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Autore: Shark Attack    02/03/2013    4 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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23
La Festa



Nehroi bussò alla porta della sua camera mentre la cameriera era ancora intenta a truccare la sorella. «Faccio io», abbaiò la donna. Posò sul tavolino il pennellino che stava impugnando come un coltello e andò ad aprire.
«Non è pronta», informò col suo tipico tono rude, poi sbatté la porta prima che il ragazzo potesse anche solo pronunciare un suono, lasciandolo inebetito nel corridoio vuoto.
La donna tornò al tavolino come se non fosse successo nulla e continuò il suo lavoro con tranquillità e dedizione, corrugando la fronte rugosa.
«Le piace», domandò dopo un po', omettendo ancora il punto di domanda.
Savannah portò a sé lo specchietto rotondo e si sorprese più del previsto. Sulla Terra aveva provato qualche volta a truccarsi, ma solo per gioco e per provare quell'attività che faceva impazzire tutte le ragazze e donne di ogni età in entrambi i mondi. Quando però aveva visto che non sapeva assolutamente cosa fare e che Nehroi era riuscito a ridere per ore anche dei suoi tentativi meglio riusciti, aveva compreso una volta per tutte che non era cosa per lei e aveva lanciato tutto quanto fuori dalla finestra con odio.
Il riflesso nello specchietto, però, sembrava darle torto. «Sei bravissima!», esclamò con più sorpresa di quanto volesse mostrare.
«Siete pronta.»
«Grazie, davvero!», le disse ancora, cercando di non notare che la cameriera la stava praticamente spingendo verso la porta per buttarla fuori. «Sul serio!»
«Buona festa!», le augurò, anche se sembrava che la stesse mandando al diavolo.
Savannah si ritrovò dall'altro lato della porta prima che potesse riuscire a dire un'ultima parola a quella donna dai modi più che ruvidi e smise di pensare a lei solo quando si accorse che Nehroi non stava ridendo.
«Allora?», lo provocò con tono di sfida mentre mascherava lo stupore per quel silenzio.
Lui rimase qualche istante a squadrarla da capo a piedi, senza emettere suono o fare alcuna espressione. Come la sorella poco prima, ci mise un po' per rendersi conto che quella ragazza agghindata, elegante e bella fosse veramente Savannah, la ragazzina impolverata ed irascibile con cui viveva gomito a gomito da sempre, quella che da bambina era sempre stata una piagnucolona per poi evolversi in una potente tigre intoccabile.
«Nessun commento? Nessuna risata?»
«Quel colore fa schifo», si limitò a constatare.
Savannah alzò gli occhi al cielo e si sentì sollevata. «Sei solo invidioso», commentò in un sorriso. Non aveva considerato il colore dell'abito, essendo l'unica cosa che non poteva essere modificata in nessuna maniera, ma ammise a sua volta che effettivamente era un po' troppo delicato per i suoi gusti. Fu allora che notò le tinte che rivestivano suo fratello, verdi e intense come il sottobosco dopo un acquazzone.
«... comunque anche il tuo. Cos'è, verde marcio?»
Nehroi fece spallucce. «Una delle tante tonalità che si intonano con i miei occhi, cara zuccherina.»
«Zuccherina?»
«Hai il colore di una caramella.»
«Non mangiarmi.»
«Acida come sei? No, tranquilla, non rischierò un'indigestione.»
Finiti i complimenti, scoppiarono a ridersi in faccia a vicenda e, senza bisogno di aggiungere altro, si avviarono verso la festa, limitandosi a seguire semplicemente il rumore della musica e del vociare confuso.
La sala al pian terreno non era più spoglia come l'avevano vista in precedenza: drappi colorati pendevano dal soffitto come morbide onde di velluto e tantissime lampade disseminate tra essi come stelle conferivano calore al freddo marmo bianco della stanza, le cui pareti adesso erano dipinte con colori vivaci e ampi disegni che sembravano narrare una storia. Un'enorme area della sala era occupata da lunghissimi tavoli sommersi dai vassoi di cibo a disposizione di tutti gli invitati e tantissime sedie dalle apparenze molto comode erano state posizionate da tutte le parti, forse con un ordine preciso.
