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Autore: _Des    27/02/2013    20 recensioni
- “ Se lo credi, scommettiamo. Ti piace giocare? “ – sul mio volto si stampò un enorme punto interrogativo che lo indusse a sorridere ancora.
M’imbestialiva il fatto che lui fosse così calmo, così pacato e non si scomponesse mai, qualità che mi avrebbe fatto perdere qualsiasi scommessa già in partenza.
- “ Si? “ –
- “ Allora facciamo un gioco: parliamo al telefono, usciamo insieme, ridiamo e scherziamo..” – si fermò proprio sul più bello, lo guardai ancora perplessa per poi chiedergli:
- “ E poi? “ – lui sorrise quasi con dolcezza, una dolcezza differente dalle altre. Posò una mano sopra una delle mie guancie e rispose, quasi fosse la risposta più logica al mondo:
- “ E poi niente, il primo che s’innamora perde. “ – sbarrai gli occhi, fissandolo.
Era serio. 

**
- “ Prepara le cento sterline. “ – il moro batté una mano sul petto del riccio che lo osservava, convinto che il piano del suo amico sarebbe andato a puttane.
- “ Tu prepara a rimanerci scottato. “ – 
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scommettiamo. Ti piace giocare? '
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*Comunicazione di servizio: Penultimo capitolo della storia, abbastanza lungo e ricco di colpi di scena. Siete pregate di munirvi di cola e popcorn.


“Ma ti vedo con lui, ballare lentamente

mi sta facendo a pezzi, perchè non ti accorgi
che ogni volta che lo baci io soffro
Oh,vorrei essere io.”
One Direction-I Wish

Ero consapevole del fatto che le parole di Louis fossero del tutto veritiere.
Sapevo che ogni accusa fattami era reale.
Conoscevo i miei errori e non facevo che rimuginarne sopra, dalla notte in cui avevo concesso ad André d’invadere la mia intimità.
Non mi giustificavo, ma ero certamente sconvolta. Volevo espellere dalla mia vita una certa persona, ma nonostante tutto quella notte lo avevo sognato e non avevo fatto altro che sentirmi in pena, ritenendo di aver commesso uno sbaglio imperdonabile.
Avevo ripreso a rinchiudermi in me stessa, a scrivere. Non che avessi smesso in precedenza, ma stavolta ero io a dover porgere delle scuse. Lo avrei fatto, non appena sarei riuscita a sbollire la confusione, la rabbia e la confusione, ma per il momento evitavo chiunque che, conoscendomi, pur soffrendo, non mi creavano alcuna pressione, perché prima o poi, quando sarei stata pronta, avrei fatto ritorno. Avevo spesso di quei momenti: concedermi alla solitudine era l’unico metodo da me conosciuto ed di gran efficacia, quando perdevo di vista le priorità della mia esistenza o quando comprendevo di aver sorpassato il limite. Quella volta era accaduto.
Andrè era da considerarsi un capitolo a parte.
Stavo impiegando ogni mia forza nell’invano tentativo di ricercare le parole più adatte, attendendo il momento migliore per riferirgliele e mettere fine ad un dispiacere che causavo ad entrambi. Nel frattempo, però, le sue telefonate, i suoi messaggi, i regali o le sorprese che mi destinava, restavano intatti e, ne avevo la certezza, sarebbero restati in quello stato per sempre.
 
Sobbalzai.
Quel sogno mi perseguitava persino quando mi appisolavo durante l’ora di scrittura creativa. Ma non fu l’aggressività che sprigionava a svegliarmi. Dovevo dire grazie al vibrare del mio cellulare nella tasca anteriore dei pantaloni.
Non lo aprii, annoiata. Pensai fosse Harry che in quell’ultimo periodo aveva spesso attacchi di affettuosità e che, di conseguenza, prendeva a scrivermi stupidate, per il semplice gusto di darmi del filo da torcere. Credevo avvertisse la mia mancanza, come del resto ne provavo io nei suoi confronti.
Neppure quando tornai in camera, a fine giornata, da sola, dopo aver subito l’ennesimo sornione da parte di Juliette riguardo le continue telefonate di André alla rete fissa della camera, mi decisi a rivolgere un’occhiata a quel messaggio.
Lo feci solo quando, nuovamente, vibrò. Ma stavolta credei si trattasse di André che chiedeva ancora di me. Una smorfia si posò sul mio viso: chissà come stava, chissà se soffriva come me o riusciva a sorridere di tanto in tanto.
Quando poi, sospirando, aprii quel messaggio, tutto mi aspettai, tranne quel che lessi:
‘Venerdì è giorno di visite e pensavo che se tu volessi venire, io ti aspetterò. Ma solo tu, non dirlo agli altri.’
Trattenni il respiro.
Dopo quasi due mesi si era fatto vivo ed io, dopo quasi due mesi, sentivo ancora il cuore scalpitare pensando a lui, al suo sorriso come alla sua voce.
Dovevo vederlo.
In quel momento più che mai.
Non risposi al messaggio, non c’era necessità di dargli conferme. Sarei andata quel venerdì, ossia il giorno successivo. Se era lui a chiedermelo, lo avrei fatto.
Osservai ancora il messaggio, rileggendolo ancora, prestando attenzione persino alle virgole o ai punti da lui inseriti, fin quando non mi soffermai sull’ultima parola scritta in quel messaggio. Era firmato ‘Zayn’.
 
