terra con un braccio bloccato dietro la schiena e la testa premuta verso il basso.

«Non fare il bullo con me, Naruto».

«Io non sto facendo proprio niente, lasciami andare!» gemette.

Il braccio gli faceva male, tanto da avere le lacrime agli occhi, e non riusciva a pensare a nessun modo per reagire. I pensieri si erano congelati come le foglie secche ancora sparse sul terreno, l'istinto di rispondere con la violenza si era presentato, aveva preso il the e se n'era andato e, in ogni caso, dubitava di poter sopraffare Sasuke in quella posizione.
Gli era capitato più volte di attaccare briga con ragazzi appena conosciuti, giusto per testare i propri limiti, e aveva sempre messo a segno qualche calcio, ma perfino durante gli allenamenti di ninjutsu l'unico modo di colpire quel ragazzo era quando era stanco o distratto.
Improvvisamente fu libero.

«Dio, Sasuke, ma cosa ti è preso?» ansimò. «Non ti ho nemmeno sfiorato!»

Non sentendo nessuna risposta, alzò la testa e si guardò intorno per individuare l'altro, ma si accorse che era sparito.

«Sasuke!» chiamò.

Emise un sospiro tremolante e si rimise in piedi massaggiandosi il braccio senza ricevere risposta. Si guardò attorno per l'ultima volta, poi tornò verso l'accademia.

 

Non era raro vedere Sasuke scontrarsi con altri studenti; spesso i più grandi organizzavano veri e propri tornei e si aveva l'occasione di acclamare la sua vittoria o, parimenti, vederlo sconfitto da Gaara dopo una lunga battaglia senza esclusione di colpi. In ogni caso, Sasuke non perdeva mai il controllo.

Poggiò le mani contro la ceramica scivolosa piegando la testa sotto il getto dell'acqua. Era così: lui non perdeva il controllo; era freddo, strategico, perfino nella vita di tutti i giorni. Eppure quell'idiota aveva innescato in lui una sorta di furia omicida, spingendo i limiti della sua pazienza fino all'estremo. Non avrebbe voluto fargli male sul serio, ma per un secondo non era stato in grado di gestire la situazione e si era ritrovato vicino a rompergli un braccio. Poi era arrivato il rimorso, accompagnato dal fedele senso di colpa.

Sentirsi prendere in giro in quel modo gli aveva ricordato Itachi. Non sapeva perché, non c'era nemmeno un collegamento diretto, ma non aveva potuto sopportare il modo in cui si era preso gioco di lui, sbattendogli in faccia la verità. Voleva che Naruto lo notasse, aveva bisogno della sua attenzione, e lui non capiva quanto gli costasse ammetterlo perfino a se stesso.

«Sasuke» chiamò la voce di Shikamaru, ovattata dalla parete.

«Sono sotto la doccia».

«Quello nuovo è fuori dalla stanza e bussa da mezz'ora, lo faccio entrare?».

Sasuke inarcò le sopracciglia e si passò una mano sul viso. Lo aveva seguito fino a lì? Chiuse i rubinetti e si prese qualche secondo prima di rispondere: «Sì, grazie».

Restò in silenzio per avvertire il rumore della porta aprirsi e richiudersi alle spalle del biondo, probabilmente irritato come al solito e pronto a inveirgli contro. Si legò un asciugamano ai fianchi e ne usò un altro per tamponarsi i capelli alla meno peggio, poi uscì dal bagno.

«Sasuke dobbiamo pa...».

La voce di Naruto si estinse e i suoi occhi si fermarono a fissare la sua figura, la bocca semiaperta.

«Naruto?» lo richiamò lui.

«Sei nudo» osservò con voce atona.

«No, ho un asciugamano. Comunque, cosa vuoi?».

«Non posso parlarne mentre sei nudo» ribattè con una punta di isteria nella voce.

Shikamaru, che stava assistendo alla scena dal proprio letto, sbuffò,si alzò e raggiunse l'altro capo della stanza trascinando i piedi.

«Ok, io me ne vado, ci si vede» chiuse la porta dietro di sé con uno scatto.

