IL QUINTO IMPERO
Masaki; Ranmaru
Gemini
era un grande centro, perno del Continente in quanto
ad articoli per alchimia e raffinerie di minerali. La popolazione era
costituita per la maggior parte da Dominatori dell’Aria, che perlopiù
lavoravano nelle raffinerie, ma molti erano anche i Dominatori dell’Acqua
provenienti dalla vicina città portuale di Scorpio,
che facevano tappa nella cittadina prima di ripartire alla volta della grande
strada che portava fino alla Capitale e che costeggiava il fianco di Gemini.
Un
fitto intrico di stradine e vicoli più o meno ampi
costituiva lo scheletro della città, una fitta rete in cui chiunque poteva
perdersi. Si diramavano dalla Grande Piazza, estendendosi come centinaia di
braccia allungate sino allo spasimo per afferrare qualcosa. Erano costeggiate
da edifici in marmo bianco che mano mano che si avvicinavano al centro della città diventavano
più scuri sulle tonalità del grigio, costruiti da architetti così capaci che
parevano, guardandoli, leggeri come una piuma, alti, dal tetto color terracotta
e pieni di grandi finestre dai vetri colorati, circondati ognuno da deliziosi
giardinetti di un verde acceso e brillante. Non c’era una stradina che non fosse costituita da ciottoli, un cornicione che non fosse
decorato a motivi svolazzanti. Gemini era una città ricca e fiorente, che stava
vivendo un’epoca di forti prosperità e sviluppo, che l’avevano
resa una delle Città-Perno del Continente. Lì non si sentiva mai parlare di
guerra, o di problemi, o di povertà: la maggior parte della popolazione viveva
nell’agiatezza, ed il ceto più basso era di certo molto più ricco di quello che
abitava i piccoli paeselli circostanti.
L’unica
stonatura in tutto quel benessere era di certo il clima sfavorevole per la
maggior parte dell’anno. Pioveva spesso, e tirava sempre un vento caldo che
arrivava dal mare. Per questo le giornate di sole, a Gemini, erano uno
spettacolo mozzafiato che nessuno teneva a perdersi.
A Masaki il maltempo piaceva, anche se quella brezza che
sapeva di afa proprio non la soffriva. Per questo
rimaneva spesso chiuso in biblioteca ad oziare e a stare fresco. E poi, al di fuori di Haruna e del
panettiere sulla strada per
La
biblioteca era un edificio grigiastro vicino al centro della città, incastrato
e compresso tra anonimi vicoletti e negozi di
souvenir, che durante le tempeste si confondeva con le nubi grigie cariche di
pioggia che sovrastavano Gemini e che raramente aveva qualche cliente.
Il
lavoro alla biblioteca era davvero noioso, a volte. Tutto quel silenzio a Masaki dava fastidio, e doverne essere il garante era
ancora più irritante.
Ma
quella piccola biblioteca al centro della città era tutto
ciò che aveva, e lavorarci era l’unico modo che aveva per ripagare Haruna della sua ospitalità, quindi sopportava il silenzio
e passava le sue giornate a dondolarsi su una sedia dietro ad un bancone,
aspettando dei clienti che di solito non arrivavano mai, visto che i libri
sulla magia interessavano ben poco, a gente che di magia non sentiva parlare da
decenni.
Spesso
Masaki si chiedeva come mai ancora non avessero
portato via ad Haruna il
locale,visto che non facevano un soldo. Tutto ciò che sapeva era che la
biblioteca apparteneva alla famiglia della donna da generazioni, e che prima il
suo bisnonno, poi suo nonno, poi suo padre, poi suo fratello avevano
contribuito a riempirla con quanti più libri sulla magia fossero reperibili,
dopo il Grande Incendio che moltissimi anni prima aveva distrutto quasi tutto
il patrimonio magico del Continente.
Ma Masaki sapeva bene che i maghi non mettevano piede su
quelle terre da quasi due secoli, e un po’ comprendeva il perché gli abitanti
di Gemini non fossero attratti da quel posto, che comunque,
innegabilmente, lo affascinava parecchio. A volte si riscopriva curioso di
sapere di cosa parlassero quei libri. Ma non sapeva
leggere molto bene, quindi teneva il suo interesse per sé. A volte guardava le
immagini, ma ci capiva poco o niente. E poi quasi
tutti i libri illustrati erano sull’esercizio del Dominio, e tutti i libri
sull’esercizio del Dominio parlavano dell’aria, o al massimo dell’acqua,
elementi con cui lui non aveva nulla a che fare.
Un
tintinnio di campanelli fece voltare Masaki che,
guancia appoggiata al palmo della mano, si guardava distrattamente attorno,
distraendolo dai suoi pensieri. Subito il ragazzo si raddrizzò sulla sedia,
sperando in qualche nuovo cliente, ma le sue speranze si rivelarono vane.
Quando vide una testa rosa e un paio di occhi azzurri
attraversare la soglia della biblioteca, sbuffò pesantemente –Ah, sei tu.-
commentò svogliatamente, rilassando le spalle e storcendo le labbra in una
smorfia.
