Fanfic su artisti musicali > Lady Gaga
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Autore: shadowsymphony    07/03/2013    1 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pochi minuti prima delle 8, l’aereo atterò a New York. Aveva passato la maggior parte del volo a giocare a Ruzzle e a chattare con questa “Hope”, ma aveva capito quasi subito che era lei. Ecco perché sapeva il suo nickname. Aveva creato un altro account per parlare con lui; era nel suo stile. Ma, dato che non voleva farsi scoprire, aveva finto di non conoscerla e di stare al gioco. Era molto più semplice parlare, se inconsciamente si convinceva di farlo con un’altra ragazza. Verso le 7.20, però, dopo che gli aveva detto dove abitava, aveva pensato a lungo se dirle che stava arrivando a New York oppure no, e aveva poi scritto “davvero? Adoro New York”. Poi non aveva più risposto, allora aveva spento il telefono e aspettato che l’aereo atterrasse. Appena arrivato a New York, prese un taxi e si diresse verso la casa dei suoi genitori, sperando che non fossero ancora usciti a festeggiare.

Ancora nessuna risposta. Gaga iniziò a preoccuparsi. All’improvviso video una finestra aprirsi e una donna uscire in terrazza per ritirare i panni. “mi scusi!” gridò. La donna la vide e si sporse dal balcone “sì?”. “c’è il signor Kinney?” chiese. “no, è uscito oggi pomeriggio e non è ancora arrivato” rispose la donna “ha bisogno?”. “ha detto a che ora sarebbe tornato?” chiese. “no, mi dispiace”. Si appoggiò alla porta e si guardò i piedi, pensando a cosa fare. Doveva aspettarlo? Andare in un hotel? Erano le 8 di sera, si stava facendo buio. Inoltre stava morendo di fame. “c’è un hotel da queste parti?” domandò. “ce n’è uno a un paio d’isolati da qui, credo”. “si può raggiungere a piedi?” non aveva voglia di prendere un altro taxi. Si fece dare le indicazioni, ringraziò e si avviò a piedi. Passava in mezzo alla gente, senza curarsi di essere riconosciuta o no. Tanto, così vestita, sicuramente non l’avrebbe notata nessuno. In un quarto d’ora raggiunse l’hotel: era un 3 stelle, dall’ambiente semplice, ma le andava bene qualsiasi cosa. Prese una camera dando un nome falso e si chiuse subito in camera, chiedendo qualcosa da mangiare. Si buttò sul letto e rimase per un po’ a guardare fuori dalla finestra. “Taylor, dove cavolo sei?” mormorò. Vide che sul comodino c’era un telefono fisso e si chiese se avrebbe dovuto telefonargli. Aveva chattato con lui, probabilmente aveva capito che era lei, quindi era come se si fossero parlati. Non era più nel “non sentiamoci più”. Forse. Alzò la cornetta e compose il suo numero di cellulare. Suonava. Il cuore le batteva forte, non aveva idea di cosa dirgli, ma voleva soltanto sentire la sua voce. Pochi squilli dopo, “il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile”. Aveva il telefono spento.

New York era trafficata come al solito, ci era voluta un’ora solo per uscire dal centro. Era agitato, ma il bisogno di vederla superava ogni paura. In chat gli aveva risposto tranquillamente, non sembrava arrabbiata. Beh, in realtà lui non avrebbe dovuto sapere che era lei, quindi forse aveva cercato di essere più calma. Man mano che il taxi si avvicinava a casa sua, pensò a cosa dirle. Doveva subito scusarsi per tutto, dirle e ridirle che aveva fatto una cazzata, che non l’avrebbe mai lasciata, che…? No. Poteva creare tutti i discorsi possibili, ma appena l’avrebbe vista, gli sarebbero mancate le parole.
Il taxi arrivò a destinazione e scese dall’auto. Vide le luci accese in casa e pensò “oh, c’è ancora qualcuno”. Esitò un attimo, poi suonò il citofono. Pochi istanti dopo sentì “chi è?”. “salve signora, sono Taylor, c’è Stefani?” chiese, cercando di mantenere un tono calmo, nonostante fosse più che agitato. “no, è andata via oggi pomeriggio. Non sappiamo dove è andata. Non è venuta da te, magari?”. Per un attimo fissò il citofono, non sapendo a cosa pensare. Improvvisamente comprese che lei non era lì. Doveva vederla, ma non era lì. 5 ore di viaggio, ma non era lì. Non aveva sentito la domanda, così disse “ma… non vi ha detto proprio niente?”. “no, non risponde al telefono dalle due. Sei sicuro che non possa essere venuta da te, forse? A Chicago”. Questa volta sentì la domanda e sussultò. Forse era andata da lui mentre lui era andato da lei. E non l’avrebbe trovato in casa. “oh mio… grazie, vado subito!” e senza lasciarle il tempo di rispondere, prese il primo taxi e ritornò all’aeroporto.


