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Autore: _Bec_    24/02/2013    18 recensioni
Inghilterra, 1845. Emma Marie Wimsey, giovane aristocratica in rovina, è costretta ad accettare la proposta di matrimonio di Charles Edwin Wilkinson, figlio del più caro amico del suo defunto padre.
Emma ha sempre desiderato sposarsi per amore, avere un matrimonio perfetto, ma è presto costretta ad abbandonare i suoi sogni per salvare la sua famiglia dalla povertà, scoprendo così che la vita segue spesso un corso totalmente inaspettato.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A Beatrice – che mi ucciderà quando vedrà la dedica –, per avermi supportata e sopportata.

E alle ragazze che, a distanza di un anno, non hanno perso la speranza/pazienza e sono qui a leggere. Grazie.

 

 

Chapter 2. Marriage is just a contract

 

 

Emma era rimasta a lungo in silenzio, indecisa su cosa dire o fare, se comportarsi come sempre e ignorarlo o se tentare – e sperare che funzionasse – una conversazione con lui.

Il sole pallido e l’aria fresca del mattino sul viso ebbero fin da subito il potere di farla star meglio e quietare, almeno in parte, il tremolio delle gambe ben nascoste dalla gonna.

Alla fine aveva preso coraggio, fatto un respiro profondo e aveva ritratto la mano ancora poggiata al braccio di lui.

-Mi sembra inutile continuare con questa farsa.- Portò entrambe le mani in grembo e si fermò, -Se non volete accompagnarmi non siete obbligato.-

Oh, era così fiera di sé. Sua madre non lo sarebbe stata, ma lei non era lì in quel momento e quindi poteva anche permettersi di scoprire le carte, almeno con il suo compagno di sventure. Perché se c’era qualcuno che poteva capirla e che sapeva benissimo che quel matrimonio sarebbe stato un totale disastro, quello era Charles.

Niente sorrisini di circostanza, niente inchini, niente riferimenti a nipoti, niente forme di cortesia. In un certo senso si sentiva più libera.

Charles si fermò poco dopo di lei e fece l’immenso sforzo di alzare appena il suo aristocratico sopracciglio. Si sentì a disagio così squadrata da quegli occhi glaciali, ma cercò di non darlo troppo a vedere.

-Non posso certo dire di essere deliziato dalla vostra presenza, ma la preferisco ai discorsi su pizzi, merletti o nipoti.- I lineamenti si contrassero in una smorfia disgustata, quasi il solo prenderla in considerazione per procreare lo ripugnasse.

Emma assottigliò gli occhi irritata; non era certo lusinghiero sentirsi dire parole del genere, per giunta dal proprio futuro marito.

-Temo dunque di dover smettere di sperare che voi possiate liberarmi della vostra di presenza.- Si sforzò di sorridere, per non mostrargli quanto in realtà quelle parole avessero ferito il suo orgoglio di donna.

Lui fece un mezzo sorriso non troppo convinto, -Io temo invece che dovrete abituarvi a me, mia cara.-

Avrebbe preferito che la chiamasse semplicemente Emma, quel “mia cara” forzato le fece venire la pelle d’oca.

Riprese a camminare senza accertarsi del fatto che lui la stesse seguendo, -Mi auguro di no.- Disse sovrappensiero, -Forse, con un po’ di fortuna e un’ampia dimora, finiremo con il non vederci durante le giornate.-

Lo sperava. Lo sperava davvero, con tutta stessa.

Si morse il labbro inferiore; certo, se anche non si fossero visti di giorno, avrebbero dovuto condividere lo stesso letto la notte. Evitò di dirlo ad alta voce, il solo pensiero bastò a farla avvampare.

-Non dovete preoccuparvi di questo-, l’aveva raggiunta in un attimo, un suo passo corrispondeva a due passi della ragazza, -I miei genitori per le nozze ci regaleranno una tenuta abbastanza grande da impedire di vederci l’un l’altro.- Le riservò un altro frettoloso sorriso strano, spento, vuoto. Un semplice movimento di labbra che sembrò costargli persino una certa fatica.

