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Autore: Mary P_Stark    04/03/2013    1 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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Mai, nella sua breve esistenza, aveva percepito così intensamente la vita che la circondava, il respiro stesso del pianeta, il germogliare e l’appassire, il crescere e il morire di ogni creatura vivente.

Mentre l’enorme lupo bianco combatteva la sua battaglia divina sopra la città, guidato dal suo pensiero e dal suo desiderio di proteggere Yskandar, Enyl percepì dentro di sé ogni cuore pulsante, ogni respiro affannato, ogni grido esultante o di paura.

Ogni morte passò attraverso di lei come un’ombra attraverso il portale che conduceva al regno di Haaron e, solo in quell’istante, comprese fino a che punto fosse sciocco combattere quella battaglia contro le Tenebre.

Le Tenebre non potevano annullare la Luce, come la Luce le Tenebre.

Non erano le Tenebre che lei doveva sconfiggere, ma il male insediatosi nel cuore malato di Kennadarya.

Luce e Tenebre erano tenere compagne dell’infinito, affiancate l’una all’altra dal primo alito di vita fino all’ultimo gorgoglio di morte.

Mai nemiche, ma solerti amanti con un unico scopo ben prefissato; la prosecuzione dell’Universo.

Era il Male, non la Tenebra, la sua nemica.

Non il fiero corvo doveva abbattere, ma la nera nube che aleggiava nel cuore di Kennadarya.

Per arrivare a quell’anima oscurata dal Caos, l’unico modo era penetrare in lei, proprio come la sua cinica nemica desiderava fare.

In nessun altro modo avrebbe potuto toccare quel cuore, poiché la conoscenza alchemica di Kennadarya – ottenuta grazie ai buoni uffici di Alderan e all’uso scellerato del Nero Grimorio di Haaron – la teneva a distanza di sicurezza, impedendole di fatto di toccarla fisicamente.

La strega le aveva inferto ferite che lei non era riuscita a evitare e, per contro, Enyl non era mai riuscita ad avvicinarsi per togliere dal volto della nemica quel sorriso beffardo e irriverente.

Di quel passo, le ferite infettate dal potere nero di Kennadarya, l’avrebbero fatta crollare a terra priva di forze, consentendole di impadronirsi dell’energia della Luce senza opporre alcuna resistenza.

Quel che doveva fare lei, invece, era concederle ciò che voleva, ma alle sue condizioni.

Non vedeva altro modo per sconfiggerla, visto che Luce e Tenebre si equivalevano, e non avrebbero mai potuto annullarsi a vicenda.

Ran, la sua famiglia, Akantar, l’Universo tutto sarebbe stato salvo dalle mire di Kennadarya e la distruzione di ogni cosa sarebbe stata evitata, se lei fosse riuscita nei suoi intenti.

Un lento sorriso le sorse fiero e triste sul volto mentre, con rinnovato vigore, scrutò in lontananza per fissare il suo sguardo sul viso candido e iracondo di Kennadarya.

Le mani levate al cielo e i tatuaggi sulla sua pelle roventi di potere, caricò contro di lei per l’ennesima volta il possente corvo dalle nere ali.

Il bianco lupo parò il colpo con una poderosa zampata, guidato dalla mente di Enyl con abile maestria ma, per l’ennesima volta, il contraccolpo riverberò su di lei, infierendo sulla carne del suo braccio, che stillò sangue rosso e scintillante.

Imprecando tra i denti, Enyl coprì con una mano la nuova ferita e, con il pensiero, raggiunse Rannyl.

Tesa e preoccupata nonostante la certezza delle proprie idee, mormorò nella sua mente: “Quando ti dirò di allontanarti da me, dovrai farlo, senza chiedermi perché.”

“Cos’hai in mente?” ritorse lui, dubbioso.

Enyl poté percepire, tramite la mente del fratello, il caos che regnava nella città, dove le forze alleate di Enerios e Akantar combattevano assieme contro l’esercito di Nellassat.