Sasuke sbuffò a sua volta.

«Vado a mettermi addosso qualcosa, tu intanto parla».

Ripescò una maglietta e un paio di pantaloni dalla cassettiera in comune con Shikamaru, prese un paio di boxer e si richiuse in bagno.

«Penso che tu mi debba delle scuse» snocciolò Naruto, ancora rosso in viso per lo spettacolo a cui aveva appena assistito.

«Mi sembra che tu stia bene» rispose quello in tono annoiato.

«Come sarebbe? Mi hai quasi staccato un braccio, e il naso mi fa ancora male!» si infervorò.

«Non sei conciato così male, poteva andarti peggio».

«Già, potevi uccidermi! Mi spieghi cosa ti è preso?».

La porta del bagno si riaprì e ne uscì Sasuke, vestito e con un asciugamano sulle spalle.

«Mi dispiace, Naruto» scandì guardandolo negli occhi. «Ora, ti serve altro?».

Naruto sembrava spiazzato.

«Quelle non erano scuse sincere» biascicò. «Se non hai intenzione di darmi una spiegazione, tanto vale che me ne vada».

«Sei arrabbiato perché non sei riuscito a colpirmi, non vuoi le mie scuse».

Naruto boccheggiò, poi tornò sui propri passi, raggiungendo la porta e sbattendola nell'uscire dalla stanza. Sasuke contò fino a dieci, poi fino a trenta, ma Naruto non tornò.

 

Due giorni prima di Natale, nonostante la politica della scuola fosse rimasta invariata, alcuni insegnanti accompagnarono gli studenti in centro perché potessero fare acquisti. Sakura aveva seguito Sasuke in una bottega che vendeva cianfrusaglie, mentre avevano perso di vista Hinata poco dopo essere giunti a destinazione. Al ritorno sul bus, Ino raccontò loro che l'aveva colta nel mezzo di una dichiarazione balbettante a Naruto, ma non fece in tempo a rivelare i dettagli che Sakura si era fiondata a cercare l'amica per ricevere un resoconto completo. Sasuke, dal canto suo, preferì non indagare oltre e si isolò dal gruppo, prendendo a scribacchiare sul quaderno degli appunti di storia.

Non si erano più rivolti parola dal giorno in cui Naruto era uscito dalla sua stanza, nemmeno per salutarsi. Il senso di colpa aveva perseguitato Sasuke al punto che si era deciso ad andare da lui, al rientro dalla gita, e parlargli, forse perfino scusarsi in modo più personale, ma la voglia di vederlo era scemata e, ora, solo il pensiero del ragazzo gli faceva venire voglia di rinchiudersi in palestra con un sacco da boxe e non uscirne più.

«Tu e Naruto avete litigato?» gli chiese Gaara davanti al cancello dell'accademia.

«Più o meno».

«E' un peccato, sembravate andare d'accordo».

«Già».

Si congedarono con un saluto piuttosto formale, poi Gaara si spostò all'interno assieme agli altri ragazzi e Sasuke restò fuori a guardarli, una mano all'interno della tracolla a tastare la consistenza ruvida del pacchetto di carta acquistato in città. L'aveva preso alla bottega delle cianfrusaglie stando ben attento a non farsi vedere da Sakura: nonostante non gli importasse un granché di ciò che pensava di lui, non voleva che si facesse idee strane.
Il cielo si era oscurato e gli alberi, coperti da un nuovo carico di neve, sembravano grandi figure infagottate. Quando il cancello si chiuse per il coprifuoco, Sasuke rientrò, diretto alla propria stanza, ma si rese conto di averla oltrepassata solo quando si trovò davanti a quella di Naruto. Non sapeva se credere in una coincidenza o se pensare che il destino volesse, in qualche modo, mettere mano in quella faccenda, ma fino a pochi minuti prima, se gli avessero chiesto di raggiungere quella camera, non avrebbe saputo da che parte andare. E invece eccola, quella targhetta sgargiante. Riportava la scritta “Uzumaki Naruto” in caratteri occidentali, diversamente dalla propria, scritta in kanji a causa della normativa ancora presente al suo arrivo in accademia.