Era sempre stato così, dacché ne aveva memoria: ricordava di non averlo mai visto ridere di gusto o sorridere spontaneamente, non aveva mai visto i suoi freddi occhi accendersi di interesse per qualcosa, sembrava sempre così…distaccato e annoiato, come se osservasse il mondo dall’esterno, senza curarsi di intervenire.

Rideva raramente e forzatamente, solo in presenza di qualche dama o nobile di rango particolarmente alto, sorrideva solo per cortesia, per circostanza.  

Si chiese se ci fosse qualcosa in grado di animargli il cuore, una passione, un’attività in cui si dilettasse.

Emma sospirò e rafforzò la presa delle sue dita sulla gonna, piuttosto nervosa.

-Posso almeno sapere che cosa vi ha spinto a chiedermi in moglie, quando è evidente che non mi sopportate?-

-Potrei chiedervi la stessa cosa, anche voi avete avuto i vostri motivi per accettare, se non sbaglio.- La guardò di sbieco, consapevole e insinuante, ed Emma per poco non inciampò goffamente sul suo vestito.

Lo sapeva, allora. Sapeva della sua situazione economica precaria, sapeva che cosa l’aveva spinta ad accettare quella situazione. Non seppe se sentirsi sollevata o vergognarsene.

-E poi…-

Riportò l’attenzione su di lui, felice di non dover dire ancora nulla per incoraggiare la conversazione, -Che cosa vi fa credere che io non vi sopporti, Emma?- Le chiese in un soffio, voltandosi appena per guardarla.

Lei aggrottò la fronte spiazzata; che genere di domanda era quella? Era evidente che non la sopportasse, in anni di conoscenza non le aveva mai rivolto la parola, se non per denigrarla, e le rare volte in cui aveva avuto a che fare con lei il suo volto aveva sempre lasciato trapelare pura insofferenza.

-Diciamo che negli anni non mi siete mai parso particolarmente incline ad essere gentile con me. E immagino che, fra tante altre nobildonne in cerca di marito, per voi dev’essere stato terribile accettare di sposare me.- Rispose compita, mostrandosi più calma di quanto non fosse.

Ricordava ancora le estati passate da piccola in compagnia del giovane, allora poco più che un bambino e non ancora un uomo.

Ricordava i pomeriggi trascorsi sotto gli alberi del parco di Winchester House, ricordava le sollecitazioni di suo padre affinché non si isolasse e trascorresse del tempo con Charles, ricordava i libri letti in solitudine, il cinguettare degli uccellini, la sua risata fredda e priva di emozioni.

Strana.

L’aveva definita così un tredicenne e arrogante Charles Wilkinson, quando l’aveva scorta in disparte a leggere.

Strana.

Aveva riso di lei, del suo parlare con gli animali, della sua passione per la lettura; eppure nessuna delle sue ingiurie l’aveva mai toccata più di tanto, per lei Charles era sempre stato l’antipatico figlio dell’amico di suo padre.

Almeno fino ai suoi quattordici anni, almeno fino a quando Emma non si era trovata più volte, quasi senza rendersene nemmeno conto, ad osservarlo da lontano, in disparte come sempre. Osservava come le sue labbra sottili si tendessero spesso in mezzi sorrisi sconvenienti, osservava come i suoi occhi brillassero di malizia in presenza di altre dame, osservava la linea ampia delle sue spalle, il suo fisico slanciato e quei capelli biondi che, nelle rare giornate di sole, rilucevano come oro.

Con il passare degli anni quell’infatuazione era passata, fortunatamente. Le era bastato ascoltare quanto superficiali fossero i discorsi del giovane, quanto poco fossero serie le sue intenzioni con le dame che corteggiava, per capire che razza di uomo fosse. L’uomo che stava per sposare.

Qualcosa cambiò nell’espressione di Charles dopo quell’ultima frase, il suo sguardo si fece ancora più pensieroso e distante se possibile, -Una nobildonna interessata al mio patrimonio vale l’altra.- Disse semplicemente, rallentando di poco il passo, -Non crederete che io dia peso a sciocchezze come l’amore.- Aggiunse, sollevando moderatamente gli angoli delle labbra. Sembrava trovare divertente quell’ipotesi.