Un ragazzo sui diciotto, non troppo alto e con una cascata di capelli rosa
raccolti in una coda bassa da un fiocco, socchiuse gli occhi di un azzurro
acceso e stirò un sorriso tirato –Buongiorno anche a te.- salutò, con un cenno
del capo, avvicinandosi al bancone. Tra le braccia teneva cinque tomi di
modesto spessore. Li lasciò cadere sul ripiano in
legno, quindi si lisciò gli abiti di buona fattura che indossava.
Damerino di Gemini. Masaki
roteò gli occhi.
Quello si guardò attorno, non curandosi delle occhiate esasperate che Masaki gli lanciava,quindi chiese,
lisciandosi il mento –La rilegatura dei libri sulla Magia Antica è terminata? Li
trovo, in biblioteca?- il sorriso sul suo volto si stiracchiò ulteriormente, e
gli occhi presero a brillargli.
L’altro
sospirò sconsolato -Non tutti. Alcuni sono ancora dal
libraio. Purtroppo devi ripassare un
altro giorno.- borbottò, incrociando le braccia sul
bancone e affondandoci la faccia –Mi chiedo perché mai tu stia sempre qui
dentro. C’è il cielo lì fuori, il mercato, le ragazze. Devi proprio venire qui tutti i giorni?- domandò, la voce soffocata per via
della stoffa della casacca contro la quale era poggiata.
-Il
cielo è grigio, il mercato è luogo per governanti e le ragazze non si interessano di magia.- replicò quello calmo –Quelli già
rilegati posso averli?- domandò poi, tornando all’attacco.
Che
stress, quel tizio. Oramai era qualche mese che frequentava con costanza la
biblioteca. Pareva non avere null’altro da fare che sfogliare libri su libri di magia. Masaki odiava
stare lì a fissarlo mentre consultava tutto felice i
tomi di Haruna, assorto. All’inizio era stato
contento di vedere che qualcuno si degnava di entrare in quel posto a farsi una
cultura, ma poi aveva cominciato a trovare davvero irritante il ragazzo dai
capelli rosa. Gli faceva sempre domande su domande,
pensava di essere il più intelligente del paese ed era più alto di lui.
Si
era informato, Masaki: il suo nome era Ranmaru Kirino, figlio di un
nobile commerciante di diamanti, e di conseguenza uno degli scapoli più ricchi
e ambiti della città. Ma, a quanto raccontava Marceline, la moglie del fornaio, il ragazzo non era
assolutamente interessato all’attività di famiglia, né tanto meno a sistemarsi.
E Masaki lo sapeva bene,
visto che l’unica cosa che pareva importare a quel damerino era la magia. Haruna lo trovava un sacco simpatico. Lui non condivideva
il suo punto di vista.
Trattenendosi
dal risultare troppo maleducato, si alzò con una sorta di sbuffo dalla sedia e
si sgranchì la schiena, facendosi strada in mezzo agli
scaffali. Sapeva che l’altro lo stava seguendo, ma non spiccicò parola, e si
limitò a raggiungere sezione, scaffale e ripiano dove i libri richiesti si
trovavano. Conosceva la posizione di tutti a memoria, dopo dieci anni, ed
alzandosi in punta di piedi, estrasse i due tomi di Magia Antica che il
rilegatore aveva rimesso a nuovo.
Si
voltò –Quelli di Magia Antica sarebbe meglio se li
riportassi al più presto possibile.- raccomandò, porgendoli a Ranmaru, che annuì e li prese in mano contento come un
bimbo a cui si dà una caramella –Non che ci sia qualcun altro che li voglia
leggere, ma Haruna ci tiene particolarmente.- evitò
di dirgli che, di norma, i libri sulla Magia Antica sarebbero dovuti essere
consultati in biblioteca e che Haruna aveva concesso
a “quel gentile ragazzo che è Ranmaru” di portarli a
casa perché si fidava di lui.
-Comunque
preferirei cominciare a dar loro un’occhiata qui.-
precisò il ragazzo dai capelli rosa, annuendo. Masaki
alzò gli occhi al cielo –Se proprio ci tieni.- allargò le braccia e tornò verso
il bancone, preparandosi psicologicamente per le prossime ore in cui avrebbe
dovuto fissare quell’ossessionato di magia piegato in due sui libri.
Quando fuori si fece buio, Masaki vide Ranmaru chiudere uno dei due libri e stropicciarsi un
occhio. Distolse lo sguardo, perché aveva passato l’ultima ora a fissarlo e ad
ideare nuovi improperi nei suoi confronti, e fece finta di scribacchiare
qualcosa su un foglietto.
Sperò
che l’altro uscisse senza dire niente, ma fu costretto ad alzare lo sguardo quando alle orecchie gli giunse un –Haruna tra quanto arriva?-
Socchiuse
gli occhi –Doveva passare al mercato e fare un paio di giri. Ma credo che
ancora manchi tanto, pareva dovesse sbrigare faccende
importanti.- mentì. Non sopportava di stare rinchiuso per ore assieme a lui, e
visto che succedeva praticamente tutti i giorni,
voleva risparmiarselo almeno per una volta.
-Oh.-
Ranmaru parve dispiaciuto. Ma ritrovò subito il
sorriso, e sistemò i libri che aveva preso sul bancone –Posso
aspettarla, comunque, non è un problema.- il suo sorriso parve a Masaki quasi supplicante, ma non ci fece molto caso, troppo
disperato dalla notizia. Sospirò pesantemente –Pare che tu ti diverta a tediarmi.- lo riprese.
