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Autore: Mary P_Stark    19/02/2013    1 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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●●15●●

 

 

 

 

Enyl avvertì i primi rumori di lotta quando ancora mancavano diverse ore all’alba, e la presenza di Kennadarya era lontana, remota, niente più di un filamento d’ombra nella sua mente.

Seduta ai piedi della statua di Soanes, le ginocchia strette al petto e gli occhi ben chiusi, Enyl ascoltò quel lontano frastuono tentando di badarvi poco.

Doveva mantenere la concentrazione necessaria per immagazzinare la maggiore energia possibile all’interno del suo corpo.

Le sarebbe servita tutta, per affrontare Kennadarya.

“Il tuo pensiero è corretto, mia diletta, e io so che non fallirai” mormorò nella sua mente Hevos, cogliendola alla sprovvista.

Enyl sorrise nell’oscurità e replicò mestamente: “Fato si è sbilanciato in qualche modo, o è solo una tua speranza?”

“Io e Haaron crediamo sia giusto ciò che hai pensato di fare, ma né io né mio fratello sappiamo ciò che succederà, se è questo che vuoi sapere” ammise il dio, suonando preoccupato alle orecchie della giovane.

Hevos?”

“Sì, mia diletta?”

“Mi ami perché sono Luce o…”

Lui la zittì immediatamente, asserendo con veemenza: “Sei Enyl, per me. E io amo Enyl, non ciò che rappresenti.”

“Perché?”

Hevos allora rise nella sua mente e mormorò roco: “Dovrei possedere il Tempo, mia diletta, per decantare tutti i motivi che, nel corso degli anni, mi hanno portato a innamorarmi di te, ma sappi una cosa; non è per solitudine, o perché tu assomigli a Hyo. Non cerco una sua sostituta.”

Vagamente sorpresa, Enyl esalò: “Pensavo… i ritratti di Hyo non sono veritieri?”

“Hyo era molto differente da te, per molte cose. Fisicamente, tu sei molto più alta e forte, oltre ad avere un viso più allungato. Il carattere, soprattutto, è diverso, però.”

“Cioè?”

Sapeva che la curiosità era una mera sciocchezza, in quel momento, ma voleva sapere.

“Hyo è cresciuta con me, somigliandomi in molte cose e finendo con l’apprendere ciò che mi piaceva, facendolo suo. Era gratificante amarla ed essere riamato da lei ma ammetto che, dopo averla fatta tornare nel mondo degli uomini, capii anche che l’averla tenuta con me fin dalla nascita, era stato in sé e per sé un errore, perché questo le aveva impedito di sviluppare un suo carattere personale.”

“Non eri certo che lei ti amasse veramente, ma fosse solo il frutto del suo essere sempre stata solo con te?” gli domandò Enyl, comprensiva.

“Paura molto umana, ma genuina” ammise Hevos, con una triste risatina. “E, per lo stesso motivo, non ero certo di averla veramente amata, pur sapendo di aver provato per lei un affetto profondo.”

“Cosa successe, con me?”

“La prima volta che ci incontrammo, trovai piacevole che i tuoi occhi non fossero turbati dalla mia presenza. Ti incuriosivo. E tu incuriosisti me. Seguii da lontano la tua crescita e, quando tu e Rannyl iniziaste il vostro personale percorso iniziatico per imparare a usare i vostri poteri, decisi di conoscere entrambi voi da vicino.”

Si interruppe, rise con un tocco di amarezza e autoironia nella voce, e proseguì.

“Eri impudente, fiera, allegra, avventata… e questo mi conquistò. Apprezzavo la tua compagnia, il tuo modo pungente di rispondermi e…”

“… e venne quell’estate” disse per lui Enyl, sorridendo.

“Sì. Avrei voluto portarti via con me, impedire che il Male ti toccasse, ma sapevo che sarebbe stato egoista e potenzialmente pericoloso. Rannyl sarebbe rimasto solo prima dell’arrivo di Kennadarya, e lui non avrebbe potuto affrontarla, ora lo so per certo.”

La veemenza del suo tono commosse Enyl che, tergendosi una lacrima ribelle, accarezzò lieve il piedistallo della statua del dio Soanes, come a voler consolare indirettamente Hevos.

“Io sono il Veicolo della Luce, Rannyl il Ponte, giusto?”