La giovane arricciò il nasino dubbiosa, -Volete farmi credere che non vi aspettavate di sposare una donna degna del vostro affetto?-

Certo, all’apparenza il Lord non aveva mai dato dimostrazioni tangenti della propria serietà con le dame che adulava, eppure Emma non aveva mai dubitato del fatto che anche lui, al di là della facciata, desiderasse un matrimonio basato su dei solidi e sinceri sentimenti, o quantomeno sulla reciproca stima. Più genericamente le sembrava inconcepibile che qualcuno potesse considerare così irrilevante e superficiale la scelta della propria compagna per la vita.

-Affatto.- Fu la risposta che ottenne, -Vedete Emma, voi avrete i vostri vantaggi da questo matrimonio ed io i miei, nulla di più.- La cadenza strascicata con cui parlava la faceva continuamente sentire un’indesiderata interlocutrice.

La trattava come una sciocca bambina piccola, una bambina piccola e fastidiosa a cui dare spiegazioni era solo una perdita di tempo.

Emma schiuse poco elegantemente la bocca e, con un gesto goffo e affrettato della mano, spostò dal viso una ciocca di capelli sfuggitale dall’acconciatura.

Vantaggi? Di cosa parlava, quali vantaggi avrebbe avuto lui?

In un battito di ciglia ricordò le parole della madre sull’eredità del giovane; se Charles avesse rifiutato la sposa impostagli dalla sua famiglia, suo padre avrebbe potuto scegliere di diseredarlo. Dunque era sempre una questione di patrimonio?

-Parlate del matrimonio come se fosse un affare, un contratto da stipulare…- Borbottò fra sé e sé, ben consapevole che lui l’avrebbe comunque udita.

Una bassa e controllata risata uscì dalle labbra del giovane, una risata talmente gelida e priva di allegria da farla sussultare, -Non lo è?- Le domandò retoricamente, riassumendo l’espressione arrogante di poco prima.

Arrestò nuovamente il suo incedere, gli occhi strabuzzati e le mani strette a pugno lungo il vestito, -Assolutamente no.- Si infervorò, -La vostra idea del matrimonio è…- Scosse la testa, chiedendosi perché ne stesse parlando proprio con lui, -Distorta.- Per non dire rivoltante. Non seppe cosa la trattenne dall’esternare il suo vero giudizio.

-Distorta?- Finalmente il suo viso si animò di una sincera confusione, -E secondo quali criteri, se mi è concesso chiederlo? I vostri?- Si ricompose in fretta e tornò al tono sarcastico e derisorio che tanto la irritava.

Emma contrasse la mascella e gli negò lo sguardo risentita, soffermandosi ad esaminare con indifferenza il parco intorno a lei, lo stesso parco dove le piaceva giocare da bambina nei momenti in cui sapeva che sua madre non l’avrebbe scoperta.

Amore, affetto, calore, dedizione, dolcezza.

Per lui erano solo parole prive di significato. Come poteva quell’uomo capire cosa significava per lei il matrimonio?

Avrebbe potuto parlare dell’unione fra suo fratello William e sua moglie, dell’affetto sincero che lo legava a lei, del suo sguardo innamorato e delle sue premure, ma aveva l’impressione che sarebbe stato del tutto inutile.

-Non mi aspetto che voi comprendiate Charles.- Rispose seccamente. Le fece uno strano effetto pronunciare ad alta voce il suo nome, forse perché non lo faceva spesso. Si era sempre astenuta negli anni passati dal farlo per sottolineare una certa estraneità e mancanza di intimità con lui.

Chiamava per nome suo fratello e la sua cara cognata, non una persona che, fino a qualche giorno prima, non era che uno sconosciuto per lei.

Se fu sorpreso di sentirla rivolgersi a lui in quel modo non lo diede a vedere, -Immagino che per comprendervi sarebbe sufficiente leggere uno di quei libri che vi piacciono tanto.- Considerò pensieroso, lo sguardo fisso sulla fontana davanti a sé, -È un vero peccato che prediliga altri generi, assai più colti e stimolanti.-

Le sembrò di tornare indietro nel tempo e non le piacque per niente.

Quante volte, da piccola, aveva cercato di nascondere, a disagio e invano, i titoli dei romanzi d’amore che leggeva per evitare di essere presa in giro da lui?