I rumori le giungevano smorzati, niente più che echi indistinti, ma poteva immaginare senza tema di sbagliare quanta devastazione vi fosse per le strade, quanti morti si sarebbero contati alla fine di quel giorno.

Sperava soltanto di riuscire ad agire correttamente per poter evitare una strage.

“Non importa, ora. Sappi solo che ciò che farò ci garantirà la vittoria, ma tu non dovrai rimanere legato a me. Non appena il collegamento si annullerà, Yskandar sarà in balia del potere scatenato da Kennadarya, per alcuni attimi, perciò preparatevi al terremoto che si protrarrà per diretta conseguenza.”

“Enyl…”

La giovane sorrise mestamente nell’avvertire l’ansia crescente del fratello e la consapevolezza che, con tutta probabilità, non l’avrebbe mai più rivisto.

Nel lapparsi nervosamente le labbra, dichiarò: “Di’ alla mamma e al papà che ho voluto loro un mondo di bene, e ricorda a Naell di non temere l’amore, perché può renderci più forti di quanto una persona non immagini.”

“Enyl! Che vuoi fare?!” sbraitò allora Rannyl, stringendo a forza le mani di Kalia e Aken che, turbati, lo fissarono in ansia.

“Ti ho sempre amato, fratello mio, mio cuore… il Fato ci ha voluti separati alla nascita, ma siamo e saremo sempre le due parti di un’unica entità. Ricordalo, io sarò sempre con teasserì con veemenza Enyl, prima di urlare con forza: “Ricordati, allontanati da me quando te lo dirò!”

Rannyl non poté far altro che annuire e, con il volto inondato dalle lacrime, abbandonò  temporaneamente il collegamento con la mente di Enyl.

Tutt’intorno a lui, nel frattempo, gli interrogativi sui volti dei presenti si addensarono come nubi nel cielo.

Con voce roca e attraversata da un dolore che gli feriva l’animo, Ran gorgogliò: “Al mio segnale, spezzate il cerchio e rifugiatevi lontano dai palazzi che ci circondano. Lo scudo di Luce si spezzerà, e saremo preda del contraccolpo esercitato dall’energia delle Tenebre.”

“Perché? Cosa vuol fare, Enyl?” protestò accoratamente Aken, sgranando lentamente gli occhi per l’orrore.

Il figlio lo fissò, spiacente e ferito e, nello scuotere il capo, asserì: “Si consegnerà a lei. Da quel poco che ho potuto comprendere prima di allontanarmi da Enyl, la sua idea è questa.”

Sia Eikhe che Aken emisero identici singhiozzi disperati mentre Kalia, al fianco di Rannyl, sibilò: “E’ impazzita?! Richiamala e dille di non fare follie!”

Rannyl raccolse tutta la sua forza per risponderle e, con il cuore lacerato dal dubbio, ammise: “Anche secondo me è folle, ma capisco perché voglia tentare. Luce e Tenebre non potranno mai soccombere l’una all’altra, perché sono le due esatte parti di un insieme. Quel che intende fare Enyl si basa su un’altra teoria.”

“E quale?” sbottò Kalia, incredula.

***

Le Tenebre non erano mai state il reale problema.

Certo, Kennadarya, in quanto figlia di Haaron, poteva sfruttarle per tenerla a bada con maggiore successo di quanto non era in grado di fare lei, che agiva solo guidata dall’istinto, ma il problema risiedeva altrove.

Nel suo cuore.

Quel cuore che, per anni, era stato invaso dall’odio che Caos stesso aveva generato per asservirla ai suoi ordini.

Quell’odio galleggiava sinuoso e spettrale attorno a Kennadarya, brillava feroce come le zanne di una fiera e la rendeva bellissima e terrificante al tempo stesso.

Era l’odio a guidarla, e le Tenebre erano il suo strumento.

Enyl non doveva puntare sulle Tenebre, ma sull’odio. Era Caos che doveva sconfiggere, non la Tenebra di Haaron.

