A Beatrice – che mi
ucciderà quando vedrà la dedica –, per avermi supportata
e sopportata.
E alle ragazze che, a
distanza di un anno, non hanno perso la speranza/pazienza e sono qui a leggere.
Grazie.
Emma
era rimasta a lungo in silenzio, indecisa su cosa dire o fare, se comportarsi
come sempre e ignorarlo o se tentare – e sperare che funzionasse – una
conversazione con lui.
Il
sole pallido e l’aria fresca del mattino sul viso ebbero fin da subito il potere
di farla star meglio e quietare, almeno in parte, il
tremolio delle gambe ben nascoste dalla gonna.
Alla
fine aveva preso coraggio, fatto un respiro profondo e aveva ritratto la mano
ancora poggiata al braccio di lui.
-Mi
sembra inutile continuare con questa farsa.- Portò entrambe le mani in grembo e
si fermò, -Se non volete accompagnarmi non siete obbligato.-
Oh,
era così fiera di sé. Sua madre non lo sarebbe stata, ma lei non era lì in quel
momento e quindi poteva anche permettersi di scoprire le carte, almeno con il
suo compagno di sventure. Perché se c’era qualcuno che poteva capirla e che
sapeva benissimo che quel matrimonio sarebbe stato un totale disastro, quello
era Charles.
Niente
sorrisini di circostanza, niente inchini, niente riferimenti a nipoti, niente
forme di cortesia. In un certo senso si sentiva più libera.
Charles
si fermò poco dopo di lei e fece l’immenso
sforzo di alzare appena il suo aristocratico sopracciglio. Si sentì a disagio
così squadrata da quegli occhi glaciali, ma cercò di non darlo troppo a vedere.
-Non
posso certo dire di essere deliziato dalla vostra presenza, ma la preferisco ai
discorsi su pizzi, merletti o nipoti.-
I lineamenti si contrassero in una smorfia disgustata, quasi il solo prenderla
in considerazione per procreare lo ripugnasse.
Emma
assottigliò gli occhi irritata; non era certo
lusinghiero sentirsi dire parole del genere, per giunta dal proprio futuro
marito.
-Temo
dunque di dover smettere di sperare che voi possiate liberarmi della vostra di
presenza.- Si sforzò di sorridere, per non mostrargli quanto in realtà quelle
parole avessero ferito il suo orgoglio di donna.
Lui
fece un mezzo sorriso non troppo convinto, -Io temo
invece che dovrete abituarvi a me, mia
cara.-
Avrebbe
preferito che la chiamasse semplicemente Emma, quel “mia cara” forzato le fece venire la pelle d’oca.
Riprese
a camminare senza accertarsi del fatto che lui la
stesse seguendo, -Mi auguro di no.- Disse sovrappensiero, -Forse, con un po’ di
fortuna e un’ampia dimora, finiremo con il non vederci durante le giornate.-
Lo
sperava. Lo sperava davvero, con tutta sé stessa.
Si
morse il labbro inferiore; certo, se anche non si fossero visti di giorno, avrebbero dovuto condividere lo stesso letto la notte. Evitò
di dirlo ad alta voce, il solo pensiero bastò a farla avvampare.
-Non
dovete preoccuparvi di questo-, l’aveva raggiunta in un attimo, un suo passo
corrispondeva a due passi della ragazza, -I miei genitori per le nozze ci regaleranno una tenuta abbastanza grande da impedire di
vederci l’un l’altro.- Le riservò un altro frettoloso sorriso strano, spento,
vuoto. Un semplice movimento di labbra che sembrò costargli persino una certa
fatica.
Era
sempre stato così, dacché ne aveva memoria: ricordava di non averlo mai visto ridere
di gusto o sorridere spontaneamente, non aveva mai visto i suoi freddi occhi
accendersi di interesse per qualcosa, sembrava sempre
così…distaccato e annoiato, come se osservasse il mondo dall’esterno, senza
curarsi di intervenire.
Rideva
raramente e forzatamente, solo in presenza di qualche
dama o nobile di rango particolarmente alto, sorrideva solo per cortesia, per circostanza.
Si
chiese se ci fosse qualcosa in grado di animargli il cuore, una passione,
un’attività in cui si dilettasse.
