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Autore: vul95    24/02/2013    3 recensioni
"Tradimento." gli gridava il suo cervello mentre correva verso i suoi compagni, che ansimando continuavano a combattere.
-Il re è caduto!- gli urlò Ichirouta, e finalmente potè udirlo chiaramente.
"Tradimento!" la parola gli rimbalzava in testa, mentre gocce di sudore freddo gli scivolavano giù per il collo, dentro l'armatura argentata "Tradimento! Tradimento! Tradimento!"

Era solo l'inizio del Quinto Impero.
3. Hikaru:
La nave fu sbalzata nuovamente dalla corrente, e rovinarono entrambi a terra. Intorno a loro, un caos di marinai che gridavano e pochi passeggeri che fissavano terrorizzati il loro lavoro. Non sarebbe servito a nulla tirare corde, ammainare le vele, spiegarle o qualsiasi altra cosa. La nave sarebbe affondata senza ombra di dubbio.
Hikaru non pensava sarebbe morto così presto. In fondo, aveva solo sedici anni, e così tante cose da fare.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il lavoro alla biblioteca era davvero noioso, a volte

IL QUINTO IMPERO

 

Masaki; Ranmaru

 

Gemini era un grande centro, perno del Continente in quanto ad articoli per alchimia e raffinerie di minerali. La popolazione era costituita per la maggior parte da Dominatori dell’Aria, che perlopiù lavoravano nelle raffinerie, ma molti erano anche i Dominatori dell’Acqua provenienti dalla vicina città portuale di Scorpio, che facevano tappa nella cittadina prima di ripartire alla volta della grande strada che portava fino alla Capitale e che costeggiava il fianco di Gemini.

Un fitto intrico di stradine e vicoli più o meno ampi costituiva lo scheletro della città, una fitta rete in cui chiunque poteva perdersi. Si diramavano dalla Grande Piazza, estendendosi come centinaia di braccia allungate sino allo spasimo per afferrare qualcosa. Erano costeggiate da edifici in marmo bianco che mano mano che si avvicinavano al centro della città diventavano più scuri sulle tonalità del grigio, costruiti da architetti così capaci che parevano, guardandoli, leggeri come una piuma, alti, dal tetto color terracotta e pieni di grandi finestre dai vetri colorati, circondati ognuno da deliziosi giardinetti di un verde acceso e brillante. Non c’era una stradina che non fosse costituita da ciottoli, un cornicione che non fosse decorato a motivi svolazzanti. Gemini era una città ricca e fiorente, che stava vivendo un’epoca di forti prosperità e sviluppo, che l’avevano resa una delle Città-Perno del Continente. Lì non si sentiva mai parlare di guerra, o di problemi, o di povertà: la maggior parte della popolazione viveva nell’agiatezza, ed il ceto più basso era di certo molto più ricco di quello che abitava i piccoli paeselli circostanti.

L’unica stonatura in tutto quel benessere era di certo il clima sfavorevole per la maggior parte dell’anno. Pioveva spesso, e tirava sempre un vento caldo che arrivava dal mare. Per questo le giornate di sole, a Gemini, erano uno spettacolo mozzafiato che nessuno teneva a perdersi.

A Masaki il maltempo piaceva, anche se quella brezza che sapeva di afa proprio non la soffriva. Per questo rimaneva spesso chiuso in biblioteca ad oziare e a stare fresco. E poi, al di fuori di Haruna e del panettiere sulla strada per la Grande Piazza, non conosceva molta gente.

La biblioteca era un edificio grigiastro vicino al centro della città, incastrato e compresso tra anonimi vicoletti e negozi di souvenir, che durante le tempeste si confondeva con le nubi grigie cariche di pioggia che sovrastavano Gemini e che raramente aveva qualche cliente.

Il lavoro alla biblioteca era davvero noioso, a volte. Tutto quel silenzio a Masaki dava fastidio, e doverne essere il garante era ancora più irritante.

Ma quella piccola biblioteca al centro della città era tutto ciò che aveva, e lavorarci era l’unico modo che aveva per ripagare Haruna della sua ospitalità, quindi sopportava il silenzio e passava le sue giornate a dondolarsi su una sedia dietro ad un bancone, aspettando dei clienti che di solito non arrivavano mai, visto che i libri sulla magia interessavano ben poco, a gente che di magia non sentiva parlare da decenni.

Spesso Masaki si chiedeva come mai ancora non avessero portato via ad Haruna il locale,visto che non facevano un soldo. Tutto ciò che sapeva era che la biblioteca apparteneva alla famiglia della donna da generazioni, e che prima il suo bisnonno, poi suo nonno, poi suo padre, poi suo fratello avevano contribuito a riempirla con quanti più libri sulla magia fossero reperibili, dopo il Grande Incendio che moltissimi anni prima aveva distrutto quasi tutto il patrimonio magico del Continente.

Ma Masaki sapeva bene che i maghi non mettevano piede su quelle terre da quasi due secoli, e un po’ comprendeva il perché gli abitanti di Gemini non fossero attratti da quel posto, che comunque, innegabilmente, lo affascinava parecchio. A volte si riscopriva curioso di sapere di cosa parlassero quei libri. Ma non sapeva leggere molto bene, quindi teneva il suo interesse per sé. A volte guardava le immagini, ma ci capiva poco o niente. E poi quasi tutti i libri illustrati erano sull’esercizio del Dominio, e tutti i libri sull’esercizio del Dominio parlavano dell’aria, o al massimo dell’acqua, elementi con cui lui non aveva nulla a che fare.