“Il tuo pensiero è corretto, fanciulla.”

Quella voce estranea riverberò nel suo cervello, mentre Enyl raccoglieva le forze per richiamare il suo lupo metapsichico e riprendere dentro di sé l’energia dilagante e mostruosa della Luce.

Sobbalzando per la sorpresa, la giovane figlia sacra si guardò scioccamente attorno, quasi aspettandosi di veder comparire qualche mistica figura sul campo di battaglia.

Nella sua mente sgomenta, esalò: “Equilibrio?!”

La voce non concesse risposte, ma Enyl non ebbe bisogno di conferme sulla sua identità, poiché conosceva a menadito sia la voce di Haaron che quella di Hevos.

Il tono da basso tenore che aveva udito nella sua mente, non apparteneva a nessuno di loro.

Nessun altro, a parte Equilibrio, avrebbe avuto motivo di mettersi in contatto con lei, che era innanzitutto creatura asservita a Lui e alla Luce.

Con un sorriso di rinnovata speranza, tornò a contattare il fratello per confermare la sua decisione di eliminare il lupo di Luce dalla contesa e, non appena ne sfiorò la mente invasa dal dolore, mormorò: “E’ il tempo.”

“Noi siamo pronti.”

“E io con te. Addio, fratello mio. Abbi cura di te.”

“Non aspettarti che io dica lo stesso, Enyl… non lo farò mai! Tu tornerai da me sana e salva!”

Enyl sorrise, comprendendo più che bene il terrore del fratello, perché era anche il proprio.

Ugualmente, interruppe il contatto e richiamò a sé le energie dello scudo e quelle del lupo che, come due onde di piena ben distinte, si rifugiarono nel suo corpo umano e divino, facendola nuovamente rifulgere come una supernova.

Il cuore accelerò per alcuni attimi, scosso da quelle due onde dirompenti di energia.

Avvertendo un bruciore quasi insopportabile al capo, Enyl comprese che, presto o tardi, il suo corpo umano avrebbe ceduto sotto quella dirompente forza, creata per gli dèi.

Il suo corpo di carne e sangue non poteva reggere oltre quello sfoggio di potere e, anche se fosse mai giunta a prendere quella drastica decisione, dubitava che sarebbe ugualmente sopravvissuta, dopo una simile prova.

“Non c’era altro modo.”

Nuovamente, la voce di Equilibrio riverberò come una campana nella sua scatola cranica ed Enyl, annuendo impercettibilmente, asserì pacata: “Nessun dio potrebbe combattere una simile battaglia, o l’Universo stesso sarebbe distrutto, vero?”

“Così è.”

“Ma un umano, circonfuso di questo potere, può essere un tramite valido perché non può sfruttare appieno questa energia e, di conseguenza, non rischia di distruggere ogni cosa, pur desiderandolo. Sì, ha senso.”

“Così è” ripeté Equilibrio, scevro di risposte.

Enyl allora sorrise e chiosò: “Immagino tu non possa darmi molte risposte, o Caos dovrebbe aiutare a sua volta Kennadarya, vero?”

Equilibrio non disse nulla, ma Enyl reputò quel silenzio come un assenso.

A ogni buon conto, non aveva altre idee da sfoderare perciò, in un modo o nell’altro, avrebbe fatto ciò che si era prefissata.

Con la scomparsa improvvisa del bianco lupo, il corvo nero si abbatté senza freni su Yskandar e, come previsto, un violento terremoto squassò l’intera spianata che circondava la città.

Mentre i membri del cerchio si allontanavano dal tempio di Soanes come ordinato, lo schieramento di soldati preposti alla loro difesa li seguirono lesti per non lasciar sguarnito nessun fronte.

Le case tremarono, i palazzi ondeggiarono, alcuni fienili cedettero di schianto, crollando fragorosamente in un mare di paglia, legno e pietre.