Emma
sospirò e rafforzò la presa delle sue dita sulla gonna, piuttosto nervosa.
-Posso
almeno sapere che cosa vi ha spinto a chiedermi in moglie, quando è evidente
che non mi sopportate?-
-Potrei
chiedervi la stessa cosa, anche voi avete avuto i vostri motivi per accettare,
se non sbaglio.- La guardò di sbieco, consapevole e insinuante, ed Emma per
poco non inciampò goffamente sul suo vestito.
Lo
sapeva, allora. Sapeva della sua situazione economica precaria, sapeva che cosa l’aveva spinta ad accettare quella
situazione. Non seppe se sentirsi sollevata o vergognarsene.
-E
poi…-
Riportò
l’attenzione su di lui, felice di non dover dire ancora nulla per incoraggiare
la conversazione, -Che cosa vi fa credere che io non vi sopporti, Emma?- Le chiese in un soffio,
voltandosi appena per guardarla.
Lei
aggrottò la fronte spiazzata; che genere di domanda era quella?
Era evidente che non la sopportasse, in anni di conoscenza non le aveva mai
rivolto la parola, se non per denigrarla, e le rare volte in cui aveva avuto a
che fare con lei il suo volto aveva sempre lasciato
trapelare pura insofferenza.
-Diciamo
che negli anni non mi siete mai parso particolarmente
incline ad essere gentile con me. E immagino che, fra tante altre nobildonne in
cerca di marito, per voi dev’essere stato terribile
accettare di sposare me.- Rispose compita, mostrandosi
più calma di quanto non fosse.
Ricordava
ancora le estati passate da piccola in compagnia del giovane, allora poco più
che un bambino e non ancora un uomo.
Ricordava i pomeriggi trascorsi sotto gli alberi
del parco di Winchester House, ricordava le sollecitazioni di suo padre
affinché non si isolasse e trascorresse del tempo con
Charles, ricordava i libri letti in solitudine, il cinguettare degli uccellini,
la sua risata fredda e priva di
emozioni.
Strana.
L’aveva
definita così un tredicenne e arrogante Charles Wilkinson, quando l’aveva
scorta in disparte a leggere.
Strana.
Aveva
riso di lei, del suo parlare con gli animali, della sua passione per la
lettura; eppure nessuna delle sue ingiurie l’aveva mai toccata più di tanto,
per lei Charles era sempre stato l’antipatico figlio dell’amico di suo padre.
Almeno
fino ai suoi quattordici anni, almeno fino a quando Emma non si era trovata più
volte, quasi senza rendersene nemmeno conto, ad
osservarlo da lontano, in disparte come sempre. Osservava come le sue labbra
sottili si tendessero spesso in mezzi sorrisi sconvenienti, osservava come i
suoi occhi brillassero di malizia in presenza di altre
dame, osservava la linea ampia delle sue spalle, il suo fisico slanciato e quei
capelli biondi che, nelle rare giornate di sole, rilucevano come oro.
Con
il passare degli anni quell’infatuazione era passata, fortunatamente. Le era bastato ascoltare quanto superficiali fossero i
discorsi del giovane, quanto poco fossero serie le sue intenzioni con le dame
che corteggiava, per capire che razza di uomo fosse. L’uomo che stava per
sposare.
Qualcosa
cambiò nell’espressione di Charles dopo quell’ultima frase, il suo sguardo si
fece ancora più pensieroso e distante se possibile, -Una
nobildonna interessata al mio patrimonio vale l’altra.- Disse semplicemente,
rallentando di poco il passo, -Non crederete che io dia peso a sciocchezze come
l’amore.- Aggiunse, sollevando
moderatamente gli angoli delle labbra. Sembrava trovare divertente quell’ipotesi.
La
giovane arricciò il nasino dubbiosa, -Volete farmi
credere che non vi aspettavate di sposare una donna degna del vostro affetto?-
Certo,
all’apparenza il Lord non aveva mai dato dimostrazioni tangenti della propria
serietà con le dame che adulava, eppure Emma non aveva mai dubitato del fatto
che anche lui, al di là della facciata, desiderasse un
matrimonio basato su dei solidi e sinceri sentimenti, o quantomeno sulla
reciproca stima. Più genericamente le sembrava inconcepibile che qualcuno
potesse considerare così irrilevante e superficiale la scelta della propria
compagna per la vita.