I due fratelli avevano pensato che alla festa avrebbero partecipato solo i Capi e un paio di persone in più, ma si erano sbagliati di grosso: non era ancora giunto l'orario che Phil aveva comunicato loro, ma la sala era già gremita, tanto che le decorazioni dipinte sulle pareti erano praticamente invisibili.
«Sarà facile riconoscere i Capi», commentò Nehroi tendendo la testa per sovrastare la folla di persone, «Sono praticamente tutti blu.»
Una musica dolce e ritmata diffondeva da ogni angolo della sala ma ad un volume sufficientemente basso da non costringere le persone ad urlare come un una discoteca. C'erano dame agghindate come principesse, signore con abiti che ricordavano di più lo stile e le mode di Ataklur con fiori veri, farfalle, ruscelli o simili decorazioni magiche e ragazze che sembravano appena uscite da Hollywood; lo stesso valeva per gli uomini, alcuni erano più eleganti nei loro completi umani mentre altri indossavano il meglio che il mondo magico fosse riuscito a produrre in termini di abbigliamento. L'attenzione di Nehroi fu catturata immediatamente da un uomo biondissimo con delle piccole spiagge sulle spalle, complete di stelle marine, ombrelloni e due bimbi che si lanciavano la palla da una parte all'altra del colletto. Il brehmisth lo trovò bislacco, ma non poté impedirsi di pensare, almeno per un momento, che il suo abito era troppo semplice e umano per un'occasione del genere.
«Vedi Phil?», domandò Savannah mentre si sforzava di non concentrarsi troppo su una signora sulla cinquantina che le era appena andata addosso per la distrazione, facendole perdere l'equilibrio su quelle scarpe impossibili.
Il fratello si erse come una vedetta ed iniziò a setacciare con lo sguardo tutti i presenti, scoprendo tanti altri modi di sprecare energie magiche per farsi notare da chi contava di più ad Ataklur. «Verso la balconata che porta al giardino», comunicò preciso, «Sì, credo proprio sia lui. Ha un vestito tutto bianco, spicca come un ghiacciolo...»
Savannah lo guardò con un sopracciglio alzato.
«Sì beh...», Nehroi corrugò la fronte per cercare un paragone migliore, poi capitolò. «Insomma, è lui che è mingherlino! Se poi si veste da gelataio non è colpa mia! Almeno non ha addosso dei gelati veri...»
«Iniziamo bene, io sembro una caramella e lui un ghiacciolo... Lanciati sul tavolo delle vivande prima che ti ritrovi ad azzannare qualcuno. E attento al cibo che vedi sui vestiti altrui: è tutto finto. Io vado da Phil.»
Ruotò su sé stessa e si pentì della naturalezza con cui aveva voluto muoversi: rischiò di rompere un tacco e si ricordò che ancora non aveva avuto abbastanza tempo per impratichirsi e sopravvivere. Fissò i suoi piedi e borbottò contrariata qualcosa, come se fosse colpa loro se non riusciva a camminare come voleva.
Ci mise un po' ad immaginare come avrebbe potuto migliorare la situazione, ma alla fine si complimentò con sé stessa: immaginò sostegni invisibili e un allargamento del tacco, e muoversi non fu più impossibile come muoversi in una foresta infestata.
Savannah non fece in tempo ad allontanarsi dal fratello di qualche passo che una voce conosciuta trillò alle sue spalle e la fece voltare di scatto. «Nehroi!», esclamò mentre l'irritazione saliva sotto l pelle della jiin.
«Deiry...», la salutò il ragazzo con lieve disagio. «Bel rosso.»