-Ma
che fastidio ti do.- replicò quello, voltandosi di
spalle e poggiando i gomiti al bancone, buttando indietro la testa –Non capisco
tutto questo astio nei miei confronti. Vengo qui solo
per leggere.- il tono era appena irritato.
Masaki non aveva una risposta –Bhè, non mi
vai molto a genio.-
-Ah,
si?-
-Si.
A pelle.-
Il
più grande scosse la testa e rimase in silenzio. Lo ruppe qualche minuto dopo
–Hanno condannato il Dominatore della Terra, comunque.-
bisbigliò quasi.
L’altro
represse un singulto e voltò sprezzante lo sguardo –E allora?- sibilò.
-Mi
sembrava di aver capito che ti interessasse. Ti ho sentito mentre ne parlavi con Haruna.-
alzò le spalle Ranmaru. Masaki
odiò l’indifferenza con cui gli stava parlando, e non riuscì a trattenersi
–Cos’è, si è guadagnato le celle di Gemini per via del
suo Dominio?- sputò, stringendo le labbra. Era risaputo che tra Dominatori
dell’Aria e Dominatori della Terra non era mai scorso
buon sangue. I due tipi di Dominio si escludevano a vicenda, erano agli
antipodi, aria in alto, terra in basso, aria leggera,
terra pesante. Non c’era tolleranza per i Dominatori della Terra, tra quelli
dell’Aria, e viceversa. L’odio si era radicato in generazioni e generazioni, e non erano rari episodi di discriminazione e
violenza.
Quel
caso in particolare riguardava un Dominatore della Terra, di passaggio a Gemini, accusato di furto. A Masaki
era subito interessato il discorso, anche perché, che un Dominatore della Terra
facesse tappa in un città dell’Aria era davvero raro,
e pericoloso, soprattutto. Nessuno aveva testimoniato a suo favore, e Masaki non era nemmeno sicuro che avesse avuto un processo
giusto, visto che ci avevano messo una giornata e
mezzo a condannarlo. Anzi, era sicuro che il suo Dominio avesse reso la
sentenza dei giudici molto più veloce. E odiava con
tutto il cuore queste manifestazioni di intolleranza.
Ranmaru si voltò, una smorfia sul volto –Era
colpevole. Non c’entra nulla il suo Dominio.- masticò,
scuro in volto.
L’altro
schioccò la lingua, acido –Certo, colpevole di dominare
-Perché
pensi che tutti quanti qui a Gemini la pensino così?-
sbottò il più grande –C’erano le prove, ed è stato imprigionato giustamente.-
si difese come se fosse stato accusato lui stesso. Masaki
si alzò dal suo posto ed inclinò il capo –Perché tutti quanti qui odiano i Dominatori della Terra e si credono migliori di
loro, senza alcun motivo. O forse vuoi dirmi che tu ti
faresti amico uno di loro? Nh?-
Ranmaru sbiancò sensibilmente. Masaki gli
riservò una risatina di scherno –Appunto.- scosse la testa e si rimise a
sedere. Gli tremavano le mani.
-Perché li difendi così?- chiese poi il più ricco, aggrottando le
sopracciglia e balbettando qualcosa. I loro sguardi si incontrarono
per qualche secondo, ma Masaki non fece in tempo a
replicare che uno scampanellio annunciò l’arrivo di Haruna.
Il discorso si concluse ufficialmente quando un
–Buonasera! Ah, Ranmaru! Ci sei anche tu!- riempì il silenzio teso.
Masaki percepì solo l’accenno di una conversazione. Poi si alzò e si
diresse verso il piano di sopra, alla sua stanza, senza dire una parola. Sbattè la porta
per non sentire altro.
***
Chiuse
la porta di casa il più piano possibile. Si sfilò le
scarpe e procedette in punta di piedi fino alle scale che portavano al piano
superiore.
Ma
non fece in tempo.
-Ranmaru.- lo richiamò una voce. Il ragazzo sobbalzò e si voltò. Una
scarpa gli scivolò di mano e cadde a terra. Strinse le labbra –Ranmaru, hai saltato di nuovo la cena.-
La
signora Kirino era una donna alta e dalla bellezza
mozzafiato. Aveva i capelli dello stesso colore rosato del figlio, che teneva
rigorosamente legati in acconciature elaborate, e due occhi color dello
smeraldo fini ed eleganti. A guardarla si sarebbero notati solo questi
particolari, in un primo momento, ed il nasino a punta, le guance magre, le
labbra fine sarebbero saltate all’occhio solo dopo.