“Spirito e Corpo. Sì, mia diletta. Lui potrà solo veicolare l’energia, ma sarai tu a doverla condurre dove dovrà andare infine” assentì Hevos, con tono stanco.

La percepiva sempre più forte, dentro di sé, in ogni sua fibra e, anche a occhi chiusi, ormai riusciva a scorgerne il bagliore dietro le palpebre sottili.

Per mezzogiorno, sarebbe apparsa fulgida come una stella.

Sperava solo che Rannyl e gli altri, per l’arrivo di Kennadarya, avessero già ripreso la città per poter approntare le difese contro l’esercito di re Kevan.

***

La mano destra poggiata sulla balaustra del mascone di dritta mentre la sinistra, sul fianco, tamburellava fremente le dita inguantate, re Ruak di Rajana si volse a mezzo non appena vide affiancarsi dal fratello e dalla cognata.

Sorridendo loro brevemente, mormorò: “Il vento ci è favorevole come il tempo, eppure mi sembra di andare sempre troppo piano.”

“Le vele e i controvelacci sono stati interamente dispiegati… l’unica cosa che possiamo appendere sono le lenzuola, ma non credo servirebbe a molto” ironizzò Aken con cupa ironia.

Ruak abbozzò un ghigno ed Eikhe, scrutando l’orizzonte marino, dichiarò: “Non manca molto e, pur mantenendoci lontani dalle Isole Arcobaleno, giungeremo sulle coste di Akantar entro domattina al massimo.”

“Spero solo che questo possa essere sufficiente” sospirò Ruak, scuotendo mestamente il capo.

“Dubito che Floras il Vento si metterà dietro le nostre navi per sospingerle, perciò quello che stiamo facendo è il massimo consentito” gli ricordò Aken, sorridendogli comprensivo, pur se nei suoi occhi si leggeva la stessa ansia che pervadeva il cuore del re.

Ruak si guardò attorno, la goletta dove viaggiava assieme alla sua famiglia interamente circondata dalle slanciate e veloci navi da guerra di Enerios che, stendardi al vento, parevano pronte per dare battaglia già in quel momento.

Molti erano i guerrieri che, sui ponti delle navi, scrutavano il cielo all’imbrunire e le coste lontane delle Isole Arcobaleno, saggiando sulle loro mani le spade affilate.

Tornando parlare al fratello, il re asserì: “Voglio che Liana e Antalion rimangano nelle retrovie. Non desidero dovermi preoccupare anche di loro, durante la battaglia.”

“Sarà ben difficile che ti accontenteremo, zio” esordì Antalion, balzando a terra dall’albero di trinchetto e sorprendendoli tutti.

Nessuno si era avveduto della sua presenza.

Subito dietro di lui sopraggiunse anche Liana che, sorridendo fiera al re, prese a braccetto il compagno e aggiunse: “Siamo figli sacri, sappiamo cos’è la battaglia e non ci spaventa. Inoltre, siamo più forti di tutti i tuoi soldati, zio, perciò non temere per noi.”

Ruak le sorrise benevolo e, stringendola a sé in un abbraccio accorato, mormorò contro la sua bionda capigliatura: “Mi preoccuperò sempre per voi, bambina perché, adulti o meno, voi siete i miei tesori. Ma capisco il vostro punto di vista, perciò vi chiederò soltanto di non partire alla testa dei soldati. Può essere sufficiente per accontentare entrambi?”

“Ce lo faremo bastare” assentì Antalion, con un gran sorriso.

Annuendo, Ruak fissò tutti loro e dichiarò mestamente: “Se dovesse succedermi qualcosa, tu Liana, e tu Antalion, riprenderete immediatamente la via del mare e porterete a Meriton e gli altri la notizia. Su questo, non accetterò un ‘no’ come risposta. Questa goletta rimarrà alla fonda nel porto solo per voi, perciò siate lesti, qualora le cose dovessero volgere al peggio.”

Antalion annuì grave e, nello stringere la mano dello zio, protesa verso di lui come silenziosa promessa, asserì: “Non succederà nulla, ma ti prometto che eseguirò i tuoi ordini, zio, qualunque cosa io sia costretto a fare per portarla a termine.”

“Liana?” domandò allora Ruak, fissando la donna con attenzione.

Lei annuì a sua volta, poggiando la mano su quella del marito, ancora stretta a quella del re.