Non leggeva solo quelli, le piaceva anche variare genere, eppure lui non aveva perso tempo a rimarcare proprio su quel punto e a schernirla come se fosse ancora una bambina. Certo, lo aveva fatto velatamente e con più garbo, ma era riuscito comunque a farla sentire frivola come una ragazzina.

Mandò giù una sgarbata risposta e cercò di sorridere, odiandosi per la sua trasparenza. Non era capace di mascherare bene le emozioni come lui, era semplice per gli altri capire cosa le passasse per la testa, -Suppongo sia una questione di punti di vista.- Osservò a denti stretti.

Se solo sua madre avesse saputo che non solo non stava assecondando le idee di suo marito, ma stava addirittura facendogli chiaramente capire di non essere d’accordo, si sarebbe infuriata e non avrebbe più smesso di gridarle contro.

Sospirò e si concentrò sul volto del suo futuro marito, -Se non vi dispiace ora vorrei rientrare. Da sola.- Precisò, calcando volutamente sulle ultime due parole. Quella conversazione era durata anche troppo, la sua compagnia iniziava a nausearla.

Non voleva nemmeno pensare alla loro prossima vita coniugale, voleva restare quanto più possibile lontana da lui prima del giorno delle nozze.

-Non vi preoccupate, non lo dirò a vostra madre.- Aggiunse melliflua, un sorriso falso e forzato sul viso pulito da diciottenne, -Voi potete pure continuare a godervi l’aria fresca del mattino, non serve che vi scomodiate.- Si inchinò giusto quanto bastava per non mancargli di rispetto e lui fece lo stesso, con un portamento decisamente più elegante e meno impacciato del suo.

Non la contraddisse, né si offrì di accompagnarla fino alla sua stanza, le augurò semplicemente una buona giornata, con la fredda compostezza di sempre. Fu abbastanza certa del fatto che liberarsi della presenza dell’altro fosse per entrambi un sollievo, come un sassolino tolto dalla scarpa.

 

 

******

 

I giorni successivi le parvero tutte uguali, dal risveglio al calar del buio.

Si aggirava per le stanze come un fantasma, l’espressione completamente assorta, la mente svuotata da tutto.

Spesso si ritrovava, inconsciamente e guidata dal cuore, affacciata alla finestra ad osservare il parco della sua tenuta, il parco dove era cresciuta con suo padre, il parco che avrebbe presto dovuto lasciare. Guardava la luce del sole giocare tra le foglie degli alberi e dei cespugli, riflettersi nell’acqua della fontana e sparire al di là della collina al crepuscolo.

Sfiorava i libri e gli oggetti con la punta delle dita, dava un silenzioso saluto con lo sguardo alle cose che più le sarebbero mancate della sua casa.

Presto sarebbe stata una donna sposata, presto avrebbe avuto una sua tenuta da mantenere, da arredare, dei figli suoi da crescere.

Il suo sogno di sposarsi per amore era crollato in mille pezzi davanti ai suoi occhi di bambina, il sogno di una ragazzina che non aveva ancora fatto i conti con la cruda realtà, fatta di doveri, falsità, interessi.

Non era più la fanciulla che avrebbe voluto continuare ad essere, era una donna ormai, una donna pronta a sposarsi e doveva accettarlo.

Non doveva sforzarsi di far nulla; di sorridere, di parlare, di pensare. Si occupava di tutto quanto sua madre, avida manipolatrice della marionetta che era diventata.

Non che Emma avesse tentato di opporsi ai quei fili, per lei era semplicemente più comodo lasciare che fosse sua madre a dare direttive sull’abito, sul ricevimento, sugli invitati o sul cibo da servire, lei non aveva né la forza né l’umore per occuparsene.

Il suo abito da sposa avrebbe anche potuto essere del più scandaloso colore in circolazione o del più economico e scadente tessuto, poco le importava.

Voleva solo che quei mesi passassero il prima possibile, era stanca di tutta quella frenesia, delle prove del vestito con Mrs. Lewis, delle parole “matrimonio” e “futuro marito” inserite in ogni frase, dei falsi sorrisi rivolti a suo fratello e a sua cognata per rassicurarli della sua felicità inesistente.