Un tintinnio di campanelli fece voltare Masaki che, guancia appoggiata al palmo della mano, si guardava distrattamente attorno, distraendolo dai suoi pensieri. Subito il ragazzo si raddrizzò sulla sedia, sperando in qualche nuovo cliente, ma le sue speranze si rivelarono vane.
Quando vide una testa rosa e un paio di occhi azzurri attraversare la soglia della biblioteca, sbuffò pesantemente –Ah, sei tu.- commentò svogliatamente, rilassando le spalle e storcendo le labbra in una smorfia.
Un ragazzo sui diciotto, non troppo alto e con una cascata di capelli rosa raccolti in una coda bassa da un fiocco, socchiuse gli occhi di un azzurro acceso e stirò un sorriso tirato –Buongiorno anche a te.- salutò, con un cenno del capo, avvicinandosi al bancone. Tra le braccia teneva cinque tomi di modesto spessore. Li lasciò cadere sul ripiano in legno, quindi si lisciò gli abiti di buona fattura che indossava.

Damerino di Gemini. Masaki roteò gli occhi.
Quello si guardò attorno, non curandosi delle occhiate esasperate che Masaki gli lanciava,quindi chiese, lisciandosi il mento –La rilegatura dei libri sulla Magia Antica è terminata? Li trovo, in biblioteca?- il sorriso sul suo volto si stiracchiò ulteriormente, e gli occhi presero a brillargli.

L’altro sospirò sconsolato -Non tutti. Alcuni sono ancora dal libraio. Purtroppo devi ripassare un altro giorno.- borbottò, incrociando le braccia sul bancone e affondandoci la faccia –Mi chiedo perché mai tu stia sempre qui dentro. C’è il cielo lì fuori, il mercato, le ragazze. Devi proprio venire qui tutti i giorni?- domandò, la voce soffocata per via della stoffa della casacca contro la quale era poggiata.

-Il cielo è grigio, il mercato è luogo per governanti e le ragazze non si interessano di magia.- replicò quello calmo –Quelli già rilegati posso averli?- domandò poi, tornando all’attacco.

Che stress, quel tizio. Oramai era qualche mese che frequentava con costanza la biblioteca. Pareva non avere null’altro da fare che sfogliare libri su libri di magia. Masaki odiava stare lì a fissarlo mentre consultava tutto felice i tomi di Haruna, assorto. All’inizio era stato contento di vedere che qualcuno si degnava di entrare in quel posto a farsi una cultura, ma poi aveva cominciato a trovare davvero irritante il ragazzo dai capelli rosa. Gli faceva sempre domande su domande, pensava di essere il più intelligente del paese ed era più alto di lui.

Si era informato, Masaki: il suo nome era Ranmaru Kirino, figlio di un nobile commerciante di diamanti, e di conseguenza uno degli scapoli più ricchi e ambiti della città. Ma, a quanto raccontava Marceline, la moglie del fornaio, il ragazzo non era assolutamente interessato all’attività di famiglia, né tanto meno a sistemarsi. E Masaki lo sapeva bene, visto che l’unica cosa che pareva importare a quel damerino era la magia. Haruna lo trovava un sacco simpatico. Lui non condivideva il suo punto di vista.

Trattenendosi dal risultare troppo maleducato, si alzò con una sorta di sbuffo dalla sedia e si sgranchì la schiena, facendosi strada in mezzo agli scaffali. Sapeva che l’altro lo stava seguendo, ma non spiccicò parola, e si limitò a raggiungere sezione, scaffale e ripiano dove i libri richiesti si trovavano. Conosceva la posizione di tutti a memoria, dopo dieci anni, ed alzandosi in punta di piedi, estrasse i due tomi di Magia Antica che il rilegatore aveva rimesso a nuovo.

Si voltò –Quelli di Magia Antica sarebbe meglio se li riportassi al più presto possibile.- raccomandò, porgendoli a Ranmaru, che annuì e li prese in mano contento come un bimbo a cui si dà una caramella –Non che ci sia qualcun altro che li voglia leggere, ma Haruna ci tiene particolarmente.- evitò di dirgli che, di norma, i libri sulla Magia Antica sarebbero dovuti essere consultati in biblioteca e che Haruna aveva concesso a “quel gentile ragazzo che è Ranmaru” di portarli a casa perché si fidava di lui.

-Comunque preferirei cominciare a dar loro un’occhiata qui.- precisò il ragazzo dai capelli rosa, annuendo. Masaki alzò gli occhi al cielo –Se proprio ci tieni.- allargò le braccia e tornò verso il bancone, preparandosi psicologicamente per le prossime ore in cui avrebbe dovuto fissare quell’ossessionato di magia piegato in due sui libri.

 

Quando fuori si fece buio, Masaki vide Ranmaru chiudere uno dei due libri e stropicciarsi un occhio. Distolse lo sguardo, perché aveva passato l’ultima ora a fissarlo e ad ideare nuovi improperi nei suoi confronti, e fece finta di scribacchiare qualcosa su un foglietto.

Sperò che l’altro uscisse senza dire niente, ma fu costretto ad alzare lo sguardo quando alle orecchie gli giunse un –Haruna tra quanto arriva?-

Socchiuse gli occhi –Doveva passare al mercato e fare un paio di giri. Ma credo che ancora manchi tanto, pareva dovesse sbrigare faccende importanti.- mentì. Non sopportava di stare rinchiuso per ore assieme a lui, e visto che succedeva praticamente tutti i giorni, voleva risparmiarselo almeno per una volta.