-Affatto.- Fu la risposta che ottenne, -Vedete Emma, voi avrete i
vostri vantaggi da questo matrimonio ed io i miei, nulla di più.- La cadenza
strascicata con cui parlava la faceva continuamente sentire un’indesiderata
interlocutrice.
La
trattava come una sciocca bambina piccola, una bambina piccola e fastidiosa a cui dare spiegazioni era solo una perdita di tempo.
Emma
schiuse poco elegantemente la bocca e, con un gesto goffo e affrettato della
mano, spostò dal viso una ciocca di capelli sfuggitale dall’acconciatura.
Vantaggi?
Di cosa parlava, quali vantaggi avrebbe avuto lui?
In
un battito di ciglia ricordò le parole della madre sull’eredità del giovane; se
Charles avesse rifiutato la sposa impostagli dalla sua
famiglia, suo padre avrebbe potuto scegliere di diseredarlo. Dunque
era sempre una questione di patrimonio?
-Parlate
del matrimonio come se fosse un affare, un contratto da stipulare…- Borbottò
fra sé e sé, ben consapevole che lui l’avrebbe comunque udita.
Una
bassa e controllata risata uscì dalle labbra del giovane, una risata talmente gelida
e priva di allegria da farla sussultare, -Non lo è?- Le domandò retoricamente,
riassumendo l’espressione arrogante di poco prima.
Arrestò
nuovamente il suo incedere, gli occhi strabuzzati e le mani strette a pugno
lungo il vestito, -Assolutamente no.- Si infervorò,
-La vostra idea del matrimonio è…- Scosse la testa, chiedendosi perché ne
stesse parlando proprio con lui,
-Distorta.- Per non dire rivoltante.
Non seppe cosa la trattenne dall’esternare il suo vero giudizio.
-Distorta?-
Finalmente il suo viso si animò di una sincera confusione, -E secondo quali
criteri, se mi è concesso chiederlo? I vostri?- Si ricompose in fretta e tornò al
tono sarcastico e derisorio che tanto la irritava.
Emma
contrasse la mascella e gli negò lo sguardo risentita,
soffermandosi ad esaminare con indifferenza il parco intorno a lei, lo stesso
parco dove le piaceva giocare da bambina nei momenti in cui sapeva che sua
madre non l’avrebbe scoperta.
Amore, affetto,
calore, dedizione, dolcezza.
Per
lui erano solo parole prive di significato. Come poteva quell’uomo capire cosa
significava per lei il matrimonio?
Avrebbe
potuto parlare dell’unione fra suo fratello William e sua moglie,
dell’affetto sincero che lo legava a lei, del suo sguardo innamorato e delle
sue premure, ma aveva l’impressione che sarebbe stato del tutto inutile.
-Non
mi aspetto che voi comprendiate Charles.-
Rispose seccamente. Le fece uno strano effetto pronunciare ad alta voce il suo
nome, forse perché non lo faceva spesso. Si era sempre astenuta negli anni
passati dal farlo per sottolineare una certa
estraneità e mancanza di intimità con lui.
Chiamava
per nome suo fratello e la sua cara cognata, non una persona che, fino a
qualche giorno prima, non era che uno sconosciuto per
lei.
Se
fu sorpreso di sentirla rivolgersi a lui in quel modo non lo diede a vedere,
-Immagino che per comprendervi sarebbe sufficiente leggere uno di quei libri che
vi piacciono tanto.- Considerò pensieroso, lo sguardo
fisso sulla fontana davanti a sé, -È un vero peccato che prediliga altri generi,
assai più colti e stimolanti.-
Le
sembrò di tornare indietro nel tempo e non le piacque per niente.
Quante
volte, da piccola, aveva cercato di nascondere, a disagio e invano, i titoli dei
romanzi d’amore che leggeva per evitare di essere presa in giro da lui?
Non
leggeva solo quelli, le piaceva anche variare genere, eppure lui non aveva
perso tempo a rimarcare proprio su quel punto e a schernirla come se fosse
ancora una bambina. Certo, lo aveva fatto velatamente e con più garbo, ma era
riuscito comunque a farla sentire frivola come una ragazzina.