Aveva iniziato ad amare la sera, l’unico momento di pace in cui poteva finalmente chiudere gli occhi e dormire, fuggire almeno nel sonno da quelle nozze.

-Emma, Santo Cielo, stai dritta con quella schiena!-

Sussultò alle parole della madre e spostò gli occhi dal vetro della finestra al vetro dello specchio davanti a sé.

Una giovane donna le restituì lo sguardo con aria smarrita: stava in piedi su un piccolo sgabello di legno, le braccia sollevate ai lati del suo corpo e un vestito di seta color avorio a fasciarle le esili forme.

-Scusate mamma.-

Non appena Emma raddrizzò il mento e le spalle, la ragazza riflessa nello specchio assunse un portamento più aggraziato.

Mrs Lewis, china per sistemarle l’orlo, le riservò un’occhiata torva e di rimprovero per quei continui movimenti, ma la ragazza non vi badò troppo: la sarta era conosciuta per la sua fin troppa precisione, raramente e solo dopo giorni di lavoro era soddisfatta del suo operato.

La giovane sospirò e lasciò che le successive parole della madre le scivolassero addosso come il tessuto dell’abito che indossava.

Le sue giornate erano così monotone, prive di attrattiva, nemmeno la lettura l’aiutava ad uscire da quello stato di apatia. Le ore scorrevano inesorabilmente davanti ai suoi occhi senza che lei facesse nulla per interagire con il resto del mondo.

Sbatté le palpebre ed osservò la sua espressione corrucciata nello specchio: quelli erano gli ultimi mesi che avrebbe trascorso da ragazza nubile, voleva davvero passarli in quel modo? Voleva continuare a passare i pomeriggi a ricamare il corredo con sua madre, a provare un orrendo vestito sempre troppo largo, a scrivere a mano gli inviti e a ricevere gente a casa sua? Non ne poteva più di sentire nobildonne che, con fare civettuolo, si congratulavano con lei per l’ottimo partito e le chiedevano la data del matrimonio, non ne poteva più di quell’atmosfera, aveva bisogno di fare altro, di distrarsi almeno per qualche ora.

-Emma, mi stai ascoltando?-

Non fu necessario risponderle, sua madre intuì dal suo sguardo smarrito che non aveva sentito una parola.

-Lord e Lady Shaftesbury terranno un ballo questa domenica, un ballo a cui non possiamo permetterci di mancare, te lo ricordi, vero?- La donna chinò lievemente il capo e la guardo di sottecchi dal basso, un chiaro e tacito invito a confermare.

-Certamente.- Replicò lesta, nonostante il solo pensiero di presenziare ad un ballo le facesse girare la testa.

-Bene.- Sua madre richiuse il suo ventaglio e lo sbatté sul palmo della mano, -Perché ci sarà anche il tuo futuro marito, come ben sai. Sarà il primo evento pubblico a cui parteciperete entrambi da fidanzati.-

Un motivo in più per avere la nausea, pensò Emma. Avrebbe dovuto dedicare gran parte del suo tempo e dei suoi balli a lui, avrebbe dovuto sopportare su di sé gli sguardi di tutta la nobiltà inglese. Di nuovo.

I suoi occhi corsero istintivamente all’antico mobile in mogano accanto alla finestra, dove era esposto, dentro ad un vaso di famiglia, un ingombrante e maleodorante mazzo di fiori: uno dei tanti regali del suo…fidanzato. Uno dei tanti regali appariscenti che, ovviamente, non incontrava per nulla il suo gusto personale.

Non pensò nemmeno per un attimo che Lord Charles Wilkinson si fosse realmente abbassato a scegliere di persona un regalo adatto a lei, né tantomeno credeva che fosse stato lui a firmare il biglietto che vi era in allegato. Sicuramente quei fiori dovevano essere stati mandati da Lady Charlotte Wilkinson…o da qualcuno dei suoi servitori.

Male interpretando i suoi pensieri, sua madre sorrise languidamente, -Oh, è un così caro ragazzo!- Sospirò congiungendo le mani e osservando a sua volta il vistoso dono.

L’appellativo “caro ragazzo” le fece ritrarre la testa nelle spalle inorridita. Non vi era nessuno di meno “caro” al mondo di Charles Wilkinson, al confronto suo zio Bartholomeus, sempre scorbutico, accigliato e maldisposto ad aiutare il prossimo, era un marito amorevole e premuroso.