-Oh.- Ranmaru parve dispiaciuto. Ma ritrovò subito il sorriso, e sistemò i libri che aveva preso sul bancone –Posso aspettarla, comunque, non è un problema.- il suo sorriso parve a Masaki quasi supplicante, ma non ci fece molto caso, troppo disperato dalla notizia. Sospirò pesantemente –Pare che tu ti diverta a tediarmi.- lo riprese.

-Ma che fastidio ti do.- replicò quello, voltandosi di spalle e poggiando i gomiti al bancone, buttando indietro la testa –Non capisco tutto questo astio nei miei confronti. Vengo qui solo per leggere.- il tono era appena irritato.

Masaki non aveva una risposta –Bhè, non mi vai molto a genio.-

-Ah, si?-

-Si. A pelle.-

Il più grande scosse la testa e rimase in silenzio. Lo ruppe qualche minuto dopo –Hanno condannato il Dominatore della Terra, comunque.- bisbigliò quasi.

L’altro represse un singulto e voltò sprezzante lo sguardo –E allora?- sibilò.

-Mi sembrava di aver capito che ti interessasse. Ti ho sentito mentre ne parlavi con Haruna.- alzò le spalle Ranmaru. Masaki odiò l’indifferenza con cui gli stava parlando, e non riuscì a trattenersi –Cos’è, si è guadagnato le celle di Gemini per via del suo Dominio?- sputò, stringendo le labbra. Era risaputo che tra Dominatori dell’Aria e Dominatori della Terra non era mai scorso buon sangue. I due tipi di Dominio si escludevano a vicenda, erano agli antipodi, aria in alto, terra in basso, aria leggera, terra pesante. Non c’era tolleranza per i Dominatori della Terra, tra quelli dell’Aria, e viceversa. L’odio si era radicato in generazioni e generazioni, e non erano rari episodi di discriminazione e violenza.

Quel caso in particolare riguardava un Dominatore della Terra, di passaggio a Gemini, accusato di furto. A Masaki era subito interessato il discorso, anche perché, che un Dominatore della Terra facesse tappa in un città dell’Aria era davvero raro, e pericoloso, soprattutto. Nessuno aveva testimoniato a suo favore, e Masaki non era nemmeno sicuro che avesse avuto un processo giusto, visto che ci avevano messo una giornata e mezzo a condannarlo. Anzi, era sicuro che il suo Dominio avesse reso la sentenza dei giudici molto più veloce. E odiava con tutto il cuore queste manifestazioni di intolleranza.

Ranmaru si voltò, una smorfia sul volto –Era colpevole. Non c’entra nulla il suo Dominio.- masticò, scuro in volto.

L’altro schioccò la lingua, acido –Certo, colpevole di dominare la Terra. Fosse capitato a qualcuno come te, di certo se la sarebbe cavata con un sorriso e una pacca sulle spalle.-

-Perché pensi che tutti quanti qui a Gemini la pensino così?- sbottò il più grande –C’erano le prove, ed è stato imprigionato giustamente.- si difese come se fosse stato accusato lui stesso. Masaki si alzò dal suo posto ed inclinò il capo –Perché tutti quanti qui odiano i Dominatori della Terra e si credono migliori di loro, senza alcun motivo. O forse vuoi dirmi che tu ti faresti amico uno di loro? Nh?-

Ranmaru sbiancò sensibilmente. Masaki gli riservò una risatina di scherno –Appunto.- scosse la testa e si rimise a sedere. Gli tremavano le mani.

-Perché li difendi così?- chiese poi il più ricco, aggrottando le sopracciglia e balbettando qualcosa. I loro sguardi si incontrarono per qualche secondo, ma Masaki non fece in tempo a replicare che uno scampanellio annunciò l’arrivo di Haruna. Il discorso si concluse ufficialmente quando un –Buonasera! Ah, Ranmaru! Ci sei anche tu!- riempì il silenzio teso.

Masaki percepì solo l’accenno di una conversazione. Poi si alzò e si diresse verso il piano di sopra, alla sua stanza, senza dire una parola. Sbattè la porta per non sentire altro.

 

***

 

Chiuse la porta di casa il più piano possibile. Si sfilò le scarpe e procedette in punta di piedi fino alle scale che portavano al piano superiore.

Ma non fece in tempo.

-Ranmaru.- lo richiamò una voce. Il ragazzo sobbalzò e si voltò. Una scarpa gli scivolò di mano e cadde a terra. Strinse le labbra –Ranmaru, hai saltato di nuovo la cena.-

La signora Kirino era una donna alta e dalla bellezza mozzafiato. Aveva i capelli dello stesso colore rosato del figlio, che teneva rigorosamente legati in acconciature elaborate, e due occhi color dello smeraldo fini ed eleganti. A guardarla si sarebbero notati solo questi particolari, in un primo momento, ed il nasino a punta, le guance magre, le labbra fine sarebbero saltate all’occhio solo dopo.

-Avevo un impegno.- masticò impassibile il ragazzo, riprendendo a salire le scale senza degnarla un secondo di più del suo sguardo. Ma la voce pungente della più grande lo chiamò ancora –Tuo padre è oltremodo adirato. Cos’è, sei tornato di nuovo in quella biblioteca?- il tono sprezzante con cui lo disse fece accapponare la pelle a Ranmaru, che strinse i pugni e li rilasciò. Si chinò a raccogliere la scarpa caduta –Ho studiato.- avrebbe voluto aggiungere un “mamma”, dopo, ma si costrinse a non farlo, e riprese a salire, scomparendo alla vista della donna, che continuò a parlare come se nulla fosse –Devi smetterla. A tuo padre non piacerebbe. Lui pretende da te il massimo della serietà, e vuole che tu prenda il suo po

Chiudendo la porta della sua stanza, Ranmaru smise di ascoltarla. Lanciò le scarpe sul pavimento e solo dopo essersi sistemato alla scrivania decise di togliersi la tracolla dalle spalle ed estrarre i libri che aveva preso in biblioteca.