Scostai dietro le spalle i capelli fin troppo lunghi.
La stagione era calda, non esitai quindi ad indossare una camicia color verde militare dalle maniche risvoltate  che s’intonava con le scarpe del medesimo colore. Afferrai la borsa, il cardigan ed uscii scaltra dalla stanza, e dal dormitorio gremito di gente.
Il venerdì, da sempre, quel posto si affollava in modo esasperante. Lo sapevo io, lo sapeva Zayn. Ipotizzai fosse proprio per lo stesso motivo che mi aveva invitata a fargli visita in quel giorno della settimana. Entrambi vivevamo nella convinzione che sarei passata inosservata, per evitare che venissero a crearsi fraintendimenti.
Avevo lasciato un post-it attaccato alla parete del letto, scrivendo con una grafia oscena che sarei uscita per delle compere particolari ed inseguito mi sarei fermata in centro con alcuni compagni del corso di musica. Frottole.
Il venerdì nessuno si tratteneva a scuola, fatta eccezione per il gruppo che frequentavo e pochi altri studenti. In genere il dormitorio restava abitato solo quando nel weekend erano previsti grandi party nello stesso college oppure nelle vicinanze.
La fermata dell’autobus era più frequentata del solito. C’era gente che, in gruppo e accompagnato da valige o bagagli, attendeva corriere che la conducesse fuori città. Ecco cosa scaturiva la primavera.
Il mio trasporto non tardò ad arrivare. Mi dirigevo con precisione in una cittadina poco distante da Londra e che, da come tutti la descrivevano nel vano tentativo di tranquillizzarmi riguardo la spericolata vita di Zayn, sembrava essere davvero un bel posto.
Quarantacinque minuti e giunsi a destinazione. Il bus fermava proprio davanti la clinica, facendomi fremere maggiormente dalla voglia di scendere da quell’enorme cosa rossa a due piani.
Varcai dapprima il cancelletto, insieme ad altrettante persone che presunsi essere genitori, parenti ed amici di altri ricoverati, poi l’ingresso che era aperto per le visite. Ad aspettarci c’era una donna di età avanzata, che possedeva un dolce sorriso. Ci fu chi domandò per le visite e lei spiegò che dirigendosi verso una sala in particolare era possibile accogliere tutti i pazienti o almeno tutti coloro che, per mezzo delle cure, possedevano un autocontrollo tale da permettere loro stare in compagnia, mentre per i casi più gravi era giusto rivolgersi ai medici presenti nella sala stessa.
Ci venne aperta un’immensa porta in legno chiaro e, al contempo, tutti l’attraversammo. Mi guardai intorno, notando il senso di famigliarità ed ospitalità che quel posto trasmetteva e sorrisi all’idea che Zayn potesse trovarsi bene tra quelle mura.
Quando poi calai lo sguardo sui soggetti che, gustando tranquillamente un banchetto allestito per l’occasione, abbracciavano i loro cari con ardore, non posso dire che il suo fu il primo sguardo che incontrai, ma ammetto che fu l’unico che mi rapii sin dal primo istante.
 