Diverse persone rimasero ferite in quel contraccolpo di energia ma Yskandar, nonostante tutto, resse.

Respirando a pieni polmoni l’energia della vita che, contro a ogni aspettativa, ancora vibrava tra le vie della città, Enyl si assicurò che coloro che amava stessero bene.

Quando infine riuscì a trovare coloro per cui il suo cuore palpitava ansioso, poté lasciarsi andare a un sospiro di sollievo.

Rannyl, Kalia, suo padre e sua madre erano assieme, poco lontano Antalion teneva stretti a sé sia lo zio che la compagna e, nei pressi della fontana della piazza principale, Naell era tra le braccia di Ellessandar, affiancati da Erenokt ed Elmassary.

Tutti gli altri componenti il cerchio di energia si erano salvati, e così pure i loro protettori.

L’esercito combatteva ancora, nonostante la scossa tellurica avesse messo in agitazione più di un cuore impavido.

Ora era il suo turno. Anche il suo cuore avrebbe dovuto reggere alla prova suprema.

Fissando a occhi sgranati il cielo ormai sgombro dell’incombente figura, Kennadarya si lasciò andare a una risata soddisfatta, quando fu certa che il lupo era effettivamente scomparso dal campo di battaglia.

Scrutando vittoriosa la gemella bianca che, immobile e fiera, teneva le braccia toniche ferme lungo i fianchi, la strega sogghignò deliziata, già pregustando sulla lingua il suo dolce sapore.

I rumori della battaglia, all’interno di Yskandar, raggiungevano il loro personale campo di scontro grazie al vento favorevole, ma a Kennadarya poco importava ciò che stava avvenendo entro quelle mura.

Il mondo degli uomini, presto sarebbe stato in mano sua; ciò che quegli uomini e quelle donne stavano facendo per portare avanti i loro rispettivi desideri, sarebbe contato ben poco, una volta ottenuto il potere della Luce.

Richiamando a sua volta il corvo nero, ormai del tutto inutile per ciò che aveva intenzione di fare, Kennadarya strinse forte la sua falce nivea e assottigliò le iridi di fuoco per immagazzinare dentro di sé l’immagine della sua nemica ormai sconfitta.

Sarebbe stato un piacere ripensare a lei, inerme e ai suoi piedi, nelle dolci serate deliziate dal corpo caldo del principe Ellessandar stretto al suo, o nei gelidi momenti passati a falciare vite per diletto.

Sììì, le sarebbe piaciuto! Sarebbe stato il suo ricordo più piacevole!

Re Kevan, tutt’altro che lieto da quell’interruzione degli attacchi portati avanti dal corvo di Kennadarya, fissò irritato la sua strega prima di ordinarle: “Da’ il colpo di grazia alla città! Ora che lei è inerme, puoi farlo!”

Kennadarya lo fissò disgustata – non aveva gradito la sua scelta di rimanere nella spianata a godersi lo spettacolo – , squadrandolo da capo a piedi nel suo ricco abito ricamato, levò una mano verso di lui per allontanare da sé quel fastidio di poco conto.

Come avesse fatto a sopportarlo per tutto quel tempo, era impossibile da comprendere.

Certo, senza il suo appoggio, non avrebbe potuto continuare i suoi studi, né avere un luogo dove sopravvivere nei lunghi anni che l’avevano condotta fino a lì.

Ciò, però, non voleva dire che quell’insulso omuncolo avesse il diritto di rabberciarla a quel modo!

Era stato un buon compagno di letto, non poteva certo negarlo, e le aveva insegnato a godere appieno non solo del suo corpo, ma anche di quello del suo partner.

Da quel momento in poi, però, non avrebbe avuto bisogno del suo intervento, per allietare le sue notti.

La sua interferenza le aveva reso chiaro quanto Kevan pensasse a lei come a una sua mera proprietà, una donna da comandare, non da seguire, e questo faceva di lui, in automatico, solo carne da macello.