Temporeggiò sulla soglia, ascoltando il rumore della televisione proveniente dalla stanza e tastando il pacchetto di carta nella propria borsa, poi prese coraggio e bussò due volte. Un paio di secondi dopo smise di avvertire i suoni e sentì solo una sequenza di passi che si avvicinavano. Si scansò dallo spioncino in un moto istintivo, ancora indeciso se affrontare la situazione o tornarsene nella propria stanza a fingere di studiare per gli esami incombenti.

«Sasuke?» chiamò lui un attimo prima di fare scattare la serratura e aprire la porta. «Ho indovinato» mormorò squadrandolo da capo a piedi.

«Già».

«Cosa vuoi?».

«Beh...» lasciò andare il pacchetto ed estrasse la mano dalla tracolla per lasciarla scivolare in una tasca dei jeans. «Posso entrare?».

Naruto sembrò ponderare le possibilità prima di farsi da parte per lasciarlo passare, accompagnandolo con un'occhiata truce.

«Allora?» sbottò una volta richiusa la porta. «Hai qualcosa da dirmi?».

Sasuke sospirò; poggiò la tracolla sul pavimento, si slacciò il cappotto e si guardò attorno con aria interessata prima di parlare senza smettere di guardare da una parte all'altra del soffitto.

«E' una bella stanza» disse. «Un po' disordinata».

«Sì, beh, comunque non mi hai risposto».

Senza aver ricevuto un invito, Sasuke poggiò il cappotto sulla spalliera di una sedia e si accomodò. Era lo stesso genere di stanza spartana che ogni studente possedeva, ma qualcosa nel modo in cui Naruto si era sistemato la faceva sembrare più sua di quanto non lo fosse mai stata la propria per Sasuke. C'era una pila di libri accademici sulla sedia non occupata da lui, il tavolo era sormontato da fogli e involucri di cibo, in un angolo del pavimento giacevano stipate almeno tre paia di scarpe e una sottile riga scura sul muro testimoniava le difficoltà riscontrate nello spostare in quella piccola camera il letto sfatto.

«Volevo darti una cosa» mormorò senza staccare gli occhi dal televisore spento.

«Davvero?».

Sasuke si alzò stancamente dalla sedia e mise una mano nella borsa per estrarne il pacchetto accartocciato e porgerglielo, guardandolo negli occhi per la prima volta da giorni.

«E' un regalo».

Naruto lo guardò come se si fosse trattato di una bomba prima di allungare una mano e afferrarlo cautamente.

«Che cos'è?».

«Aprilo» lo esortò.

Lo vide scostare i lembi con esasperante lentezza ed estrarre dalla carta un albero di Natale delle dimensioni di una tazza.

«Questo è... il regalo più strano che mi abbiano mai fatto» disse senza fare una piega.

Sasuke si morse l'interno di una guancia.

«Mi dispiace, non potevo regalartene uno vero, per cui ho pensato che sarebbe sta-».

«E' bellissimo» si aprì in un sorriso a trentadue denti. «E poi, dato che questo è l'unico regalo che abbia mai ricevuto, è anche il più normale».

«Ah... bene, allora... bene» balbettò.

«Bene».

Il silenzio tornò a fare capolino tra di loro, seguito dall'imbarazzo e dal sollievo. Le scuse che Sasuke avrebbe voluto porgli sembravano formularsi nella quiete, ma sapeva che pronunciarle avrebbe avuto un significato differente.

«Scusa per...» iniziò, indeciso sulla vera ragione per cui scusarsi. «...tutto».

Non lo aveva guardato negli occhi, sapeva che non sarebbe riuscito a farlo in quel momento.

«Nah, in effetti avevi ragione» rispose lui con un nuovo sorriso, e si allungò sulle punte dei piedi per poggiare l'alberello su una mensola, in bella vista. «Non volevo delle scuse».

Sasuke scrollò le spalle e sospirò, rassegnato.

«Come vuoi».

«Comunque l'ho capito, sai?».

«Capito cosa?» alzò gli occhi su di lui, sbigottito.

