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Autore: lady hawke    14/02/2013    1 recensioni
Nell'Ungheria del 1300 essere una strega o un mago non è impossibile, ma decisamente complicato. Bisogna nascondersi, fingere di non avere niente a che fare con pratiche considerate demoniace e bisogna farla franca davanti ad Inquisitori e ministri di Dio. Di uno Statuto di Segretezza si continua a parlare, ma niente è stato deciso. In questo clima è cresciuta una bambina che, da adulta, verrà ricordata come Guendalina la Guercia, colei che finì sul rogo ben trentasette volte.
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Note: Sommersa da noiosissima fatti di vita sono scomparsa e desaparecida e me ne vergogno in maniera oscena, ma ieri notte ce l'ho fatta, ho vinto io e il capitolo si è finito! Tra l'altro sto anche cercando di farli un po' più lunghi, sennò non la finiamo davvero più. Ringrazio chiunque legga per la sua stoica pazienza e se volete lasciare un segno del vostro passaggio sarete certamente i benvenuti. Grazie, e non pestatemi XD. La ricostruzione storica, as usual è il più verosimile possibile, in caso di erroracci et similia fatemelo sapere, che mi cospargo il capo di cenere! Per la gioia di tutti, sappiate che Wilhelm è tornato :)


Capitolo diciotto: gattabuia

Le giovani streghe corsero, o per meglio dire fuggirono per i ponti, le strade e i vicoli della capitale. Se avessero conosciuto almeno qualche mago in città avrebbero potuto chiedere aiuto per nascondersi più agilmente, ma erano sole e, a parte l’uso di qualche incantesimo di Disillusione, non avrebbero saputo come difendersi. Guendalina sapeva che gran parte della colpa era sua e che per merito della sua spacconata tutto il porto avrebbe saputo fare una descrizione abbastanza curata di lei; perciò ebbe un’idea.
- Dobbiamo dividerci. – urlò alle sue compagne, mentre lo scalpiccio di molti piedi dietro di loro la rendeva spaventata come mai era stata in vita sua.
- Non ci contare! – le rispose Megarda, ormai con il fiato corto.
- Tanto sono io che ho lanciato l’incantesimo. – le disse Draga. – Siamo tutte nella stessa barca. – determinata a perseverare nella sua condotta, la ragazza si voltò per lanciare uno Stupeficium, sufficiente a disperdere buona parte dei loro inseguitori. L’espediente spaventò molti dei presenti, ma non risolse il problema, perché qualcuno aveva allertato le guardie reali e le aveva messe sulle loro tracce. E così, alla fine, guidate da una folla inferocita, le guardie circondarono tutte e sei le fuggiasche; a loro non rimase altro da fare se non schiacciarsi contro la parete di una casa, ormai senza fiato. Una dozzina di guardie le separava da autentici abitanti di Stoccolma agguerritissimi e pronti ad aggredirle.
- Streghe, a morte!
- Puttane del diavolo!
- Siano messe a morte! Hanno portato i draghi!
Com’era prevedibile, nessuno ebbe compassione di loro, ma presto il vociare confuso fu attenuato da una delle guardie, che prese la parola con fare autoritario: - Siete state pubblicamente accusate di stregoneria, e per questa ragione verrete arrestate per essere sottoposte a giusto processo! – mentre la guardia parlava a voce alta, in modo che tutti la sentissero, le altre si impegnarono a prendere in custodia le ragazze e a legarle. Agnuska, pallida come un cadavere, non si oppose né disse alcunché; Megarda si schiacciò contro il muro nel vano tentativo di scomparire, soffiando come un gatto; Draga e Izabela tirarono, strattonarono e lanciarono insulti alle guardie, senza che la cosa impedisse loro di essere ugualmente legate, anche se Draga si distinse a tal punto a forza di tirare calci che fu strattonata via direttamente per i capelli. Furono però Iwona e Guendalina le più difficili da portar via, perché reagirono come due furie, urlando, ringhiando e ruggendo: non l’ebbero vinta e furono destinate all’ennesima sorte delle compagne. Vennero tutte portate via in mezzo alla folla che faceva ala al loro passaggio sputando o facendosi il segno della croce. Fu un viaggio breve, ma per niente confortante.