“Porterò io stessa il messaggio a Renke, te lo giuro su quanto ho di più caro, e rimarrò al suo fianco per consolarla. Ma sono certa che non ce ne sarà bisogno.”

Sorridendo ai due giovani per un istante, Ruak tornò infine a scrutare ansioso l’orizzonte e, torvo, mormorò: “Ora dobbiamo solo attendere che faccia giorno.”

***

Il castello pullulava di uomini in armi e re Erenokt, nell’aiutare in prima persona a trasportare la lettiga dove era distesa Skytana, osservò orgoglioso i suoi uomini.

Entro il sorgere dell’alba, erano riusciti a tornare in possesso della loro città, falcidiando i mercenari nemici con un minimo di perdite tra le loro fila.

“Giuro che, quando starò bene, ve la farò pagare, sire. Non è giusto che voi dobbiate trasportarmi!” protestò per l’ennesima volta Skytana, pallida in viso ma agguerrita come sempre.

Erenokt rise e replicò con soddisfazione: “C’è di bello, mio caro generale, che sono io che comando, e questo mi offre la possibilità di fare quel che voglio… ivi compreso portare una lettiga.”

Ellessandar sogghignò a quelle parole, mentre la donna distesa grugnì un’imprecazione tra i denti senza più avanzare altre recriminazioni.

Era evidente quanto, quella situazione, la stesse snervando e quanto, il prodigarsi del re, la mettesse a disagio.

In fondo, poteva capirla.

Era sempre stato suo compito difendere e servire la famiglia reale, non il contrario.

In quel mentre, da una delle stanze del pianterreno, Elmassary si sporse per indicare loro di entrare e lì, impegnato nella cura di altri pazienti con ferite gravi, trovarono infine Rannyl.

Mentre la lettiga veniva poggiata a terra, il giovane figlio sacrò si deterse il viso prima di sorridere a Skytana che, bieca, mugugnò: “Non oserai davvero poggiare quelle mani su di me, spero!? Brillano come candele accese!”

Rannyl indicò con il pollice le ferite perfettamente suturate e rosee dei soldati che aveva appena curato e, ironico, chiosò: “Mi sembra di aver fatto un ottimo lavoro, non ti pare?”

Giungendo in quel momento con un enorme cesto ricolmo di cibo tra le mani, Naell sorrise brevemente a Ellessandar prima di notare il fiero cipiglio di Skytana e il risolino del re.

Era evidente il disagio della donna e, a giudicare da come stava guardando le mani di Rannyl, non sembrava molto concorde con il farsi curare da lui.

Ridendone, Naell si avvicinò a grandi passi e le disse convincente: “Fossi in te, mi fiderei. Ha fatto cose prodigiose, con quelle mani, in queste ore.”

“E va bene!” sbottò Skytana, arrossendo suo malgrado. “Ma non voglio avere spettatori!”

Ellessandar si affrettò ad aprire un paravento per proteggerla dalle occhiate del resto dei presenti e, dopo un breve saluto, si dileguò per lasciare che, a Skytana, pensasse Rannyl.

Naell ed Elmassary rimasero e, nel togliere con delicatezza le bende imbevute di sangue e la tunica sfilacciata, le sorrisero speranzose.

Inginocchiatosi accanto a lei, Rannyl le sfiorò la fronte con una mano prima di dirle gentilmente: “Non sentirai quasi nulla, te lo prometto.”

“Fammi tornare a combattere, ragazzo… ti chiedo solo questo” lo pregò allora Skytana, mordendosi ansiosa il labbro inferiore.

“Vedrò quello che potrò fare. Spero che i danni non siano troppo seri.”

Non aggiunse altro e, quando si volse per adocchiare le ferite al ventre e al fianco, trattenne a stento una smorfia.

La carne appariva scura in più punti mentre, dalle abrasioni, il puzzo del pus lo investiva fin quasi a farlo indietreggiare.

Il caldo di quei luoghi non aveva certo aiutato quella ferita e rimanere sana, questo era certo.

Preso un gran respiro, chiese alla regina e a Naell di tenere bloccate le braccia di Skytana per ogni evenienza dopodiché, fissando gli occhi dorati sulle ferite, iniziò a incanalare la freoha nelle sue mani.