«Il motivo per cui ti comporti in modo strano con me» spiegò. «Insomma, sembri bipolare».

«Ah... sentiamo».

«Hai paura che la gente inizi a considerarmi più figo di te» gongolò.

«Sei totalmente fuori strada» rispose lui chiudendo gli occhi, le mani sulle tempie.

«Invece è così, è inutile che provi a negarlo. Forse una volta questo è stato il regno di Sasuke, ma ora è arrivato Naruto e nessuno ti si fila più» snocciolò con aria saccente.

«Naruto...» si avvicinò a lui.

«No, ok, ok, sei più figo tu, non picchiarmi di nuovo!».

Sasuke si accosto al biondo e gli afferrò gentilmente i polsi, spostandogli le braccia che aveva posto a difesa del proprio viso lungo i fianchi, per poi lasciarglieli e sospingerlo contro una parete, una mano sul suo fianco, l'altra sulla nuca. Il ragazzo lo guardava con occhi spalancati, la bocca socchiusa in un invito che Sasuke non poté ignorare. Avvicinò il viso al suo fino a lasciare che i respiri si mescolassero e le labbra collidessero nell'accenno di un bacio che non attese a proseguire, suggendogli il labbro inferiore e inebriandosi della sensazione così familiare, eppure così nuova, che quel semplice contatto gli donava. Lasciò scivolare la lingua nella bocca dell'altro e premette di più il proprio corpo contro il suo, mentre la mano aggirava il tessuto della felpa e slittava sulla pelle calda, tastandone la consistenza come poco prima aveva fatto col pacchetto di carta. Un gemito sfuggì dalle labbra di Naruto quando la bocca si spostò sul collo, mordendo e succhiando fino a lasciare un segno rosso.

«Cos'hai detto a Hinata?» gli sussurrò nell'orecchio.

«Cosa?» biascicò, le unghie corte che gli graffiavano la schiena nel tentativo di sfilargli la maglia.

«A Hinata, a Hinata» ripetè come una nenia senza smettere di torturargli il collo. «Stamattina. Cosa le hai risposto?».

«Ah...» sembrò ricordare. «Niente, io... le ho... Sasuke!» ansimò.

Sasuke si liberò dell'indumento e lasciò che cadesse a terra mentre un brivido di eccitazione gli attraversava il corpo. Attraversò la stanza, cercando di evitare cadute inopportune guidandosi con una mano contro il muro, mentre l'altra andava a sbottonare i pantaloni di Naruto.

«Cosa le hai risposto?» insistette.

«Le ho detto che... mi piace... un'altra persona» gemette contro la sua spalla.

Sasuke sorrise e, appena capì di essere giunto a destinazione, lo spinse sul letto, gli sfilò la maglia e perse l'ultimo barlume di lucidità.

«Ti piace un'altra persona?».

«Mi piaci tu».

Non aveva mai desiderato qualcosa quanto in quel momento, in quel luogo, in mezzo a quella ressa di lenzuola e ciocche di capelli che andavano a solleticargli il collo, di scie umide lasciate dalla lingua di Naruto, di gemiti e sussurri spezzati da ansiti. Più volte credette di poter impazzire in mezzo a quel calore soffocante che non avrebbe lasciato per tutto l'oro del mondo, le gambe dell'altro incrociate dietro alla sua schiena, la mano che si chiudeva a pugno tra i suoi capelli per premere quelle labbra contro le proprie ancora e ancora, per quelle che potevano essere state ore.

Si permise di riprendere fiato con la testa di Naruto su una spalla, forse già addormentato, avvolto dal suo calore e dal suo abbraccio, stanco, sudato e completamente appagato. Non riusciva ancora a credere che quello fosse successo a lui, e solo poco prima di cadere tra le braccia di Morfeo realizzò di trovarsi nella stanza di Naruto, tra le sue coperte, nudo, e di avergli appena fatto cose che avrebbe sognato per le prossime dieci vite.

