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Autore: Mary P_Stark    08/03/2013    2 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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●●18●●

 

 

 

 

 

Il tramonto era sceso sulla città ormai silenziosa e, mentre la conta dei morti e il tentativo di salvare i feriti proseguiva senza sosta tra le strade della città.

Il personale dramma della famiglia reale proseguiva incessante, togliendo smalto alla vittoria, e gioia dai volti dei vittoriosi.

L’esercito di Nellassat, sconfitto dalle forze congiunte dei regni di Akantar ed Enerios, e orfano della potenza mistica offerta da Kennadarya, aveva abbandonato le armi sul campo.

Il generale che aveva guidato l’assalto alla città, aveva deposto la sua spada nelle mani di re Erenokt stesso.

Re Kevan, trovato dolorante e ferito accanto ai carri delle vettovaglie che avevano seguito l’esercito, era stato soccorso dai cerusici del suo esercito che, pochi attimi prima, avevano trovato la regina ormai priva di vita.

La gola tagliata e le iridi sgranate fino al limite, la donna era morta da ore quando, infine, i medici si erano accorti della sua triste fine.

Kevan, però, non aveva versato una lacrima in suo favore, facendo sorgere nel cuore di molti chi realmente vi fosse dietro quell’assassinio.

Le sole cose che il re di Nellassat era stato in grado di comprendere, in quei momenti di scoramento, erano state la sconfitta subita da Akantar e la perdita di ogni sogno di conquista.

Perso in quei pensieri, re Kevan non aveva minimamente badato all’arrivo sulla spianata di re Erenokt e del suo seguito, né tanto meno dello sguardo disgustato del suo generale in capo.

Ogni cosa non aveva avuto più senso, per lui.

Ben consapevole di questo, Erenokt lo aveva fatto mettere ai ceppi perché fosse incarcerato dopodiché, con un cenno al generale di Nellassat, aveva bandito lui e i suoi uomini dal suo regno, ordinando loro di allontanarsi senza armi da Yskandar e di non farvi più ritorno.

Il comandante in capo dell’esercito aveva accettato il bando e, dopo un ultimo sguardo insofferente al loro ormai deposto re, aveva chiesto di poter ricondurre in patria la salma della loro regina.

Erenokt aveva perciò concesso loro il tempo di prepararne le spoglie e, con il fare della sera – scortati da un cospicuo stuolo di soldati akantaryan – l’esercito di Nellassat era ripartito alla volta del loro regno.

Nessuno si era chiesto dove fosse finita la Strega Bianca che aveva guidato, da dietro le quinte, quell’impresa ormai evidentemente fallita su ogni fronte poiché, per lei, nessuno aveva mai speso amore o affetto.

Che i corvi l’avessero divorata, o gli sciacalli raccolta per farne fiero pasto, a nessuno dei soldati di Nellassat era importato alcunché.

Nell’avviarsi verso il loro destino ricolmo di incognite, nessuno l’aveva cercata con lo sguardo, o chiesto ansioso dove ella fosse.

Disfatta peggiore non avrebbe potuto capitare a un esercito, e un buon merito andava tutto a quella donna piena di livore e di superbia.

Ellessandar li aveva osservati torvo dall’alta torre Nord delle mura di cinta della città,  ritenendo il gesto del padre fin troppo generoso, ma Erenokt era stato irremovibile.

La città, liberata dall’invasore, aveva fin da subito iniziato a contare i danni derivanti dal terremoto e, unendo le forze per dare il via alle riparazioni più urgenti, il popolo akantaryan si era raccolto le maniche perché Yskandar tornasse a brillare di luce propria come un tempo.

Tutto appariva più tranquillo, ora, e gli uccelli cinguettavano più sereni, l’andirivieni della servitù nei corridoi era solo un pelo di più frenetica del normale, ogni cosa sembra essere tornata uguale a prima.

Ma, per uno sparuto pugno di persone, nulla sarebbe mai più stato uguale.

Sdraiato accanto alla sorella in un enorme letto a baldacchino, Rannyl appariva emaciato e stanco, ma di certo non privo della volontà di trattenere nel mondo dei vivi Enyl per quanto più tempo possibile.