La figlia del Capo di Haffireth si passò una mano lungo il fianco sinistro fingendo di lisciarsi il tessuto. Il suo abito era lungo fino alle caviglie, con uno spacco lungo la coscia destra e uno sul seno, e il tessuto era così liscio e lucente che sembrava fuoco liquido. La schiena rimaneva completamente scoperta, lasciando la scena ad un lungo tatuaggio ramificato ed elaborato che risaliva lungo tutta la colonna vertebrale come un rovo sottile, perdendosi tra i capelli raccolti da un lato. «Ti piace?», gli domandò con un tono malizioso che non sfuggì a Savannah, ad una certa distanza da loro ma non troppo da non sentirli.
«Sì, molto acceso», rispose lui con lo sguardo incatenato al vestito. «Sembri una...»
La jiin viola alzò gli occhi al cielo e temette un altro paragone dolciario.
«Non importa», risolse lui scuotendo la testa, ma senza staccare gli occhi dalla giovane donna.
La mano di Deiry si spostò sul braccio di Nehroi e tastò con nonchalance la manica della giacca come se stesse veramente ammirando il vestito e non i muscoli sottostanti. «Anche a me piace molto il tuo colore... insolito, decisamente.»
«Capita.»
«Non sei un jiin?»
«Già... il rilevatore rimane trasparente di fronte a me, come se non mi vedesse.»
Deiry scostò una ciocca bionda dal viso con un movimento fluido che la fece avvicinare di più a Nehroi senza che lui potesse accorgersene. «Saresti potuto venire con un vestito trasparente, allora», sussurrò veemente.
Il brehkisth ridacchiò nervoso mentre uno strano calore lo pervadeva da cima a fondo e a Savannah venne la nausea. Girò sui tacchi modificati e fece per riprendere la sua ricerca di Phil, unica persona oltre al fratello con cui avrebbe voluto fare una chiacchierata, ma incappò in un completo viola elegantissimo, adornato solamente con un'elaborata spilla dorata che spiccava su un fazzoletto bianco, e fu costretta a fermarsi.
«La signorina Savannah, finalmente.»
La jiin tirò con nervosismo gli angoli della bocca all'insù. «Silar Gerit, giusto?», cercò di ricordare.
I capelli ramati gli coprivano la testa mostrando con corti ciuffi ribelli la loro indipendenza. Aveva gli occhi castani, era alto come Nehroi ma meno piazzato e, come aveva potuto notare durante la riunione del pomeriggio, aveva sempre e costantemente un'espressione divertita e soddisfatta.
Il futuro Capo di Kyureth le sfiorò la mano e la baciò sul dorso come un vero gentiluomo, lasciandola così tanto spiazzata da quel gesto da farle quasi paura. «Chiamatemi pure Silar. Potete concedermi l'onore di conoscervi?»
«Non c'è bisogno di tutti questi modi gentili e riverenti... Silar», disse decisamente innervosita mentre si guardava attorno.
«Oh. Vi ho messa a disagio?»
Lei gli scoccò un'occhiataccia e lui sorrise imbarazzato. «Chiedo scusa, sono abituato a dover parlare così con tutti da sempre... possiamo darci del tu?»
Savannah vide Phil in lontananza con la coda dell'occhio. Nehroi aveva visto bene, era davvero vestito di bianco, ma a lei non sembrava proprio un gelataio o un ghiacciolo.
«Sì», rispose in un soffio dopo un po', come se si stesse per scordare la domanda. Phil si stava allontanando con la principessa Chawia, immersa in uno splendido abito viola intenso dalla gonna molto ampia e voluminosa che le permetteva di non avere nessuno vicino nel raggio di un metro. Aveva lunghi guanti che le coprivano le braccia fin sopra il gomito e su di essi erano disegnati due serpenti bianchi che sembravano attorcigliarsi e muoversi come se fossero vivi, scivolando di tanto in tanto sulla gonna, dove giocavano a rincorrersi.
Tornò a guardare Silar, temendo di esser rimasta silenziosa per troppo tempo. «Sì», ripeté, «Non potrei sopportare una chiacchierata più lunga di tre frasi se dovessi stare attenta ad ogni parola...»