Il suo tempo era giunto e, poiché si era permesso di parlare in tono così insofferente, non gli sarebbe spettata nessuna ricompensa, alla fine del suo scontro con la gemella bianca.

Avrebbe messo sul trono di Akantar qualcun altro. Doveva solo scegliere il suo sostituto tra coloro che le erano stati veramente fedeli.

Kevan, ormai, era solo un altro essere da eliminare dalla lista. Nulla più di questo.

Avrebbe seguito la stessa sorte della sua frigida, insulsa mogliettina.

Con gesto sgarbato, lo spinse lontano da sé, scagliandolo ben oltre la linea dei carri fermi nella prossimità del campo di battaglia.

Dopo averlo osservato con fastidio per un altro secondo, distolse lo sguardo per tornare a scrutare il volto torvo della sua nemica.

Sperava davvero che quel colpo fosse bastato per finirlo, perché non aveva nessunissima intenzione di perdere altro tempo con un essere spregevole come lui.

Nessuno le diceva come agire, né doveva farle perdere tempo inutilmente.

Puntata la falce nivea in direzione di Enyl, la sua mente ora totalmente concentrata sulla gemella bianca, Kennadarya esclamò: “Ti arrendi, dunque?”

“Mi sei superiore, è evidente. Per quanto io e te possiamo batterci sul piano spirituale con l’utilizzo dei nostri animali guida, io non potrò mai avvicinarmi a te, perciò non v’è altro da dire” ammise Enyl, con un sorriso sardonico.

“Ti dai per vinta con facilità” ironizzò Kennadarya, iniziando ad avvicinarsi a lei con aria vittoriosa.

Nere nubi purulente si addensarono sempre più spesse sulla città e un vento gelido si abbatté sulla spianata, schiaffeggiando i loro volti impassibili.

“Ammetto la verità, è ben diverso” replicò Enyl, con una scrollatina di spalle, scostando con naturalezza una ciocca di capelli dietro un orecchio.

“La Luce ha sbagliato a spezzare il suo potere in due. Non c’è nulla di buono nel condividere ciò che si ha con qualcun altro. L’aver donato poteri simili sia a te che al tuo gemello, ha indebolito il tuo essere” ridacchiò Kennadarya, con tono querulo.

“Può essere, anche se amare mio fratello mi ha riempito i giorni” le fece notare Enyl, inginocchiandosi lentamente a terra per poi sciogliersi lentamente la lunga e pesante treccia bionda che le solcava la schiena.

Kennadarya rise di quel commento e proseguì nella sua avanzata con passo lento, godendosi ogni attimo come se fosse l’ultimo.

La sabbia graffiava la pelle di entrambe e irritava le ferite ancora sanguinanti di Enyl ma, a quel punto, poco importava.

Il dolore sarebbe stato suo compagno ancora per poco.

Kennadarya ghignò vincitrice mentre osservava la totale resa della sua nemica e, nell’affondare la lama della falce nella sabbia rossastra, ultimò la distanza che le separava.

Dalle mura, le grida di incitamento degli uomini di Akantar tacquero di colpo, di fronte a quella manovra del tutto inaspettata da parte della loro eroina.

Quando anche l’ultima ciocca fu sciolta, Enyl mormorò tra sé: “E’ stato bello amare ed essere amata, Hevos… grazie.”

Sapeva che, all’esterno del tempio di Soanes, lui non poteva risponderle, ma era certa che quel messaggio sarebbe comunque giunto alle sue orecchie, in un modo o nell’altro.

“E’ troppo rischioso, mia diletta. La tua stessa essenza rischia di rimanere intrappolata in lei!” riecheggiò la voce di Hevos nella sua mente, sorprendendola.

Enyl sobbalzò, stupita e sgomenta e, preda di un’ansia quasi incontrollabile, esalò: “Non devi usare tutta questa energia per me! Vattene!”

“Non ti lascerò sola proprio ora!”