Eikhe, accomodata su un bordo del letto mentre Aken era in piedi accanto a lei, continuava incessante a osservare i due figli minori mentre l’odio e lo sconcerto si fondevano nel suo cuore in subbuglio.

Sedici anni aveva sacrificato del suo amore per Aken, in nome di Hevos, e ora questo.

Non poteva più sopportare altro.

Non questa volta.

Non avrebbe più permesso a nessun dio, o demone, di interferire ancora una volta con la sua famiglia.

La mano di Aken le sfiorò gentilmente una spalla e lei, sorridendogli mesta nel comprendere quanto, i suoi pensieri, non fossero dissimili da quelli del marito, mormorò: “So che è egoistico, ma non ce la faccio a non pensarlo.”

“Lo so. Lo faccio anch’io” abbozzò un sorriso lui, baciandole il capo biondo ramato.

Quelle ore avevano segnato entrambi profondamente, e pesanti rughe solcavano in quel momento il viso del possente guerriero, quasi in un solo giorno fosse invecchiato di dieci anni.

La vista dei figli minori in così gravi condizioni, lo aveva colpito a tal punto da renderlo vulnerabile a un dolore talmente cocente che nulla, neppure il tocco di un dio, avrebbe potuto chetare.

Eikhe non era più serena del marito, pallida in viso e con gli occhi bagnati di lacrime che, ormai da tempo, aveva consumato assieme a mille e più imprecazioni lanciate al cielo insensibile e silente, di fronte al suo giusto rancore.

Antalion, seduto a terra con la schiena poggiata contro il muro, carezzava distrattamente la chioma dorata di Liana, addormentata e col capo sulle sue ginocchia.

Aveva pianto così tanto, nel vedere Enyl ridotta in quello stato che, meno di un’ora prima, era crollata per la stanchezza e la tensione nervosa.

Gli occhi del figlio sacro correvano ansiosi dalle figure dei genitori a quelle dei gemelli, immobili e circonfusi di luce e, per tutti loro, provava paura e sconforto.

Non avrebbe sopportato in nessun modo che anche solo uno di loro potesse lasciarsi andare alla morte.

Avrebbe scatenato tutta la sua rabbia e il suo furore, se ciò fosse successo, anche in barba al dio che fin lì aveva seguito con amore e devozione.

La porta, d’improvviso, si aprì leggermente, sorprendendo tutti e, imbarazzata e stanca, fece capolino Kalia.

Tenendo tra le mani un vassoio di cibo, si addentrò con passo felpato nella stanza e disse: “Scusate se vi disturbo, ma ho pensato che poteste avere fame.”

“Grazie, Kalia” dichiarò Ruak con un fiacco sorriso, levandosi dallo scranno che aveva sistemato accanto al letto per prendere dalle sue mani il vassoio e poggiarlo su una credenza nelle vicinanze.

Lanciato uno sguardo ai due gemelli, teneramente abbracciati e avvolti da una calda luce dorata, Kalia domandò loro: “Ci sono cambiamenti?”

“Enyl ha mormorato qualcosa, poco meno di un’ora fa, ma poi si è addormentata, e così pure Ran” le spiegò Naell, accucciata accanto al letto assieme a Ellessandar, che sedeva a gambe incrociate tenendo la schiena contro il muro.

Il viso del principe appariva smunto non meno degli altri, ma nei suoi occhi si leggeva anche un risentimento senza nome.

Era ben chiaro, in lui, il ricordo del dolce sentimento che aveva scorto sul volto di Enyl, abbracciata al suo dio nel tempio di Soanes.

Quell’amore incondizionato lo faceva ora irritare come poche altre volte, poiché trovava inconcepibile che una divinità potesse ingannare a quel modo una sua accolita, lasciandola in balia di morte certa senza minimamente intervenire in suo aiuto.

Gli era parso che l’affetto incondizionato di Hevos fosse reale, forte, dirompente ma, evidentemente, si era sbagliato e non di poco a giudicare, viste le condizioni attuali di Enyl.