Narratore Esterno.
Due mesi. Due interi mesi trascorsi in quel centro riabilitativo e la mancanza della ragazza l’aveva assalito ogni giorno, in ogni momento, in ogni occasione. Era stato il suo chiodo fisso, quel genere di pensiero che sa rallegrare la giornata, infondere speranza, al contempo abbattere, far tornare alla memoria certi eventi che segnano e intristiscono.
Non sarebbe stato capace di delineare con esattezza il suo soggiorno in quel posto: non che fosse stato poi tanto male, ma il tutto risultava difficile quando si era al principio di una forte dipendenza da droghe leggere.
Due mesi o poco meno gli erano stato necessari per rimettersi quel tanto da poter ammettere di sentirsi bene. Parlando con i medici, questi gli dicevano che con abbastanza forza di volontà a breve sarebbe uscito da quella gabbia di matti, come la definivano simpaticamente.
E le sue gambe tremavano all’idea di poter far ritorno al college, di poter riprendere il controllo della sua vita, dello sport che più amava e della sua famiglia.
Aveva deciso di non vedere nessuno, all’infuori dei genitori e delle sorelle. Preferiva non dare spettacolo. Si era ripromesso che, solo quando si sarebbe sentito pronto, avrebbe chiamato uno tra i suoi amici, quello di cui più sentiva la mancanza, che l’avrebbe incontrato e che avrebbe tentato il tutto per tutto, pur di farsi perdonare quell’ennesima attesa.
- “ Josh? “ – domandò, ridendo. – “ Che cazzo stai facendo? “ – sbottò il moro, guardando l’amico che tentava di bere una coca cola, infilando la cannuccia della lattina nel naso.
- “ Ditemi che non è vero..” – borbottò Lucy, coprendo il viso con le mani. La biondina provava immensa vergogna quando Josh, non ché suo ragazzo sin da quando erano entrati in quel posto, aveva di quei momenti folli che facevano letteralmente morire Zayn dalle risate.
- “ Ci riesco, ci riesco, ci riesco.. “ – esclamò, inspirando sempre più perché il liquido salisse su per la cannuccia. Quando poi questo crollò nuovamente nel bicchiere, non poté che esclamare, deluso: - “ ..non ci riesco. “ –
- “ Riesci mai in qualcosa tu? “ – domandò retorica quella che sarebbe dovuta essere la sua ragazza.
- “ Taci, bionda. “ – la zittì, prima di stamparle un bacio sulle labbra con talmente tanta dolcezza da far provare una finta nausea al moro che li fissava sconcertato.
- “ Bleah..” – si lasciò sfuggire, distraendosi dall’osservare la coppietta.
- “ Dieci sterline che all’arrivo della sua moretta farà di peggio.” – borbottò Josh a Lucy che, ridendosela, osservava Zayn farsi dapprima rosso, poi sorridere ebete al pensiero della sua moretta.
- “ Ma guardatelo. “ – lo sfotté l’unica donna tra i tre. – “ Il grande e temibile Malik che diventa improvvisamente umano. “ – tutti e tre ridettero, come d’altronde facevano da quando, due mesi o poco meno prima, erano stati smistati nella stessa camera, per poi trasferire Lucy in una camera per sole donne.
Erano seduti in un tavolino della sala ricevimenti, lì dove ogni paziente incontrava i propri parenti due giorni alla settimana. Zayn osservava i suoi due nuovi amici. Li definiva “particolari”, di tanto in tanto strampalati, ma bravi ragazzi. Quando aveva raccontato loro la sua storia, l’avevano compreso, non giudicato o preso di mira. L’avevano aiutato, convincendolo che il suo non era un caso raro, che spesso in molti smarrivano la strada, ritrovandola solo per mezzo di un piccolo sostegno.
Lucy era una biondina peperina, proprio come a lui piaceva soprannominarla. Possedeva grandi occhi color miele e acidità da far paura, ma pur sempre molto tenera nei suoi confronti. Aveva ventiquattro anni e ciò la spingeva ad avvertire un senso di fratellanza e protezione nei confronti di Zayn che le era grato per l’appoggio. Aveva avuto problemi di autolesionismo. A Zayn aveva raccontato che prima di trasferirsi a Londra, aveva una bella vita, agiata e confortevole. Erano state le circostanze, lo stress, le cattive influenze a spingerla verso l’autolesionismo che, credeva, l’avesse rovinata esteticamente. Lui amava ripeterle che si trattava solo di una sua momentanea fissazione, perché l’aspetto fisico della ragazza era piacente all’occhio umano, bello a vedersi in parole povere, proprio come doveva esserlo per una ventiquattrenne.
Josh pure era un tipo particolare, poco macho, ma pur sempre di bell’aspetto. Appassionato della lettura, del ping pong, del calcio e.. di tutto quel genere di robe un po’ strambe, come lui. Possedeva capelli biondi, scompigliati, occhi scuri e sorriso smagliante. Stava impiegando tutte le sue forze per superare la fissa dell’alcool. Brutta storia quella che aveva riferito a Zayn, ma mai tanto brutta come quella a cui Zayn era andato incontro. Certo era che a ventiquattro anni, anche lui, aveva avuto una vita crudele e che, Zayn ne era convinto, quel ragazzo non meritava affatto.
 
Le porte si spalancarono e una massa poco uniforme di persone le varcarono, mettendo in agitazione l’intera sala, colma di persone di tutte le età.
Ma quella mattina Zayn ne attendeva una sola, poiché aveva avvertito la sua famiglia di non presentarsi, avendo già visite.
I due amici erano lì in funzione di supporto morale al ragazzo, non attendevano l’arrivo di alcun parente.
Zayn scorse ragazze su ragazze, donne, poi uomini. Sarebbe diventato pazzo se, ad un tratto, non l’avesse inquadrata immobile dinanzi le porte, che fissava il tutto stupefatta. Effettivamente, anche a lui piaceva quel posto.
Quando poi calò lo sguardo, non lo vide immediatamente. Ma quando lo fece, Zayn poté finalmente dire di aver rincontrato la sua fonte di gioia.
 
 
-Sam.
 
