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Autore: Clahp    16/02/2013    3 recensioni
Ma il Commissario batté sonoramente un pugno sul rozzo tavolino su cui era poggiata l’abat-jour e per la prima volta da parecchi giorni perse la pazienza.
«Mi state dicendo» urlò «che voi tre non conoscete Temari Sabaku No?!»
Calò il silenzio. E poi…
«Mai sentita» rispose il primo.
«Confermo» replicò il secondo.
«Non ho minimamente idea di chi sia ‘sta qui, ma sarà una grossa seccatura» finì l’ultimo, sbadigliando ancora.

[ShikaTema, in onore dello ShikaTemaDay]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kankuro, Naruto Uzumaki, Sabaku no Gaara , Sasuke Uchiha, Shikamaru Nara | Coppie: Shikamaru/Temari
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 4

 

 

Capitolo 4

 

Maschere, stereotipi

 

 

 

 

Ogni uomo mente,

ma dategli una maschera

e sarà sincero.

[ Oscar Wilde ]

 

 

 

 

 

 

 

Non appena Sasuke Uchiha finì la sua (inutile) testimonianza, le teste dei due si girarono, lentamente, verso il diretto interessato; e, per la quarta volta in quella dannatissima giornata, quattro paia di occhi lo osservarono fisso.

«Be’, signor Nara… a quanto pare, ora tocca a lei… e se i suoi due amici non hanno avuto nulla da dirci, be’, magari con lei la storia sarà diversa…»

Ok, è fatta: fu questo il primo pensiero del commissario Sabaku no, seduto dietro la sua amata e vecchia abat-jour, che tante volte quel pomeriggio aveva scosso. La verità non si celava dietro il cretino esagitato, né dietro la statua di marmo… no, la verità si celava dietro quel tizio apatico che non aveva detto una parola durante tutte quelle ore, ma che si era limitato a sbadigliare in continuazione e a stare stravaccato sulla propria sedia. Sì, sì… era così…. Il nemico era lui, lui…

Il nemico in questione reclinò il capo all’indietro e diede un sonoro sbadiglio.

«Che palle. Io ve l’ho detto, ve l’ho detto» si massaggiò per un attimo gli occhi piccoli, pieni di sonno «io vostra sorella non l’ho mai sentita.»

Ma i due non parevano demordere, no.

«Non sprechi il fiato. Ci racconti, per iniziare, di come ha incontrato questa Sakura Haruno di cui ha parlato prima.» disse Gaara, tranquillo. Kankuro, al suo fianco, stava tamburellando le dita al tavolo.

L’atmosfera si fece tesa; Shikamaru si mordicchiò leggermente un labbro. Naruto, alla sua sinistra oltre Sasuke, si sporse in avanti e sibilò:

«Sì, Shikamaru, dicci un po’ come hai incontrato Sakura!»

Nara si sgranchì le ossa del collo, lentamente, e sempre lentamente, sbadigliò.

 

 

 

 

 

 

*°*

 

 

 

[ Quel maledetto giorno ]

 

 

 

 

Che palle.

Era questo ciò che il geniale Shikamaru Nara stava pensando più o meno dall’inizio della giornata. Si era svegliato presto perché doveva andare a lavorare; a pranzo non aveva mangiato perché stava fin troppo bene dietro il suo amato computer; nel primo pomeriggio aveva dovuto assistere a quella noiosissima cerimonia chiamata matrimonio… e ora era davanti all’ennesimo dolce di quella tremenda serata. Andava proprio bene… Se almeno fosse rimasto Naruto accanto a lui, avrebbe avuto qualcuno con cui parlare; invece quel cretino era andato a ballare (attratto da delle ragazze davvero molto carine, in particolare una delle tre che ora non ricordava molto bene) e al suo posto c’era Sasuke… il freddo, gelido Sasuke, proprio il tipo ideale di compagnia… Oltretutto, fra i due si era messa una spilungona bionda che continuava a parlare con Sasuke –o meglio, lei continuava a parlare mentre lui annuiva ogni tanto: sarebbe stato impossibile scambiare due chiacchiere.

 

Che noia. Sbadigliò un po’, mentre i camerieri portavano un altro tipo di dolce (un enorme profitterol) e il pianista, a un lato del salone, componeva l’ennesima melodia di sottofondo. Si slacciò leggermente la base della cravatta legata al suo collo; faceva un caldo… sbadigliò ancora… quando gli venne un’idea. Perché non inventarsi un qualche improrogabile impegno di lavoro e scappare a gambe levate da quel torpore…? Erano le undici di sera, lui stava morendo per l’afa e per il sonno, e non c’era niente da fare; non era un’idea malvagia… certo, forse Neji ci sarebbe rimasto un po’ male, ma pazienza. Avrebbe preso un taxi, visto che aveva avuto la sgradevolissima idea di venire a quella cerimonia in macchina con Naruto, e finalmente avrebbe dormito un po’… Si era quasi convinto di quella trovata (era già in piedi con un sorriso trionfante) quando il grande portone dorato della sala si aprì, e apparve una ragazza –anzi, la ragazza che prima lui stesso aveva puntato fra quelle biondine notate da Naruto. Lui la seguì con gli occhi: lei si aggirò fra i tavoli con sicurezza, finchè non arrivò a quello di lui (che nel frattempo si era stranamente seduto di nuovo), pose le mani sui fianchi, si avvicinò alla ragazza bionda e alta e mormorò:

«Ehi, spilungona, non avevo detto che mi dovevi aspettare?»