L’aveva lasciata in balia del male e, ora, lei pagava per tutti loro la vittoria su Caos.

Tutto ciò era inconcepibile, per lui.

Kalia, ancora ferma in osservazione dei gemelli, si avvicinò ai due figli sacri dormienti per carezzare le loro teste accostate e, nel baciarli sulle guance, si allontanò prima di dire: “Sarò qui fuori, se avrete bisogno di qualcosa.”

I due coniugi annuirono al pari delle altre persone presenti nella stanza quando, provenienti dall’esterno, voci concitate  e timorose si levarono sgomente.

Già con la mano alla daga che portava sulla schiena, Kalia ringhiò: “Ma che diamine succede, ora?!”

Un bagliore iridescente si incuneò sotto la porta, inondando il pavimento di pietra chiara,  mentre le voci spaventate e accorate della servitù si allungavano per il corridoio come una melodia cacofonica e dissonante.

Passi concitati si intervallarono a grida terrorizzate, mentre un lontano coro di ululati si confondeva con il frusciare fremente di mille ali.

Il tutto era semplicemente assurdo, inconcepibile.

Più di un’arma venne snudata nella stanza dei gemelli, di fronte a quell’assurdo dipanarsi di brusii senza senso.

Ponendosi come ultima ed estrema difesa di fronte ai cugini, Naell fissò la famiglia, glia pronta a dare battaglia a chiunque fosse entrato da quella porta.

Chiunque vi fosse stato oltre quel battente, non sarebbe passato per nulla al mondo. Avrebbero dato anche la loro vita, se necessario.

La luce si fece sempre più accecante, oltre la porta e Kalia, aggrottando la fronte, ringhiò: “Ma cos’è?!”

La porta venne infine aperta lentamente e il bagliore che ne seguì fu così forte e dirompente da accecarli per alcuni istanti, rendendo loro impossibile scorgere altro se non la luce stessa di una stella.

Col passare dei secondi, però, la luminescenza andò scemando e, mentre la porta veniva richiusa, due figure comparvero dinanzi a coloro che, ancora armati, si trovavano nella stanza.

Ciò che venne sottoposto alla loro vista fu così sconvolgente e senza senso che, per diversi secondi, nessuno degli occupanti riuscì a proferire parola, né muovere un muscolo in risposta a quelle nuove presenze.

Dinanzi a loro, circonfuso di bianca luce, stava un giovane dai lunghi e lisci capelli biondi come il sole al mattino, dagli infuocati occhi d’ambra e la pelle bronzea e glabra.

Le brache frangiate erano nivee come la casacca smanicata che indossava e che lasciava libere le forti braccia, tatuate lungo tutta la loro lunghezza con strani simboli aggrovigliati e color dell’oro.

Una densa scia di brina turbinava intorno a lui, partendo dai piedi nudi fino a raggiungere la sommità del capo.

Sgranando lentamente gli occhi nel comprendere poco alla volta chi fosse appena entrato nella stanza, Kalia crollò a terra in ginocchio, esalando: “Hevos! Mio Signore!”

Ma fu l’uomo al suo fianco a generare vero sconcerto e, sì, terrore puro, poiché nessun’altra creatura se non il Signore delle Tenebre avrebbe potuto essere avviluppato da nere e voluttuose spire di fumo denso, e profumato d’incenso.

I capelli corvini erano mossi come spuma di mare e, tra essi, lunghe penne rilucenti si intervallavano a sottili trecce che penzolavano sulle ampie spalle, ricoperte da una pesante casacca nera come la notte, al pari delle brache e degli stivali di cuoio che indossava.

“Non è possibile…” gracchiò Antalion, mentre Liana, ancora stordita dal sonno improvviso che aveva dovuto abbandonare, fissava terrorizzata le due presenze divine nella stanza.

Aken, già pronto a balzare loro contro nonostante sapesse di andare incontro a morte certa, venne bloccato al braccio dalla moglie che, terrea in viso, tenne lo sguardo puntato sul viso pallido e sereno di Haaron.

“Sei qui per portarcela via?”