-Avevo un impegno.- masticò impassibile il ragazzo, riprendendo a salire
le scale senza degnarla un secondo di più del suo sguardo. Ma
la voce pungente della più grande lo chiamò ancora –Tuo padre è oltremodo
adirato. Cos’è, sei tornato di nuovo in quella biblioteca?- il tono sprezzante
con cui lo disse fece accapponare la pelle a Ranmaru, che strinse i pugni e li rilasciò. Si chinò a
raccogliere la scarpa caduta –Ho studiato.- avrebbe voluto
aggiungere un “mamma”, dopo, ma si costrinse a non farlo, e riprese a salire,
scomparendo alla vista della donna, che continuò a parlare come se nulla fosse
–Devi smetterla. A tuo padre non piacerebbe. Lui pretende da te il massimo
della serietà, e vuole che tu prenda il suo po—
Chiudendo
la porta della sua stanza, Ranmaru smise di
ascoltarla. Lanciò le scarpe sul pavimento e solo dopo essersi sistemato alla
scrivania decise di togliersi la tracolla dalle spalle ed estrarre i libri che
aveva preso in biblioteca.
Provò
un enorme senso di soddisfazione nello sfogliare le pagine dello spesso tomo di
Magia Antica. Prima di quel giorno non ne aveva mai
tenuto uno in mano, ed era euforico. Non capiva come gli
altri, sua madre, suo padre, non riuscissero ad apprezzare tutto quel
sapere. Sospirò. Odiava che la sua famiglia volesse
impedirgli di fare ciò che desiderava: suo padre, un ricco proprietario di
raffinerie di diamanti, voleva a tutti i costi che lui prendesse il suo posto,
ma Ranmaru non ne aveva voglia, e i genitori non solo
non riuscivano a capacitarsene, ma soprattutto premevano in tutti i modi per
convincerlo.
Ranmaru si era avvicinato alla magia quasi per caso. La famiglia Kirino era molto nota non solo per
la ricchezza dei possedimenti e degli stabilimenti di raffineria, ma anche per
l’enorme abilità del Dominio dell’Aria. Il padre di Ranmaru
era un tradizionalista, Maestro di Dominio del suo elemento, e quando non si
occupava dei suoi commerci svolgeva addirittura lavori per l’Impero, e spesso
era chiamato a giudicare i casi della città come Giudice Onorato della Corte di
Gemini assieme ad altri pochi eletti. Sua madre era Adepta
dell’Aria presso il tempio della Grande Piazza, e con la sua arte dava
una mano nella Cappella di Soccorso ai malati. E lui, Ranmaru,
unico figlio in cui erano state riposte le più grandi
speranze e aspettative della famiglia, a diciotto anni ancora non era in grado
di dominare l’Aria come si addiceva al suo rango e alle sue radici. Per questo
il ragazzo si era interessato alla magia: secondo i testi antichi, non c’era
bisogno di eccellere nel Dominio, perché la magia coinvolgeva tutti e quattro gli
elementi della natura, entrandovi in simbiosi e chiedendo in prestito ad essa
le loro proprietà. Certo, necessitava di molto studio
ed impegno, ed era impossibile praticarla, visto che da secoli in giro non
c’erano più maghi o persone in grado di tramandarne l’arte, ma Ranmaru era rimasto talmente affascinato, vi aveva
intravisto così tante possibilità diverse che non rendevano le orme di suo
padre l’unica via da seguire, che aveva deciso di studiare tutto lo scibile e
di apprendere tutto ciò che poteva. Avesse potuto, si sarebbe interessato
maggiormente anche all’alchimia, ma purtroppo gli era impossibile
mettere in pratica quanto i manuali della biblioteca illustravano, non avendo
gli strumenti e non essendo questi reperibili da nessuna parte, a Gemini.
Gli
rimaneva solo che chiudersi in camera, chinarsi sui libri e leggere, e leggere, e leggere. Quando si parlava di magia, lui si
sentiva tranquillo con sé stesso, ed anche felice in
un certo senso; la piccola biblioteca di Haruna era
ormai diventata la sua seconda casa, e di certo preferiva passare il suo tempo
lì che rinchiuso nella sua bella villa grigia nel quartiere aristocratico della
città.
Pensare
alla biblioteca gli riportò in mente il discorso che quel pomeriggio aveva
avuto con Masaki, il ragazzo che si occupava del
negozio (o almeno credeva, visto che era sempre lì). Ranmaru
si morse il labbro ed allontanò il naso dal libro che stava consultando. Si
massaggiò l’attaccatura del naso, chiudendo gli occhi. Cominciavano già a
dargli fastidio.
Ranmaru non poteva farci niente: se ne vergognava molto, ma il modo in
cui l’avevano cresciuto gli aveva insegnato a guardare
con sospetto qualsiasi Dominatore della Terra, e per quanto lo trovasse
sbagliato non riusciva proprio a liberarsi da questo pregiudizio, anche se non
lo dava a vedere e lo nascondeva. Lo trovava ingiusto, e non riusciva a
sopportare tutte quelle violenze che venivano inferte.
Con Masaki aveva davvero fatto una pessima figura,
non era riuscito a dire niente di sensato, e di certo a quel ragazzo che pareva
odiarlo tanto era sembrato uno di quegli ignoranti figli di buona famiglia che
credevano ciecamente nella distinzione tra Domini. Ranmaru
era rimasto molto sorpreso dal fatto che Masaki non
condividesse certi pregiudizi. Piacevolmente sorpreso.