L’altra stava sorseggiando un bicchiere di vino bianco; alzò le spalle e riprese a mangiare come se nulla fosse. La nuova arrivata le scoccò un freddo sguardo e sbirciò il posto alla destra di lei (su cui sedeva Sasuke) e quello alla sinistra… su cui sedeva Shikamaru. Sbuffò, si grattò vivacemente il capo e si sedette alla sinistra di quest’ultimo, che la osservò un po’ meglio.

Aveva capelli corti e biondi, occhi verdi e grandi; indossava un vestito molto semplice, senza spalline, che si reggeva direttamente al busto; ma il suo fisico lo fece impazzire… non aveva mai amato molto le donne troppo magre e secche (come la spilungona seduta alla sua destra), preferiva invece quelle leggermente in carne, ma con le forme nei posti giusti, e lei era esattamente così: formosa, ma non troppo, né troppo poco. Deglutì.

«Ah, ma che palle.» proruppe la nuova venuta, sedendosi in maniera piuttosto rude. Iniziò a mangiare voracemente il dolce appena arrivato; e così fece pure Shikamaru, ma senza alcuna voglia. Forse doveva veramente andarsene… forse doveva dar retta al suo sesto senso e inventarsi quella balla sul lavoro da svolgere (in realtà, il giorno dopo avrebbe avuto un giorno libero) e prendere quel maledetto taxi… forse… però…

 

Passarono molti minuti nel più totale silenzio e torpore; dalla sala accanto provenivano vari rumori (definire musica quella roba non era proprio possibile, no) dal volume talmente alto da far vibrare i vetri delle finestre del salone in cui stavano mangiando. Erano le ventitré e trenta e Shikamaru Nara si esibì nell’ennesimo sbadiglio; Sasuke era uscito per fumare una sigaretta, seguito a rotta di collo dall’altra bionda –che aveva manifestato a sua volta un’incredibile quanto improvvisa voglia di fumare.

«Ma tu non fumi!» le aveva sibilato la ragazza dai capelli corti.

L’altra aveva sorriso.

«Be’, neanche tu balli, eppure sei appena tornata da tutto quel casino…» ribatté; non aspettò la risposta della prima, ma si ravvivò i capelli e seguì il ragazzo (che, sasukemente, non l’aveva aspettata).

La biondina rimase di sasso; continuò comunque a mangiare avidamente.

E ancora, scese il silenzio. Shikamaru sarebbe morto di noia se non avesse fatto qualcosa.

«Allora, come va?» mormorò dopo mezz’ora di silenzio assoluto da parte dell’altra. Lei lo guardò con occhi sgranati, come se avesse pronunciato qualcosa di assurdo.

«Mmm, come dovrebbe andare?» rispose.

Lui tirò su un sopracciglio. Non amava le ragazze così tanto rudi.

«Potevi dire semplicemente “bene”. In maniera educata, sai.»

Lei evidentemente si accorse di essere stata maleducata; ma qualcosa (il suo carattere, probabilmente) le impediva di scusarsi o quantomeno di ammetterlo. Perciò continuò tranquillamente a mangiare il proprio dolce (dal profitterol erano passati a una vivace crostata alla frutta), tenendo lo sguardo fisso, ma dicendo:

«Be’, sono a una noiosa cerimonia mangiando dolci -che odio-  e aspettando che questa qui» e indicò il posto vuoto accanto a Shikamaru su cui prima era seduta la spilungona bionda «mi riporti a casa, visto che sono sfortunatamente venuta in macchina con lei… ma lei non ha occhi che per il tuo amico, dal quale si scollerà in tempi non brevi. Dimmi tu.»

Lui annuì vagamente, stravaccandosi sulla sedia e lasciando metà del proprio pasto lì dove il cameriere glielo aveva servito. Osservò l’ampio e variopinto soffitto di quella sala enormemente grande e studiò con attenzione il pesante lampadario di vetro e cristallo che li sovrastava; oh, che diamine, non c’era nulla, nulla, che attirasse il suo intelletto sopito… Il vino che aveva bevuto gli aveva messo sonnolenza; una strana patina aleggiava sui suoi occhi. Se solo avesse potuto addormentarsi lì, o meglio ancora sdraiarsi nel grande parco a guardare le stelle… addormentarsi a un matrimonio poteva essere considerato un gesto rozzo? Era una cosa da valutare…

 

Silenzio, ancora. Shikamaru tentò di ridestarsi; osservò la sua compagna di tavolo, che sembrava arrabbiata… o forse era stanca solo a causa del gran ballare (ma che strano, non la faceva tipo da gettarsi nelle danze), visto che a detta della spilungona bionda lei aveva ballato fino a poco prima. Probabilmente poi si era stufata ed era venuta a mangiare qualcosa, ma aveva trovato tutti i piatti migliori già serviti e la sua amica non del tutto disposta a fare conversazione, perciò era –

«Be’? Che hai da guardare?» sibilò la diretta interessata, mentre beveva con noncuranza del vino rosso.