“Tutt’altro” replicò lui, la voce profonda, stentorea, quasi trascinata fuori dagli abissi del tempo e dello spazio.

L’uomo che era Hevos la scrutò a sua volta per un momento, il volto solcato da un dolore cocente e profondo, così immane da riverberare dal suo corpo come un colpo di maglio, rimbalzando contro di loro simile all’onda sulla  battigia.

Eikhe si lasciò sfuggire un singhiozzo, di fronte a tanto sconforto, ma così non fu per il compagno.

Aken, pur avvertendone la pena e il conflitto interiore, non ebbe però remore di sorta a mettere a parole il proprio dolore.  

“Dio o non dio, stavolta non vi lascerò giocare con le nostre vite! Non vi farò avvicinare a loro!”

Un coro di voci sconvolte giunse alle orecchie di Aken, che però non badò affatto a coloro che, nella stanza, lo stavano ritenendo non a torto un folle, ma solo agli dèi che aveva di fronte e che stava apertamente sfidando.

Sapeva di avere decretato la sua morte parlando a quel modo, ma… diamine, aveva già dato troppo di sé e della sua famiglia, al mondo degli immortali!

Hevos si limitò a sfiorare con lo sguardo il viso solcato dall’odio di Aken e, conciliante e triste, mormorò con la sua voce roca: “Non reco mestizia, buon cavaliere, ma speranza.”

Detto ciò, scostò con gentilezza Aken dalla loro traiettoria e, sempre tenendo Haaron per mano, si avvicinò al letto prima di sorridere a Eikhe, che ancora lo stava guardando senza parole.

Rivolto poi il suo sguardo a Naell, che non si era scostata dal letto – impedendogli di fatto il passaggio – il giovane dio le sfiorò una spalla con la mano libera, esalando: “Permettici di salvarli, fanciullina. Non arrecheremo loro alcun danno.”

“Il danno è già stato fatto” farfugliò Naell con occhi colmi di lacrime, scrutando furente il volto serafico di Haaron.

Già il fatto che lui fosse lì, in forma umana, non poteva che essere un nefasto presagio.

“Né Enyl, né tanto meno Rannyl, sono nel mio Regno…” dichiarò per contro Haaron, lanciando un’occhiata preoccupata ai due giovani figli sacri. “… ma, se non mi lascerai operare in tal senso, non vi sarà più tempo per impedire la loro venuta. Scostati, principessa, poiché non è nelle mie possibilità allontanarti con la forza, o periresti per diretta conseguenza. E, di certo, non è mio desiderio.”

Hevos intervenne a sua volta, aggiungendo: “Non potrò trattenere le Tenebra ancora a lungo, mia cara Naell, perciò lascia che Haaron blocchi le porte del Regno dei Morti, o tutto sarà vano.”

Naell si morse un labbro, indecisa sul da farsi.

Desiderava con tutto il cuore fidarsi di loro, ma il dolore patito dai suoi zii, dal cugino, dal padre, da tutti loro, la metteva in guardia sul dare loro ulteriore fiducia, dopo che le vite di Rannyl ed Enyl erano state messe così in pericolo.

Ugualmente, si scostò per accostarsi a Ellessandar, che le avvolse la vita con un braccio.

“Salveremo entrambi… in un modo o nell’altro” promise Hevos, volgendo lo sguardo su tutti loro prima di prestare attenzione unicamente ai gemelli.

Sulla porta, Antalion scrutava l’intera scena a pugni serrati mentre, accanto a lui, ancora trafelata e sconvolta, Liana osservava le due divinità con aria incredula.

My-chan stretta al suo braccio, ringhiava con tono basso, cupo, facendo quasi vibrare i vetri della stanza.

Hevos, indifferente al clima di sfiducia che aleggiava per la stanza, scostò la mano da quella di Haaron per poggiarla sulla sua spalla e il dio oscuro, posato che ebbe un ginocchio sul letto, si chinò per sfiorare la fronte di Rannyl con un dito.

Il pallore del giovane scomparve immediatamente, mentre gli ansiti sconcertati dei presenti si sostituirono al silenzio teso di prima.