Stoccolma era priva di un vero e proprio palazzo di giustizia e, generalmente, i prigionieri in  attesa di giudizio, così come quelli tenuti a scontare lunghe pene, venivano trattenuti all’interno del palazzo reale. Del resto, il re non veniva a conoscenza della maggior parte di loro. Trascinate, spinte e portate quasi di peso, le sei streghe fecero un ben poco onorevole ingresso nel palazzo dal lato ovest, e passando attraverso una serie di cortili di servizio vennero fatte scendere nelle viscere della fortezza.
Le prigioni erano, com’era prevedibile, tutto fuorché piacevoli: buie, umide e sporche. L’aria che vi si respirava era stantia e sapeva di escrementi umani. Percorsero un corridoio buio, male illuminato da alcune torce, inframmezzato da porte di legno con piccole finestrelle ad altezza d’uomo, protette da inferiate. In quei piccoli spazi si erano affacciati gli altri prigionieri della fortezza, intenti a guardare con una certa curiosità i nuovi acquisti; presto si diffuse la voce dell’accusa che aveva portato le ragazze in quel luogo, e allora tornarono gli sputi e gli epiteti volgari: Megarda dovette fare uso di tutta la sua freddezza per non scoppiare a piangere.
Alla fine una porta venne aperta, mostrando una cella vuota e squallida, vennero spinte dentro tutte insieme. Un attimo dopo sentirono alle loro spalle il rumore della serratura che veniva fatta scattare: erano prigioniere.
Si guardarono intorno: un secchio in un angolo, pagliericcio piuttosto vecchio in terra e qualche coperta su una panca. La luce filtrava da una piccola finestra in alto, sulla parete opposta rispetto alla porta, e sbarrata da inferiate.
- Dobbiamo andarcene da qui. – furono le prime parole di Draga, tra tutte, quella che aveva mantenuto più lucidità.
- E come?
- Sveglia, Agnuska! Ti pare saggio rimanere qui? Come se non fossimo in grado di far scattare una serratura!
- Ma se… - Iwona borbottò qualcosa, scambiandosi occhiate con le altre.
- Se cosa? Siamo streghe, fuggiamo di qui! Qualcuna di voi ama così tanto questo posto da volerci rimanere? -  sbottò Draga.
- Ma ragiona, non sapresti che fare una volta aperta quella porta, lo sai anche tu. – Far saltare la serratura sarebbe stato davvero il meno, questo lo sapevano. E una volta fuori? Nessun prigioniero le avrebbe aiutate, anzi, sarebbero stati i primi a dare l’allarme. Com’erano state prese una volta sarebbero state prese una seconda, questo era certo.
- Potrei zittire tutti prigionieri, e spaventare le guardie. Posso farlo! – insistette Draga.
- E allora perché ci hanno preso? – Guendalina non aveva ancora preso la parola, e quando lo fece, lo fece con voce cupa. – A rigor di logica saremmo dovute scappare.
- E’ stato un caso… - insistette Draga, meno convinta.
- No. – di colpo la baldanza, la sicurezza e la convinzione di Guendalina Godefroid erano sparite, rimaste altrove.
- Ma a Durmstrang ci cercheranno. – disse Izabela.
- Sempre che non siano già sulle nostre tracce. – convenne Megarda. – Se c’è qualcuno che può tirarci fuori di qui è Mastro Guinifredo, o qualcuno in sua vece.
- Mio padre mi ucciderà, quando lo verrà a sapere. – sospirò Agnuska.
- Se non lui ci penserà il re, con le nostre accuse si muore. – rispose Draga. – Per questo insisto che dovremmo andarcene adesso. Tenterò anche da sola.
Nella cella calò il silenzio; Draga esclusa, parevano tutte così mortificate e spaventate da non saper reagire.
- Codarde! – sibilò la ragazza dai capelli ricci. Nessuna pensava che avrebbe osato farlo, ma dovettero ricredersi quando fece scattare la porta con un Alohomora. – Chi viene con me? – si voltò un’ultima volta, agguerrita. Iwona, Izabela e Megarda le furono dietro, lasciando Agnuska e Guendalina nella cella, una troppo spaventata per fuggire, l’altra troppo annichilita.