Provò un enorme senso di soddisfazione nello sfogliare le pagine dello spesso tomo di Magia Antica. Prima di quel giorno non ne aveva mai tenuto uno in mano, ed era euforico. Non capiva come gli altri, sua madre, suo padre, non riuscissero ad apprezzare tutto quel sapere. Sospirò. Odiava che la sua famiglia volesse impedirgli di fare ciò che desiderava: suo padre, un ricco proprietario di raffinerie di diamanti, voleva a tutti i costi che lui prendesse il suo posto, ma Ranmaru non ne aveva voglia, e i genitori non solo non riuscivano a capacitarsene, ma soprattutto premevano in tutti i modi per convincerlo.

Ranmaru si era avvicinato alla magia quasi per caso. La famiglia Kirino era molto nota non solo per la ricchezza dei possedimenti e degli stabilimenti di raffineria, ma anche per l’enorme abilità del Dominio dell’Aria. Il padre di Ranmaru era un tradizionalista, Maestro di Dominio del suo elemento, e quando non si occupava dei suoi commerci svolgeva addirittura lavori per l’Impero, e spesso era chiamato a giudicare i casi della città come Giudice Onorato della Corte di Gemini assieme ad altri pochi eletti. Sua madre era Adepta dell’Aria presso il tempio della Grande Piazza, e con la sua arte dava una mano nella Cappella di Soccorso ai malati. E lui, Ranmaru, unico figlio in cui erano state riposte le più grandi speranze e aspettative della famiglia, a diciotto anni ancora non era in grado di dominare l’Aria come si addiceva al suo rango e alle sue radici. Per questo il ragazzo si era interessato alla magia: secondo i testi antichi, non c’era bisogno di eccellere nel Dominio, perché la magia  coinvolgeva tutti e quattro gli elementi della natura, entrandovi in simbiosi e chiedendo in prestito ad essa le loro proprietà. Certo, necessitava di molto studio ed impegno, ed era impossibile praticarla, visto che da secoli in giro non c’erano più maghi o persone in grado di tramandarne l’arte, ma Ranmaru era rimasto talmente affascinato, vi aveva intravisto così tante possibilità diverse che non rendevano le orme di suo padre l’unica via da seguire, che aveva deciso di studiare tutto lo scibile e di apprendere tutto ciò che poteva. Avesse potuto, si sarebbe interessato maggiormente anche all’alchimia, ma purtroppo gli era impossibile mettere in pratica quanto i manuali della biblioteca illustravano, non avendo gli strumenti e non essendo questi reperibili da nessuna parte, a Gemini.

Gli rimaneva solo che chiudersi in camera, chinarsi sui libri e leggere, e leggere, e leggere. Quando si parlava di magia, lui si sentiva tranquillo con stesso, ed anche felice in un certo senso; la piccola biblioteca di Haruna era ormai diventata la sua seconda casa, e di certo preferiva passare il suo tempo lì che rinchiuso nella sua bella villa grigia nel quartiere aristocratico della città.

Pensare alla biblioteca gli riportò in mente il discorso che quel pomeriggio aveva avuto con Masaki, il ragazzo che si occupava del negozio (o almeno credeva, visto che era sempre lì). Ranmaru si morse il labbro ed allontanò il naso dal libro che stava consultando. Si massaggiò l’attaccatura del naso, chiudendo gli occhi. Cominciavano già a dargli fastidio.

Ranmaru non poteva farci niente: se ne vergognava molto, ma il modo in cui l’avevano cresciuto gli aveva insegnato a guardare con sospetto qualsiasi Dominatore della Terra, e per quanto lo trovasse sbagliato non riusciva proprio a liberarsi da questo pregiudizio, anche se non lo dava a vedere e lo nascondeva. Lo trovava ingiusto, e non riusciva a sopportare tutte quelle violenze che venivano inferte. Con Masaki aveva davvero fatto una pessima figura, non era riuscito a dire niente di sensato, e di certo a quel ragazzo che pareva odiarlo tanto era sembrato uno di quegli ignoranti figli di buona famiglia che credevano ciecamente nella distinzione tra Domini. Ranmaru era rimasto molto sorpreso dal fatto che Masaki non condividesse certi pregiudizi. Piacevolmente sorpreso.

Sapeva che Masaki aveva ragione sul caso del Dominatore arrestato nel dire che la pena era stata più severa a causa delle origini dell’uomo catturato, anche se Ranmaru aveva piena fiducia nel sistema di Gemini, e non credeva che un Dominatore dell’Aria avrebbe ricevuto un trattamento poi tanto diverso. O forse continuava a ripetersi questo perché faticava ad accettare che vi fosse un tale livello d’incomprensione tra gli uomini, che si compiessero violenze del genere solo per la diversità di un Dominio. E, infine, perché voleva credere con tutto stesso che suo padre, membro onorario della Corte di Gemini che di Dominatori della Terra molti ne aveva mandati in prigione, in esilio, o alle miniere, agisse per il bene della città e non per un pregiudizio. Ci si attaccava con tutto stesso, perché non poteva credere che il suo papà, quel papà che da bimbo non gli aveva mai sorriso, quel papà di cui aveva cercato approvazione per anni e che aveva visto sempre con occhi pieni di ammirazione non avesse un briciolo di umanità.