Probabilmente per sua madre lo era esclusivamente per il semplice fatto che il suo conto in banca li avrebbe salvati da una quasi sicura e prossima miseria.

-Non trovate anche voi che sia un giovane di buone maniere, Mrs Lewis?- Chiese retoricamente la donna, giusto per vantarsi ulteriormente dell’uomo “conquistato” da sua figlia. Come se non lo avesse fatto abbastanza con qualsiasi altro ospite in quei giorni.

Mrs Lewis, che stava fissando degli spilli sulle spalline del vestito, sentendosi chiamata in causa annuì fiaccamente, -Naturalmente, Lady Wimsey. Mi è capitato di rado di vedere corteggiatori così assidui, il suo interesse per vostra figlia è lodevole.-

Emma nascose tutto il suo scetticismo e una poco opportuna risata con il dorso della mano e un contenuto colpo di tosse.

Lady Wimsey impallidì e si voltò così a guardarla con aria seriamente preoccupata, -Ti senti male, Emma cara?-

-Assolutamente no, madre, sto benissimo.- Si affrettò a rispondere, prima che le venisse in mente di mandare a chiamare il medico e spedirla a letto, -Ecco, mi stavo solo chiedendo…- Incominciò, ansiosa di cambiare argomento.

La donna si animò nel vedere sua figlia finalmente partecipe alla conversazione e non imbronciata e silenziosa come nei giorni precedenti, -Sì, cara?-

Emma abbassò le braccia intorpidite e le abbandonò delicatamente lungo i fianchi, -Sono giorni che non faccio altro che ricamare, accogliere ospiti con voi e scrivere inviti…non che non sia di mio gradimento, sapete quanto ami dilettarmi in queste attività.- Si affrettò ad aggiungere, sperando che quell’ultima frase non risultasse sarcastica come temeva, -Ma…mi piacerebbe poter andare in paese con la mia cara cognata uno di questi giorni. Credo che passeggiare un po’ per le strade di Kings Worthy mi farebbe bene.- Affermò candidamente, sorridendo pacatamente per rendere la richiesta più tollerabile.

Osservò in silenzio le labbra di sua madre contrarsi e diventare una linea sottilissima, -Moira è in stato interessante Emma, lo sai che non è nelle condizioni di poter uscire.- Passeggiò per la stanza con studiata lentezza, -E tu hai ancora molto da fare qui, specie in queste settimane! Puoi farti accompagnare da una delle domestiche in giardino a prendere aria.-

La giovane si stropicciò il vestito tra le mani, gesto che quasi fece stramazzare al suolo svenuta Mrs Lewis, -Potrei chiedere a William il permesso di farla uscire…sono sicura che anche lei sarebbe felice di fare una passeggiata con me.- Implorò sporgendo il labbro inferiore in un broncio infantile, -Oh vi prego madre, ho bisogno di rilassarmi un po’, questi preparativi per il matrimonio…mi rendono nervosa.- Ammise, nella speranza di avere un po’ di comprensione da parte della donna. L’unica carta che poteva giocare era quella, fare leva sui suoi nervi già provati. Sua madre non avrebbe potuto privarla di una rasserenante passeggiata giù in paese, non quando il suo umore dipendeva da quello.

Lady Wimsey arcuò le sopracciglia e la scrutò attentamente in volto, prima di distendere i lineamenti e sospirare, -Ebbene…se William acconsentirà, non avrò nulla da ridire.-

Trattenne l’impulso di precipitarsi giù dallo sgabello per correre immediatamente a parlare con suo fratello e si limitò a sorridere sollevata, -Oh madre, grazie! Non ve ne pentirete, vedrete.-

William, dopo un attimo di esitazione dovuto alla preoccupazione per le condizioni della moglie, avrebbe di certo dato il suo consenso, ne era sicura. Moira adorava passeggiare in paese e avrebbe giovato anche a lei uscire per un pomeriggio dalla tenuta.

Ed Emma finalmente avrebbe potuto distrarsi un po’ ed evadere dalla monotonia di quelle giornate.