Mantenendo le dita a pochissima distanza dalla pelle arrossata e lisa della donna, Rannyl socchiuse gli occhi e iniziò a immergersi dentro di lei.

Percepì immediatamente l’enorme sforzo con cui Skytana stava tenendo a bada il dolore, causato dalla perforazione della milza e delle lesioni interne, pur se non mortali.

Grazie a Hevos, nessun organo vitale era stato intaccato, ma le ferite erano suppurate e il veleno che il corpo stesso aveva prodotto, aveva creato un inizio di necrosi nella carne.

Necrosi che lui avrebbe dovuto far regredire quanto prima o, alla peggio, far eliminare fisicamente da un medico.

Deglutendo a fatica per lo sforzo di non farsi trascinare via dal dolore cocente della donna, Rannyl gracchiò: “Trovate un cerusico. Dovremo incidere. Le necrosi più profonde non possono essere più risanate con il mio potere, a quanto pare. Nel frattempo, però, mi occuperò del resto.”

Elmassary fu lesta ad annuire e, raccolte in fretta le gonne, corse via mentre Naell, levatasi in piedi per mantenere ferma Skytana da sola, fissò preoccupata il cugino e gli domandò: “Sicuro di star bene? Stai sudando.”

“Reagisco al dolore di Skytana, tutto qui. Appena uscirò da lei, passerà subito” le spiegò in fretta Rannyl, appoggiando le mani calde sul ventre piatto della donna.

Le labbra delle ferite più sane si erano saldate, formando uno strato leggero di tessuto cicatriziale color ciliegia, che Rannyl rafforzò col suo tocco, poco alla volta.

Skytana ansimò per la sorpresa e, socchiudendo gli occhi, scrutò le mani del giovane farsi sempre più brillanti e calde.

Subito, nel suo ventre si generò una piacevole onda di energia che parve dilavare il male fin lì provato.

Passarono diversi minuti dall’inizio di quel trattamento e, quando Elmassary fu di ritorno con il cerusico, Rannyl si scostò con un esile sospiro.

“Quel che potevo fare, l’ho fatto. Ora, va rimosso l’inizio di necrosi in corrispondenza della ferita al fianco. Evidentemente, la freccia doveva essere stata imbevuta di un qualche genere di veleno.”

Rivolgendosi poi al medico, asserì: “Non appena avrete eliminato il tessuto morto, chiamatemi. Eliminerò potenziali infezioni di mia mano.”

“Molto bene, principe. Mi metterò subito al lavoro” assentì l’uomo, fissandolo con profondo rispetto prima di mettere mano alla sua borsa degli attrezzi medici.

Già sul punto di allontanarsi, Rannyl venne bloccato dalla mano di Skytana che, grata, mormorò con un sorriso: “Hai delle mani strane, ragazzo, ma sono un dono del cielo.”

Rannyl fece un mezzo sorriso e le augurò buona guarigione, prima di uscire con passo lento dallo stanzone per rifugiarsi per qualche minuto nel giardino interno di palazzo.

Tutto intorno era un via vai di persone, servitori indaffarati a preparare vettovaglie per i soldati, armigeri intenti a lucidare le armi per una nuova battaglia, donne di servizio che portavano via teli sporchi di sangue.

Ma Rannyl, in quel momento, vide solo Kalia.

Seduta mestamente sul bordo di una fontana a forma di fiore, che si trovava in quell’angolo di giardino, teneva la testa tra le mani e i gomiti poggiati sulle cosce.

Lo sguardo era perso nel vuoto e, ben evidente ai suoi occhi, era la mancanza di Kessa al suo fianco.

Né lui, né Enyl né tantomeno Kalia, o Naell, avevano avuto il tempo di piangere i loro compagni, periti per difendere coloro che amavano.

Sapeva però che, in quel momento di quiete prima della tempesta, la loro mancanza pesava più di un macigno sui loro cuori.

Non aveva voluto affrontare l’argomento con la sorella, visto ciò che sarebbe successo di lì a poco, ma poteva per lo meno tentare di chetare lo spirito affranto di Kalia.

Avvicinandosi a lei, le sedette innanzi, intrecciando le gambe sull’erba più e più volte calpestata in quei giorni di tradimento e, levata una mano, le sfiorò un braccio nudo.

“Posso fare qualcosa per te, Kalia?”

Lei gli sorrise brevemente, prima di scivolare a terra anch’essa sul terreno schiacciato.