Entrambe, guardandosi negli occhi, si misero ad ascoltare i rumori, confusi, che venivano dall’esterno; i passi delle amiche, le urla dei prigionieri prima e delle guardie poi. Durò per qualche minuto, e poi niente.
- Devono essere fuori, nel cortile. – bisbigliò Agnuska, mentre Guenda annuiva in silenzio. Altre voci indistinguibili e lontane, poi nulla.
- Ci verranno a prendere, dovessero farcela?
- Non lo so, Agnuska. – Draga non era sembrata particolarmente incline alla gentilezza; aveva lanciato loro uno sguardo abbastanza irritato e disgustato, prima di uscire. – Ma è probabile che chiederà aiuto.
- Lo spero.
Passarono quelle che, per Guenda e la sua compare rimasta, sembravano ore. La luce, dalle piccole finestre a bocca di lupo era cambiata: ormai era pomeriggio inoltrato, e il sole faticava ad illuminare. Le ombre si stavano allungando, così come aumentava la paura di Guenda.
All’imbrunire tornarono a sentirsi urla e passi e la cosa preoccupò le due prigioniere: essere donne ed essere in prigione non era notoriamente una buona cosa, ma ebbero i brividi quando sentirono le voci delle compagne, voci incrinate e sofferenti: erano state catturate di nuovo.
Ci fu del trambusto, rumore di colluttazione, tutto coperto dalle voci e dalle grida degli altri prigionieri, poi quattro sagome vennero gettate nella loro cella semibuia come sacchi, prima che la porta venisse sprangata di nuovo.
- Al prossimo tentativo verrete passate con la spada. – disse una guardia, prima di lasciarle.
Agnuska fu la prima a gettarsi vicino a loro, nessuna delle quattro aveva un bell’aspetto; le guardie si erano sentite in diritto di usare maniere più forti, rispetto alla mattina, per riportarle indietro.
Iwona e Megarda erano tremanti ma in salute, mentre Draga era chiusa in un mutismo quasi preoccupante: il suo orgoglio era troppo ferito perché osasse aprire bocca.
- Siamo arrivate fino al cortile esterno. – spiegò Izabela, affranta. – Là eravamo allo scoperto: nessun posto per nascondersi, non avevamo idea di dove andare per riuscire ad uscire, e loro erano troppi, anche per una strega. O per quattro.
- Mi dispiace. – ammise Guendalina.
Rimasero in silenzio, al buio, sedute vicine sul pagliericcio, in attesa che venisse portata loro la cena, o qualcosa di simile. Quando cominciò ad intravedersi uno spicchio di luna in cielo, una guardia portò loro sei ciotole in legno, contenenti una brodaglia tiepida e insapore, che mangiarono grazie a vecchi cucchiai scheggiati. Fu deprimente e umiliante oltre ogni dire, ma nessuna osò fiatare, o lamentarsi.
Alla fine, stanche e provate, le ragazze si avvolsero nelle coperte e, complice l’incantesimo riscaldante che avevano usato, si addormentarono in breve tempo. Tutte tranne due.
- Dispiace anche a me, sai? – bisbigliò Draga, piano, rivolta verso Guendalina, accanto a lei.
- Per cosa?
- Mi spiace di averti dato della vigliacca e di averti lasciato qui con Agnuska, presa dalla mia voglia di fuggire.
- Io speravo riusciste, e che pensaste a come chiamare aiuto anche per noi. – ammise Guendalina.
- L’avrei fatto. Ero arrabbiata con te, ma ti giuro che l’avrei fatto.
Nell’oscurità, Guenda cercò la mano di Draga, e la strinse. – Ci sono andati giù pesanti?
La ragazza dovette attendere per un bel po’ una risposta, e finì per temere di non riceverne alcuna.
- Puoi immaginare. Minacce, per lo più. – disse infine Draga.
- Iwona zoppicava, l’ho vista io. – insistette, con voce preoccupata. – E tu non hai parlato per ore.