Mandò
giù una sgarbata risposta e cercò di sorridere, odiandosi per la sua
trasparenza. Non era capace di mascherare bene le emozioni come lui, era
semplice per gli altri capire cosa le passasse per la testa, -Suppongo
sia una questione di punti di vista.- Osservò a denti stretti.
Se
solo sua madre avesse saputo che non solo non stava assecondando le idee di suo
marito, ma stava addirittura facendogli chiaramente capire di non essere
d’accordo, si sarebbe infuriata e non avrebbe più smesso di gridarle contro.
Sospirò
e si concentrò sul volto del suo futuro marito, -Se non vi dispiace ora vorrei
rientrare. Da sola.- Precisò, calcando volutamente
sulle ultime due parole. Quella conversazione era durata anche troppo, la sua
compagnia iniziava a nausearla.
Non
voleva nemmeno pensare alla loro prossima vita coniugale, voleva restare quanto
più possibile lontana da lui prima del giorno delle nozze.
-Non
vi preoccupate, non lo dirò a vostra madre.- Aggiunse melliflua, un sorriso
falso e forzato sul viso pulito da diciottenne, -Voi potete pure continuare a
godervi l’aria fresca del mattino, non serve che vi scomodiate.- Si inchinò giusto quanto bastava per non mancargli di
rispetto e lui fece lo stesso, con un portamento decisamente più elegante e
meno impacciato del suo.
Non
la contraddisse, né si offrì di accompagnarla fino alla sua stanza, le augurò
semplicemente una buona giornata, con la fredda compostezza di sempre. Fu
abbastanza certa del fatto che liberarsi della presenza dell’altro fosse per
entrambi un sollievo, come un sassolino tolto dalla scarpa.
******
I
giorni successivi le parvero tutte uguali, dal risveglio al calar del buio.
Si
aggirava per le stanze come un fantasma, l’espressione completamente assorta,
la mente svuotata da tutto.
Spesso
si ritrovava, inconsciamente e guidata dal cuore, affacciata alla finestra ad osservare il parco della sua tenuta, il parco dove era
cresciuta con suo padre, il parco che avrebbe presto dovuto lasciare. Guardava
la luce del sole giocare tra le foglie degli alberi e dei cespugli, riflettersi
nell’acqua della fontana e sparire al di là della
collina al crepuscolo.
Sfiorava
i libri e gli oggetti con la punta delle dita, dava un silenzioso saluto con lo
sguardo alle cose che più le sarebbero mancate della sua casa.
Presto
sarebbe stata una donna sposata, presto avrebbe avuto una sua tenuta da
mantenere, da arredare, dei figli suoi da crescere.
Il
suo sogno di sposarsi per amore era crollato in mille pezzi davanti ai suoi
occhi di bambina, il sogno di una ragazzina che non aveva ancora fatto i conti
con la cruda realtà, fatta di doveri, falsità, interessi.
Non
era più la fanciulla che avrebbe voluto continuare ad
essere, era una donna ormai, una donna pronta a sposarsi e doveva accettarlo.
Non
doveva sforzarsi di far nulla; di sorridere, di parlare, di pensare. Si
occupava di tutto quanto sua madre, avida manipolatrice della marionetta che
era diventata.
Non
che Emma avesse tentato di opporsi ai quei fili, per lei era semplicemente più
comodo lasciare che fosse sua madre a dare direttive sull’abito, sul
ricevimento, sugli invitati o sul cibo da servire, lei non aveva né la forza né
l’umore per occuparsene.
Il
suo abito da sposa avrebbe anche potuto essere del più scandaloso colore in
circolazione o del più economico e scadente tessuto, poco le importava.
Voleva
solo che quei mesi passassero il prima possibile, era
stanca di tutta quella frenesia, delle prove del vestito con Mrs. Lewis, delle
parole “matrimonio” e “futuro marito” inserite in ogni frase, dei falsi sorrisi
rivolti a suo fratello e a sua cognata per rassicurarli della sua felicità
inesistente.
Aveva
iniziato ad amare la sera, l’unico momento di pace in cui poteva finalmente
chiudere gli occhi e dormire, fuggire almeno nel sonno da quelle nozze.
-Emma, Santo Cielo, stai
dritta con quella schiena!-
Sussultò
alle parole della madre e spostò gli occhi dal vetro della finestra al vetro dello specchio davanti a sé.
