Capitolo 1
-Presagio –
“Alcuni simboli sigillano i nostri
incubi…ma possono anche farli tornare…”
La sveglia lanciò
improvvisamente il suo trillo insistente, diffondendolo rapidamente nella
piccola stanza rettangolare.
Harry aprì piano gli
occhi, allungando un braccio quel tanto che bastava per spegnerla e fissando il
fuligginoso soffitto scrostato:il consueto odore della
sua camera, un disgustoso misto di caffè e amido, gli aggredì le
narici.
Ruotò rapidamente lo
sguardo, pilotandolo sull’ampia libreria costruita con i vecchi scaffali
rotti dello zio, sulla gabbia della sua civetta, sul libro di magia abbandonato
la sera prima sul letto; sembrava tutto assurdamente normale,
ma Harry si sentiva strano, inquieto:era qualcosa nell’aria come
una vibrazione, pericolosa e potente, che gli aggrediva lo stomaco da quella
sera…eppure, nonostante avesse cercato di scoprire cosa lo turbasse non
ci era ancora riuscito, e la nausea iniziava a diventare fastidiosa e
preoccupante…
Scosse la testa, come per
mandare via quei pensieri, e balzando giù dal letto andò ad
aprire la finestra.
L’aria era calda e ferma, ricordo indelebile di ogni sua estate, ma per fortuna
una brezza leggera e la pioggia della sera prima avevano contribuito a rendere
il clima più accettabile.
Respirò profondamente,
cercando di lavar via con quell’aria salubre e piacevole il suo malessere:per un attimo chiuse gli occhi, sforzandosi di immaginare i
suoi amici, Hogwarts, la sua scopa…come avrebbe voluto far passare quei
pochi giorni che lo separavano dal rientro a scuola in un attimo! Ma ormai non
doveva aspettare molto, e avrebbe rivisto tutte le persone alle quali voleva
bene…
Al solo pensiero la sua
inquietudine diminuiva:se qualcosa avesse continuato a
non andare, qualcuno gli avrebbe creduto…
-Harry!-la voce stridula e
fastidiosa di Zia Petunia si insinuò nei suoi pensieri, rovinandoli
completamente.
-Che c’è?!?-chiese svogliatamente, preparandosi ad adempiere
uno dei numerosi compiti che, per motivi sconosciuti, erano riservati a lui.
-Ricordati che oggi vengono i
signori Vasberg, quindi non farti vedere e non fare quelle tue
solite…stramberie!-strepitò ancora la donna, lasciando trasparire
tutto il suo disprezzo.
L’ombra di un sorriso
si dipinse sulle labbra del ragazzo:-Perfetto-
pensò –un’ottima occasione per svignarmela…-.
Da un po’ di tempo a
quella parte, infatti, Harry aveva preso l’abitudine, una volta relegato
dallo zio nella sua camera, di calarsi dalla finestra e girovagare fino alla
sera per il quartiere:certamente non era il massimo dell’avventura ma
almeno si poteva sgranchire un po’ le gambe e pensare in pace e da
solo…
Con questa intenzione, il
ragazzo iniziò a prepararsi:raccolse al volo
qualcosa da mettersi,
indossò le scarpe da ginnastica più vecchie che aveva, e
infilò qualcosa da mangiare in uno zainetto nero dalla dubbia origine.
Prima dell’evasione,
Harry si guardò per un attimo allo specchio:un
paio di pantaloni color kaki,anche se piuttosto logori e slavati, accompagnava
la maglietta verde militare e la felpa color oliva legata in vita.
Un cappellino da baseball
bianco e bordò recava sopra la scritta a caratteri cubitali LION.
Per un attimo rimase
lì, sorpreso, con lo sguardo perso nel vuoto oltre il vetro:se non fosse stato per la cicatrice appena coperta dalla
frangia e l’espressione decisa e matura, forse troppo per i suoi
quattordici anni, sarebbe potuto sembrare un ragazzo assolutamente normale.
-Già- rifletté,
e un sorriso amaro gli passò per un attimo sul volto -…peccato che
i ragazzi normali non abbiano dei maghi assassini e pronti a tutto per ucciderti come
nemici…-.
Si riscosse, cercando di
allontanare quei pensieri; -Su, Harry- pensò avviandosi verso la
finestra -…è vero che hai passato dei
gran brutti momenti, ma ora hai degli amici, una patria,una famiglia…ti
annoieresti troppo ad essere un babbano…-.