Borbottando tra sé nel ritirare la mano, mugugnò contrariato al fratello: “Ti puniranno, e lo sai.”

“Francamente, non mi interessa nulla” ringhiò Hevos, stringendo la mano sulla spalla di Haaron mentre la brina, attorno a lui, sfrigolava e turbinava sempre più velocemente.

Il corpo slanciato e robusto di Rannyl, a quel punto, venne scosso da un brivido e, con un singhiozzo strozzato, si ridestò nel giro di pochi attimi, aprendo lentamente gli occhi prima di fissarli sgranati sulle divinità dinanzi a lui.

“Hevos? Haaron?” esalò confuso un attimo dopo, lanciando sguardi dubbiosi attorno a lui prima di tornare a scrutare pensoso quell’incredibile fenomeno sovrannaturale.

Sorridendo mestamente al giovane, il dio-corvo annuì e mormorò: “Scostati da lei, figliolo. Penserò io a Enyl, ora.”

“Ma…” tentennò Rannyl, restio ad abbandonare il fianco della gemella in favore del Signore delle Tenebre.

Haaron gli offrì una mano sotto gli occhi sgomenti di tutti e il dio, per diretta conseguenza, li fissò stizzito, ringhiando: “Pensate davvero che lo farei fuori, dopo avergli restituito la forza per sopravvivere?”

Hevos lo scrollò leggermente, pacificandolo e, nell’annuire a Rannyl perché accettasse quell’aiuto, spiegò ai confusi presenti: “Rannyl è beneficiato del potere della Luce, perciò non corre alcun pericolo, sfiorando Haaron. Ben diverso sarebbe per tutti voi, poiché non vi è concesso un simile lusso.”

Lo sguardo che il dio-lupo lanciò ad Aken da sopra una spalla fu più che eloquente e l’uomo, seppur controvoglia, rilasciò le mani strette a pugno e si impose di calmarsi.

Per ogni evenienza, Eikhe gli strinse le braccia attorno alla vita e, per nulla tranquilla, continuò a seguire con lo sguardo le movenze di Haaron che, nel frattempo, aveva preso Enyl tra le braccia per tenerla in grembo.

Sedutosi sul letto, ne carezzò la chioma fulgida e splendente, ne ammirò il bel volto addormentato e, infine, levato un momento lo sguardo per scrutare il viso ansioso del fratello, mormorò: “Passeremo un guaio, ma fa lo stesso.”

“Grazie” sussurrò allora Hevos, concedendosi il lusso di un breve sorriso.

Haaron calò la bocca su quella morbida di Enyl un attimo dopo e, sotto gli occhi sgomenti di tutti, la pelle cerea della giovane riprese immediatamente colore e il suo respiro si fece più forte e sano.

Carezzando subito dopo il volto della giovane, mentre le pallide palpebre iniziavano a muoversi tremolanti, Haaron asserì con dolcezza: “Ogni cellula di lei vibra per te, fratello mio… la tua fortuna è grande.”

Hevos poté solo lapparsi le labbra mentre una lacrima solitaria scivolò sul suo volto e, in quel mentre, gli occhi di Enyl si aprirono al mondo, lasciandole scorgere la verità sconvolgente che la circondava e l’unicità di quel momento irripetibile.

Accostandosi subito al letto per poterla guardare in viso, Ran si aprì in un sorriso non appena i suoi occhi chiari incrociarono quelli identici della sorella.

Con voce tremula, esalò: “Enyl… ciao…”

“Ran…” ansò lei, sorridendogli prima di distogliere lo sguardo per fissarlo sui volti di Haaron e Hevos.

Lo sconcerto si palesò lesto assieme alla paura, ma Haaron fu più veloce di lei e, bloccandola nel suo abbraccio, le disse premuroso: “Non angustiarti, fanciullina. Non sono qui per portarti via con me.”

“Ma come…” tentennò Enyl prima di notare la mano di Hevos sulla spalla del dio-corvo. “Lo stai trattenendo tu, vero?”