“Vai! Non voglio che lei possa anche solo sfiorarti attraverso me! Non lo sopporterei!” urlò ancora Enyl, ansando sempre più velocemente quando vide Kennadarya raggiungerla e fissarla con aria di supremazia. “Se mi ami davvero, fai come ti dico! Vattene!”

L’urlo iracondo e di resa di Hevos rimbombò nella sua mente, abbandonandola.

Con un sospiro di sollievo, Enyl chiuse gli occhi prima di stringere i denti per il dolore, non appena la sua nemica la afferrò per i capelli, costringendola a indietreggiare col capo.

My-chan, dall’alto delle mura di cinta, le gridò di ribellarsi, di riprendere la lotta, ma Enyl era ormai ben conscia di ciò che voleva fare.

La Luce l’avrebbe sorretta fino all’ultimo momento, fino a che l’ultima stilla del suo sangue fosse stata incamerata nel corpo di Kennadarya e, a quel punto, lei avrebbe vinto.

Sorridendo lieta a Kennadarya, che ridacchiava trionfante e divertita di fronte a lei, Enyl mormorò: “La Luce è finalmente tua.”

“Sì” ringhiò lei, affondando i denti nel suo collo come un serpente sulla sua preda.

Enyl sobbalzò per quel morso violento e, lentamente, chiuse gli occhi mentre, sulle mura, le grida terrorizzate si sovrapponevano tra loro, rendendole sempre più difficile cogliere le loro parole, o riconoscere i volti di coloro che le avevano proferite.

Solo una, improvvisa e imprevista, avvertì. E la terrorizzò.

“Enyl! Non azzardarti a morire! Non potrei mai perdonartelo!”

L’urlo di suo fratello Antalion, forte e imperioso come un colpo di tamburo, giunse alle sue orecchie come un monito.

Da quella posizione sfavorevole, però, non poté né concedersi di guardarlo per l’ultima volta, né urlargli che quello era l’unico modo per vincere il male che albergava in Kennadarya.

Il suo amore, però, la rincuorò e, quando la Luce nel suo corpo iniziò ad affievolire in un pallido scintillio sottopelle, lei alitò: “Prendi anche il mio amore, assieme alla Luce, Kennadarya… così, io avrò vinto.”

La donna, che fino a quel momento aveva succhiato la sua linfa vitale con sempre maggiore forza e vigore, si staccò a sorpresa da lei al solo sentir nominare quella parola.

Le labbra ancora sporche di sangue fluido e scintillante, Corvo Bianco la scaraventò a terra ormai morente, sibilando: “Amore? Che intendi dire?!”

Con un sorriso trionfante quanto fiacco, Enyl ansò ormai priva di forze: “Che nel mio animo non è presente solo la Luce, ma anche l’amore. Luce e Tenebre non possono annullarsi vicendevolmente, perciò non avrei mai potuto sconfiggerti usando quel potere, ma l’amore può battere il male, può eliminarlo e, poiché io ho l’amore di tutte le persone che conosco, io posso battere te.”

“No!” esclamò Kennadarya, arrancando all’indietro mentre, all’interno del suo corpo, bagliori di luce sgargiante si inframmezzavano a nubi di cupo potere tenebroso.

“Il male è solitario ed egoista, ti porta a isolarti da tutto e da tutti, se ne sta accucciato nel tuo animo senza permetterti di scorgere il vero potere, mentre l’amore cresce e prospera, aumenta sempre di più… annullando anche il male più oscuro. Anche il tuo. Perché, anche se non lo vuoi ammettere neppure con te stessa, provi amore per tua madre e per tuo padre, pur se contagiato dalla follia, e questo tuo sentimento, foraggiato dal mio, vincerà sull’anima oscura che turba il tuo cuore.”

Tossì, prima di riuscire a terminare il suo discorso.

“Vincerà su Caos, che ti ha ottenebrato la mente solo per ottenere i suoi scopi, non i tuoi” mormorò poi Enyl, chiudendo gli occhi e cercando, con le sue ultime forze, di trovare abbastanza aria nei suoi polmoni per le sue parole di commiato.