In ogni caso, proprio non riusciva a non sentirsi in colpa, un senso strisciante che gli torceva lo stomaco e che non comprendeva da dove uscisse fuori. Una colpa verso tutti quei Dominatori della Terra che la sua stessa famiglia aveva condannato.

Decise di ignorarlo e tornare a leggere.

 

La notizia l’apprese la mattina dopo, durante la colazione. Suo padre era talmente preso che nemmeno si ricordò di sgridarlo per il giorno prima, e Ranmaru ringraziò la sorte, perché le strigliate di suo padre erano davvero tremende.

-La Guardia ha catturato un Dominatore della Terra.- rese noto dunque l’uomo, un uomo austero, alto, dai biondissimi capelli tenuti indietro e piccoli occhi azzurri. Portava un accenno di baffi (che da piccolo facevano tanto ridere Ranmaru) –Si nascondeva tra di noi, il furbo.- disse, ammiccando e spalmando febbrilmente del burro sulla sua fetta di pane tostato.

Ranmaru sobbalzò. Il discorso del giorno prima gli tornò prepotentemente alla mente. Abbassò il capo, fissando la sua tazza di thè senza dire una parola.

A tavola c’era solo la famiglia Kirino, sistemata al sontuoso tavolo della sala da pranzo che la madre di Ranmaru aveva ammobiliato lei stessa, e a parte qualche servitore che entrava per portare altro cibo, non c’era nessun altro. Le ampie finestre permettevano alla luce del sole (quella mattina le nuvole che incombevano in continuazione su Gemini si erano dissipate) di illuminare la stanza, e il rampollo di famiglia vedeva il proprio padre in controluce.

-Oh, santi dei, com’è possibile?- la voce della signora era stridula per la sorpresa –Qui, in mezzo a noi?- cinguettò, sgranando gli occhi verdi e portando una mano alle labbra. Poi sorseggiò il suo thè senza distogliere gli occhi dal marito, che emise una sorta di risatina di scherno –Si, esercitava il suo dominio poco fuori dalla città, vicino al Giacimento abbandonato. Ma la Guardia è riuscita ad acchiapparlo. Poco più di un ragazzo. Così piccoli e già così dediti alla rovina di noi dell’Aria.- il Giacimento abbandonato Ranmaru lo conosceva bene: era stata una miniera fino a qualche decennio prima della sua nascita, ma poi era stata chiusa perché completamente svuotata del suo contenuto. Era poco fuori dalla città, e le rocce, a ragione, là attorno erano davvero molte, quindi per la pratica del Dominio della Terra era un posto perfetto. Anche perché di solito non ci si avvicinava nessuno.

-Bhè, la Guardia sa come svolgere i suoi doveri.- replicò compiaciuta la moglie del signor Kirino, sorridendo appena e poggiando la tazza sul tavolo –Spero che lo rinchiudano.- sibilò poi, sprezzante –Nascondersi in mezzo a noi come niente fosse. Che schifo.- aggiunse, socchiudendo gli occhi sino a ridurli a due fessure.

Ranmaru sgranò gli occhi –Verrà condannato?- chiese, spostando lo sguardo su suo padre, che aveva quasi finito di mangiare la sua fetta di pane.

-Certo. Sono chiamato a giudicare come membro onorario, e di certo non lo grazierò.- sputò quello, come se non ci fosse cosa più ovvia al mondo –Uno sporco Dominatore della Terra che esercita il suo Dominio a Gemini quando la legge della città lo vieta.- sorrise, feroce –Prima di tutto lo metteremo alla gogna, così che tutta la città sappia che un lurido della Terra si era nascosto tra di loro e possa vendicarsene. Poi lo imprigioneremo. Anzi, andrà a lavorare in miniera, ai livelli più bassi. C’è carenza di personale per quella parte, ultimamente.- parlò come nulla fosse, prendendo un’altra fetta di pane e tornando a spalmarci del burro. Ranmaru sgranò gli occhi e boccheggiò per qualche secondo, senza parole.

-Ma non ha esercitato il Dominio a Gemini, il Giacimento dista almeno quattro miglia dalla città!- ribattè poi, poggiando le mani sul tavolo. Suo padre gli rivolse uno sguardo che gli fece accapponare la pelle, ma decise di non distogliere il proprio.

-Era qui vicino. Questo basta. Già è tanto che qui a Gemini sia permesso a quella feccia di passare (e poi abbiamo visto cosa fanno una volta qui: ci derubano e si comportano come meglio li aggrada), figurarsi esercitare.- fece una smorfia, poi posò la fetta di pane sul piatto.

Suo figlio cercò di continuare –Padre, non stava facendo del male a nessuno, non merita di essere condannato alle miniere!- sbottò, alzandosi in piedi.

Le miniere erano asfittiche, erano strette, erano orribili. Ai livelli bassi delle miniere si moriva facilmente, per questo nessuno degli abitanti di Gemini era disposto a scendere più sotto di un certo livello.. E dunque lì sotto venivano inviati i prigionieri della città. Praticamente una condanna a morte.

-Ranmaru, siediti.- lo riprese la madre, che sembrava davvero imbarazzata per il comportamento che suo figlio stava tenendo.

-Padre, rispondimi!- guaì il ragazzo, sbattendo le mani sulla tavola.