 

Al collegio Katatsumuri il tempo aveva un suo modo di scorrere. La maggior parte degli studenti dormiva lo stretto necessario ad assicurarsi di non svenire durante le lezioni, studiava quotidianamente per superare gli esami trimestrali e ritagliava angoli di tempo da dedicare ad amici e interessi. La scuola era stata istituita dal preside Katsuie, il predecessore di Ishitani, per ospitare le menti più acute del paese, le poche centinaia di studenti in grado di gestire autonomamente un percorso di studi che avrebbe assicurato loro la formazione migliore che potessero desiderare, ma, una volta ammessi, l'aspirazione collettiva era quella di uscirne al più presto per trovare il proprio posto nella società.

Le abilità specifiche degli studenti, così come il profilo psicologico, erano riconosciute e annotate dal preside in persona sulla scheda personale di ognuno e tenevano conto del comportamento generale dell'individuo durante la sua permanenza in accademia; per questo la notizia che Sasuke Uchiha avesse abbandonato la quiete della propria stanza per trasferirsi in quella di Naruto Uzumaki, conosciuto per la sua fama di seccatore e piantagrane, fu accolta con sconcerto.

 

«Adesso mi servirebbe davvero qualche seduta psicologica» ringhiò Sasuke alla vista del caos regnante nella camera, fino a poche ore prima metodicamente ordinata.

«Non ti preoccupare, adesso metto a posto, è che sto scrivendo una tesina!» gli urlò in risposta il suo coinquilino dal bagno.

«Nessuno fa un casino del genere per una tesina, razza di idiota!».

«Beh, io sì. E comunque tu hai un problema serio, sei un maniaco dell'ordine!».

«Sto per lanciarti fuori da questa stanza, per cui vieni qui immediatamente e togli queste cartacce dal mio letto!».

Il ragazzo uscì a passo lento dal bagno e fece una smorfia scocciata.

«Come no?» borbottò, trasferendo i fogli dal letto al tavolo già ingombro.

«Questo non si chiama riordinare, Naruto».

«Adesso non mi va».

Sasuke stava seriamente pensando di picchiarlo quando lui si avvicino, un'espressione lasciva sul volto, gli allacciò le braccia dietro al collo e affondò il viso tra i suoi capelli per leccargli il lobo. Il respiro caldo che si infrangeva ritmicamente sulla sua pelle ridestava gli istinti più primitivi, le braccia erano già andate a stringere i suoi fianchi per avvicinarlo a sé.

«Non puoi sempre fare così» gemette. «Non vale».

Lo sentì sorridere contro il proprio collo.

«E' che, stavo pensando... passiamo troppo tempo vestiti, ultimamente».

«Non mi risulta...».

«Dici? Per sicurezza, magari, potremmo sve-».

«Smettila!» lo spinse via. «Riordina la camera, scrivi la tua tesina e lasciami dormire in pace!».

«Dai, Sasuke, una sveltina!».

«No!».

«Solo per un minuto, davvero!».

«Dio, Naruto, sei un ninfomane! Non riesco nemmeno a studiare in pace che mi salti addosso».

«Oh, stai zitto, se non vai in giro con un telecomando in tasca pare che piaccia anche a te!».

«Non ora».

«Sasuke, è un mio diritto!».

«Non siamo mica sposati».

«Voglio fare sesso!».

«E va bene, ma se tra un'ora verrai di nuovo qui a-».

Naruto non gli lasciò finire la frase che gli prese ad assalto le labbra e indietreggiò verso il letto armeggiando con la sua cintura, tirandolo sopra di sé.

 

La scheda scolastica di Sasuke riportava le voci “capacità strategiche, logistiche e deduttive”, qualità che Naruto non esitava a riconoscergli, ma, a suo parere, avevano tralasciato la voce più importante: era la persona più eccitante del globo.
 

 


*Per chi non lo sapesse, Shōgatsu è il nome giapponese del capodanno, mentre l'Obon è conosciuto in Italia come la festa delle lanterne. 
 

 

Ecco a voi il secondo e conclusivo capitolo di questa storia. Spero vi sia piaciuta tanto da lasciarmi una recesione o, in alternativa, che vi scivolino le mani sulla tastiera e digitiate un commento per errore. 
Alla prossima!

  
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