Ed ,effettivamente,
non c’era niente di più giusto:il ragazzo adorava la sua esistenza
avventurosa, il mistero, il pericolo, il rischio cui andava quotidianamente
incontro a Hogwarts;però, in certi momenti, mentre guardava i ragazzi
passeggiare canticchiando per i vicoli bui del quartiere,spensierati come lui
non era da tempo,o le ragazze dall’aria timida, nervose per il primo
appuntamento, che aspettavano frementi davanti al parco,si ritrovava a pensare che,qualche
volta,sarebbe stato piacevole essere sereni e senza pensieri come
loro,completamente all’oscuro di ciò che si nascondeva
nell’ombra del mondo…la sua vita era stata un continua lotta,prima
per trovare una famiglia e dopo per proteggerla…sarebbe stato bello,
passare un giorno,o anche solo un’ora, senza le conoscenze che, bene o
male, aveva e avrebbe sempre avuto, senza il bisogno di guardarsi sempre alle
spalle, senza la necessità di stare continuamente all’erta…
Sospirò, tornando a
concentrarsi sulla realtà:uno scatto secco gli
disse che Zio Vernon aveva provveduto a barricarlo nella sua camera, dandogli
inavvertitamente il via libera.
Si infilò lo zainetto
in spalle, pronto ad uscire:passando davanti alla
scrivania raccolse dopo un momento di incertezza la bacchetta, infilandosela in
tasca. Un sorriso gli si dipinse sul volto –Ecco l’ennesima prova
della mia stranezza-pensò, sfiorando il legno contorto della fida arma
magica –sono talmente avvezzo a essere in pericolo che devo sempre stare
in guardia…-.
Raggiunse il davanzale,
allungando una gamba oltre la finestra e appoggiandola sul cornicione che
costeggiava tutta la casa:facendo attenzione a non
fare rumore, Harry fece uscire anche l’altra gamba, raddrizzandosi
sull’improvvisato piedistallo in cemento.
Mosse sicuro qualche passo,
fino a raggiungere la grondaia che scendeva fino al giardino qualche metro
più sotto; doveva solo afferrarla e scivolare, l’aveva fatto
decine di volte, e sarebbe stato libero.
Allungò il braccio,
riuscendo finalmente ad agguantare il tubo. Una sostanza viscida gli
toccò i polpastrelli
–Non è il momento di fare gli schizzinosi-si ripromise il ragazzo,
reprimendo il disgusto e cercando disperatamente di ignorare l’orrenda
cosa che gli stava ammorbando la mano –vuoi andartene o no?-.
Forte di questo pensiero,
Harry si aggrappò alla grondaia, lasciandosi scivolare dolcemente e
atterrando dopo qualche secondo sul soffice tappeto d’erba.
Con un’espressione a
dir poco schifata si pulì le mani sui pantaloni, non indagando sulla natura
di ciò di cui erano sporche;quando ebbe finito,
si girò ancora una volta a controllare se qualcuno non avesse visto
qualcosa, e poi si avviò furtivo lungo il vialetto.
La luce viva e intensa del
mattino inondava le ordinate schiere di case di Privet Drive, proiettando
lunghe ombre sui giardini ingialliti dal caldo e lanciando riverberi sulle auto
lucide che facevano capolino dalle porte accostate dei garage.
Le fronde rade dei pochi
alberi si stagliavano nitide contro il cielo, di un turchese acceso e privo di
nuvole, in cui splendeva il sole dorato d’Agosto.
L’aria era immobile ed
afosa, ma ad Harry in fondo piaceva:la calma, la
solitudine,la possibilità di perdersi sui sentieri impervi dei suoi
pensieri, erano il miglior antidoto per le emozioni e i dolori che provava ogni
giorno una volta nel Mondo dei Maghi…
Soprappensiero, superò
l’ennesimo angolo,ritrovandosi davanti al luogo
che più gli piaceva in tutta Privet Drive:il Parco.