“Sto solo cercando di venire a patti con la morte di Kessa. Dubito che questo dolore si possa curare con le tue mani.”

Scuotendo il capo, Rannyl le prese le mani tra le sue e, baciandone i dorsi uno dopo l’altro, asserì dolcemente: “Posso solo aiutarti con la mia presenza, non posso fare di più.”

Vagamente sorpresa da quel gesto, Kalia abbozzò un sorriso ed esalò: “Ran, ma cosa…?”

Messosi in ginocchio, Rannyl si piegò verso di lei e, nel fissarla negli occhi da una distanza brevissima, sussurrò: “Non lascerò che il tuo cuore pianga in solitudine. Piangeremo insieme, come è giusto che facciano due figli del branco.”

Detto ciò, le sfiorò  una guancia con un bacio e, nello scostarsi da lei con un profuso rossore dipinto sul volto serio, si allontanò quasi di corsa, lasciandola stranita ma piacevolmente riscaldata nell’animo.

Avrebbe discusso più tardi con Rannyl di quel bacio ma, per il momento, doveva pensare a cancellare il dolore dal suo cuore per concentrarsi sulla battaglia imminente.

Come aveva detto Ran, avrebbero pianto assieme per la morte di Kessa e gli altri lupi.

Di Ylar non avevano ancora trovato il corpo ma, presto o tardi, ci sarebbe stato il tempo di  trovare e commemorare anche lui.  

Nessuno sarebbe stato lasciato indietro, e avrebbero ricondotto a Enerios i loro corpi perché venissero cremati nella loro terra natia.

Alzandosi infine per poi spazzolarsi i pantaloni di lino, Kalia portò istintivamente la mano alla daga quando udì Naell urlare in lontananza.

Sapeva che il castello era presidiato dai loro uomini ma, assurdamente, pensò che lei potesse essere in pericolo.

Con passo veloce, si lanciò lungo il porticato per raggiungerla, la daga già snudata nella mano ma, non appena si rese conto del motivo che l’aveva portata a urlare, si bloccò di colpo e crollò in ginocchio con le lacrime agli occhi.

Lì, nel corridoio coperto, ferito e col pelo ricoperto di sangue rinsecchito e polvere, stava Ylar, abbracciato da una piangente Naell.

Baciandolo a più riprese sotto gli sguardi sorpresi di tutti, si lasciò andare a mille e più dichiarazioni d’affetto profondo per il suo lupo.

Doveva essere rimasto nascosto per giorni, tra la vita e la morte, prima di aver avvertito la presenza della sua padrona ed essersi trascinato fuori dal pertugio in cui aveva tentato di recuperare le forze da quelle che sembravano bruttissime ferite.

Avvicinandosi gatton gattoni, non avendo la forza di reggersi in piedi, Kalia si unì all’abbraccio di Naell e baciò il muso sporco del lupo, ricevendo per diretta conseguenza un colpetto della sua lingua direttamente sul naso.

Kalia rise e pianse al tempo stesso e, mentre Rannyl le raggiungeva con eguali gioia e lacrime sul volto, lei esalò: “Sei sopravvissuto. Sei vivo… bravo, Ylar, bravo.”

Poggiate le mani sul dorso del lupo, Ran si inginocchiò quasi senza forze e gracchiò al colmo della felicità: “Sei proprio una forza, amico! Coraggio, vieni qui, piccolo, e lasciati curare.”

Gentilmente, Rannyl scostò il lupo dalle mani di Naell e Kalia e, dopo aver abbracciato l’animale piagato e stanco, chiuse gli occhi e divenne pura energia.

Non solo le sue mani, ma il suo corpo tutto prese come fuoco e, sotto gli occhi sorpresi e sgomenti di chi si trovava nel corridoio in quel momento, il lupo riprese via via le forze fino a emettere un ululato forte e dirompente.

Ylar leccò più e più volte il volto di Rannyl mentre la luce che permeava dal corpo del giovane figlio sacro andava scemando e, quando il giovane fu certo delle buone condizioni dell’amico, lo accarezzò con forza e mormorò: “Abbiamo salvato almeno te… almeno te.”

Fu a quel punto che Rannyl crollò in lacrime e Kalia, avvicinandosi a lui, lo prese tra le braccia e pianse con lui per la morte dei loro amici.