L'uomo sorrise sollevato. «Lo trovo naturale. Posso portarti qualcosa dal buffet?»
«Non saprei cosa scegliere», ammise.
«Ti accompagno», disse in un sorriso. Piegò un braccio orizzontalmente e glielo porse. «Permetti?», la invitò galante.
Savannah aveva visto quel genere di cose solamente nei film e si sforzò di ricordare cosa andava fatto immedesimandosi nelle nobili protagoniste. Fosse dipeso da lei, avrebbe marciato verso il cibo come aveva sempre fatto e, sicuramente, non avrebbe indossato quegli abiti scomodi... ma da qualche parte, dentro di sé, sentiva di dovere almeno provare a sembrare una persona normale, anche solo per non sentirsi osservata da tutta quella gente. Alzò una mano e la posò incerta sul suo avambraccio. Silar annuì e la ragazza tirò un sospiro di sollievo mentre veniva scortata in mezzo ad una folla variopinta verso il tavolo delle vivande.

Purtroppo per lei, Silar era noioso.
Savannah se n'era accorta mentre le spiegava cosa contenesse ognuno delle decine di vassoi che riempivano il lunghissimo tavolo e più volte si era ritrovata a doversi voltare dall'altra parte perché stava sbadigliando e non voleva farsi scoprire.
«... infine ci sono queste tartine che contengono...»
«Lasciamelo scoprire», propose lei pur di ritrovarsi di nuovo interessata a qualcosa. «Poi mi dici se ho indovinato.»
Silar sorrise e si mise in un piattino una porzione di carne di qualche animale che la jiin aveva già scordato condito con una salsa rossastra molto densa fatta con chissà quale bacca.
«Che ne pensi?», le domandò all'improvviso.
Savannah lo guardò interrogativa. «Di cosa?», disse un istante prima di addentare la tartina.
«Dei Capi, della proposta, di Tolakireth... della tartina...», Silar sorrise ed afferrò un tovagliolo. «Scegli tu.»
La jiin osservò il contenuto della sua mano e se lo portò alla bocca. Il sapore era molto variegato, ma sembrava qualcosa che aveva già assaggiato prima. «I Capi sono... interessanti», disse mentre masticava, «E questo palazzo è stranissimo.»
«In che senso?»
«Perché lo hanno lasciato tutto spoglio solo per poter soffocare centinaia di dipinti in un paio di sale?»
Silar sorrise e posò il piattino sul tavolo. «Ah, quello...»
Allungò un braccio per afferrare due bicchieri di cristallo finemente lavorato ed elaborato in un motivo astratto ed indicò alla ragazza l'assortimento di vini e bevande. «Quale scegli? Posso spiegarti cosa contengono se...»
La jiin scosse immediatamente la testa. «No! Va bene tutto, scegli pure!», esclamò terrorizzata dall'idea di un nuovo monologo culinario. Si accorse che sudava freddo solamente pensando di dover sopportare ancora tanta noia.
«Dicevamo, perché ci sono solo quadri di paesaggi, scorci vari e Capi del passato?», riepilogò Silar mentre le porgeva il bicchiere. «Perché quello è ciò che dobbiamo sempre tenere a mente.»
Savannah prese il bicchiere e annusò il contenuto, un vino molto limpido e rosato. «Dovete ricordarvi delle vostre regioni?», domandò scettica. Sembrava una cosa molto stupida.
Silar però non sembrava divertito da quella battuta e le rispose serio. «Di tutta Ataklur, che sia un albero, un fiume, una roccia o una tra le creature magiche più potenti che la natura ci ha donato per guidarci saggiamente e per proteggerci. Ovvero un Capo.»
La ragazza annuì e prese un'altra tartina. «E perché non li mettete in giro per tutto il palazzo?»