Lo vidi alzarsi in piedi e accennarmi un sorriso.
Non mi ritrovavo ad osservare più lo stesso ragazzo che ricordavo: magro, pelle pallida, occhi vitrei e voce rovinosa. Ora il suo viso aveva acquisito colorito, un bel colorito. Era ingrassato appena, quel che bastava per rendere i tratti del suo viso più sexy del solito. Gli occhi splendevano a distanza, quasi fossero stelle. E le labbra rosee che avevo impresse nella mente, erano rosse.
I capelli di cui tanto andava fiero non erano più semplicemente neri, ma proprio il ciuffo che da sempre portava, era stato tinto di un biondo accecante e lavorato per offrirgli una pettinatura originale: era, in un certo senso, attorcigliato su se stesso. Il look da ImsexyandIknowit restava sempre lo stesso, ma lo reputavo mutato in meglio.
Rimasi impalata ad osservarlo per istanti che parvero un’eternità. Non ero capace di muovere un solo passo, senza sentirmi una vera idiota, mentre le parole di Louis continuavano a ripercuotersi nella mia mente.
L’avevo perso? Avevo commesso sul serio un errore così colossale? L’errore che avrebbe segnato per sempre la mia esistenza?
Fu la spallata ricevuta da un signore che, sbadatamente, era finito contro il mio braccio, a ricordarmi che Zayn si trovava ancora in piedi, munito di sorriso smagliante, ad attendermi, al fianco di un tavolino già occupato.
Scossi appena la testa e respirando profondamente mi avvicinai, prima lentamente, poi con sempre più rapidità, fin quando, giunta oramai ad un palmo dal suo viso e dal suo corpo, sofferente a causa di tanta distanza, non lo sentii pronunciare parole letali:
- “ Avanti, non mi abbracci? “ – e, quasi intuendone la necessità, mi strinsi al suo petto con brutalità. Bastò quel contatto per crollare psicologicamente, per cedere alle lacrime. Ne avevo subite talmente tante, da non essere più in grado di vivere un momento, senza render le lacrime partecipi del mio dolore o della mia gioia.
Intravidi appena un sorriso allargarsi sul suo volto e divenire di splendore unico. Quel sorriso era per me, era mio. Quel sorriso era dovuto a me e niente avrebbe impedito che me ne aggradassi.
- “ Come stai? “ – sussurrai, impaurita che qualcuno mi stesse ascoltando.
- “ Proprio come mi vedi. “ – mi distaccai appena per poterlo osservare, mentre quel sorriso impertinente che di lui amavo con l’anima si posava ancora tra le sue labbra.
Inutile dire che lo vedevo in buono stato e che restava bello, stile dio greco. Ma non avevo più la faccia di sbattergli contro ciò che avevo pensato sin dal primo sguardo che gli avevo rivolto in quell’edificio.
- “ Bene, stai bene. “ – sentenziai, sbarazzandomi di quelle poche lacrime che avevano preso il via nella libera discesa, poco prima.
- “ E tu? “ – domanda fatale.
- “ Dici a me? “ – chiesi, cercando di svignarmela in qualche modo. Mi guardavo attorno, senza trovare una via di fuga.
- “ Si, a te. “ – puntualizzò, ridacchiando.
- “ Io.. bene. Pff, una favola. Non si vede? “ – ridendo, non rispose. Mi lasciò intendere che ai suoi occhi non ero un bello spettacolo. Ero ridotta così male? – “ Non ridere, idiota. “ – lo ripresi con nonchalance.
- “ Sempre la solita. “ – mi canzonò.
- “ Mi dai ai nervi. Evidentemente nemmeno tu sei cambiato poi tan..” – fui interrotta dalle sue braccia strette intorno al mio corpo, dal suo respiro sul mio collo, durante un abbraccio a cui lui aveva dato inizio. Rimasi da principio inerme, poi ricambiai proprio mentre lo sentii sussurrarmi:
- “ Mi sei mancata così tanto. “ – lui era cambiato. O meglio, era sempre lo stesso, semplicemente mostrava ciò che provava senza troppi giri di parole. Io, invece, ero diventata più introversa e non sarei stata capace di tornare ad essere la solita, non in quello stato. Mi limitai a stringerlo maggiormente tra le mie braccia e a restare in rigoroso silenzio.
Mi presentò due ragazzi con cui sembrava andare parecchio d’accordo. La bionda aveva qualcosa di maledettamente affascinante e carino, proprio come il genio incompreso seduto al suo fianco. Josh e Lucy questi erano i loro nomi e come Zayn avevano avuto dei problemi che li avevano costretti a prendere in mano le redini della situazione.
Mi osservavano curiosi, con una punta di maliziosità, quasi attendessero ogni mio gesto con impazienza.
Poi il moro mi scortò all’esterno, per restare soli. La tensione aumentare a vista d’occhio, ma tentavo di frenare ogni strano impulso. Ci sedemmo sull’erba del giardino deserto, fissando il cielo. Ero, evidentemente, molto più in imbarazzo io. Per smorzare la tensione, cominciai a porgli domande riguardo il suo soggiorno in quella clinica. Mi rispose che le cure stavano avendo i loro effetti, che sentiva di essere finalmente sano. I medici non facevano che ripetergli quanto fosse stato fortunato: anche un solo giorno di ritardo ed una dose in più l’avrebbero segnato a vita. Si trovava agli estremi.
Spiegò il tutto con indifferenza, quasi quello fosse un pettegolezzo, una storia sentita per errore, che non lo coinvolgeva emotivamente, ma che raccontava senza alcun problema. Ne rimasi sconcertata. Era stato lui a vivere un dramma interiore che mai e poi mai nessuno avrebbe osato invidiargli, eppure manteneva un controllo di sé stesso inimitabile.
- “ Sembravi un morto vivente. “ – lo presi in giro.
- “ Sexy, un morto vivente sexy. “ – si compiacque.
- “ Dimenticavo il tuo essere così, come dire, montato.” –
- “ Che vuoi farci. Sono.. bello. “ – sorrisi. Mi ritrovai a riflettere sul fatto che pochi mesi prima lo avrei definito un ragazzo senza principi, spesso volgare negli atteggiamenti, che lo fosse persino nei gesti così differenti in base alle persone con cui si relazionava. Non capivo, invece, che i suoi modi di fare divenivano pessimi solo in mia presenza, quasi ad indicare che quella maschera di cui si serviva era dovuta a me, al non mostrarsi debole con la ragazza che non comprendeva e che non avrebbe potuto mai comprendere quanto lui fosse pazzo di lei. Invece, in quegli ultimi attimi, capivo di amare persino quella parte di lui che era da ritenersi più superficiale, ma che non era la caratteristica di cui si serviva per farsi accettare. Ero arrivata al punto di accettare quelli che erano i suoi difetti.
- “ E’ la convinzione che fott..” –
- “ ..fotte la gente, lo so. “ – mi precedette. S’incupì un momento, lasciandomi modo di ritenere che quella mia esclamazione non portata a termine lo avesse reso tale, prima di ridestarsi, guardandomi ancora. – “ Non sono davvero così convinto. Tu lo sai, non è vero? “ – accennai un sorriso, avvicinandomi appena a lui, sedutomi poco più distante.
- “ Certo che lo so o almeno l’ho scoperto. “ – ridacchiammo. Erano trascorsi ore, giorni, settimane e mesi, eppure noi, insieme, eravamo sempre gli stessi, come se nulla ci avesse divisi.
- “ Come si sta in mia assenza? “ – il mio sguardo furbo lo travolse in pieno, prima che prendessi a sparare le più grandi idiozie che sapessi inventare.
- “ Oh, una favola. Ballo la conga tutte le sere e scrivo jingle su di te e sulla tua molto apprezzata assenza e..” – con un leggero spintone, bloccò l’enumerazione di una quantità infinita di cretinata che avrei saputo inventare al momento. E lui lo sapeva, proprio per questo mi aveva placata.
Mi definì con un magnanimo insulto, a cui risposi ingrossando appena la voce per imitare un uomo acclamato dopo una delle sue migliori performance. Continuavo a ripetere dei ‘grazie’ strascicati, mentre lui rideva divertito ed il mio cuore faceva lo accompagnava, accecato.
- “ Se vuoi la verità.. sei mancato a tutti. “ – ammisi infine, senza però entrare nello specifico. – “
- “ Vi ho fatto soffrire. “ – mormorò allora, mentre l’espressione del suo viso diveniva cupa e sofferente.  
- “ Ma smettila. “ – la presi a ridere. – “ Oh, aspetta. “ – esclamai all’improvviso. – “ Allyson.” – mi guardò senza capire. – “ Gira ancora per il college che tornerai da lei e che vivrete felici e contenti. Perché lei è Allyson todo todo nada nada. “ – lo vidi chinarsi su se stesso, per sbottare poi in risate che mi diedero del filo da torcere. Rideva con energia e passione e nel frattempo io decedevo all’idea di averlo così perfetto al mio fianco.
- “ La cosa ti fa tanto ridere? “ – domandai, trattenendo a mia volta le risate.
- “ Veramente crede che tornerei con lei? Fosse stato per me non le avrei nemmeno chiesto di stare insieme. “ – trattenni per un attimo il respiro, fingendo poi un risolino idiota.
- “ Per averla scelta, qualcosa di buono deve pur avere. “ – mormorai, cercando di non rattristarmi.
- “ Nulla. “ – assunsi un’espressione alla “WTF?!”. Non ne comprendevo il senso. – “ Non aveva nulla di buono, nulla.  Ma era l’unica che mi avrebbe aiutato a dimenticare. “ - Dimenticare chi? Che cosa? Come e quando?
Le parole di Louis si ripercossero ancora nella mia mente, costringendomi a scuotere appena la testa per scacciare via quella voce detestabile, il cui unico obiettivo nella vita era rammendarmi costantemente di averlo perso.