Il ragazzo si rinvigorì di botto; aveva passato gli ultimi minuti a fissarla. Deglutì, dando un falso sbadiglio per avere il tempo di ribattere qualcosa, qualsiasi cosa… Fin quando, accadde. Un’idea lo colpì come un tuono: un’idea magnifica, geniale. Il ragazzo si interessò a qualcosa dopo tante ore. Il problema era: farlo o non farlo? Voleva davvero correre il rischio di agire nel modo in cui il suo cervello aveva per un brevissimo istante comandato…? Shikamaru Nara era pigro, verissimo, ma voleva a tutti i costi uscire da quell’enorme torpore provocato dall’afa, dalla noia, dalla solitudine di quella serata…

Sì. Lo avrebbe fatto.

«Niente… ma, mmmh, non credo sia molto femminile mangiare in quel modo.»

Era una piccola, lievissima provocazione, fatta tanto per animare quella tragica situazione… ma si pentì subito. Quella con cui stava parlando era una donna, essere con il quale lui non si era mai trovato a suo agio; non aveva molte amiche femmine né aveva grandi rapporti con il genere femminile… le donne tendevano a parlare troppo e a non agire in maniera lineare, finendo col rendere qualsiasi cosa complicata a livelli insopportabili per lui. Lei non sarebbe stata diversa, né avrebbe mai risposto a quel suo disperato tentativo di scacciare la noia: avrebbe commentato qualcosa riguardo a una dieta che non aveva seguito e a quanti sforzi avrebbe dovuto fare per rimediare a –

«A parlare è lo stesso essere seduto in quel modo, o sto sognando?» ribatté lei, evidentemente infastidita. «Perché io non chiamerei mai uomo uno seduto a quella maniera.»

In effetti, lui era del tutto sbragato sulla sua poltroncina: era scivolato parecchio in avanti, perciò le sue gambe erano stravaccate sotto il tavolo, il suo sedere era quasi penzoloni dalla struttura e aveva testa e collo appoggiati allo schienale. Ma non si mosse.

«Perché, un uomo si definisce da come si siede?» rispose a sua volta, ora piccato come l’altra.

«E una donna da come mangia?» controbatté la ragazza, posando ordinatamente coltello e forchetta sul piatto.

«Be’» proruppe Shikamaru, ora sedendosi un po’ meglio (in effetti state stravaccati a quel modo corrompeva la salute della sua schiena tanto quanto le lunghe ore passate davanti al computer) «siete voi donne che fate tutti i vostri discorsi sulla linea, la dieta, e cose così… perciò, siccome tu hai mangiato in quel modo –»

«…hai tirato le tue belle conclusioni maschiliste, certo. E voi uomini, se lo vuoi sapere, ragionate tutti per stereotipi uguali, e tu ne sei la conferma.»

Scese un silenzio piuttosto gelido. Shikamaru si morse un labbro… ecco, lo sapeva, non avrebbe dovuto parlare, lei l’aveva presa troppo a cuore e ne aveva fatto una questione personale, quando lui voleva semplicemente parlare un po’ con qualcuno… ma che diamine gli era saltato in mente…

«Non si lascia il cibo nel piatto, comunque» borbottò lei dopo qualche minuto di gelo, con piatto e bicchiere perfettamente vuoti. «Non te l’hanno insegnato? Non è educato, sai.» Aveva un sorriso sarcastico in faccia, come se si fosse appena presa una (seconda) rivincita personale per quello che lui aveva detto; di bene in meglio, insomma…

«Oh, fa niente. Questo non fa male a nessuno.»

«Per carità, ma -visto che prima di offendermi parlavi tanto di buone maniere- non è educato.»

L’altro sbadigliò vistosamente.

«Visto? Voi donne siete tutte così vendicative, quando vi si tocca sul personale… e tu ne sei la conferma.»

«E voi uomini, ti ripeto, giudicate sempre e solo su stupidi stereotipi.»

L’altro sogghignò.

«Non è uno stereotipo a sua volta quello che hai appena detto?»

Lei aprì la bocca per rispondere, ma pensò che (oggettivamente parlando) quello che lui aveva appena asserito era vero. Perciò la richiuse, le sue guance arrossirono un po’, distolse lo sguardo da un’altra parte e borbottò:

«Be’, tutto ciò… in ogni caso… non ha assolutamente senso.»

 

Lo strano silenzio scese su di loro, ancora. Si guardarono e poi distolsero gli occhi e si guardarono ancora; Shikamaru non riuscì a capire se lei era arrabbiata, nervosa, dispiaciuta o orgogliosa. Sapeva solo una cosa… che era estremamente interessante. La noia della serata sembrava non essere mai esistita; il suo intelletto vibrò di piacere. Erano rari i casi in cui riusciva ad animarsi così tanto dalla pigrizia, e quando uno di quei rari casi lo prendeva, complice quel magnifico vino che aveva lo aveva accompagnato per tutta la serata…

«Facciamo un gioco.», mormorò, quasi ridendo.

 

 

 

 

*°*

 

 

 

 

 

«Quindi, tu dici che questa ragazza è la stessa Sakura Haruno di quell’altro, sì?» disse Kankuro, guardando ora Nara ora Uzumaki. «Una donna in comune. Brutta situazione, eh. Brutta davvero.» commentò, ridendo.