«Perché quando i Capi si riuniscono, è come se tutti i terreni e la popolazione che rappresentano si unissero con loro. I loro colori, il loro passato storico, i loro costumi... si uniscono tutti e si fondono per qualche ora alla ricerca di una pace costante e di soluzioni a problemi comuni e non. Com'è il vino?»
Savannah si affrettò a berne un sorso e fece qualche verso di apprezzamento per rasserenare l'espressione curiosa dell'uomo. «Dissetante», commentò. Era un po' aspro, ma non osò commentare oltre. Poi mangiò un'altra tartina e ancora non riuscì ad identificare il sapore che esplodeva nella sua bocca.
«Quindi state cercando di scoprire le vostre origini?», esordì Silar con innocenza, facendo andare di traverso il cibo nella gola della ragazza.
Savannah mandò giù tutto il vino restante nel suo bicchiere per non strozzarsi e tossicchiò un paio di volte prima di poter tornare a parlare tranquillamente. «Che stai dicendo?», lo accusò.
L'aver gettato un argomento così importante e così anomalo in un momento di tranquillità aveva fatto piombare la jiin in uno stato di agitazione totale.
«Tuo fratello ha chiesto con insistenza del vostro cognome, domando scusa», provò a giustificarsi lui facendo spallucce. La jiin ebbe la strana sensazione che non fosse affatto dispiaciuto, ma preferì ignorarla.
«Quando?»
«Quando sei scappata via dalla riunione.»
Savannah strinse le labbra, punta nel vivo. Annuì distrattamente e guardò altrove: si era pentita di quella fuga nell'istante stesso in cui era uscita dalla stanza, ma non sarebbe mai rientrata.
«Voi...», la voce di Silar era diventata improvvisamente gentile ed interessata. «Davvero non lo sapevate?»
Savannah scosse la testa e si versò altro vino, più che altro per avere qualcosa da fare.
«E come vi siete chiamati? Avete inventato altri cognomi?»
«Solo di là.»
«Tra gli umani?»
La jiin annuì contrariata e bevve un sorso esagerato, rischiando di sbrodolarsi. «Lì fanno molte più domande», disse dopo aver svuotato il bicchiere con una smorfia.
«Attenta o ti ubriacherai...»
«Tranquillo, qui so reggere l'alcol», troncò subito. «È nell'altro mondo che non riesco a sostenerlo.»
Silar alzò le mani in segno di resa ed inarcò le sopracciglia con naturalezza. «Come preferisci...»
Savannah posò la bottiglia più forte di quanto volesse e un po' di vino traboccò sul tavolo. Le vennero in mente i modi bruschi della cameriera nella sua stanza e sorrise stupidamente.
«Perché me l'hai chiesto?», domandò di nuovo in tono d'accusa, cercando di recuperare il sangue freddo che la stava abbandonando.
«Dell'alcol?»
«Delle origini. Sai qualcosa?»
Silar si sistemò i bottoni della giacca ed annuì sicuro di sé. «La genealogia è la mia passione», la informò con voce imperiosa. «Se me lo permetterai, domani potrò illustrarti i tuoi avi.»
«Non mi interessano», sputò lei.
L'espressione sconcertata che si era dipinta sul viso del futuro capo di Kyureth le fece capire quanto infantile si fosse dimostrata. Prima chiedeva risposte, poi non le voleva più. Forse aveva sopravvalutato la sua capacità di reggere il vino. Chiuse gli occhi e trasse un breve respiro.
«Scusami», disse sconsolata, «A volte non so nemmeno io se voglio saperne di più o no.»
«E perché non dovresti?»
Savannah fece per afferrare nuovamente la bottiglia di vino, ma la mano di Silar gliela allontanò in tempo. «Non so come ci si senta», le disse dolcemente mentre la posava a qualche vassoio di distanza. La festa sembrava essere distante chilometri, la musica non martellava loro le orecchie, era come se non ci fosse altro oltre a loro due e a quelle pesanti parole che si scambiavano. «Non so com'è non avere i genitori... ma capisco benissimo il tuo desiderio di conoscerli.»