In verità, quello non
era più un vero parco da parecchi anni, abbandonato per la sua posizione
scomoda e per l’apertura del giardino pubblico ufficiale del quartiere,in cui gravitavano bambini e bulletti a tutte le ore del
giorno e della notte. Nel lungo periodo di inattività, l’erbetta
che circondava i giochi era cresciuta a dismisura, i rampicanti avevano
ricoperto di una spessa ragnatela verde le attrazioni, il muretto di mattoni
rossi che lo costeggiava era caduto a pezzi:ma al
giovane mago quel luogo piaceva, esercitava su di lui uno strano fascino;
adorava passare lì intere giornate, a pensare, leggere, fantasticare
sull’idea sempre presente di scappare da Privet Drive o far scemare la
rabbia dopo un diverbio con i suoi zii. Quel posto in qualche modo lo
tranquillizzava, gli ricordava un vecchio cane, fedele e paziente, che anche
dopo anni continua ad aspettare il ritorno dei suoi padroncini:e forse era proprio questo che lo rassicurava di quel
posto, un senso quasi inconscio di protezione, come un abbraccio di un vecchio
dolce e comprensivo…
Il ragazzo percorse il breve sentiero
di ghiaia che portava al cancelletto arrugginito, superandolo con un salto e
affondando fino alle ginocchia nell’erba alta e selvaggia.
Si sdraiò vicino alla scivolo di un rosso stinto, incrociando le braccia
dietro la testa e osservando il cielo; circondato solo dall’alone caldo
del sole e dal frinire ritmico e instancabile dei grilli, seguì con lo
sguardo la piccola e arrugginita giostrina davanti a lui, l’altalena
tormentata dalle crepe, i dondoli ormai scoloriti e sgraziati ma che non
avevano perso il loro immutabile sorriso dipinto.
Certe volte si sentiva
proprio come quel parco:stanco, terribilmente stanco,
nonostante avesse compiuto da poco quattordici anni, come se ogni anno avesse
aggiunto una crepa nella sua anima: il disprezzo dei Dursley, la scoperta di
tutte le bugie che gli avevano raccontato, la verità sui suoi genitori,
il primo confronto con Voldemort, e il sapere che non si sarebbe fermato senza
averlo ucciso. Quella coscienza gli gravava sul petto come un macigno, e quando
cercava di non pensarci diventava una leggera sensazione, ma rimaneva.
Ed Harry, anche se non lo
aveva mai detto a nessuno, primo fra tutti lui stesso, aveva paura che un
giorno sarebbe stata quella consapevolezza stessa a consumarlo…
Un coro di voci lontane lo distolse
dai suoi pensieri, facendolo sedere di scatto con le orecchie tese: a giudicare
dalle risate di scherno e dagli schiamazzi, doveva essere il gruppo di bulletti
capeggiato da suo cugino Dudley,l’essere umano
che Harry trovava più vicino come aspetto fisico e ingordigia ad un
suino.
Il ragazzo non potè
trattenere una smorfia di disgusto:probabilmente se la
stavano prendendo di nuovo con un bambino, massacrandolo di botte e vantandosi
subito dopo per la loro capacità di spaccare il grugno ad un ragazzino
con metà della loro massa corporea.
Forse poteva abbandonare un
momento il suo rifugio per andare ad aiutare il malcapitato e…
-Avada Kedrava!-
un’unica parola raggelò istantaneamente il ragazzo, chiudendogli
lo stomaco.
Harry si immobilizzò, incapace di
credere a ciò che aveva sentito, il cervello che vorticava confuso, la
gola chiusa in una morsa di ferro;era tutto troppo
irreale, troppo improbabile per essere vero.
Senza quasi rendersene conto,
mentre dentro di lui esplodeva un turbine di emozioni contrastanti, il ragazzo
schizzò in piedi.
-Devo agire…-
pensò, correndo verso il cancello del parco –Devo agire, al resto
penserò più tardi e…-.
Successe tutto troppo in
fretta. Un dolore accecante gli esplose dietro la cicatrice, mozzandogli il
fiato. Un turbine di colori e immagini gli esplose davanti agli occhi, mentre
aghi invisibili gli affondavano nella testa.
Non riusciva a pensare, a
parlare, non sapeva più se avesse gli occhi aperti o chiusi:colse la vaga sensazione di cadere a terra, di sbattere sul
morente tappeto erboso,di stringere le mani intorno alla testa ma il dolore lo
attanagliava, gli strappava il suo corpo, riempiva ogni angolo della sua mente.
Fotogrammi confuso gli scorrevano davanti agli occhi,
sussurri lontani gli si insinuavano nel cervello , mentre il mondo circostante
spariva nel rosso accecante del dolore.
Per la prima volta in vita
sua, Harry desiderò che qualcuno gli lanciasse un Avada Kedrava, se fosse
servito a far terminare quella sofferenza:le immagini davanti ai suoi occhi aumentarono
il ritmo con cui scorrevano fulminee e vivide, la mano gelida e artigliata che
gli sembrava di avere sul cranio aumentò la presa.