Shikamaru, lo sguardo fisso a terra mentre raccontava, si morse un labbro; Naruto pestò un piede a terra, ma non disse nulla.

«Ma come fate a dirlo?» domandò Gaara, più pacifico.

Ora, Shikamaru alzò la testa al soffitto, osservando le pale delle ventole che giravano, ma non rispose. Lo fece invece Kankuro:

«Be’, dalla descrizione di questo qui, erano le undici e dieci quando lei è entrata nella sala per mangiare, e quell’altra ragazza bionda aveva detto che era stata fino a quell’ora nell’altra sala a ballare… Questa è bionda, capelli corti… e, uhm, che lavoro fa…?» chiese poi, notando che non sapevano ancora quel particolare.

«E’ un medico.» disse Shikamaru, piano, sempre con la testa rivolta al soffitto.

I due fratelli si guardarono. Anche Temari era un medico…

«Eh…! Le cose sono fin troppo uguali per essere una coincidenza.»

Ma Gaara sembrava sospettoso: si portò una mano al mento e ragionò.

«Che vestito aveva questa ragazza?»

Shikamaru lo guardò, accigliato come se stesse facendo un enorme sforzo di memoria; parve ragionare per un lungo istante…

«E’ il modello senza spalline, quello che si regge al busto, credo…»

«Come quello dell’altra ragazza… Ok, ma è un tipo di vestito molto comune. Voglio dire, di che colore era? Fino a dove le arrivava? Aveva decorazioni strane…? E anche quello dell’altra ragazza, signor Uzumaki…»

Ma era ovvio che il commissario si fosse spinto troppo in là: entrambi i ragazzi alzarono lo sguardo ed entrambi lo guardarono, perplessi.

«Gaara» gli bisbigliò all’orecchio il fratello «…sono uomini

E, se c’è uno solo fra tutti gli stereotipi esistenti che rispecchia la realtà, è il fatto universalmente noto che per gli uomini scarpe, capelli, trucco e (soprattutto) vestiti sono assolutamente tutti uguali.

 

 

 

 

*°*

 

 

 

[ Un’ora dopo di quel maledetto giorno di cinque settimane prima

]

 

 

 

 

Shikamaru iniziò suonando un qualche pezzo molto semplice; non era mai andato d’accordissimo con la musica, sapeva suonare solamente i pezzi di base e solamente il pianoforte… ma il destino aveva voluto che lì, in quell’enorme salone, un pianoforte effettivamente ci fosse. E, in base alle regole del gioco, lui aveva iniziato a suonarlo con tutta tranquillità, e lei naturalmente lo aveva guardato con tanto d’occhi.

«Non sei molto capace» disse dopo un po’.

Lui fece spallucce.

«Be’, mi andava di farlo» borbottò, a mo’ di scusa «e l’ho fatto. Sono le regole del gioco, mia cara. Niente pregiudizi.»

Gli occhi di lei da glaciali erano improvvisamente diventati incuriositi e (quasi) divertiti; si morse un labbro. Sembrava tentata; si guardò intorno. Nel grande salone erano rimasti solo loro due: era l’una di notte e tutti gli invitati più anziani erano andati via da un bel po’, mentre i ragazzi erano ancora appresso al mefistofelico rumore della sala di fianco. I camerieri avevano sparecchiato i tavoli su cui poco prima avevano mangiato e si stavano occupando ora di ripulire un’altra ala di quell’enorme villa; perciò i tavoli erano tutti coperti, le sedie rivoltate e l’illuminazione era al minimo. Dalle grandi finestre aperte provenivano l’afa estiva e la brezza del grande parco. Era un’atmosfera un po’ surreale.

«Perciò, se sono aboliti davvero tutti gli stereotipi, be’…» sussurrò l’altra, furba, per poi scostarsi dal pianoforte, dirigersi verso il fondo della sala e tornare con una bottiglia di vino. Che stappò con un semplice morso e bevve avidamente.

«Molto, molto femminile.» commentò il ragazzo, quasi compiaciuto.

Lei sollevo un sopracciglio chiaro e lo scrutò.

«Non avevamo detto niente pregiudizi? Che ne sai, magari io nella vita di tutti i giorni sono una perfetta fanciulla, molto delicata ed eterea… e stanotte, solo per te, sarò uno scaricatore di porto.» lo guardò con quei suoi occhi da gatta, furbi e calcolatori, che adesso brillavano più di prima. «Tu sei solo uno sconosciuto, vorrei ricordarti… è la seconda regola.»

 

Le regole del gioco erano molto semplici, in effetti; anche perché, erano solo due.

Prima regola: fare esattamente tutto ciò che ti viene nella testa, invece di dar retta a stupidi stereotipi.

«Senti, io non ti conosco, né tu conosci me, e a me sinceramente va benissimo così. Ma io sto morendo di noia, non ho nessuno con cui parlare, sto morendo di caldo… e tu sei nella mia stessa condizione. Perciò, mi chiedo, perché non passare comunque una bella serata?»

Lei lo aveva guardato di sottecchi e si era limitata ad annuire; ma era innegabile che stesse pensando alla precaria sanità mentale del tizio che aveva di fronte.