«No, io non voglio.»
Savannah ricordò improvvisamente la calda sensazione di protezione e di cure affettuose che aveva provato nella vasca da bagno. Quella donna estranea le aveva fatto provare nostalgia per una situazione familiare che non aveva mai vissuto, se non con il fratello alle fontane sporche delle piazze cittadine: si era sentita terribilmente bene e al tempo stesso dannatamente a disagio.
Guardò Silar negli occhi castani e non si domandò come mai le fosse così facile parlare di simili questioni con un perfetto sconosciuto. Le parole uscirono dalle sue labbra prima che riuscisse a rendersene conto, ma non provò a fermarle. «Non si può sentire la mancanza di qualcosa che non si conosce, giusto?»
L'uomo non parlò.
«Non ci mancano i nostri genitori, semplicemente perché non sappiamo com'è averne... e credo che sia per questo non ci importa più chi siano e perché ci abbiano abbandonati. Da piccoli, per qualche mese ci eravamo interessati e avevamo provato a cercarli, ma è stato tempo sprecato. Tra il passare i giorni a scoprire il passato e l'usarli per vivere le nostre vite e potenziarci, abbiamo scelto la seconda e... no, non ci siamo mai pentiti di quella scelta.»
«Però... ora senti che ti manca qualcosa, non è così?»
Savannah batté più volte le palpebre ma non disse nulla. Non era sicura che avesse detto una cosa vera, ma non riusciva neanche a dire che fosse totalmente falsa.
«È proprio come la storia dei dipinti», proseguì Silar, «Senti il bisogno di sapere chi c'è stato prima di te, per conoscerti meglio e sentirti più completa.»
Il tempo sembrò appannarsi mentre il respiro di Savannah rallentava inesorabilmente. Non si era mai sentita così, e non sapeva nemmeno come descrivere quella sensazione di vuoto che provava. Ciò che passava di fronte ai suoi occhi sembrava appartenere a qualcun altro, come se lei fosse svanita lontano, distante da quella strana festa a cui mai avrebbe pensato di partecipare. Silar era di fronte a lei e non sorrideva sicuro di sé come aveva fatto per tutta la serata, non la stava annoiando con stupide rassegne gastronomiche. «Come fai a...», balbettò svuotata.
«A volte parlare con gli estranei fa bene», si limitò a dire lui, con l'aria di chi ne sa qualcosa. «Vuoi fare una passeggiata in giardino?»
Savannah scosse la testa, dapprima lentamente e poi con più decisione. Si voltò verso il tavolo del buffet e prese un'altra tartina, sempre dallo stesso vassoio. «Parlami della principessa», ordinò.
Avrebbe avuto modo di pensare ad altre cose e si sarebbe ripresa, distraendosi.
Silar sospirò e tornò a sorridere soddisfatto. «La principessa Chawia è solamente un Capo che ha preso in mano l'albero genealogico facendo due più due, sfrutta il buon nome della sua casata e l'eredità magica che possiede, nulla più. Crede di poter unire tutta Ataklur sotto un solo Reggente, cioè lei, e... beh, purtroppo c'è qualcuno che la sta a sentire.»
«Ha sostenitori?»
«Tutta la sua regione», rispose prontamente e con amarezza, «E sembra che qualcun altro dei Capi sia d'accordo col suo progetto, anche se non so ancora chi. Spero che non ci sia una branca di ribelli anche a Kyureth, sarebbe una vera scocciatura doverli piegare.»
Savannah approfittò di un momento di distrazione di Silar e si versò di nascosto un altro goccio di vino. Non sopportava di essere rimasta così priva di vitalità dall'analisi troppo accurata di uno sconosciuto e cercava energie nell'alcol, nuovamente certa che lo avrebbe retto senza problemi. Lo bevve tutto d'un fiato prima che l'uomo si voltasse ancora verso di lei e si sorrisero a vicenda con imbarazzo.