Inginocchiandosi a terra, preda da forti spasmi muscolari, Kennadarya ricordò suo malgrado le ninne nanne della madre, i dolcetti che era solita farle da bambina, la gioia provata nel ricevere i primi regali.

Più recentemente, rammentò l’onore velato di dispiacere provato nell’incontrare per la prima volta il padre.

Per la sua intera giovane vita lo aveva cercato, sperando in una sua visita, bramando un suo sorriso, un suo sguardo.

Per lui aveva studiato, si era impegnata, aveva ordito quel piano.

Portare le Tenebre ovunque, in modo tale che lui potesse camminare per il mondo come, invece, ora non gli era concesso fare.

Ma Caos aveva mescolato le carte.

Il Fato l’aveva spinta su un terreno scivoloso e lei, spinta dall’ avidità instillata ad arte nel suo animo dal Distruttore, aveva desiderato di più, sempre di più.

Aveva agognato possedere le Tenebre, non solo guidarle come Enyl aveva fatto con la Luce che era in lei, e questo l’aveva condotta oltre un limite invalicabile per un mortale, anche un mortale con sangue divino.

Premendosi le mani sul petto, dove il cuore le tamburellava all’impazzata, Kennadarya fissò sgomenta il viso ormai pallidissimo di Enyl e gracchiò: “Hai dato tutto… per loro.”

“Il Grimorio ti rendeva troppo forte… per me… e il mio amore per la vita potevo concedertelo solo così. Solo… così… potevo toccare… il tuo cuore” alitò Enyl, il petto ormai dolente e privo di forze.

Dei passi concitati si udirono in lontananza e Kennadarya, impossibilitata a muoversi perché preda di sempre più violenti crampi, fissò confusa un uomo corvino e vestito di pelli avvicinarsi a loro per poi piegarsi in ginocchio accanto a Enyl.

Egli la prese tra le braccia, mentre un renpardo stellato si poneva dinanzi a loro, pronto a qualsiasi cosa per difenderli.

Ma, anche volendo, lei non avrebbe potuto fare più nulla, divorata com’era dallo stesso potere che lei aveva bramato stringere tra le mani come una padrona, senza comprendere quale errore disumano fosse stato quello.

Nessuno poteva detenere quel potere, neppure un dio.

Neppure suo padre, per quanto signore della Morte, era il padrone delle Tenebre.

Lui le guidava con saggezza e oculatezza, non le governava come un despota e tiranno.

Il Grimorio? Era illusione di potere. Questo, alla fine, insegnava quello scritto.

Aveva sperato fino all’ultimo di poter utilizzare a suo piacimento i poteri in esso contenuti senza comprendere che, in realtà, quelle formule alchemiche servivano per mettere alla prova colui che fosse stato così stolto da usarle.

Erano scritti che insegnavano a non utilizzare quel potere, spiegando i risvolti drammatici legati a ogni azione.

E ora ne stava pagando le conseguenze.

Le Tenebre e la Luce dentro di lei la stavano divorando pezzo dopo pezzo, cellula dopo cellula.

L’amore di Enyl, infine, le stava dando il colpo di grazia, rammentandole i veri motivi per cui avrebbe dovuto battersi e ciò che, invece, Caos le aveva fatto dimenticare per raggiungere il fine di distruggere tutto e tutti.

L’affetto di suo padre, di sua madre, di amici che non aveva mai voluto avere per non dividere le sue conoscenze e il suo potere.

Si era affidata alle lusinghe di Caos, lasciando che il male che lui le aveva instillato nel cuore la guidasse fino a quello sventurato giorno.

Ora, Lui l’aveva abbandonata, sconfitto ma non vinto, pronto a una nuova battaglia, ma senza di lei.

Lei aveva perso. Tutto.

“Non tutto, figlia mia.”