«Oh, andiamo, pensaci…! Ci tratteremo entrambi come se ci conoscessimo da una vita, in modo da evitare imbarazzi e convenzioni sociali vari, e faremo assolutamente quello che vogliamo… senza timore del giudizio altrui, senza cadere in stereotipati pregiudizi che mi pare che tu odi tanto… semplicemente, passeremo una serata diversa.»

Seconda regola: non cercare di scoprire l’identità dell’altro, perché da domani non vi vedrete mai più.

«E l’altra regola fondamentale è il non conoscersi, giusto?» aveva replicato la ragazza. Nonostante il suo sguardo piuttosto freddo, sembrava quasi interessata.

«Esatto» aveva annuito lui, togliendosi del tutto la cravatta dal collo e bevendo ancora un po’ di vino. Si era sentito refrigerato, animato, vivo; il fatto che lei sembrasse più o meno incuriosita lo attirava da morire. «Io per te sono Ananas e tu per me sei Ventaglio, e così rimarremo. Non ci cercheremo mai più, né sapremo l’uno dell’altra, in modo da evitare seccature varie, se capisci…»

Lei era sembrata ancora un pochino restia.

«Quindi, be’, per me tu sei uno… sconosciuto, che conosco da sempre, per una sola sera. Perciò, uhm, niente stereotipi sugli uomini, sulle donne, su come una si deve comportare, ma saremo noi stessi, naturalmente…?»

Lui aveva sorriso, perché Ventaglio aveva capito subito lo spirito del gioco: proprio il loro battibecco sugli stereotipi gli aveva suggerito il fatto che, senza tutte quelle tremende condizioni sociali, il resto della serata avrebbe potuto passare in maniera molto più interessante. Cosa che non sarebbe potuta accadere altrimenti: avrebbero sicuramente finito col parlare di lavoro, di università, di fidanzati, o della bellissima coppia di sposini…

«Sì, esatto, sono uno sconosciuto. E prometto solennemente di rimanerlo.» disse, servendosi di un altro po’ di vino, ponendo una mano sul cuore. «Tanto, tu non sai chi sono, non sai il mio nome, e usciti di qua non mi vedrai mai più, né io ti cercherò. E’ più facile lasciarsi andare con uno sconosciuto, perché non avrai né colpe né rimorsi… Niente di tutto quello che farai o dirai uscirà da qui. Potresti addirittura far finta di essere un’altra persona, per quel che mi riguarda… magari una persona che sorride ogni tanto.»

Lei aveva alzato un sopracciglio chiaro. E aveva sorriso.

 

Perciò, anzitutto Ananas aveva deciso che avrebbe voluto essere un pianista, e perciò lo era diventato; nel frattempo, Ventaglio lo guardava mentre pigiava tasti a caso.

«Be’, dopo un po’ di vino» proruppe, guardandosi attorno «ci vuole un altro tocco di classe.»

E così dicendo si guardò intorno, scrutò per bene la sala e solo quando fu del tutto sicura che non ci fosse assolutamente nessuno fece quel che voleva fare dal momento in cui il ragazzo aveva iniziato a suonare… e che secondo la Prima regola del gioco doveva assolutamente fare. Iniziò perciò ad agitarsi goffamente sulle sue ballerine in quello che era inconfondibilmente un tip tap. Shikamaru la osservò e iniziò a ridacchiare; le donne non avrebbero dovuto essere agili, esili e aggraziate…?

Lei sapeva ballare quanto lui sapeva suonare, eppure quello spettacolo andò avanti, fino a quando lei non si sedette accanto a lui, scossa per il fiatone.

«Mmm, sai» mormorò poi, mentre si massaggiava i polpacci «non è male come gioco.»

Il vino aveva sorbito uno strano effetto su di lei: sembrava più allegra e molto più propensa a lasciarsi andare.

«Be’, cara Ventaglio, balli come un uomo…» sussurrò lui, servendosi a sua volta di quel buon vino, ma dal bicchiere.

Lei lo guardò di sottecchi.

«Che ne sai, magari io nella vita di tutti i giorni sono una perfetta fanciulla, molto delicata ed eterea… e stanotte, solo per te, sarò uno scaricatore di porto.» lo guardò con quei suoi occhi da gatta, furbi e calcolatori, che adesso brillavano più di prima. «Tu sei solo uno sconosciuto, vorrei ricordarti.»

Lui ridacchiò, sempre continuando a battere le dita sul pianoforte a coda, incapace di guardare da altra parte se non nei suoi occhi. Il vino gli aveva dato alla testa; si sentiva piuttosto brillo.

«Lo so benissimo, non metterti strane idee in testa. Ti ricordo che io sono… sì, sono lo sconosciuto che ti conosce da una vita, sei una sorta di migliore amico mai incontrato…» borbottò. Probabilmente quanto aveva detto non aveva un vero e proprio filo logico, ma aveva bevuto fin troppo per potersene assicurare; sapeva solo di sentirsi benissimo. E sapeva solo che gli occhi di lei erano bellissimi…

«Amico? Addirittura?» replicò l’altra, sveglissima. Sebbene Ventaglio avesse bevuto più del compagno, era molto più arzilla di lui: continuava a tracannare vino rosso come fosse acqua.

«Be’, bevi come un uomo, balli come un uomo… e hai un nome da uomo.»