Harry urlò, ma la sua
voce non gli arrivò, mentre bisbigli confusi lo
tormentavano ingarbugliandosi coi suoi pensieri sconnessi.
-Basta!-pensò, mentre
avvertiva la lontana sensazione di stringere maggiormente le mani sulla testa,
come se quello non fosse il suo corpo-…Basta…!-.
Poi, improvvisamente, tutto
finì.
Harry si trovò a terra, madido di sudore:per un attimo, fu cosciente solo
del fatto che quel terribile dolore se ne era finalmente andato.
Respirò profondamente,
tentando di riprendere il controllo, e socchiuse gli occhi:il
parco era immerso nel solito ozioso silenzio, rotto solo dal frinire dei grilli
e dal suo respiro affannato;con un moto di sorpresa ottenebrata dalle ultime
tracce del dolore, il ragazzo notò che la strada dalla quale provenivano
le voci era assolutamente tranquilla. Non una bruciatura, non un grido, non un
gruppo di persone terrorizzate, niente provava che qualcuno avesse
veramente urlato quella maledizione.
Se non fosse stato per il
lieve pulsare della cicatrice, ricordo della sofferenza di poco prima, e per la
convinzione che sognare un Avada Kedrava fosse almeno
molto improbabile anche per lui, Harry avrebbe quasi potuto pensare di essersi
immaginato tutto.
Cercò di alzarsi, ma
un attacco di nausea gli fece tremare le gambe; il giovane mago ricadde a
terra, mentre mille interrogativi si accavallavano nella sua mente: in che
diavolo di situazione assurda era finito? Cosa ci faceva lì un mago
sufficientemente potente e crudele da lanciare un Avada Kedrava? Che cosa era
successo? E che significato avevano quelle immagini e quei sussurri che aveva
percepito durante l’attacco di dolore?
Stava succedendo qualcosa di
molto strano, e probabilmente anche di molto pericoloso…doveva tornare a
Hogwarts il prima possibile, anche solo perché lì avrebbe potuto
contare sull’appoggio e sull’aiuto di persone di cui si fidava ciecamente.
Forte di questo pensiero,
riuscì finalmente ad alzarsi, decidendo di restare in guardia
ma di non buttarsi in nessun pasticcio da solo:aveva già fatto
troppe stupidaggini, e se in quel mistero c’era qualcuno che non si
faceva problemi a lanciare un Avada Kedrava in pieno territorio babbano poteva
veramente andare in contro a qualcosa di più che un mal di testa.
Rimuginando su questa
decisione, rimase ancora per un attimo a contemplare sospettoso la strada
deserta davanti a lui.
C’era una cosa,
però, che sembrava non volerlo lasciare in pace, qualcosa che era
rimasto marchiato a fuoco nella sua mente, l’unica immagine nel turbinio
che aveva visto a non essere confusa, e che gli gettava addosso
un gelo inspiegabile e invisibile:un cerchio con racchiuso
all’interno un pentacolo nero stagliato su un mare scarlatto.
Ciao a tutti miei cari lettori,e
come sempre un enorme bacione a vo che avete letto questo ennesimo parto della
mia mente contorta! Come sapete per me questa storia è un esperimento, e
quindi più commenti ricevo più mi convinco che non è
un’idea malaccio…in ogni caso ringrazio comunque ringrazio chiunque
abbia letto,recensito,messo tra i preferiti la mia
fanfiction o vomitato sulla suddetta (no, aspetta ,quest’ultima categoria
di persone forse no…).
In ogni caso, un grazie speciale
va ad:
HarryEly: grazie socia,sapevo di poter contare su di te! Spero ovviamente che
anche questo capitolo ti piaccia, tu che aspetti paziente nei lunghi intervalli
tra una storia e l’altra causati dalla mia
immensa sbadataggine…un bacio,
dalla tua svagatissima amica!
Ladymarie:Un
grazie enorme per la tua recensione, sono contenta che apprezzi!Eccoti il primo
(o secondo…uff,che confusione!) capitolo,se hai voglia di recensirlo io
PENDO LETTERALMENTE DALLE TUE LABBRA!(Troppo teatrale,eh?)UN bacione,e
ovviamente Ciaociao da Ceci!
Bene,ora vi lascio , ci
vediamo al prossimo chappy (spero!), e Ciaociao da Ceci!