Una
giovane donna le restituì lo sguardo con aria smarrita: stava in piedi su un
piccolo sgabello di legno, le braccia sollevate ai lati del suo corpo e un
vestito di seta color avorio a fasciarle le esili
forme.
-Scusate
mamma.-
Non
appena Emma raddrizzò il mento e le spalle, la ragazza riflessa nello specchio
assunse un portamento più aggraziato.
Mrs Lewis, china per sistemarle l’orlo, le riservò un’occhiata
torva e di rimprovero per quei continui movimenti, ma la ragazza non vi badò
troppo: la sarta era conosciuta per la sua fin troppa precisione, raramente e
solo dopo giorni di lavoro era soddisfatta del suo operato.
La
giovane sospirò e lasciò che le successive parole della madre le scivolassero
addosso come il tessuto dell’abito che indossava.
Le
sue giornate erano così monotone, prive di attrattiva, nemmeno la lettura l’aiutava ad uscire da quello stato di apatia. Le ore scorrevano
inesorabilmente davanti ai suoi occhi senza che lei facesse nulla per
interagire con il resto del mondo.
Sbatté
le palpebre ed osservò la sua espressione corrucciata
nello specchio: quelli erano gli ultimi mesi che avrebbe trascorso da ragazza nubile,
voleva davvero passarli in quel modo? Voleva continuare a passare i pomeriggi a
ricamare il corredo con sua madre, a provare un orrendo vestito sempre troppo
largo, a scrivere a mano gli inviti e a ricevere gente a casa sua? Non ne
poteva più di sentire nobildonne che, con fare civettuolo, si congratulavano
con lei per l’ottimo partito e le chiedevano la data del matrimonio, non ne
poteva più di quell’atmosfera, aveva bisogno di fare altro, di distrarsi almeno
per qualche ora.
-Emma, mi stai ascoltando?-
Non
fu necessario risponderle, sua madre intuì dal suo sguardo smarrito che non
aveva sentito una parola.
-Lord
e Lady Shaftesbury terranno un ballo questa domenica,
un ballo a cui non possiamo permetterci di mancare, te
lo ricordi, vero?- La donna chinò lievemente il capo e la guardo di sottecchi
dal basso, un chiaro e tacito invito a confermare.
-Certamente.- Replicò lesta, nonostante il solo pensiero di presenziare
ad un ballo le facesse girare la testa.
-Bene.- Sua madre richiuse il suo ventaglio e lo sbatté sul palmo
della mano, -Perché ci sarà anche il tuo futuro marito, come ben sai. Sarà il
primo evento pubblico a cui parteciperete entrambi da
fidanzati.-
Un
motivo in più per avere la nausea, pensò Emma. Avrebbe dovuto dedicare gran
parte del suo tempo e dei suoi balli a lui, avrebbe dovuto sopportare su di sé
gli sguardi di tutta la nobiltà inglese. Di nuovo.
I
suoi occhi corsero istintivamente all’antico mobile in
mogano accanto alla finestra, dove era esposto, dentro ad un vaso di famiglia,
un ingombrante e maleodorante mazzo di fiori: uno dei tanti regali del suo…fidanzato.
Uno dei tanti regali appariscenti che, ovviamente, non incontrava per nulla il
suo gusto personale.
Non
pensò nemmeno per un attimo che Lord Charles Wilkinson si fosse realmente abbassato a scegliere di persona un
regalo adatto a lei, né tantomeno credeva che fosse stato lui a firmare il
biglietto che vi era in allegato. Sicuramente quei fiori dovevano essere stati
mandati da Lady Charlotte Wilkinson…o da qualcuno dei suoi servitori.
Male
interpretando i suoi pensieri, sua madre sorrise languidamente, -Oh, è un così
caro ragazzo!- Sospirò congiungendo le mani e osservando a sua volta il vistoso dono.
L’appellativo
“caro ragazzo” le fece
ritrarre la testa nelle spalle inorridita. Non vi era nessuno di meno “caro” al
mondo di Charles Wilkinson, al confronto suo zio Bartholomeus,
sempre scorbutico, accigliato e maldisposto ad aiutare il prossimo, era un
marito amorevole e premuroso.