E suo padre gli rispose. Alzò lo sguardo azzurro e lo incatenò al suo –Si stava preparando per farne. Un Dominatore della Terra non sviluppa il suo Dominio se non per fare poi del male.- soffiò.

-Padre, quello che dici non ha il minimo senso! Che motivo avrebbe per—

-Ranmaru, siediti subito!- tuonò il biondo, battendo la mano così forte sul tavolo che i vetri delle grandi finestre parvero tremare.

Il più piccolo tentò un’ultima volta –Padre--

Ma l’uomo di fronte a lui, così distante, parve non udirlo –Si ricorderà per tutta la vita che i Dominatori dell’Aria non voglio feccia della Terra nei loro territori.- concluse, e nessuno aprì più bocca.

Ranmaru paragonò suo padre ad un cane, in quel momento. Non riuscì a pensare ad altro se non a suo padre che come un cane marca il suo territorio. E gli fece ribrezzo. In un attimo le parole di Masaki, il giorno prima, lo scossero. Fu come una doccia fredda.

Ranmaru non se lo seppe spiegare, il perché. Perché in quel momento, quando scene del genere in casa sua si erano ripetute per anni, anche se raramente. Ma capì che il bene di Gemini non c’entrava nulla, con le parole di suo padre. Quella era una sorta di perversa vendetta verso i Dominatori della Terra che tanto odiava.

Si rimise a sedere, respirando pesantemente, la tempia che gli pulsava dalla rabbia.

E decise che non sarebbe rimasto con le mani in mano.

 

Le cose stavano così: dopo la gogna, dove il Dominatore della Terra sarebbe stato umiliato di fronte ad una città intera, il ragazzo avrebbe passato circa una settimana in gattabuia prima di essere trasferito alla miniera più vicina.

Roso dalla consapevolezza della crudeltà di suo padre, Ranmaru in quei due giorni in cui c’era stato il sommario processo non era nemmeno passato in biblioteca. Si chiese cosa ne pensasse quel Masaki. Di certo era arrabbiato. E a ragione.

La piazza era gremita di persone, e Ranmaru dovette procedere a spintoni per arrivare alla prima fila. La Grande Piazza non era mai stata così piena, e quando raggiunse il piccolo palco in legno preparato apposta per il condannato potè dare uno sguardo a tutta la gente che attendeva trepidante. Si vergognò profondamente di essere un Dominatore dell’Aria.

Era uscito contro il volere di sua madre, quella mattina. Davanti a lei aveva aperto la porta di casa ed era uscito. Di certo suo padre quella sera non gli avrebbe risparmiato una lavata di capo tremenda, ma non gli importava. Voleva fare qualcosa. Qualsiasi cosa potesse aiutare quel povero Dominatore che di lì a poco sarebbe stato condotto sul palco.

Voltandosi scorse il fornaio che lavorava vicino alla biblioteca assieme a sua moglie che parlavano animatamente tra di loro. Fece per avvicinarsi, incuriosito, ma un suonare di trombe lo fece concentrare nuovamente sulla struttura di legno, dove una Guardia era salita.

-Signori e signore!- allargò le braccia la Guardia –Come sapete, abbiamo catturato uno della Terra qui nella nostra Gemini!- urla e fischi accompagnarono le sue parole –Oggi siamo qui per riscattare la nostra amata città, sporcata dalla feccia della Terra che stava preparando un attacco ai nostri danni!- esclamò, e un basso brusio si alzò dalla folla. Ranmaru storse le labbra in una smorfia: era una bugia, tutta una bugia. Nessun Dominatore voleva fare male a nessuno, erano solo stupide storie raccontate per fomentare l’odio. Vide una bambina, poco distante da sé, piangere disperata. Strinse i pugni.

-Bene, oggi questo Dominatore della Terra è a vostra completa disposizione! Facciamogliela pagare per aver attentato alle nostre vite con il suo subdolo Dominio!- urla di giubilio si aggiunsero a risate di scherno. Poi la guardia fece un gesto con la mano –Portatelo sul palco!- incitò, e le grida si intensificarono. Le persone si prepararono a lanciare qualsiasi articolo di frutterai che erano riuscite a reperire.

Ranmaru scosse la testa. Poi un urlo di disperazione, così diverso da tutti gli altri, attirò la sua attenzione. Si volse appena in tempo per notare una figura familiare slanciarsi in avanti, verso il palco, e venire trattenuta dal fornaio e da sua moglie –No!- urlava –No, vi prego!- si dimenò. Ranmaru riconobbe Haruna con un moto di sorpresa. Riuscì solo a sgranare gli occhi e a fare un passo in avanti, verso di lei, perché poi la folla esplose, travolgendolo.

Prima di cadere a terra, riuscì solo ad alzare lo sguardo sul palco un’ultima volta. Represse un singulto: sul palco, legato ai polsi e strattonato in malo modo verso la gogna, c’era Masaki.

 

***

 

Masaki era un Dominatore della Terra, e nessuno lì a Gemini lo sapeva, nemmeno Haruna. Per anni aveva finto di non aver alcun interesse a sviluppare il proprio Dominio, e quindi era rimasto una grande incognita per molti.

I Dominatori della Terra non erano ben visti dai Dominatori dell’Aria, e viceversa. Far sapere a qualcuno, lì, che lo fosse, avrebbe decretato l’esclusione da parte di tutti, e Masaki non voleva perdere quel poco che aveva guadagnato. Quindi aveva nascosto la sua vera natura. Almeno fino a quel dannatissimo giorno in cui, come al solito, era andato al Giacimento per allenarsi un po’. Di solito non c’era nessuno, quindi oramai era sicuro di non correre alcun pericolo. E invece due stupide Guardie ubriache che si erano spinte un po’ più in là per una scommessa lo avevano visto, lo avevano catturato, ed ora era condannato per tutta la vita alle miniere.