Naell, stretta al suo lupo, si chiese cosa poter fare per chetare in parte il loro dolore.

Sapeva quanto quelle lacrime fossero importanti, quanto quel dolore cocente dovesse uscire dai loro corpi sotto forma di pianto, ma era straziante dover osservare quei volti a lei cari distorcersi per la pena provata.

Come era difficile accettare che solo il suo lupo fosse sopravvissuto.

Carezzandolo lentamente, Naell poggiò il capo contro la sua spalla mentre Ylar, gentilmente, leccava via le lacrime dei suoi amici umani, pronto a balzare nuovamente nella battaglia pur di non vederli ancora soffrire.

Fu a quel punto che il lupo parve rammentare un particolare e, volgendo il proprio sguardo serio in direzione della padrona, iniziò a uggiolare con tono sommesso e vibrante.

Dopo aver ascoltato attentamente ciò che il lupo aveva da dirle, Naell si infuriò al punto che anche Rannyl e Kalia si accorsero del suo cipiglio, nonostante il dolore provato.

Levandosi da terra mentre Ylar scodinzolava allegro al solo pensiero di dare man forte alla padrona, Naell si volse verso Ran e Kalia e dichiarò torva: “E’ stato Korissar a tentare di uccidere Ylar. Lui lo ha creduto morto e così, quando è rimasto solo, si è allontanato fin dove gli è riuscito per recuperare un minimo le forze.”

Rannyl si levò a sua volta in piedi con l’aiuto di Kalia e, tergendosi il viso – ora duro come pietra – ringhiò ferocemente: “Non ti chiedo molto, cugina. Dammi licenza di giustiziarlo.”

Sogghignando fiera, Naell dichiarò con tono feroce: “Sarò ben lieta di concederti questo onore, cugino.”

“Ve ne sono obbligato, Altezza” ghignò Rannyl, mettendo mano alla daga nel concedere un ironico inchino alla cugina.

Kalia lo imitò lesta, nello sguardo la medesima morte e il medesimo desiderio di vendetta.

Naell li osservò per un istante, indecisa sul da farsi, quando Ellessandar la raggiunse trafelato e si chinò per abbracciare un redivivo Ylar.

“Sei sopravvissuto almeno tu!” esclamò il giovane principe prima di levare lo sguardo verso Naell e gli altri, e rendersi finalmente conto che qualcosa non andava.

Rannyl e Kalia sprigionavano odio da tutti i pori ed Ellessandar, pur non possedendo alcun potere psichico, poté avvertirlo senza problemi.

Lasciando che Ylar continuasse a leccargli le mani, tutto contento per l’abbraccio del principe, Ellessandar fissò dubbioso Naell, chiedendole: “Che succede?”

“Stanno pensando di farla pagare a Korrisar per quello che ha tentato di fare a Ylar” gli spiegò gelida lei, prima di rivolgergli un mezzo sorriso di scuse e asserire: “Spero non me ne vorrai. Teoricamente, Korissar dovrebbe essere affar tuo, visto che si trova qui, ma…”

Ellessandar si rialzò per abbracciarla strettamente e, nel darle vigoroso bacio sulle labbra, replicò signorilmente: “La mia futura moglie può fare ciò che vuole… esecuzioni comprese.”

“Allora, noi andiamo” sentenziò Rannyl senza attendere un solo attimo.

Kalia lo affiancò senza dire nulla, la mano stretta attorno alla daga leggermente tremante.

Naell rise lievemente nel guardarli allontanarsi lungo il corridoio. Li avrebbe raggiunti, ma prima doveva dire un paio di cose a Ellessandar.

Mordendosi pensosa un labbro, ammise: “Mi fa strano sentirti parlare così, e c’è ancora la faccenda di Coryn da sistemare, però… però…”

“Ti fa piacere?” ironizzò Ellessandar.

“Ebbene sì. Io, che ho tanto temuto questa parola, apprezzo sentirla quando sei tu a menzionarla” buttò lì Naell, abbracciandolo con un risolino subito dopo. “Mi sembra tutto così assurdo! Così irreale!”

“E’ solo perché ci troviamo sull’orlo di un baratro… ma io ho fiducia in Enyl, e so che ci tirerà fuori da questo ginepraio” asserì con convinzione Ellessandar.