- Il mio è orgoglio ferito, davvero. Nessuna si è presa più di qualche schiaffo. Tutto sommato hanno paura, di noi.
- Non saremmo mai dovute partire.
- Troppo tardi per pensarci, Guenda. Vedremo come andrà.
Nessuna vide le lacrime dell’altra, o sentì singhiozzi, ma entrambe si ritrovarono a tirare su con il naso più di una volta, prima di addormentarsi. La loro unica speranza era che qualcuno, da fuori, si accorgesse della loro assenza.
 
                                                               ***
 
E qualcuno, in effetti, le aveva scorte. Maria, la vecchia compagna di scuola di Hilda, la Nata Babbana, si era ormai trasferita da qualche tempo a Stoccolma, perché aveva sempre sopportato a fatica i piccoli orizzonti di Lulea, dov’era stata cresciuta, dopo il suo arrivo a Durmstrang, e dopo il convento. Era stata avvertita del tafferuglio da una passante, e aveva intravisto Guendalina giusto un momento prima che venisse trascinata via dalle guardie. Allarmata, senza nemmeno chiedersi cosa ci facesse la sorella di Hilda in quel pasticcio, scrisse alla sua amica un messaggio quasi telegrafico, ma chiaro. Poi, si precipitò al palazzo di Ser Wilhelm.
Di norma una semplice sarta come lei non sarebbe stata ricevuta nella bella dimora di un signore che possedeva terre e beni, ma i maghi erano bravi a mettere da parte le convenzioni, soprattutto nei casi di emergenza.
Affrettandosi il più possibile, Maria raggiunse la dimora del mago nel primo pomeriggio.
La casa era, all’apparenza, molto anonima; identica a quella di un qualunque borghese abbastanza ricco da potersi permettere qualche lusso. Re Alberto non permetteva ai suoi nobili  di possedere immobili troppo sfarzosi in città, perciò chi non voleva guai doveva adeguarsi.
Maria bussò al portone sul retro, l’ingresso esclusivo per gli ospiti con poteri magici, e attese che qualcuno venisse ad aprire. Seminascosto dall’oscurità comparve un piccolo Elfo Domestico molto guardingo, che la fissò con aria ostile.
- Ho bisogno di parlare con il tuo padrone. Oggi sono state arrestate delle streghe, streghe vere. – aggiunse, parlando con tono concitato.
Inchinandosi leggermente, l’Elfo si scostò per farla entrare, e richiuse subito la porta. Maria si guardò intorno smarrita in quell’ingresso buio e spoglio.
- La strega deve seguire Crispin e attendere fuori. Al padrone non piacciono gli ospiti inattesi.
- E sia. – docilmente, Maria seguì la creatura su per le scale, ritrovandosi di colpo inondata dalla luce che filtrava dalle finestra a losanga del piccolo loggiato chiuso che presto si trovò ad attraversare.
- Dovete attendere. – disse ad un certo punto Crispin con aria decisamente pomposa, prima di bussare ad una porta in fondo al corridoio.
Maria attese con pazienza, e quando l’Elfo si ripresentò per chiamarla, vi furono altre scale, altri corridoi e altri passaggi. Alla fine, fu condotta alla presenza del cavaliere.
L’accolse in uno studiolo piccolo, le cui pareti erano coperte da arazzi magici con una piccola scrivania e un piccolo camino incastonato in un angolo. Maria si guardò intorno con aria intimidita, aspettando che fosse il padrone di casa, in piedi davanti a lei, a rompere questo silenzio.
- Vi chiedo scusa per l’accoglienza in questa stanza, inadatta a ricevere ospiti, ma di rado ricevo visite inattese. – disse, con un lievissimo fastidio nella voce.
Imbarazzata, Maria fece una piccola reverenza. – Mi scuso, ser Wilhelm, ma sono qui per parlarvi con urgenza.
- Sì, è quello che Crispin ha lasciato intendere. Avanti dunque.
Benchè fossero più o meno coetanei, Maria provò un’incredibile soggezione a conferire con quell’uomo, come se l’insicurezza dei suoi undici anni non l’avesse mai lasciata. Trasse un profondo respiro, e parlò. – Immagino abbiate sentito dell’arresto delle streghe di oggi.