Ma Ventaglio non aveva decisamente le forme di un uomo, quelle no. Anzi, quel vestito senza spalline aderiva a quel fisico mozzafiato…

«Ancora questi pregiudizi» ridacchiò lei.

Shikamaru la scrutò: non sembrava una persona che ridesse molto o che desse tutta quella confidenza, eppure gliela stava dando; anzi, sembrava perfino divertirsi. Lui l’aveva giudicata molto fredda, razionale, distaccata… ma così non sembrava. Che davvero quella ragazza stesse giocando molto meglio di lui a quello strano gioco di sua stessa invenzione, o magari era davvero quella la vera lei che nella vita di tutti i giorni era nascosta dietro una maschera di distacco e che veniva a galla solo ora, di fronte a uno sconosciuto? Difficile a dirsi. Ma anche lui, a sua volta, nella vita normale non era certo così attivo, né proponeva idee tanto bizzarre a belle ragazze appena conosciute…

Shikamaru continuò il suo assolo, servendosi di altro vino, sorridendo.

 

 

 

 

 

 

 

*°*

 

 

 

[ Un’altra ora dopo]

 

 

 

 

 

 

Avevano dovuto staccarsi dal pianoforte e prendere una boccata d’aria, perché il caldo non smetteva di angustiarli, sebbene fossero quasi le due di notte. Il grande parco sotto il loro balconcino era immerso nel silenzio e nell’oscurità; da lontano veniva un soffocato verso di un gufo.

«Ma la tua amica si è persa?», le chiese, mentre si accendeva una sigaretta.

Lei era appoggiata alla fine balaustra di marmo e sembrava assorta nei suoi pensieri; si ridestò non appena il ragazzo parlò.

«Oh, probabile. Il tuo amico ha fatto colpo.» commentò; la lieve brezza le scompigliava i capelli corti. «Ma che stupido stereotipo, rimorchiare a un matrimon–»

Non finì la frase: aveva notato la sigaretta accesa fra le labbra di lui. Assottigliò gli occhi chiari e dilatò le narici.

«Fumare fa male, lo sai?»

Lui fece spallucce; era quello che gli ripeteva ogni giorno sua madre. Prese una boccata e aspirò; il fumo volò via.

«Fa male sul serio. La pressione del sangue, le contrazioni e il battito del cuore aumentano, i vasi sanguigni periferici si contraggono; il monossido di carbonio interferisce con il trasporto dell’ossigeno nel sangue, e tutto ciò crea dipendenza. Non ti dà fastidio essere dipendente da qualcosa?»

Shikamaru, ancora, fece spallucce.

«Mi rilassa.» disse solamente.

Ventaglio alzò gli occhi al cielo. Ananas ridacchiò: finalmente, questa ragazza aveva qualcosa di davvero femminile… era apprensiva e seccante esattamente come una donna.

«Il fumo aumenta il rischio di tumori. Nell’ultima conferenza a cui ho assistito, c’erano centinaia di persone che si maledicevano per aver fumato!» ribatté.

Sembrava che quella questione la prendesse particolarmente a cuore; ma che motivo c’era…? Non lo conosceva, né lo avrebbe più rivisto, era però come se fosse suo dovere dirglielo… Shikamaru rifletté… e capì istantaneamente il motivo di tutto questo.

«Sei un medico.»

Non era una domanda, e questo Ventaglio lo capì: le sue guancie arrossirono e, per un istante, tornò ad indossare la maschera (o forse, tornò ad abbassare la maschera, difficile dirlo) di qualche ora prima. Ananas ne intuì il motivo: lui aveva scoperto qualcosa di lei, ma lei nulla di lui; era un po’ come se avesse perso. Doveva essere una persona molto orgogliosa.

«Be’, allora fai un po’ come ti pare» bisbigliò lei, voltandogli le spalle e rientrando nel salone.

Ma l’altro alzò gli occhi al cielo, spense la sua beneamata sigaretta quasi intatta sul parapetto bianco del balcone e la seguì dentro.

 

 

 

 

 

 

*°*

 

 

 

 

[Due buone ore e mezza dopo di un’ora dopo di un’ora dopo]

 

 

 

 

 

 

 

Quella villa era, effettivamente, enorme. Ananas e Ventaglio lo avevano appena scientificamente dimostrato; avevano passato l’ultima ora a perlustrare le stanze, per poi scoprire almeno venti camere da letto, un altro salone grande quasi quanto quello in cui avevano cenato, una dozzina di splendidi e raffinati bagni, qualche coppia appartata in due o tre posti… il tutto corredato da ampi corridoi ricolmi di quadri, vasi, teche di vetro. Sebbene fossero al terzo o quarto piano dell’edificio, potevano ancora sentire il frastuono da discoteca del piano terra; ovunque andassero, aleggiava su loro quel rumore.

«Be’, almeno Naruto si starà divertendo…» bofonchiò lui, mentre scendevano un’enorme scalinata di marmo, che (come nelle commediole romantiche) si divideva in due ampi rami e collegava le due differenti parti della casa al piano superiore che avevano appena esplorato. «E, uhm, anche la tua amica.»

Con la tua amica lui intendeva la tizia –di cui naturalmente Shikamaru non ricordava la faccia- per cui il suo amico si era preso uno straordinario colpo di fulmine; ma lei aveva evidentemente capito male.