Annuendo, Hevos si chinò su di lei per baciarla teneramente ed Enyl, del tutto incurante degli sguardi sconvolti di tutti – e di quello iracondo di Aken – levò una mano per stringere la nuca del dio e trattenerlo accanto a sé.

Quel gesto apparentemente banale, dichiarò a chiare lettere cosa li unisse, e quanto fosse profondo – oltre che unico – il loro legame.

Haaron, a quel punto, tossicchiò per l’imbarazzo ed Enyl, rammentando solo in quel momento dove si trovava e, soprattutto, chi era presente nella stanza, si scostò lesta da Hevos prima di incrociare lo sguardo confuso e stordito del fratello.

Rannyl si volse allora per fissare sgomento Hevos, pacifico in viso e interessato unicamente a Enyl, i suoi occhi luminosi fissi solo sul viso della gemella.

Nel rammentare le parole della sorella e i suoi imbarazzati richiami, esalò a mezza voce: “Sei tu? Enyl ama te!”

Un ringhio si levò nella stanza mentre Hevos, sorridendo per un momento al giovane, si illuminò come una stella al solo pensare all’amore provato per la giovane donna.

Rannyl non ebbe bisogno di ulteriori conferme e, sperando ardentemente che il padre non decidesse di abbandonare il fianco della madre per scagliarsi su Hevos, mormorò ossequioso: “La ami anche tu, allora…”

“Non saremmo qui, se mio fratello non tenesse a questa fanciulla più che a qualsiasi altra creatura mai nata…” gli fece notare con una certa ironia Haaron, che ancora teneva tra le braccia Enyl.

“Com’è possibile?!” sibilò a quel punto Aken, che mal aveva sopportato l’intimità evidente tra il dio e la figlia.

“E’ successo e basta, papà…” intervenne allora Enyl, volgendosi per osservare il padre, oltre la spalla di Haaron.

Aggrappandosi a quelle spalle robuste, Enyl fissò l’uomo che, fin dalla nascita, aveva amato e onorato e, con un mesto sorriso, aggiunse: “Già da tempo il mio cuore ha imparato ad amarlo come si può amare un uomo, padre… io sono felice di questo mio sentimento, e così Hevos. Davvero.”

Aken la scrutò scettico, volendo crederle ma ritenendosi in diritto di non poter concedere ulteriore credito a quel dio che tanto aveva tolto alla loro famiglia.

“Non mi sarà più concesso giungere a voi, in nessuna mia forma… non potrò più parlarvi, vedervi, consigliarvi, e questo mi rattrista più di quanto potrete mai capire, o immaginare, figli miei…” asserì Hevos, con voce contrita e tremante di angoscia, intervenendo per dare man forte a Enyl. “… ma, grazie a questo, Enyl potrà vivere per sempre assieme a me.”

Levatasi in piedi grazie all’aiuto di Haaron, che le rimase accanto sorreggendola per la vita, Enyl fissò sorpresa e felice Hevos che, occhi negli occhi, le mormorò contrito: “Ho potuto fare solo questo, per te, mia diletta. Avrei voluto combattere per te mille e mille volte, ma…”

Enyl gli sfiorò le labbra con una mano, mano che Hevos strinse con la sua, baciandogliela teneramente.

La giovane, nello scuotere il capo, replicò: “So già tutto, non preoccuparti. Nessun dio avrebbe potuto combattere la battaglia che io e Kennadarya abbiamo sostenuto, o l’intero Universo sarebbe stato spazzato via. La nostra mortalità ha reso possibile la salvezza delle genti.”

Lui annuì tremulo ma reclinò colpevole il viso, lasciando che i lisci capelli biondi nascondessero i suoi occhi serrati e colmi di lacrime che, in un’occasione diversa, avrebbe ben volentieri versato.

Lanciando uno sguardo a Haaron, Enyl gli domandò dubbiosa: “Non posso stringere Hevos per qualche motivo?”

“Se ti lascio a lui ora, svanirete immediatamente, e pensavo volessi abbandonare questo luogo dopo aver almeno salutato i tuoi cari” le spiegò gentilmente Haaron, mentre gli occhi di Enyl si sgranavano leggermente a quella notizia.