-Ora, Lady Emma, potreste cortesemente evitare di muovervi?- Domandò Mrs Lewis stizzita.

La ragazza si ricompose per permettere alla donna di finire più svelta il suo lavoro, mentre in testa già le ronzavano le parole che avrebbe usato con suo fratello per convincerlo a concederle un pomeriggio fuori con sua cognata.

 

 

 

 

*Note dell’autrice più ritardataria di EFP*

 

 

Ehm…Uhm…Ahm…che dire dopo un anno? (più di un anno, ma suvvia, arrotondiamo per difetto).

Ecco, potrei inventare un sacco di scuse, tirare in ballo la mancanza di tempo, lo studio, le condizioni atmosferiche o l’umore del gatto, ma la verità è che ho avuto un tremendo blocco. Dirò la cosa più stupida e ovvia del mondo: non credevo che scrivere una storia ambientata nell’800 fosse così difficile. Cioè, non è difficile scriverla, è difficile renderla credibile.

Ho avuto dubbi su qualsiasi cosa, ho fatto ricerche su tutto (sarebbe più corretto dire che Bea ha fatto ricerche, io l’ho semplicemente stressata per tutto), sui matrimoni dell’epoca, i fidanzamenti, il corteggiamento, il modo di comportarsi, i titoli nobiliari.

Ecco, i titoli nobiliari, che odio tremendo! E a proposito di questo, in base a quello che ho capito, vi spiego brevemente cosa sono Emma e Charles.

Emma era la figlia di un conte che, una volta deceduto, ha passato il titolo al primogenito e fratello di Emma, William.

Charles è figlio del marchese di Winchester (quindi è di un gradino più in alto rispetto a lei), di Peter Wilkinson, ovvero Lord Winchester (questo sarebbe il titolo Lord + nome del posto). Nel momento in cui questo poveraccio morirà, il titolo di Lord Winchester passerà a Charles.

Insomma, se non dovesse essere chiaro qualcosa chiedete pure e cercherò di spiegarvelo – sempre che io sia riuscita a comprenderlo bene xD

Per quanto riguarda l’età, visto che mi è stato chiesto, Emma ha diciotto anni, Charles, invece, ne ha ventidue.

Quindi Emma è più piccola di quattro anni rispetto a Charles e, come penso si sia capito, si è presa una piccola cotta per lui in passato, quando di anni ne aveva quattordici e lui diciotto.

Che ne pensate di lui? Che impressione vi siete fatta?

Di nuovo vi ricordo, se notate qualcosa di poco credibile o che vi ha fatto storcere il naso, di farmelo notare e sarò felicissima di rifletterci su e, eventualmente, correggere l’errore.

Che altro dire? Ah, sì, ecco…mi dispiace. Infinitamente, davvero. Vorrei non averci messo così tanto per farvi sapere come continuava questa storia, probabilmente e – giustamente – penserete che non varrà neanche la pena attendere così tanto per un aggiornamento.

Posso solo dirvi che, essendomi documentata su quasi tutto, ora dovrei essere più sciolta e tranquilla nello scrivere. Preciso che la storia ce l’ho scritta in testa – anche se non ho ancora deciso come andrà a finire – quindi il vero problema è buttarla giù.

Fatemi sapere, se volete, o qui o su facebook, se ci siete ancora.

E a proposito di questo vi snocciolo ancora una volta i numerosi e noiosi contatti: il gruppo facebook, il contatto (accetto tutti, sia in uno che nell’altro) e ask. Grazie di aver letto (se siete arrivate fino a qui xD) e di esserci.

Un bacione!

Bec

 

Ps: riguardo i protagonisti (ringrazio ancora una volta Pettyfer per la copertina che vedete sopra), potete immaginarli come volete, ovviamente.

Quelli sono i personaggi come li ha immaginati la bravissima ragazza che ha fatto il banner, nella mia testa sono diversi (:

Più o meno - dal momento che mi è stato chiesto come li vedo io- così:

Emma.

Charles (immaginatelo in abiti completamente diversi, ovviamente xD)

 

 

Pps: Le risposte alle recensioni dello scorso capitolo arriveranno presto, ce la posso fare ad essere originale e a non ringraziarvi tutte con i soliti e banali “grazie per aver letto” :P

   
 
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