Sapeva
che Masaki aveva ragione sul caso del Dominatore
arrestato nel dire che la pena era stata più severa a
causa delle origini dell’uomo catturato, anche se Ranmaru
aveva piena fiducia nel sistema di Gemini, e non credeva che un Dominatore
dell’Aria avrebbe ricevuto un trattamento poi tanto diverso. O
forse continuava a ripetersi questo perché faticava ad accettare che vi fosse
un tale livello d’incomprensione tra gli uomini, che si compiessero violenze
del genere solo per la diversità di un Dominio. E, infine, perché voleva
credere con tutto sé stesso che suo padre, membro
onorario della Corte di Gemini che di Dominatori della Terra molti ne aveva
mandati in prigione, in esilio, o alle miniere, agisse per il bene della città
e non per un pregiudizio. Ci si attaccava con tutto sé
stesso, perché non poteva credere che il suo papà, quel papà che da bimbo non
gli aveva mai sorriso, quel papà di cui aveva cercato approvazione per anni e
che aveva visto sempre con occhi pieni di ammirazione non avesse un briciolo di
umanità.
In ogni caso, proprio non riusciva a non sentirsi in colpa, un
senso strisciante che gli torceva lo stomaco e che non comprendeva da dove
uscisse fuori.
Una colpa verso tutti quei Dominatori della Terra che la sua stessa famiglia
aveva condannato.
Decise
di ignorarlo e tornare a leggere.
La
notizia l’apprese la mattina dopo, durante la colazione. Suo padre era talmente
preso che nemmeno si ricordò di sgridarlo per il giorno prima,
e Ranmaru ringraziò la sorte, perché le strigliate di
suo padre erano davvero tremende.
-
Ranmaru sobbalzò. Il discorso del giorno prima gli tornò prepotentemente
alla mente. Abbassò il capo, fissando la sua tazza di thè
senza dire una parola.
A
tavola c’era solo la famiglia Kirino, sistemata al
sontuoso tavolo della sala da pranzo che la madre di Ranmaru
aveva ammobiliato lei stessa, e a parte qualche servitore che entrava per
portare altro cibo, non c’era nessun altro. Le ampie finestre permettevano alla
luce del sole (quella mattina le nuvole che incombevano in continuazione su
Gemini si erano dissipate) di illuminare la stanza, e il rampollo di famiglia
vedeva il proprio padre in controluce.
-Oh,
santi dei, com’è possibile?- la voce della signora era
stridula per la sorpresa –Qui, in mezzo a noi?- cinguettò, sgranando gli occhi
verdi e portando una mano alle labbra. Poi sorseggiò il suo thè
senza distogliere gli occhi dal marito, che emise una sorta di risatina di
scherno –Si, esercitava il suo dominio poco fuori dalla
città, vicino al Giacimento abbandonato. Ma
-Bhè,
Ranmaru sgranò gli occhi –Verrà condannato?-
chiese, spostando lo sguardo su suo padre, che aveva quasi finito di mangiare
la sua fetta di pane.
-Certo.
Sono chiamato a giudicare come membro onorario, e di certo non lo grazierò.-
sputò quello, come se non ci fosse cosa più ovvia al mondo –Uno sporco
Dominatore della Terra che esercita il suo Dominio a Gemini
quando la legge della città lo vieta.- sorrise, feroce –Prima di tutto
lo metteremo alla gogna, così che tutta la città sappia che un lurido della
Terra si era nascosto tra di loro e possa vendicarsene. Poi lo imprigioneremo. Anzi, andrà a lavorare in miniera, ai livelli più bassi. C’è
carenza di personale per quella parte, ultimamente.-
parlò come nulla fosse, prendendo un’altra fetta di pane e tornando a spalmarci
del burro. Ranmaru sgranò gli occhi e boccheggiò per
qualche secondo, senza parole.
-Ma
non ha esercitato il Dominio a Gemini, il Giacimento dista almeno quattro
miglia dalla città!- ribattè poi, poggiando le mani
sul tavolo. Suo padre gli rivolse uno sguardo che gli fece accapponare la
pelle, ma decise di non distogliere il proprio.
-Era
qui vicino. Questo basta. Già è tanto che qui a Gemini sia permesso a quella
feccia di passare (e poi abbiamo visto cosa fanno una volta qui: ci derubano e
si comportano come meglio li aggrada), figurarsi esercitare.- fece una smorfia, poi posò la fetta di pane sul piatto.
Suo
figlio cercò di continuare –Padre, non stava facendo del male a nessuno, non merita di essere condannato alle miniere!- sbottò, alzandosi
in piedi.
Le
miniere erano asfittiche, erano strette, erano orribili. Ai livelli bassi delle
miniere si moriva facilmente, per questo nessuno degli abitanti di Gemini era
disposto a scendere più sotto di un certo livello.. E
dunque lì sotto venivano inviati i prigionieri della città. Praticamente
una condanna a morte.
-Ranmaru, siediti.- lo riprese la madre, che
sembrava davvero imbarazzata per il comportamento che suo figlio stava tenendo.
-Padre,
rispondimi!- guaì il ragazzo, sbattendo le mani sulla
tavola.
E
suo padre gli rispose. Alzò lo sguardo azzurro e lo incatenò al suo –Si stava
preparando per farne. Un Dominatore della Terra non sviluppa il suo Dominio se
non per fare poi del male.- soffiò.