«Il mio amore per la genealogia è nata dalla voglia di scoprire le origini del potere magico tra le persone, capisci?», proseguì lui, ignaro di cosa fosse successo alle sue spalle.
Savannah annuì convinta, pur consapevole di non aver prestato molta attenzione a ciò che aveva appena detto.
«Un giorno stavo passeggiando nelle strade di Kyureth, ho osservato con attenzione il popolo e mi sono domandato: chi sono stati i primi jiin? Perché ci sono i brehmisth? Così ho deciso di incentrare le mie ricerche partendo dagli alberi delle grandi famiglie nella mia regione, quelle che vantano una dinastia potente da generazioni, e via via un po' tutte le altre. Chawia può vantarsi di molti avi illustri, ma suo padre era un umano e questa è una grande pecca. Un giorno, se avremo dei figli, potremo istituire una vera discendenza monastica, potente come un mondo simile richiede, e tutta Ataklur la riconoscerebbe e rispetterebbe come tale... Non credi?»
La jiin annuì inerte, più annoiata dalla sua voce che interessata dall'argomento, ed ingoiò un'altra tartina verde. Le trovava davvero squisite e continuava a mangiarne nella speranza di scoprire di cosa fossero fatte, ma non si era ancora mai avvicinata alla soluzione. Ne aveva ancora una in mano quando si domandò perché Silar fosse tanto certo che suo figlio avrebbe ereditato abbastanza potere da diventare principe di Ataklur... non che le potesse importare. In fondo di due fratelli, uno era nato brehmisth e l'altra jiin, non sapeva dire se da quel dato si potesse determinare la potenza dei suoi genitori. Trovava solamente curioso pensare che la gente potesse rispettare un principe la cui madre ha sempre vissuto ai margini della società, facendo sempre e solo il suo interesse ed infrangendo spesso le regole sia dei Capi Reggenti sia del buon costume; d'altronde era l'idea di Silar, non la sua. Era lui quello che si curava di politica del regno e...
La tartina le cadde di mano non appena ebbe collegato due tasselli fondamentali del discorso di quel borioso uomo che stava sopportando ormai da un'ora. Savannah increspò la fronte e improvvisamente la tranquillità in sala che era riuscita a conquistare mangiando e bevendo svanì: di fronte ai suoi occhi, gli invitati continuavano a chiacchierare, sorridere e scherzare tra loro amabilmente, ignari del senso di inquietudine che la stava attanagliando.
La tartina toccò il tavolo e quel rumore delicato risuonò nella sua mente come vetri in frantumi. Si voltò verso Silar con il viso ancora pensieroso e corrucciato; vide il suo sguardo sereno e compiaciuto ed alzò le sopracciglia con uno scatto, rendendo il suo stupore così manifesto che anche un cieco se ne sarebbe accorto.
«Il tuo plurale era per noi due!», esclamò shockata, realizzando finalmente l'intera discussione fatta con lui. «Noi! Insieme! Non intendevi un “avremo” generico, ognuno per conto suo...!»
La sua voce era di una tonalità più alta del normale e Silar ne sembrò divertito, ma anche lievemente imbarazzato e irritato. Si guardò attorno con sospetto, rincuorandosi nel vedere che non avevano attirato l'attenzione quanto temeva.
«L'alcol inizia ad annebbiarti, vedo. Forse dovremmo riprendere il discorso domani ma... non dirmi che non ci hai pensato neanche per un istante», le disse ammiccando in maniera provocante e sporgendosi verso di lei.
Savannah non riuscì ad impedirsi di scuotere vigorosamente la testa ed indietreggiò barcollando e pestando i piedi a qualcuno. «No! Cioè, io non... non è una cosa che rientra nei miei piani e... non ci ho mai pensato... comunque no!»
Si accorse che stava balbettando molto più di quanto avesse voluto. Cercò di mantenere la calma, anche se la mano che reggeva il bicchiere tremava vistosamente e la cosa non faceva che agitarla di più. Si appoggiò al tavolo del buffet ed incrociò il suo riflesso in un vassoio argenteo: non riusciva a capire se fosse arrossita, impallidita o un patetico miscuglio delle due cose.