- “ Dimenticare? “ – sussurrai. Mi concesse un semplice sguardo, con esplicito sorriso sulle labbra. Non compresi cosa stava tentando di dirmi, usando un’occhiata intensa, ma ero certa che stessimo comunicando e non osai distogliere i miei occhi dai suoi, nemmeno per un impercettibile secondo.
- “ Si. “ – asserì. – “ Sono innamorato. “ – il mio cuore prese a palpitare in modo non conforme alla norma. Speravo di essere io l’oggetto del suo amore, nel mentre pensavo che se fosse stato innamorato di qualsiasi altra ragazza non sarei riuscita a vivere in pace.
- “ Innamorato? “ – ripetei.
- “ Già. “ –
- “ E la conosco? “ – domandai, esitante.
- “ Non lo so. “ – trattenni il respiro, nuovamente. Il fatto che lui non rispondesse chiaramente, mi permetteva di giungere ad una sola conclusione: non si trattava di me.
- “ E.. com’è? “ – chiesi, calando lo sguardo per rannicchiare le gambe tra le braccia.
- “ Perfetta.”  - autostima sotto zero, pensai scoraggiata. Dal modo in cui ne parlava, doveva essere folgorato da quella misteriosa e fenomenale ragazza.
- “ Perfetta. “ – ripetei, intercettando un fuoco accendersi in me.
- “ Lo è. “ – in preda ad un attacco d’ira mi scagliai a parole contro Zayn.
- “ Smettila, diamine. “ – scattai in piedi veloce, prendendo a camminare nervosamente sul posto. – “ Ho capito, è bellissima. C’è bisogno di ripeterlo centomilamiliardi di volte? “ – Avevo superato un record. Mezz’ora senza insultare o aggredire Zayn, per poi cedere all’istinto irrefrenabile di dargli contro.
- “ Sei gelosa, Wilson? “ – beffardo, si mise in piedi anche lui, infilando poi le mani nelle tasche della giacca in pelle che indossava quel pomeriggio.
- “ Perché dovrei? “ – esitai un attimo. L’immagine di lui che baciava un’altra ragazza si ripresentava senza sosta tra i miei occhi. Forse era bionda, rossa, magari mora. Con occhi azzurri, verdi, magari marroni. Bassa, media, magari alta. Amante del teatro, del ballo, magari del canto. Magari mi somigliava in tutto e per tutto e nonostante tutto lui avrebbe sempre preferito la ragazza perfetta a me.
Ripresi quindi a camminare nervosamente in un tragitto di appena un metro, poco più poco meno, torturando le mani, articolandole tra loro con frenesia.
- “ Dopotutto chi sono io per te, se non un’idiota che ha saputo rovinarti la vita.” – conclusi sconfitta.
La presa decisa di una mano sul mio polso, poi un braccio che circondò la mia vita, seguito da una mano che si posò con fare sicuro sulla mia guancia ed infine un paio di labbra che trovarono le mie per poi farle loro, baciandole con passione irripetibile.
Mi stava baciando.
Quel contatto durò a lungo, quando poi si distaccò appena per riprendere fiato, mi parve fosse durato fin troppo poco.
- “ Parlavo di te. “ – Era innamorato di me, sul serio. Quindi non l’avevo perso, quindi potevo sentirlo e saperlo mio. Quindi non ci sarebbero stati più problemi?
- “ Giura che non stai scherzando. “ – lo pregai, trattenendo un’immensa gioia.
- “ Te lo giuro. “ – sorridendo come solo i matti erano capaci di fare, lo strinsi tra le mie braccia che trovando il suo corpo, ammisero di trovarsi in astinenza da quel corpo, di amarlo, di poterlo decretare il loro preferito. Quello che avrebbero scelto sempre e comunque.
André.
Fu quel minimo dettaglio a gelarmi. Zayn non sapeva di André, non sapeva di quella sorta di storia tra di noi.
- “ Zayn..” – richiamai la sua attenzione, lasciandolo andare. Mi sorrise, senza sapere che quel suo essere cordiale nei miei riguardi non migliorava la situazione.
- “ Devo dirti una cosa. “ – ammisi, chinandomi per sedermi sull’erba verde del prato. – “ Ed è seria. “ – continuai.
- “ Sono tutto orecchi. “ – neppure la serietà con la quale avevo parlato, l’aveva scalfito. Sembrava che nulla potesse turbarlo e non volevo di certo essere io la ragione del suo malumore.
- “ Beh, ecco.. io.. non so come dirtelo.”  - divagai.
- “ Inizia comprando una vocale. “ – mi suggerì, distendendosi sul prato.
- “ Non sfottermi. “ – lo ripresi, tornando ad essere per un attimo felice di averlo al mio fianco. – “ Devo dirti una cosa importante. “ – ripetei.
- “ Già lo hai detto. “ – fece notare, girandosi su un solo lato, per poi sostenere la testa con un braccio. Lo fulminai, facendolo ridere, prima di tornare a parlare:
- “ Io ho sofferto molto per la tua lontananza. “ – incominciai. – “ Partendo dal fatto che tu te ne sei andato e non mi hai voluta salutare, per arrivare all’attesa estenuante prima di avere tue notizie. Sono arrivata al punto di non dormire la notte e di sognare cose, alquanto strane oserei dire.. “ –
- “ Arriva al dunque. “ – mi schernì. Sorrideva ancora. Non aveva compreso quanto quella questione, in realtà, fosse delicata.
- “ ..quindi ho tentato di dimenticarti. “ –
- “ E non ci sei riuscita, non è così? “ – ridacchiò ancora, avrei voluto fare altrettanto, ma quella volta non ne ebbi la forza. Lui la prendeva a ridere, perché non era al corrente.
- “ Sono stata con un altro. “ – terminai in un sol fiato. Non avrei mai ammesso di frequentavo ancora André per ben due motivi. Il primo: non lo sentivo da settimane e non ero intenzionata a farlo, se non per chiudere definitivamente quella sorta di storia nata tra di noi. Il secondo: mi avrebbe preso per una poco di buono ed io non lo ero.
Quel sorriso, che possedeva sin da prima del nostro bacio, scomparve proprio come immaginavo e per il quale pregavo, affinché non accadesse.
Si drizzò a sedere, quasi lo avessero rimproverato e non trovasse più nulla per cui divertirsi.
- “ Tu cosa? “ – chiese con tono accusatorio.
- “ Io ho.. frequentato André il ragazzo del negozio di musica. “ – spalancò gli occhi increduli. Mi domandò se ne fossi innamorata, risposi di non esserlo mai stata. Tentò poi di chiedermi se tra me ed André ci fosse ancora qualcosa, risposi di non saperlo. A quel punto, si strinse nelle spalle e prese ad inspirare ed espirare profondamente, nel vano tentativo di riacquisire un certo controllo. Mi ritrovai ad osservarlo con occhi disperati, a riflettere nuovamente sulle parole che Louis mi aveva rivolto ed in cui scorgevo grandi verità, dolorose verità. Zayn, intanto, restava immobile al mio fianco, senza dire una parola. Era quel suo silenzio a preoccuparmi. Non che lui fosse un tipo socievole o amante della chiacchiera, ma sembrava essere diventato tutt’un tratto il giaccio assoluto che non osava sciogliersi nemmeno a distanza ravvicinata con il sole più rovente.
- “ Sei arrabbiato? “ – mi costrinsi a domandargli. I tratti del suo viso s’addolcirono al suono della mia voce ed un minimo accenno di sorriso si dipinse sulle sue labbra.
- “ Io non ho smesso di pensarti in questi mesi. “ – confessò.
- “ Chi ti dice che io non abbia fatto lo stesso? “ –
- “ Forse il fatto che facilmente mi hai sostituito. “ – mormorò, torturando i lacci del paio di Nike che indossava quel pomeriggio.
- “ Beh forse dovresti capire che io non ti ho sostituito con nessuno. “ – puntualizzai.
- “ Ma forse dovresti essere sincera con te stessa. “ – mi lanciò uno sguardo sprezzante che mi diede un gran filo da torcere.
- “ Forse io non riesco ad essere sincera con me stessa perché sono troppo confusa.” – terminai, riluttante.
- “ Forse hai bisogno di tempo per riflettere. Io ho bisogno di tempo per riflettere. “ – convenne alla fine, mettendosi in piedi prima di allontanarsi appena da me, da noi.
Le ultime parole dette mi lasciarono senza fiato. Stava puntando dei paletti, stava impedendo l’inizio di una storia che probabilmente sarebbe potuta essere la più importante nelle vite di entrambi. Mi stava rifiutando ed io non potevo far altro che prendere atto della sua decisione e lasciarlo andare.
- “ Se è questo che vuoi. “ – sospirai, imitando il suo mettersi in piedi. Sistemai i pantaloni e la maglia, accingendomi poi a prendere la borsa, prima di darmela a gambe levate.
- “ Io non voglio dimenticarti. “ – iniziò all’improvviso, rimanendo a distanza. – “ E non lo farò. Devi riflettere e pretendo che tu lo faccia, perché non voglio essere illuso, non più. Non ti sostituirò, né ti farò pressione. Prometto che ti aspetterò, per il momento. Ma se l’attesa diventerà insostenibile, dovrò dirti addio. “ – non ebbi la forza né il coraggio di aggiungere nulla, perché il breve discorso di Zayn era stato più che sufficiente per entrambi. Lui non sapeva però che le mie idee erano più che chiare, che la mia sofferenza non derivava da un cuore diviso in un due metà, ma dalla consapevolezza di sapere ciò che volevo e aver paura di ammetterlo e sbagliare di nuovo.
Lui non sapeva che l’amavo.
Forte del fatto che lui provasse un sentimento per me che, a suo dire, non era affatto di piccole dimensioni, mi avvicinai alle sue labbra per un’ultima decisiva volta e stampai su di esse un bacio, di quelli raffinati, semplici. Uno di quelli che hanno ben poco di sconcio, ma che sprigionano una tenerezza inaudita.
- “ Ciao Zayn. “ – sussurrai, sfinita. Riuscii a congiungere i nostri sguardi ancora una volta, prima di andarmene senza esitazione.
Quella non doveva essere una fine, ma un nuovo inizio.
 