«Oh, sì. Ma quando torna la uccido, è tardissimo e mi aveva detto che non avremmo fatto più tardi di mezzanotte… quell’oca…»

Lui si fermò a metà scalinata, colpito.

«Be’, se posso… questa me l’hai proprio servita su un piatto d’argento… questa è una cosa tipica di voi donne. Parlarvi male alle spalle.»

Lei si irrigidì un momento, ma poi continuò la sua scesa verso il piano inferiore come se nulla fosse.

«Non ne parlo male, è la verità» bofonchiò.

Forse si era resa conto del fatto che uno stereotipo una volta tanto rappresentasse la realtà, o forse aveva parlato un po’ troppo male di quella che in effetti era una sua amica; perciò non commentò oltre.

Finirono di scendere la lunga scalinata di marmo e si guardarono intorno; erano tornati vicino alla sala da pranzo, accanto alla discoteca.

«E’ tardissimo.» borbottò lui, sbadigliando rumorosamente. Si grattò il capo e si sbracò su una sedia lì vicino; non aveva smaltito ancora tutto il vino ingurgitato. Era stanchissimo, erano quasi le cinque di mattina, Naruto probabilmente non si sarebbe mai scollato da quella tipa e lui aveva appena sfidato la sua famosa pigrizia, facendo tutto il giro di quell’enorme villino… sbadigliò ancora, più forte.

«Dovremo pagare quel vaso, secondo te?» bisbigliò lei.

Il ragazzo osservò la sua strana amica. Dopo che lui era venuto a conoscenza della sua professione nella vita reale, Ventaglio aveva evidentemente deciso di non parlargli più e così aveva iniziato a vagare per stanze e saloni, ignara della presenza di lui e delle sue più o meno esplicite scuse; ma lui, più testardo, le era andato dietro… finchè lei, spazientita, non si era voltata così rudemente da far cadere un enorme e (evidentemente) costoso vaso di cristallo. Il rumore aveva fatto accorrere qualche cameriere, che loro non erano rimasti certo lì ad aspettare; avevano corso e si erano trovati dall’altra parte del villone, mentre lei imprecava a bassa voce.

 Shikamaru la guardò. Era una ragazza strana, sì, ma era anche parecchio interessante; sembrava una continua e roboante fonte di novità. Non appena il ragazzo aveva anche solo pensato di aver capito il suo carattere, il suo vero carattere, lei subito ne mutava forma e lo lasciava allibito; ora rideva, ora era orgogliosa, ora scappava imprecando, ora stappava del vino con la bocca…

«Mmm, non se ci trovano. E comunque…»

Ma lei non lo stava ascoltando: era intenta a fissare qualcosa oltre la testa di lui. Quella cosa sembrò attrarla: lasciò lì Ananas senza dire una parola e si incamminò verso una porta socchiusa.

Abituati alla vastità delle altre sale, questa sembrava ancora più piccola di quanto non fosse: era un piccolo ambiente pieno di tavoli coperti e di sedie rovesciate e di tovaglie ammuffite. Lì, sotto un telo bianco ricoperto di polvere, era seminascosto un grande grammofono; la ragazza sollevò il drappo e osservò il giradischi.

«Mio padre ne aveva uno identico.» bisbigliò.

Shikamaru non capì perché glielo avesse detto, né perché quell’oggetto la avesse incuriosita tanto; la osservò prendere la puntina, appoggiarla sul disco metallico che era lì da chissà quanto tempo, e ascoltare rapita la canzone che ne uscì fuori. Era una vecchia canzone jazz molto sentimentale: sembrava piacerle.

E, ancora una volta, lo lasciò senza parole. Quella ragazza era davvero una autentica fonte di novità; non appena pensava di conoscerla, ecco che ne veniva fuori un’altra versione. Lei stava ascoltando affascinata quella melodia che lui aveva ritenuto essere fin troppo romantica per poterle piacere… e invece, se la stava gustando di cuore.

«Mia madre amava il jazz.» disse lei, a mo’ di scusa, non appena vide lo sguardo indagatore di lui. «E… uhm…»

Sembrava imbarazzata.

«Ananas, quel gioco vale ancora?» chiese.

Non sembrava più la donna autoritaria che lo aveva incuriosito; ora sembrava un po’ più indifesa, fragile… o era solo una sua impressione? La ragazza non lo dava molto a vedere, ma quella melodia la aveva addolcita, almeno un po’.

«Ovvio, signorina Ventaglio.» rispose lui, inchinandosi.

E le offrì la mano.

«Be’, allora…» disse lei, prendendola nella sua destra, e poggiando la sinistra sulla sua spalla «diamo sfogo ai clichè e agli stereotipi da “festa di matrimonio”.»