Probabilmente
per sua madre lo era esclusivamente per il semplice fatto che il suo conto in
banca li avrebbe salvati da una quasi sicura e
prossima miseria.
-Non
trovate anche voi che sia un giovane di buone maniere, Mrs
Lewis?- Chiese retoricamente la donna, giusto per vantarsi ulteriormente dell’uomo
“conquistato” da sua figlia. Come se non lo avesse fatto abbastanza con
qualsiasi altro ospite in quei giorni.
Mrs Lewis, che stava fissando degli spilli sulle spalline del
vestito, sentendosi chiamata in causa annuì fiaccamente, -Naturalmente, Lady Wimsey. Mi è capitato di rado di vedere corteggiatori così
assidui, il suo interesse per vostra figlia è lodevole.-
Emma
nascose tutto il suo scetticismo e una poco opportuna risata con il dorso della
mano e un contenuto colpo di tosse.
Lady
Wimsey impallidì e si voltò così a guardarla con aria
seriamente preoccupata, -Ti senti male, Emma cara?-
-Assolutamente
no, madre, sto benissimo.- Si affrettò a rispondere,
prima che le venisse in mente di mandare a chiamare il medico e spedirla a letto,
-Ecco, mi stavo solo chiedendo…- Incominciò, ansiosa di cambiare argomento.
La
donna si animò nel vedere sua figlia finalmente partecipe alla conversazione e
non imbronciata e silenziosa come nei giorni precedenti, -Sì, cara?-
Emma
abbassò le braccia intorpidite e le abbandonò delicatamente lungo i fianchi,
-Sono giorni che non faccio altro che ricamare, accogliere ospiti con voi e
scrivere inviti…non che non sia di mio gradimento, sapete quanto
ami dilettarmi in queste attività.- Si affrettò ad aggiungere, sperando
che quell’ultima frase non risultasse sarcastica come temeva, -Ma…mi piacerebbe
poter andare in paese con la mia cara cognata uno di questi giorni. Credo che
passeggiare un po’ per le strade di Kings Worthy mi farebbe bene.- Affermò
candidamente, sorridendo pacatamente per rendere la richiesta più tollerabile.
Osservò
in silenzio le labbra di sua madre contrarsi e diventare una linea
sottilissima, -Moira è in stato interessante Emma, lo sai che non è nelle
condizioni di poter uscire.- Passeggiò per la stanza
con studiata lentezza, -E tu hai ancora molto da fare qui, specie in queste
settimane! Puoi farti accompagnare da una delle domestiche in giardino a
prendere aria.-
La
giovane si stropicciò il vestito tra le mani, gesto che quasi fece stramazzare
al suolo svenuta Mrs Lewis, -Potrei chiedere a
William il permesso di farla uscire…sono sicura che anche lei sarebbe felice di fare una passeggiata con me.- Implorò
sporgendo il labbro inferiore in un broncio infantile, -Oh vi prego madre, ho
bisogno di rilassarmi un po’, questi preparativi per il matrimonio…mi rendono
nervosa.- Ammise, nella speranza di avere un po’ di comprensione da parte della
donna. L’unica carta che poteva giocare era quella, fare leva sui suoi nervi
già provati. Sua madre non avrebbe potuto privarla di una rasserenante passeggiata
giù in paese, non quando il suo umore dipendeva da quello.
Lady
Wimsey arcuò le sopracciglia e la scrutò attentamente
in volto, prima di distendere i lineamenti e sospirare, -Ebbene…se William
acconsentirà, non avrò nulla da ridire.-
Trattenne
l’impulso di precipitarsi giù dallo sgabello per correre immediatamente a
parlare con suo fratello e si limitò a sorridere sollevata, -Oh madre, grazie! Non
ve ne pentirete, vedrete.-
William,
dopo un attimo di esitazione dovuto alla preoccupazione per le condizioni della
moglie, avrebbe di certo dato il suo consenso, ne era sicura. Moira adorava
passeggiare in paese e avrebbe giovato anche a lei uscire per un pomeriggio
dalla tenuta.
Ed
Emma finalmente avrebbe potuto distrarsi un po’ ed evadere dalla monotonia di
quelle giornate.
-Ora,
Lady Emma, potreste cortesemente evitare di muovervi?- Domandò Mrs Lewis
stizzita.