-Padre,
quello che dici non ha il minimo senso! Che motivo avrebbe
per—
-Ranmaru, siediti
subito!- tuonò il biondo, battendo la mano così forte sul tavolo che i vetri
delle grandi finestre parvero tremare.
Il più piccolo tentò un’ultima volta –Padre--
Ma
l’uomo di fronte a lui, così distante, parve non udirlo –Si ricorderà per tutta
la vita che i Dominatori dell’Aria non voglio feccia
della Terra nei loro territori.- concluse, e nessuno aprì più bocca.
Ranmaru paragonò suo padre ad un cane, in quel momento. Non riuscì a
pensare ad altro se non a suo padre che come un cane marca il suo territorio. E gli fece ribrezzo. In un attimo le
parole di Masaki, il giorno prima, lo scossero. Fu come una doccia fredda.
Ranmaru non se lo seppe spiegare, il perché. Perché in
quel momento, quando scene del genere in casa sua si erano ripetute per anni,
anche se raramente. Ma capì che il bene di
Gemini non c’entrava nulla, con le parole di suo padre. Quella era una sorta di
perversa vendetta verso i Dominatori della Terra che tanto odiava.
Si
rimise a sedere, respirando pesantemente, la tempia che gli pulsava dalla
rabbia.
E
decise che non sarebbe rimasto con le mani in mano.
Le
cose stavano così: dopo la gogna, dove il Dominatore della Terra sarebbe stato
umiliato di fronte ad una città intera, il ragazzo avrebbe passato circa una
settimana in gattabuia prima di essere trasferito alla miniera più vicina.
Roso
dalla consapevolezza della crudeltà di suo padre, Ranmaru
in quei due giorni in cui c’era stato il sommario processo
non era nemmeno passato in biblioteca. Si chiese cosa ne pensasse quel Masaki. Di certo era arrabbiato. E
a ragione.
La
piazza era gremita di persone, e Ranmaru dovette
procedere a spintoni per arrivare alla prima fila.
Era
uscito contro il volere di sua madre, quella mattina. Davanti a lei aveva
aperto la porta di casa ed era uscito. Di certo suo padre quella sera non gli
avrebbe risparmiato una lavata di capo tremenda, ma non gli importava.
Voleva fare qualcosa. Qualsiasi cosa potesse aiutare
quel povero Dominatore che di lì a poco sarebbe stato condotto sul palco.
Voltandosi
scorse il fornaio che lavorava vicino alla biblioteca assieme a sua moglie che
parlavano animatamente tra di loro. Fece per
avvicinarsi, incuriosito, ma un suonare di trombe lo fece concentrare
nuovamente sulla struttura di legno, dove una Guardia era salita.
-Signori
e signore!- allargò le braccia
-Bene,
oggi questo Dominatore della Terra è a vostra completa disposizione! Facciamogliela pagare per aver attentato alle nostre vite con il
suo subdolo Dominio!- urla di giubilio si aggiunsero
a risate di scherno. Poi la guardia fece un gesto con la mano –Portatelo sul
palco!- incitò, e le grida si intensificarono. Le
persone si prepararono a lanciare qualsiasi articolo di frutterai
che erano riuscite a reperire.
Ranmaru scosse la testa. Poi un urlo di disperazione, così diverso da
tutti gli altri, attirò la sua attenzione. Si volse appena in tempo per notare
una figura familiare slanciarsi in avanti, verso il palco, e venire trattenuta
dal fornaio e da sua moglie –No!- urlava –No, vi prego!- si dimenò. Ranmaru riconobbe Haruna con un
moto di sorpresa. Riuscì solo a sgranare gli occhi e a fare un passo in avanti,
verso di lei, perché poi la folla esplose, travolgendolo.
Prima
di cadere a terra, riuscì solo ad alzare lo sguardo sul palco un’ultima volta.
Represse un singulto: sul palco, legato ai polsi e strattonato in malo modo
verso la gogna, c’era Masaki.
***
Masaki era un Dominatore della Terra, e nessuno lì a Gemini lo sapeva,
nemmeno Haruna. Per anni aveva finto di non aver
alcun interesse a sviluppare il proprio Dominio, e quindi era
rimasto una grande incognita per molti.
I
Dominatori della Terra non erano ben visti dai Dominatori dell’Aria, e
viceversa. Far sapere a qualcuno, lì, che lo fosse, avrebbe decretato l’esclusione
da parte di tutti, e Masaki non voleva
perdere quel poco che aveva guadagnato. Quindi aveva
nascosto la sua vera natura. Almeno fino a quel dannatissimo giorno in cui,
come al solito, era andato al Giacimento per allenarsi
un po’. Di solito non c’era nessuno, quindi oramai era sicuro di non correre
alcun pericolo. E invece due stupide Guardie ubriache che si erano spinte un
po’ più in là per una scommessa lo avevano visto, lo
avevano catturato, ed ora era condannato per tutta la vita alle miniere.
Guaì,
rannicchiandosi all’angolo della cella dove lo avevano rinchiuso dopo la gogna,
tremante di frustrazione. Non era mai
stato umiliato così.
Strinse
le ginocchia al petto, mordendosi le labbra per non piangere.