Bussai lievemente alla porta della loro stanza, prima di lasciare che le mie mani si torturassero a vicenda, nell’attesa che qualcuno venisse ad accogliermi.
Dovetti aspettare ben poco prima che una testa riccia sbucasse dall’interno della stanza ed un sorriso stupito si presentasse davanti ai miei occhi.
- “ Sam? “ – esclamò il riccio.
- “ Harry..” – sussurrai, poco prima di stringermi tra le sue braccia che mi tennero saldamente. – “ Non lasciarmi, ti prego. “ – mormorai tremante quando percepii la stretta delle sue braccia allentarsi.
- “ Non ti lascio, ma sono in mutande. Quindi entra ed evitiamo che tutti godano di questo bel corpo. “ – ridacchiando, mi lasciai trascinare nella stanza, nella quale sputavano raggi di un colore misto tra l’arancione ed il rosso del sole che stava tramontando.
Poi, il mio migliore amico, incastrò tra le mani il mio viso stravolto e baciò la mia fronte, con delicatezza immane. Percepiva il mio corpo tremare, attraverso il tocco delle sue mani, ed il mio respiro regolarizzarsi grazie alla sua vicinanza.
Sentii, in seguito, il cigolio di una porta che s’aprì e chiuse in un battibaleno. Guardandomi attorno, vidi Louis uscire dalla porta del bagno e rimanere inerme alla vista di me ed Harry l’uno di fronte all’altro.
Mi scostai da questo, allora, e mi avvicinai al castano che mi scrutava ancora sbalordito.
- “ Sam cosa..” – gli impedii di dire o fare qualsiasi cosa. Mi trovavo lì, in quella stanza, perché ero pronta ad ammettere i miei sbagli, a prendere in mano la mia vita e a non buttarla più nello scarico. Ero lì perché ero decisa non a cambiare, ma a tornare ad essere me stessa, quella che avrebbe preferito sempre e comunque una risata, ad un pianto.
Lo abbracciai.
- “ Scusami. “ – una semplice parola, che bastò al mio migliore amico per perdonare ogni mio errore.
 