 

E, semplicemente, ballarono. Non fu uno spettacolo molto migliore di quello del pianista con la sua ballerina di tip-tap; né riuscì molto meglio di quello strano gioco che aveva preso piede, ma che era inevitabilmente naufragato, perché mai come ora lui voleva sapere il nome di lei, e mai come ora lui voleva avere la speranza di rivederla il giorno dopo… diamine, diamine, che totale idiota che era! Ci era cascato con tutte le scarpe. Tutta quella farsa, tutta quella sicurezza che aveva provato finora… era tutto, tutto svanito, per due occhi verdi e un bel corpo che ballava insieme a lui! Che idiota…

«Sai» proruppe lei, bisbigliando, mentre la musica continuava ad andare lenta «questo gioco mi piace molto… soprattutto la parte del non rivedersi mai più.» Lui continuò a stringerle la mano e la vita, apparentemente incurante di ciò che lei stesse dicendo; i loro volti erano a un soffio di distanza. «Sarebbe complicato e controproducente, non trovi? E sarebbe un cliché atroce… non siamo certo in un film, o in un libro…»

Lui annuì, deciso e non guardare gli occhi di lei, un palmo sotto il suo naso, né a incrociare le sue labbra… Naturalmente, il suo tono apatico non lasciò intendere nulla di tutto ciò: non se lo poteva permettere.

«Mah, sì. Ci ricorderemo di questa bella… e strana… serata, sapendo che non ci saranno scocciature o noie che verranno dopo, sapendo che tanto non uscirà nulla di quanto abbiamo detto questa sera, e questo ricordo resterà intatto, insom–»

Ma la femminile leggiadria di lei la portò a inciampare proprio mentre lui parlava: lui la prese al volo, ma nell’urto finirono a terra.

I loro occhi si incontrarono: erano a pochi millimetri di distanza.

Le loro mani erano avvinghiate.

Il leggero rossore sulle guance di lei la rendeva ancora più bella.

Shikamaru prese coraggio.

E…

«Ma dove diamine è quella lì?!»

Puff. L’atmosfera si disintegrò come un’enorme bolla di sapone; entrambi i ragazzi si ridestarono, si resero conto, e si allontanarono; la voce riprese a urlare.

«Una esce un attimo a fumare e quella lì scompare…!»

Lei si rialzò, barcollando un po’, aprì con foga la porta, si sporse oltre lo stipite e urlò:

«Ino, eccomi! Ero venuta a prendere la borsa!»

La stangona bionda si materializzò davanti a Ventaglio in un soffio; Shikamaru ebbe appena il tempo di alzarsi. La canzone era finita; il disco continuava a girare ma il grammofono non dava segni di vita.

«Sì,sì, ok, ma andiamo che è tardissimo, non mi ero accorta dell’ora… è mezz’ora che ti cerco, la sposa ha anche lanciato il bouquet, ma dove diamine…»

«Ti ho detto» replicò Ventaglio, stranamente acida «che stavo cercando la mia borsetta… ma qui non c’è… E sì, andiamo, io domani devo lavorare…»

La stangona alzò gli occhi al cielo e se ne andò, portandosi dietro l’altra ragazza, che ebbe solo il tempo di dire:

«Be’, allora ciao, Ananas.»

E, in un fruscio di seta, era scomparsa.

 

 

 

 

 

 

 

 

*°*

 

 

[ Il giorno dopo di quell’infausto giorno]

 

 

 

 

 

Idiota.

Idiota.

Idiota.

Idiota.

 

Per qualche strano motivo, non sapeva pensare altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

**************

 

 

E’ tardi, tardi, tardissimo O_O

Due sole cose:

 

-Ho preso spunto per il capitolo (e anche un po’ per il tono dell’intera fanfic, *credo* ve ne siate resi conto anche solo dal titolo X°D) dalla puntata Rullo di Tamburi di How I Met Your Mother, che credo sia una delle cose più bbbelle mai realizzate, seriamente. Come in questo capitolo, anche lì c’è questa idea di parlarsi e stare insieme una serata ma non rivedersi mai più, e *ovviamente* anche lì l’uomo ci casca con tutte le scarpe XD Spero, spero, spero di averlo reso bene. (la scena del pianoforte è ripresa da lì, anche altre ma le ho modificate moltissimo).

Mi piaceva l’idea di far fare questo gioco a questi due, è una cosa infantile ma comicissima. Spero non fraintendiate: Shikamaru è pigro e tutto, ma si annoiava a morte, ha bevuto un pochino e voleva disperatamente provare a fare qualcosa… e poi, be’, c’era la sua Ventaglio… 8D

(nomi banalissimi lo so, abbiate pietà)

L’idea ruota tutto intorno alle maschere e al fatto che davanti a uno sconosciuto si può essere qualsiasi persona. E mi piaceva molto l’idea degli stereotipi perché questi due nel manga parlano molto di stereotipi su uomini e donne.

 

-E sì, questo è il capitolo cruciale della storia, la ShikaTema! Yuuuuh!

L’ho pubblicata per l’iniziativa di San Valentino (del forum Black Parade), lo so che oggi è il 16 (tecnicamente è il 15, ma sono le 3 di notte perciò è il 16 u__u) ma io sto sotto esami e di meglio non posso fare, capitemi.

 

Spero vivamente che i personaggi non siano OOC per questo loro modo giuoioso di interagire, ma il vino ha reso tutto più semplice X°D

Altre cose importanti le scriverò nei prossimi giorni, che ora è tardi e domani mi devo svegliare presto per studiare. Scusate. T.T

 

 

COMMENTINO, GENTE? <3

Ok, vi faccio sudare con questa fanfic, ma questo capitolo sono quasi 12 pagine, dai!! *fa occhioni*

 

 

Clahp

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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