Chissà
che cosa stava facendo Haruna, in quel momento.L’aveva sentita urlare, quel
pomeriggio, ma non aveva avuto il coraggio di guardarla in faccia, mentre
l’ennesimo pomodoro andato a male lo colpiva in piena faccia e le risate di
scherno dell’intera Gemini lo ferivano più di coltelli appuntiti. Lo odiava? O le faceva pena? Chi avrebbe badato alla biblioteca da quel
giorno in poi? E avrebbe mai imparato a leggere, lui?
Senza
accorgersene, grosse lacrime avevano preso a scendergli lungo le guance, e
aveva iniziato a singhiozzare rumorosamente.
Era
di nuovo solo.
-Ehi,
tu.- lo chiamò una voce, ed immediatamente Masaki si
ricordò di non essere solo, in quella cella. Alzò lo sguardo e si asciugò
rapidamente le lacrime, rimanendo in silenzio.
-Ehi,
bei capelli,sto parlando con te.- continuò la voce.
-Che
vuoi.- sbottò il ragazzo, voltandosi di scatto, così
da inquadrare il suo compagno.
Un
sorrisetto divertito lo accolse –E’ stata divertente, la gogna?- domandò quello
che a tutti gli effetti pareva un ragazzo sui ventuno anni e che non era altro
che quel Dominatore della Terra accusato e condannato per furto di cui solo due
giorni prima aveva discusso animatamente con quel Ranmaru.
Che ironia, la vita: ora si trovava nella sua stessa
situazione.
-Mi prendi in giro?- abbaiò il più piccolo, facendo per
avvicinarsi. Aveva voglia di picchiarlo.
Un’irritante
risatina lo costrinse ad abbassare la mano, incredulo-Cosa diamine ti ridi?!- ringhiò.
-Ti mandano alle miniere?- domandò l’altro ragazzo, questa volta
serio. Nella penombra della cella, vide un ciuffo di capelli color prugna
muoversi.
Masaki abbassò il capo, sprezzante –Si.- masticò,
ributtandosi a sedere. No, non aveva la forza per litigare. Gli doleva tutto e
non era nelle condizioni psicologiche per iniziare una conversazione violenta.
-Allora
non piangere. Se sei fortunato morirai presto, là
sotto, e non soffrirai più di tanto.- il suo interlocutore si fece avanti, alla
luce. Due occhi bicromi, viola attorno alla pupilla e
gialli sull’iride, scintillarono per un attimo, mentre un uomo già fatto si
mostrava agli occhi di Masaki. Non sapeva dire se fosse alto o basso, visto che era seduto, ma di certo aveva
un’aria più matura della sua. Un ciuffo di capelli gli copriva l’occhio destro,
e non indossava che degli stracci.
Notò
che alle mani del suo compagno di cella mancavano due dita ciascuna, ed i
moncherini era fasciati male da bende sporche di
sangue. Rabbrividì, e quello parve accorgersi dei suoi pensieri –Oh, queste?-
ammiccò -Me le hanno tagliate, una per ogni oggetto che pare io abbia rubato. Grazie al cielo erano solo quattro, fossero
stati di più magari mi avrebbero fatto fuori anche
quelle dei piedi.- rise, e Masaki pensò che fosse
pazzo. Cosa ci trovava da ridere?
-Hai un nome, bei capelli?- continuò imperterrito l’altro. Masaki rispose a mezza bocca, ma non pose la stessa
domanda, che ricevette comunque risposta.
-Io
sono Atsushi, bei capelli.- il ragazzo si spostò di
fianco a lui facendosi forza sulle mani, quindi si avvicinò al suo orecchiò
–Vuoi fuggire, vero, bei capelli?- sussurrò,
guardandosi attorno. Masaki sobbalzò –Che cosa
diamine dici?- parlò a bassa voce senza sapere il
perché -Siamo sorvegliati e le mura sono di ferro, il nostro Dominio non può
niente, da qui non si esce. Non sparare stupidaggini.- di certo doveva essere fuori di testa.
-Porca
merda.- una sussurro li fece sobbalzare entrambi. Si
voltarono verso la grata che permetteva all’aria e alla luce di entrare nella
cella –Porca merda, Atsushi, sei
un coglione. Ma perché non ti hanno
ucciso.- le parole furono seguite da un rumore d’acqua e da uno
metallico. Atsushi rise tra sé e sé e Masaki lo vide sporgersi per controllare cosa
stesse facendo la guardia: dormiva. Un classico.
-Che
diamine succede?- lo richiamò Masaki,
alzandosi in piedi ed indietreggiando.
-Ti libero,
bei capelli.- gli rese noto il più grande, che alzò lo
sguardo sulla grata –Dai, Norihito, sei un po’
lento.- per tutta risposta ci fu un secco rumore di qualcosa che si spezza, e
la grata venne tolta –Brutto stronzo, lo sai quanto
ci ho messo a venire fino a qui con quello che mi hai chiesto? Invece di
rompere il cazzo, vedi di muoverti a fare quello che
devi fare, idiota.-
-Il
masso è qui fuori?- domandò il ragazzo dai capelli
color prugna, sgranchendosi le spalle.
Un
“si” scocciato arrivò da fuori. Masaki non ci stava
capendo niente.