Guaì, rannicchiandosi all’angolo della cella dove lo avevano rinchiuso dopo la gogna, tremante di frustrazione. Non era mai stato umiliato così.

Strinse le ginocchia al petto, mordendosi le labbra per non piangere.

Chissà che cosa stava facendo Haruna, in quel momento.L’aveva sentita urlare, quel pomeriggio, ma non aveva avuto il coraggio di guardarla in faccia, mentre l’ennesimo pomodoro andato a male lo colpiva in piena faccia e le risate di scherno dell’intera Gemini lo ferivano più di coltelli appuntiti. Lo odiava? O le faceva pena? Chi avrebbe badato alla biblioteca da quel giorno in poi? E avrebbe mai imparato a leggere, lui?

Senza accorgersene, grosse lacrime avevano preso a scendergli lungo le guance, e aveva iniziato a singhiozzare rumorosamente.

Era di nuovo solo.

-Ehi, tu.- lo chiamò una voce, ed immediatamente Masaki si ricordò di non essere solo, in quella cella. Alzò lo sguardo e si asciugò rapidamente le lacrime, rimanendo in silenzio.

-Ehi, bei capelli,sto parlando con te.- continuò la voce.

-Che vuoi.- sbottò il ragazzo, voltandosi di scatto, così da inquadrare il suo compagno.

Un sorrisetto divertito lo accolse –E’ stata divertente, la gogna?- domandò quello che a tutti gli effetti pareva un ragazzo sui ventuno anni e che non era altro che quel Dominatore della Terra accusato e condannato per furto di cui solo due giorni prima aveva discusso animatamente con quel Ranmaru. Che ironia, la vita: ora si trovava nella sua stessa situazione.

-Mi prendi in giro?- abbaiò il più piccolo, facendo per avvicinarsi. Aveva voglia di picchiarlo.

Un’irritante risatina lo costrinse ad abbassare la mano, incredulo-Cosa diamine ti ridi?!- ringhiò.

-Ti mandano alle miniere?- domandò l’altro ragazzo, questa volta serio. Nella penombra della cella, vide un ciuffo di capelli color prugna muoversi.

Masaki abbassò il capo, sprezzante –Si.- masticò, ributtandosi a sedere. No, non aveva la forza per litigare. Gli doleva tutto e non era nelle condizioni psicologiche per iniziare una conversazione violenta.

-Allora non piangere. Se sei fortunato morirai presto, là sotto, e non soffrirai più di tanto.- il suo interlocutore si fece avanti, alla luce. Due occhi bicromi, viola attorno alla pupilla e gialli sull’iride, scintillarono per un attimo, mentre un uomo già fatto si mostrava agli occhi di Masaki. Non sapeva dire se fosse alto o basso, visto che era seduto, ma di certo aveva un’aria più matura della sua. Un ciuffo di capelli gli copriva l’occhio destro, e non indossava che degli stracci.

Notò che alle mani del suo compagno di cella mancavano due dita ciascuna, ed i moncherini era fasciati male da bende sporche di sangue. Rabbrividì, e quello parve accorgersi dei suoi pensieri –Oh, queste?- ammiccò -Me le hanno tagliate, una per ogni oggetto che pare io abbia rubato. Grazie al cielo erano solo quattro, fossero stati di più magari mi avrebbero fatto fuori anche quelle dei piedi.- rise, e Masaki pensò che fosse pazzo. Cosa ci trovava da ridere?

-Hai un nome, bei capelli?- continuò imperterrito l’altro. Masaki rispose a mezza bocca, ma non pose la stessa domanda, che ricevette comunque risposta.

-Io sono Atsushi, bei capelli.- il ragazzo si spostò di fianco a lui facendosi forza sulle mani, quindi si avvicinò al suo orecchiò –Vuoi fuggire, vero, bei capelli?- sussurrò, guardandosi attorno. Masaki sobbalzò –Che cosa diamine dici?- parlò a bassa voce senza sapere il perché -Siamo sorvegliati e le mura sono di ferro, il nostro Dominio non può niente, da qui non si esce. Non sparare stupidaggini.- di certo doveva essere fuori di testa.

-Porca merda.- una sussurro li fece sobbalzare entrambi. Si voltarono verso la grata che permetteva all’aria e alla luce di entrare nella cella –Porca merda, Atsushi, sei un coglione. Ma perché non ti hanno ucciso.- le parole furono seguite da un rumore d’acqua e da uno metallico. Atsushi rise tra sé e sé e Masaki lo vide sporgersi per controllare cosa stesse facendo la guardia: dormiva. Un classico.

-Che diamine succede?- lo richiamò Masaki, alzandosi in piedi ed indietreggiando.

-Ti libero, bei capelli.- gli rese noto il più grande, che alzò lo sguardo sulla grata –Dai, Norihito, sei un po’ lento.- per tutta risposta ci fu un secco rumore di qualcosa che si spezza, e la grata venne tolta –Brutto stronzo, lo sai quanto ci ho messo a venire fino a qui con quello che mi hai chiesto? Invece di rompere il cazzo, vedi di muoverti a fare quello che devi fare, idiota.-

-Il masso è qui fuori?- domandò il ragazzo dai capelli color prugna, sgranchendosi le spalle.