- Sì, e non ne sono sorpreso. Di questi tempi tutti cercano facili vittime.
- Ho ragione di credere che si tratti di vere streghe. Una di sicuro lo è. Un’ungherese, una giovane studentessa di Durmstrang, non deve avere che sedici o diciassette anni.
- Una studentessa della scuola di magia? – Wilhelm invitò la sua ospite a sedersi con un gesto della mano, mentre lui assumeva un’espressione molto sorpresa. – Guinifredo aveva sospeso il viaggio a Stoccolma.
- Qualcuna deve aver pensato di non dare retta al Gran Maestro. – commentò Maria. – E’ probabile che si siano messe in un mare di guai. Io ho scritto alla sorella di Guendalina, ma dall’Ungheria non potranno fare nulla e non sapevo se avvisare Durmstrang. Sono molto giovani e di sicuro impreparate a quello che potrebbe accadere loro.
- Ma come possono essere arrivate qui? Possibile che da Durmstrang non si siano accorti dell’assenza di alcune streghe? – Wilhelm si avvicinò al camino, dando le spalle alla strega. I personaggi sugli arazzi borbottarono confusamente.
- Devono aver approfittato della sospensione delle lezioni. Nessun appello e nessun controllo, lo sapete quanto me.
- Già… - Wilhelm si voltò di nuovo verso Maria. – Quante ragazze?
- Io ne ho contate sei, ma non posso garantire che siano tutte streghe. – Maria si morse il labbro. – Pensate di riuscire a fare qualcosa? Mi scuso di essere piombata così a casa vostra, ma siete una delle personalità più esponenti in città e confidavo su di voi.
Ser Wilhelm sorrise con aria stanca: era ancora provato dalle sue ultime battaglie, e avrebbe di certo preferito evitarsi una grana del genere. – No, avete fatto bene. Non potrò fare nulla prima di domani, quando potrò forse chiedere di poter vedere le streghe in questione. Scriverò io a Mastro Guinifredo, spiegando la situazione, voi avete svolto degnamente il vostro compito.
Maria sorrise. – Posso domandarvi un’altra cortesia?
- Quale?
- Vorrei essere tenuta al corrente dello svolgersi della faccenda, per poter avvisare la mia amica ungherese. Può darsi che voglia giungere a Stoccolma, ma non vorrei stesse troppo in pensiero.
Il volto del cavaliere si rilassò, mentre andava a sedersi dietro al suo tavolo, in modo da poter guardare negli occhi Maria. – Certamente. Mi auguro che troveremo il modo di salvare quelle ragazze, anche se ci sarà il processo, e conseguentemente, il rogo.
Di colpo il volto di Maria si incupì. – Nessuna possibilità di dichiararle innocenti?
- Quasi nessuna, a meno di non voler far nascere sospetti su di me, sull’intera comunità. Non è questo che desidero, e inoltre, anche il rogo, sapete, è un problema che si può aggirare.
- Ma le giovani ne saranno in grado?
- Farò in modo che sopportino le conseguenze delle loro azioni senza trarne troppi danni. Avete la mia parole di cavaliere.
Maria ringraziò e si congedò da ser Wilhelm. Fuori, per le strade, non si fece altro che parlare degli avvenimenti della mattina, e ancora di più si parlò quando iniziò a circolare la voce che alcune prigioniere avevano tentato la fuga, arrivando quasi a raggiungere la cinta esterna delle mura, prima di essere riacciuffate. La strega rumena, una volta considerata maledetta dai suoi genitori, al punto di volerla abbandonare, rientrò nella bottega in cui lavorava e si mise a cucire con aria cupa.
- Che fine avevi fatto? – le chiese la corpulenta proprietaria.
- Ero andata a sentire qualcosa sulle prigioniere.
- Quelle brutte streghe? Ah! Spero che le brucino come un bell’arrosto, non si meritano nient’alto, credi a me, Maria!
Maria sospirò, e iniziò a pregare per Wilhelm e Guendalina.
 
 
 
 


  
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