-Sai,
bei capelli, è utile portarsi dietro un amico, quando viaggi. Specialmente se è così gentile da portare
Masaki continuava a non capire, ma quando Atsushi
si mise in posizione (una posizione che Masaki conosceva bene, una posizione da Dominio della
Terra), comprese che, si, era meglio togliersi di mezzo se non voleva finire
schiacciato.
Con
un paio di movimenti lenti, che sembravano quasi
pesanti, Atsushi cambiò posizione, e non ci volle
molto che qualcosa si scontrò contro la parete esterna della cell all’altezza della finestrella che Norihito
aveva aperto una, due, tre volte, allargandola.
La
cella di ferro si piegò , prendendo la forma del masso
che il Dominatore della Terra stava scaraventando contro di essa grazie al suo
controllo dell’elemento. Masaki non fece in tempo a
rimanerne impressionato che la parete colpita cominciò a cedere, e la finestra
allargarsi sempre di più, proprio mentre le voci delle Guardie richiamate dal
rumore cominciavano a riempire il corridoio subito fuori
dalle sbarre.
-Cazzo, Atsushi, sbrigati!- berciò la voce
del tale che si chiamava Norihito era concitata.
-Ssh,
ho fatto, ho fatto.- replicò l’altro, tranquillissimo,
come se stesse passeggiando. La finestra si allargò abbastanza da permettere ad
Atsushi e Masaki di passare
proprio quando una Guardia urlò alle altre quanto stava accadendo.
-Muoviti!-
Atsushi, con un balzo, si arrampicò
fino all’apertura e ci passò attraverso. Masaki si guardò attornò, spaesato, poi lo seguì
senza pensarci due volte. Haruna le tornò alla mente,
e così anche il fornaio e sua moglie, la fioraia vicino alla biblioteca,
persino quel fastidioso di un Ranmaru. Avrebbe
lasciato la sua vita fino a quel momento lì a Gemini e avrebbe dovuto
ricominciare da capo. Scacciò quel pensiero e afferrò la mano che Atsushi gli porgeva, arrampicato fuori
dalla cella, dove già si poteva sentire sulla pelle l’aria fresca della
sera. Si calarono giù entrambi, e la terza figura di Norihito si affiancò loro –Chi cazzo
è questo, ora?- sbottò, mentre cominciavano a correre.
-Bei
capelli.- rispose Atsushi. Masaki
lo odiò per quello stupido soprannome, ma non disse nulla e continuò a correre
con tutta la forza che aveva in corpo.
Potevano
sentire le Guardie inseguirli e urlare loro di fermarsi. Volò anche una saetta
d’acqua di un qualche Dominatore, che Norihito
rispedì senza problema alcuno al mittente. Masaki si
prese una piccola rivincita, esercitando il suo dominio sui ciottoli della
strada che stavano percorrendo, facendolo inarcare come la schiena di una
bestia inferocita e facendo rotolare a terra gran parte
delle persone che li inseguivano.
Sentì Atsushi ridere di gusto, e di
conseguenza uno stupido sorriso di soddisfazione gli comparve in volto.
Evitarono
tutte le Guardie.
Non smisero mai di correre, finchè ebbero fiato.
All’alba,
erano ormai lontani da Gemini, dai Dominatori dell’Aria, e dalla vita che Masaki aveva conosciuto fino a quel momento.
*
Ora posso anche morire in pace.
No, nevvero. Devo finirla, questa long. E quando
l’avrò finita,potrò morire in pace (nel 3417,
suppongo-).
Ordunque.
Io mi scuso sempre per il mio ritardo, ma credetemi se vi dico
che scrivere questo capitolo è stato un parto e che sono talmente fomentata che
ho già più di metà capitolo tre già scritto (essendo personaggi diversi da
capitolo in capitolo, quando sono a scuola e ne ho la possibilità scrivo i
capitoli avanti) quindi, in teoria, il prossimo arriverà prima. Ma non lo prometto, purtroppo avrete capito che sono molto
ma molto lenta nell’aggiornare, mea culpa. Spero comunque
che abbiate ancora l’enorme pazienza di seguirmi, mi farebbe molto piacere *inchin*
Comunque.
Se siete arrivati fino a qui, fatevi amare. Lo so, i
capitoli sono lunghissimi, mala storia è complicata ed è lunga (almeno nella
mia testa). Se vi risulta troppo pesante, provvederò
ad accorciarli o dividerli in due parti!
Allora, in questo capitolo i protagonisti sono Masaki e Ranmaru. L’uno ha un
passato un po’ travagliato, che si scoprir più avanti, mentre l’altro deve un
po’ capire cosa deve fare della sua vita, visto la famiglia che si ritrova e il
suo modo di pensare decisamente diverso da quella.
Compaiono anche Atsushi
e Norihito. Uhuhuh, che
dire. Non vi aspettate MinaKura (o almeno, non
troppa), perché Atsushi sarà un personaggio molto problematico che metterà nei casini un sacco di gente (?).
E
Norihito sarà il peggio sboccato (?), gente! Ne avete già ricevuto un assaggio, ma posso assicurare che
il suo repertorio di insulti è molto ma molto vasto xD
Bhè,
che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Anticipo che il prossimo vedrà come protagonisti
un ragazzo che ama sbattere contro pali della porta e un fake
samurai a cui piace la pasta (?)
Alla prossima <3
Greta.