La
ragazza si ricompose per permettere alla donna di finire più svelta il suo
lavoro, mentre in testa già le ronzavano le parole che avrebbe
usato con suo fratello per convincerlo a concederle un pomeriggio fuori con sua
cognata.
*Note dell’autrice più
ritardataria di EFP*
Ehm…Uhm…Ahm…che
dire dopo un anno? (più di un anno, ma suvvia,
arrotondiamo per difetto).
Ecco,
potrei inventare un sacco di scuse, tirare in ballo la mancanza di tempo, lo
studio, le condizioni atmosferiche o l’umore del gatto, ma la verità è che ho
avuto un tremendo blocco. Dirò la cosa più stupida e ovvia del mondo: non
credevo che scrivere una storia ambientata nell’800
fosse così difficile. Cioè, non è
difficile scriverla, è difficile renderla credibile.
Ho
avuto dubbi su qualsiasi cosa, ho fatto ricerche su tutto (sarebbe più corretto
dire che Bea ha fatto ricerche, io l’ho semplicemente
stressata per tutto), sui matrimoni
dell’epoca, i fidanzamenti, il corteggiamento, il modo di comportarsi, i titoli
nobiliari.
Ecco,
i titoli nobiliari, che odio
tremendo! E a proposito di questo, in base a quello
che ho capito, vi spiego brevemente cosa sono Emma e Charles.
Emma
era la figlia di un conte che, una volta deceduto, ha passato il titolo
al primogenito e fratello di Emma, William.
Charles
è figlio del marchese di Winchester (quindi è di un gradino più in alto
rispetto a lei), di Peter Wilkinson, ovvero Lord
Winchester (questo sarebbe il titolo Lord + nome del posto). Nel momento in cui
questo poveraccio morirà, il titolo di Lord Winchester passerà a Charles.
Insomma,
se non dovesse essere chiaro qualcosa chiedete pure e
cercherò di spiegarvelo – sempre che io sia riuscita a comprenderlo bene xD
Per
quanto riguarda l’età, visto che mi è stato chiesto, Emma
ha diciotto anni, Charles, invece, ne ha ventidue.
Quindi
Emma è più piccola di quattro anni rispetto a Charles
e, come penso si sia capito, si è presa una piccola cotta per lui in passato,
quando di anni ne aveva quattordici e lui diciotto.
Che
ne pensate di lui? Che impressione vi siete fatta?
Di
nuovo vi ricordo, se notate qualcosa di poco credibile o che vi ha fatto
storcere il naso, di farmelo notare e sarò felicissima
di rifletterci su e, eventualmente, correggere l’errore.
Che
altro dire? Ah, sì, ecco…mi dispiace. Infinitamente, davvero. Vorrei non averci
messo così tanto per farvi sapere come continuava
questa storia, probabilmente e – giustamente – penserete che non varrà neanche
la pena attendere così tanto per un aggiornamento.
Posso
solo dirvi che, essendomi documentata su quasi tutto, ora dovrei essere più
sciolta e tranquilla nello scrivere. Preciso che la storia ce
l’ho scritta in testa – anche se non ho ancora deciso come andrà a
finire – quindi il vero problema è buttarla giù.
Fatemi
sapere, se volete, o qui o su facebook, se ci siete
ancora.
E
a proposito di questo vi snocciolo ancora una volta i numerosi e noiosi
contatti: il gruppo facebook, il contatto (accetto tutti, sia
in uno che nell’altro) e ask. Grazie di aver letto (se siete arrivate fino a qui
xD) e di esserci.
Un
bacione!
Bec
Ps: riguardo i protagonisti
(ringrazio ancora una volta Pettyfer per la copertina che vedete sopra), potete
immaginarli come volete, ovviamente.
Quelli
sono i personaggi come li ha immaginati la bravissima ragazza che ha fatto il
banner, nella mia testa sono diversi (:
Più o meno - dal momento che mi
è stato chiesto come li vedo io- così:
Charles
(immaginatelo in abiti completamente diversi, ovviamente xD)
Pps: Le risposte alle recensioni dello scorso capitolo
arriveranno presto, ce la posso fare ad essere
originale e a non ringraziarvi tutte con i soliti e banali “grazie per aver
letto” :P