“My-Chan è ancora davanti alle porte del tempio?” gli domandò allora Naell, sapendo che nelle scorse ore l’amica si era appostata dinanzi alle porte templari a mo’ di guardia del corpo.

“Sì, non si fidava a lasciarla sola” annuì, con tono affettuoso.

“E’ adorabile” assentì Naell, prima di chiedergli: “Andiamo a fare da testimoni all’esecuzione?”

Ellessandar si volse a guardare nella direzione presa dai due figli sacri che, nel frattempo, stavano prendendo la via delle prigioni e, annuendo glaciale, ringhiò: “Sì.”

***

Rannicchiato in un angolo della cella, dove era stato rinchiuso ormai da diverse ore, il mento tremante di paura e la certezza di essere ormai prossimo alla fine, Korissar sobbalzò spaventato e strillò, quando vide entrare due figure che avrebbe preferito non rivedere mai.

Rannyl e Kalia apparivano vendicativi come un covo di scorpioni irritati, e le loro daghe snudate non preannunciavano nulla di buono.

Quando poi udì sopraggiungere la principessa Naell, si angustiò ancor di più.

Fu però la vista del suo lupo, apparentemente incolume pur se sporco copiosamente di sangue e terriccio, che lo mandò definitivamente al tappeto.

Ylar ringhiò al suo indirizzo mentre Korissar, con occhi sgranati e sconvolti, lo fissò terrorizzato prima di gracchiare: “Eri morto! Eri morto! Ti ho visto!”

“I lupi sono molto più forti di quanto tu non creda, vecchio” gli sibilò contro Rannyl, stringendo i denti fin quasi a farsi male.

Korissar mosse febbrilmente gli occhietti folli dall’uno all’altro volto, evitando di proposito il muso del lupo puntato contro di lui e, con mani tremanti, cercò di coprirsi per ripararsi dai loro sguardi accusatori.

“Era morto… morto…” continuò a ripetere il ministro, muovendosi sul pavimento come se avesse voluto scomparire.

Naell era così disgustata da quell’uomo che non riuscì neppure a trovare dentro di sé la rabbia necessaria per emettere a voce la condanna ma Ellessandar, dietro di lei, dichiarò con voce atona e fredda: “Principe Rannyl, vi concedo testé di porre fine all’esistenza di questo traditore della patria e di farlo in modo che, prima che l’ultimo sospiro sopraggiunga, egli abbia compreso perfettamente cosa abbia voluto dire mettersi contro i regni di Enerios e Akantar.”

Rannyl sogghignò all’indirizzo del principe, gli occhi d’ambra che mandavano lampi e, nell’annuire con profonda gratitudine, il giovane mormorò: “Sarà un vero onore portare a compimento questo ordine, Vostra Altezza. Vi chiedo solo di concedere alla mia fida amica Kalia il medesimo piacere.”

“Così sia” assentì Ellessandar prima di afferrare Naell per le spalle e trascinarla via dalla cella, mentre Kalia e Rannyl si avvicinavano minacciosi al ministro del commercio.

Restia ad allontanarsi, Naell lo fissò male e replicò: “Perché mi stai portando via? So cos’è il sangue e…”

Il primo grido giunse spettrale dalla cella ed Ellessandar, torvo in viso, le confidò: “Scommetto quel che vuoi che avresti incubi per mesi interi, sapendo cosa può fare tuo cugino. Credimi, io ho visto Enyl all’opera quando era veramente infuriata, e non penso vorresti essere testimone della stessa furia.”

Naell impallidì leggermente a quelle parole e, mentre le urla si facevano sempre più alte e isteriche, Ellessandar aggiunse lapidario: “Considera solo questo, Naell. Un corpo umano può resistere ore a una tortura ben congegnata, e credo che nessuno dei due lascerà scorrere invano il tempo che ci separa dall’arrivo di re Kevan. Dico bene, Ylar?”

Il lupo abbaiò una volta e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo alla cella poco lontana, si strusciò contro la gamba della padrona come per invogliarla ad allontanarsi in fretta.

Con il suono delle urla di Korissar nelle orecchie, Naell risalì le scale di pietra assieme a Ellessandar e, quando finalmente si trovò di nuovo all’aperto a respirare l’aria frizzante del primo mattino, si chiese come sarebbero tornati alla luce i due suoi compagni di viaggio.