«Ovviamente non intendevo spaventarti a questo modo», Silar cercò di riprendere in mano la situazione. Le sfiorò delicatamente la spalla e le indicò la balconata che portava allo splendido giardino del palazzo. «Una boccata d'aria?», propose sicuro.
La jiin rifiutò. Dopo quella rivelazione, non avrebbe più corso il rischio di rimanere da sola con lui.
Silar si passò una mano sul viso e sospirò amareggiato. «Forse sono stato un po' troppo precipitoso, puoi scusarmi?», domandò con sincerità.
«Sei impazzito?», lo aggredì Savannah a denti stretti, cercando di non attirare l'attenzione degli invitati circostanti. Una coppia di mezza età aveva lanciato un paio di occhiate allarmate nella loro direzione, ma qualcosa -forse il colore dei loro abiti- li aveva dissuasi dall'intervenire.
«Conosci una persona da meno di un'ora e proponi subito di combinartici in matrimonio... parlando pure di figli? Lo fai con tutte le ragazze o io ti ispiro tanta possibilità di successo?», abbaiò ancora la jiin, inalberata.
Silar deglutì e si affrettò a versarsi qualcosa in un bicchiere per non mostrare di esser rimasto senza parole e con un'espressione troppo imbarazzata in viso. «No che non lo propongo a tutte. E poi pianificazioni di questo tipo non sono da prendere alla leggera o da rifiutare a piè pari», la rimproverò serio.
Savannah sgranò gli occhi e gli prese il bicchiere, privandolo della sua occupazione. «Stai scherzando? Tu dici a me che non è da prendere alla leggera?»
«Si vede che non sei abituata a questo lato del mondo, ma io posso aiutarti a...»
«A convincermi che è giusto fare come fai tu?», soffiò con stizza. «Hai ragione, non sono per niente abituata a queste cose politiche, nobiliari, territoriali o come preferisci chiamarle. Ma sai una cosa? Preferirei stare con un umano che legarmi con un pallone gonfiato come te!»
Si godette l'espressione stupefatta e sconvolta di Silar Gerit, uomo così tanto tronfio e pieno di sé e del suo stile di vita che non avrebbe mai immaginato di essere messo a tacere da una ragazza orfana dei bassifondi del deserto, poi si voltò trionfale su sé stessa e si allontanò con un sorriso enorme stampato in faccia.
Iniziò a cercare il fratello come l'ago di una bussola cerca il nord, ignara che Nehroi, dalla parte opposta della sala, stava salendo le scale accompagnato da una giovane donna molto attraente, avvolta in un elegantissimo abito rosso fuoco che le lasciava scoperta la schiena.
Una schiena candida e pulita.



*-*-*-*



Ci ho messo un bel po' ad aggiornare, che cattiva ^^" il capitolo, come molti altri, era già pronto da un pezzo, ma volevo lasciarlo "decantare" per un po' perché non mi convinceva e stamattina mi sono svegliata col piede giusto per impreziosirla ed aggiungere un pezzettino... va beh, non vi interessa! xD

L'importante è che abbiate notato la descrizione di Deiry all'inizio e come è finito il capitolo xD e sì, anche i tentativi di Silar di concupire con Savannah... beh, avremo molti sviluppi interessanti, promesso! ^^

Ho visto che il numero di recensori è calato vertiginosamente ma sono fiduciosa e di certo non smetto di pubblicare e di scrivere! Anche perché i capitoli più belli ed intensi (a mio parere, quelli che mi hanno impegnata di più e che sono decisamente... beh, lo vedrete :P) sono ancora un po' lontanucci e va bene fare qualche pausa nel postare ma se non mi sbrigo li posterò l'anno prossimo! xD

Alla prossima guys!!
Ciao!

Shark
   
 
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