La voce di Haaron, nella sua mente ormai ottenebrata dalla morte, rimbalzò come il suono di un gong e Kennadarya, nell’esalare l’ultimo respiro, lasciò che sul suo viso si dipingesse il primo, vero sorriso dacché era nata.

Rilassandosi solo quando vide la donna esalare l’ultimo alito di vita, My-chan si volse a mezzo in direzione di Antalion che, raccolta la sorella tra le braccia, la sollevò dal terreno per riportarla verso la città.

Scortato dal renpardo stellato, mormorò: “Ti impedirò di morire, sorella. Non te lo lascerò fare.”

“Andava… fatto” sussurrò senza forze Enyl, pur sorridendo. “Non c’era altro… modo.”

“Rannyl ti curerà come ha curato me, Enyl” la rassicurò My-chan, trattenendo a stento le lacrime mentre, con una mano tremante, le carezzava i capelli.

Enyl le sorrise flebilmente. “Non può.”

Detto ciò chiuse gli occhi e, prima di perdere completamente ogni contatto con il mondo, udì il grido accorato di Antalion che, terrorizzato, la chiamò più e più volte senza ricevere alcuna risposta da lei.

Ma era tardi, ormai. Per tutto.

***

Con la scomparsa dell’enorme corvo nero dal cielo, l’esercito di Nellassat cominciò a battere in ritirata.

Le forze congiunte di Enerios e Akantar misero in sicurezza la città, mentre Antalion rientrava entro le mura, portando con sé il corpo svenuto e ormai allo stremo delle forze di Enyl.

Calde lacrime gli bagnavano gli occhi dorati mentre, praticamente di corsa, Antalion si dirigeva verso il tempio dove sapeva trovarsi Rannyl.

A metà strada, però, lo incrociò trafelato e pallido come un cencio, la verità dipinta a chiare lettere sul suo giovane viso.

Porgendogliela, Antalion gli ordinò testardamente: “Salvala!”

Ma Rannyl si limitò a crollare in ginocchio a terra, tenendo la sorella tra le braccia, niente più che un guscio vuoto laddove un tempo vi era stata Enyl e, tra le lacrime, ansò: “Non posso… non posso…”

Il suo corpo allora si circonfuse di luce prima che Antalion potesse rabberciarlo a male parole e, col volto accostato a quello della sorella, Ran ristette in quella posizione finché non giunsero accanto a loro anche gli altri.

Naell per prima si inginocchiò accanto alla cugina, avvolgendola in un abbraccio assieme a Ran ed Ellessandar, fissando con le lacrime agli occhi quel corpo immobile, mormorò: “Non si può fare proprio nulla?”

“La sto chiamando” sussurrò Rannyl, con un estremo sforzo di volontà.

Kalia, aggrottando la fronte, dichiarò: “Fate portare due lettighe. Li riporteremo a palazzo così perché non credo che, almeno per il momento, Rannyl possa scostarsi da lei.”

Aken ed Eikhe, in lacrime e sconvolti, la fissarono senza comprendere le sue parole e Kalia, torva, mormorò: “La sta tenendo in vita con il suo cuore, ma non so per quanto potrà andare avanti.”

Ellessandar non perse tempo in ulteriori spiegazioni e ordinò che venissero condotte lì due lettighe mentre Antalion, in ginocchio accanto al fratello, domandò preoccupato: “Ran, Kalia ha ragione?”

Lui si limitò ad annuire e Kalia, con un sospiro, spiegò loro: “Quando mi parlò del suo dono e di quello di Enyl, subito non vi feci caso ma, nel vederlo collaborare a quel modo con la sorella per creare la barriera mistica su Yskandar, ho compreso fino a che punto loro due siano legati. Ed è questo legame a trattenere qui Enyl.”

Aken, tenendo stretto a sé la compagna in lacrime, esalò turbato: “Ma questo lo prosciugherà.”

“Sì” si limitò a dire Kalia, prima di portarsi una mano alla bocca per soffocare un singulto.

 

 

 

  
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