Forse, Ellessandar aveva fatto bene ad allontanarla da quello scempio.

“Manca poco, ormai” mormorò roco Ellessandar, osservando le ombre lunghe degli alberi nel giardino.

“Secondo quel che dice Rannyl, dovrebber…” iniziò col dire lei, prima di udire le grida concitate e meravigliate delle guardie di ronda sulle mura.

Preoccupato, Ellessandar si mise a correre in quella direzione, subito tallonato da Naell Ylar e, dopo aver percorso a spron battuto il giardino, si lanciò su per la scala che conduceva ai camminamenti.

Raggiunti i suoi soldati, il principe dovette però coprirsi il viso con un braccio per non rimanere accecato dalla luce proveniente dal centro della città e, confuso, si chiese cosa stesse succedendo.

“Mio signore, cos’è?” mormorò preoccupata una delle guardie, schermandosi la vista con uno scudo.

“Enyl?” domandò suo malgrado affascinata Naell, riuscendo a fatica a mantenere lo sguardo sulla città.

“La luce proviene dal tempio, quindi penso sia proprio lei” assentì Ellessandar, pur non essendone certo.

Pareva di veder sorgere il sole, ma la direzione era completamente sbagliata e la luminosità molto più forte, più vivida.

Poteva solo immaginare come dovesse apparire da vicino e, in cuor suo, sperò che tale splendore e forza potessero bastare per proteggerla dal male che si stava avvicinando a tutti loro.

“E’ pronta” dichiarò all’improvviso dietro di loro Rannyl.

Sobbalzando per la sorpresa e la paura, Naell lo fissò sconcertata, chiedendosi stupidamente perché fosse già lì, visto che aveva desiderato che Korissar patisse per ore e ore dolori atroci.

Il corpo del cugino, però, era interamente ricoperto di sangue scarlatto, che ne macchiava i vestiti e il viso, così come Kalia che, ferma al suo fianco, appariva pronta a fronteggiare un esercito intero, forte della sua sola daga.

In qualche modo, lo avevano fatto soffrire parecchio, ma la loro presenza sui camminamenti la lasciava comunque perplessa.

I soldati si guardarono bene dal chiedere loro il perché di quella macabra esibizione ed Ellessandar, torvo in viso, domandò loro: “Vi siete stancati prima del tempo?”

“E’ morto di paura” ringhiò indispettito Rannyl. “Non ho neppure fatto in tempo a recidere la metà dei nervi che avevo intenzione di tagliare. Un vero spreco di energie.”

“Rannyl!” esalò sbalordita Naell.

Il giovane la fissò senza realmente vederla e la principessa comprese che, in quel momento, la freoha doveva scorrere così copiosa nel suo corpo.

La misericordia era ben lungi da lui, in quei momenti di foga animale.

Ora, Rannyl era solo una perfetta macchina da guerra, con in mente un solo obiettivo. Uccidere il nemico, a qualsiasi costo.

Kalia, accanto a lui, gli strinse una mano con forza e, osservando al pari di Rannyl l’immensa luce in movimento all’interno della città, dichiarò: “E’ la più forte tra le figlie sacre. Riuscirà.”

“Non da sola, però” replicò Rannyl, sorprendendo tutti. “Dovremo circondare il tempio con un numero di persone sufficienti a formare un cerchio compatto. Al momento opportuno, Enyl mi dirà cosa fare ma, più di ogni altra cosa, è vitale che questo cerchio non venga mai spezzato.”

“E non lo sarà, te lo prometto. Parlerò subito con i miei genitori per radunare il maggior numero di persone al tempio di Soanes e, nel frattempo, predisporrò una linea di difesa per proteggerci quando saremo lì” gli promise Ellessandar, poggiando una mano sulla sua spalla.

“Sarai con noi anche tu?” esalò Rannyl, vagamente sorpreso.

“Non ho bisogno della gloria in battaglia, Ran. Preferisco essere d’aiuto, per quel che potrò, a Enyl” gli sorrise benevolo il principe, prima di correre dabbasso per predisporre quanto appena detto.

“Ci sarò anch’io, al tempio” asserì Naell, tenace.

“Bene” si limitò a dire Rannyl, senza perdere di vista l’immensa luminosità della sorella.

La Luce camminava per Yskandar.

Sperava soltanto che le Tenebre non compissero gli stessi passi.

  
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