Erano le 9 e mezza. Gaga non era ancora riuscita a trovare un caricatore per il telefono, e non aveva nessuna voglia di telefonare a casa per dire dov’era. Sicuramente erano preoccupati, ma non le importava. Voleva solo vedere lui. Aveva aspettato un po’, mangiando e guardando la tv, indecisa se uscire per andare a vedere se era tornato a casa o no. Era ormai buio, e non conosceva molto la zona. Per la terza volta, provò a chiamarlo con il telefono dell’hotel, ma aveva il cellulare spento.
Si sdraiò a pancia in giù sul letto. Quello doveva essere un giorno bellissimo per lei, ma era stato orribile. Il peggiore compleanno di sempre. Voleva solo vederlo, sentirlo; sarebbe stato il regalo più bello. Ma ora era lì, in una città enorme, da sola, senza neanche qualcosa per cambiarsi, senza telefono e senza di lui.

Il taxi viaggiava più veloce che poteva nel traffico di New York. Doveva tornare subito a Chicago. Pregò che ci fosse un volo disponibile subito, perché non aveva alcuna intenzione di aspettare. Accese il telefono e trovò una telefonata di Judy e cinque di un numero fisso sconosciuto. Aprì Ruzzle, ma non c’era ancora nessun messaggio in chat. Inoltre la batteria si stava scaricando. Lo bloccò e lo mise in tasca, e guardò fuori dal finestrino le luci che sfrecciavano attorno a lui. Che stupido che era stato. Perché non era rimasto a Chicago? Lei, in persona, aveva preso l’iniziativa di venire da lui. Ma forse no, forse era andata in un altro posto, e non aveva pensato minimamente a lui? Come poteva aspettarsi che sarebbe tornata, dopo tutto quello che le aveva detto? Lei aveva un modo di fare diverso da lui, non era un tipo disposto a farsi mezzi Stati Uniti per vederlo. Figuriamoci se era andata a Chicago! Probabilmente a quell’ora era a Los Angeles a prepararsi per una festa in discoteca con gli amici.

Alle 10 e mezza, si risvegliò dal sonno leggero in cui era caduta. Ci mise un po’ a capire dov’era, poi realizzò e sbuffò, snervata. Per la sesta volta, provò a telefonargli. Sapeva che non avrebbe risposto, ma in fondo sperava di sì. Il telefono squillò una due, tre volte. Si aspettava il solito “il numero da lei chiamato non è al momento raggiungibile”, invece continuò a squillare. All’improvviso sentì “pronto?” e le balzò il cuore in gola. Era lui. Aveva risposto. Era la sua voce. La sua voce dolce e profonda. Era come se fossero passati secoli da quando l’aveva sentita l’ultima volta, e in quel momento era il suono più bello al mondo. Sentì le lacrime salirle agli occhi, e non riusciva a parlare, non sapeva cosa dirgli. “pronto? Chi è?” sentì di nuovo. Prese un respiro profondo e fece per dire qualcosa, ma non ci riuscì. “chi è?”. “ehm…” riuscì a dire. “chi è?”. “sono io” disse infine, come un sussurrò. “Ste… sei tu? Dove sei?” disse lui. Si accorse che stava per piangere e non riuscì più a dire altro.

Il taxi stava per raggiungere l’aeroporto, quando all’improvviso il telefono. Taylor lo tirò fuori dalla tasca e guardò chi era: era quel numero fisso che l’aveva chiamato 5 volte prima. Voleva sapere chi fosse, così rispose. “pronto?”. Dall’altra parte sentì un sospiro, poi silenzio. “pronto? Chi è?” chiese di nuovo. Silenzio. “ma che diavolo…?” pensò. Forse la persona all’altro capo del telefono non lo sentiva? “chi è?”. Sentì un suono, sembrava una voce femminile. Stupito, chiese ancora “chi è?” e sentì “sono io” e il mondo si fermò. Era lei. L’aveva chiamato. Era la sua voce. La sua bellissima voce. Era come se fossero passati secoli da quando l’aveva sentita l’ultima volta. Il cuore gli batteva forte, l’emozione quasi gli impediva di parlare. “Ste… sei tu? Dove sei?” riuscì a dire. La sentì singhiozzare lievemente. “dove sei?” chiese di nuovo, preoccupato. Non rispondeva, sentiva solo i suoi singhiozzi. Gli venne da piangere, ma cercò di calmarsi e disse “non importa, sto arrivando”. All’improvviso la telefonata finì. Aveva riattaccato.
   
 
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