Raccontai loro cos’era accaduto, partendo dalla chiamata di Zayn del pomeriggio precedente ed entrambi convennero nel fatto che un nostro confronto sarebbe arrivato prima o poi e che, dopotutto, non era andato poi male.
Lui mi avrebbe atteso, per quanto gli fosse stato possibile.
- “ Ma tu lo ami? “ – chiese Harry che, seduto sul suo letto, mi lanciò la pallina verde con la quale giocavamo dall’inizio della discussione.
- “ Ovvio. “ – risposi, porgendo la pallina a Louis, sistemato al mio fianco. Proprio questo prese la parola.
- “ E allora perché non metti fine a tutta questa farsa? “ – Esitai a rispondere, ma alla fine confessai ciò che davvero provavo:
- “ Ho paura di amare e di farmi male ancora. “ – Louis lanciò la pallina ad Harry che sorridendomi, disse la cosa più sensata che avessi mai sentito:
- “ E allora lasciati amare. “ – la pallina passò nuovamente a Louis e questo, afferrando il telefono della stanza, me lo lanciò aggiungendo al tutto:
- “ Inizia essendo sincera con quel tizio. “ – con voce esitante, mani tremanti e testa da tutt’altra parte, composi quel numero e all’udire della sua voce andai direttamente al sodo:
- “ André, devo parlarti. “ –