Un “si” scocciato arrivò da fuori. Masaki non ci stava capendo niente.

-Sai, bei capelli, è utile portarsi dietro un amico, quando viaggi. Specialmente se è così gentile da portare la Terra dove di terra non ce n’è.- ghignò –Spostati da lì, o ti fai male.- si raccomandò –E quando ho finito, corri. Perché credo che le Guardie si sveglieranno.-

Masaki continuava a non capire, ma quando Atsushi si mise in posizione (una posizione che Masaki conosceva bene, una posizione da Dominio della Terra), comprese che, si, era meglio togliersi di mezzo se non voleva finire schiacciato.

Con un paio di movimenti lenti, che sembravano quasi pesanti, Atsushi cambiò posizione, e non ci volle molto che qualcosa si scontrò contro la parete esterna della cell all’altezza della finestrella che Norihito aveva aperto una, due, tre volte, allargandola.

La cella di ferro si piegò , prendendo la forma del masso che il Dominatore della Terra stava scaraventando contro di essa grazie al suo controllo dell’elemento. Masaki non fece in tempo a rimanerne impressionato che la parete colpita cominciò a cedere, e la finestra allargarsi sempre di più, proprio mentre le voci delle Guardie richiamate dal rumore cominciavano a riempire il corridoio subito fuori dalle sbarre.

-Cazzo, Atsushi, sbrigati!- berciò la voce del tale che si chiamava Norihito era concitata.

-Ssh, ho fatto, ho fatto.- replicò l’altro, tranquillissimo, come se stesse passeggiando. La finestra si allargò abbastanza da permettere ad Atsushi e Masaki di passare proprio quando una Guardia urlò alle altre quanto stava accadendo.

-Muoviti!- Atsushi, con un balzo, si arrampicò fino all’apertura e ci passò attraverso. Masaki si guardò attornò, spaesato, poi lo seguì senza pensarci due volte. Haruna le tornò alla mente, e così anche il fornaio e sua moglie, la fioraia vicino alla biblioteca, persino quel fastidioso di un Ranmaru. Avrebbe lasciato la sua vita fino a quel momento lì a Gemini e avrebbe dovuto ricominciare da capo. Scacciò quel pensiero e afferrò la mano che Atsushi gli porgeva, arrampicato fuori dalla cella, dove già si poteva sentire sulla pelle l’aria fresca della sera. Si calarono giù entrambi, e la terza figura di Norihito si affiancò loro –Chi cazzo è questo, ora?- sbottò, mentre cominciavano a correre.

-Bei capelli.- rispose Atsushi. Masaki lo odiò per quello stupido soprannome, ma non disse nulla e continuò a correre con tutta la forza che aveva in corpo.

Potevano sentire le Guardie inseguirli e urlare loro di fermarsi. Volò anche una saetta d’acqua di un qualche Dominatore, che Norihito rispedì senza problema alcuno al mittente. Masaki si prese una piccola rivincita, esercitando il suo dominio sui ciottoli della strada che stavano percorrendo, facendolo inarcare come la schiena di una bestia inferocita e facendo rotolare a terra gran parte delle persone che li inseguivano.

Sentì Atsushi ridere di gusto, e di conseguenza uno stupido sorriso di soddisfazione gli comparve in volto.

Evitarono tutte le Guardie.

Non smisero mai di correre, finchè ebbero fiato.

All’alba, erano ormai lontani da Gemini, dai Dominatori dell’Aria, e dalla vita che Masaki aveva conosciuto fino a quel momento.

 

*

 

Ora posso anche morire in pace.

No, nevvero. Devo finirla, questa long. E quando l’avrò finita,potrò morire in pace (nel 3417, suppongo-).

Ordunque. Io mi scuso sempre per il mio ritardo, ma credetemi se vi dico che scrivere questo capitolo è stato un parto e che sono talmente fomentata che ho già più di metà capitolo tre già scritto (essendo personaggi diversi da capitolo in capitolo, quando sono a scuola e ne ho la possibilità scrivo i capitoli avanti) quindi, in teoria, il prossimo arriverà prima. Ma non lo prometto, purtroppo avrete capito che sono molto ma molto lenta nell’aggiornare, mea culpa. Spero comunque che abbiate ancora l’enorme pazienza di seguirmi, mi farebbe molto piacere *inchin*

Comunque. Se siete arrivati fino a qui, fatevi amare. Lo so, i capitoli sono lunghissimi, mala storia è complicata ed è lunga (almeno nella mia testa). Se vi risulta troppo pesante, provvederò ad accorciarli o dividerli in due parti!

Allora, in questo capitolo i protagonisti sono Masaki e Ranmaru. L’uno ha un passato un po’ travagliato, che si scoprir più avanti, mentre l’altro deve un po’ capire cosa deve fare della sua vita, visto la famiglia che si ritrova e il suo modo di pensare decisamente diverso da quella.

Compaiono anche Atsushi e Norihito. Uhuhuh, che dire. Non vi aspettate MinaKura (o almeno, non troppa), perché Atsushi sarà un personaggio molto problematico che metterà nei casini un sacco di gente (?).

E Norihito sarà il peggio sboccato (?), gente! Ne avete già ricevuto un assaggio, ma posso assicurare che il suo repertorio di insulti è molto ma molto vasto xD

Bhè, che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Anticipo che il prossimo vedrà come protagonisti un ragazzo che ama sbattere contro pali della porta e un fake samurai a cui piace la pasta (?)

Alla prossima <3

 

Greta.

  
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