 

my spce:
HEEEEEEEEEEY BELLA GENTE.
Piaciuta la comunicazione di servizio?
Non rattristatevi, però. Questo
sarà il penultimo capitolo per questa prima
storia, ma presto tornerò con un appassionante
seguito. ;)
 
Vi annuncio che non vi lascerò affatto
perdere durante la stesura della prossima
storia. Infatti, siccome il primo capitolo di
questa luuuunga serie, terminerà con la fine
dei corsi e con l’arrivo dell’estate, ho intenzione
di pubblicare tre One-Shot con protagonisti
Sam e Harry alle prese con tre settimane
di vacanze estive, in tre differenti posti, riservate
alla loro amicizia. Saranno scritte in chiave
ironica, con qualche accenno alla reale storia e
la partecipazione di una guest star.
*rullo di tamburi*
LOUIS TOMLINSOOOOON.
Il signorino entrerà in scena di tanto in tanto
e porterà dello scompiglio, come la pace.
Lo faccio per non lasciarvi alla noia
durante la mia “assenza”.
 
Comunque, spero che anche
questo capitolo vi sia piaciuto e vi
ringrazio. Lo scorso capitolo mi
avete bombardato d’incoraggiamenti
e complimenti. Vi adoro.
 
Ora vado,byyyye girls.
Desi. xx

  
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