“L’energia della Luce ci condurrà nel mio regno entro breve, Enyl, ma per qualche minuto ancora, potremo restare qui” esalò Hevos, allungando un braccio per poggiarsi alla testiera del letto.

Il petto del dio-lupo si alzò e si abbassò frenetico, come in debito d’ossigeno e Haaron, aggrottando la fronte, borbottò: “Non c’è più tempo, fratello. Dobbiamo andare, se non vogliamo che Yskandar sia rasa al suolo da un mio starnuto.”

Hevos, suo malgrado, sogghignò all’indirizzo del fratello ma scosse il capo, replicando: “Enyl deve poter salutare la sua famiglia.”

La ragazza si morse un labbro nel notare il dolore sempre crescente sul volto dell’amato e, nello scrutare supplichevole Rannyl, mormorò: “Sorreggilo, te ne prego.”

Il gemello non se lo fece ripetere due volte e, passato un braccio attorno alla vita del dio, gli concesse parte dei suoi poteri perché non soccombesse.

Eikhe, ai piedi del letto, sorrise mesta alla figlia, asserendo con triste ironia: “Avevo sempre immaginato questo momento in modo molto diverso, ma posso solo dire che… hai scelto bene.”

Enyl le sorrise con le lacrime agli occhi e, nello scostarsi da Haaron quel tanto che le bastò per accostarsi alla madre, la giovane le baciò le guance con calore.

“Lo amo davvero, mamma… non potrei amare nessun altro più di lui.”

“Allora va bene… ogni cosa andrà bene” assentì Eikhe, baciandola sulla fronte.

“Papà…” esalò Enyl, scostandosi dalla madre per poter osservare il viso ancora ombroso dell’uomo.

Aken la avvolse in un abbraccio l’attimo seguente e, contro i suoi capelli color del grano, mormorò accorato: “Dammi un fischio, e lo ucciderò per te. Non mi importa se è un dio!”

Enyl allora scoppiò in una risata tremula, che fece battere forte il cuore al padre, ancora incredulo all’idea di dover dire per sempre addio alla figlia, e in un modo così incredibile.

Uno a uno, Enyl abbracciò coloro che le erano più cari e, quando infine giunse il turno di Antalion, la fanciulla lo carezzò gentilmente sulla nuca.

“Né io né Ran avremmo mai potuto avere un fratellone più bravo e in gamba di te. Ma ora dovrai prenderti cura di lui, An. Proteggilo anche per me, amalo anche per me.”

Antalion annuì un paio di volte prima di baciare teneramente la sorella sulle labbra e sussurrarle subito dopo: “Ti amerò per sempre, hillan.”

“Lo so” assentì lei prima di sospirare spaventata quando Hevos, sorprendendo tutti, crollò su un ginocchio, ormai privo di forze.

Le nubi nere che gravitavano attorno a Haaron ruggirono feroci, pronte a liberarsi dalla catena imposta dalla Luce di Hevos e Ran, a terra accanto al dio-lupo, esalò sconvolto: “Hevos! Non cedere ora!”

Enyl si gettò immediatamente verso di lui per aiutarlo, il volto teso e percorso dall’ansia, ma Hevos levò una mano per bloccarla, ringhiando: “Non ancora! Non preoccuparti per me!”

“Ma Hevos…” tentennò lei, turbata dal suo pallore cadaverico e dal suo fiato corto.

“Saluta… come si deve… Rannyl…” le ordinò con gentilezza lui, addossandosi a Haaron per lasciare degno spazio ai due gemelli.

“Sei davvero ridotto male, fratello…” mormorò preoccupato Haaron, avvolgendo con il braccio libro la vita del gemello.

“Lo so…” ridacchiò fiacco Hevos, gli occhi tutti per Enyl e Rannyl che, a un passo di distanza l’uno dall’altro, si sorridevano senza però toccarsi.

A loro, in ogni caso, non era mai servito il contatto fisico.

“E’ dunque giunto il momento, sorellina…”

“Sai che siamo le due parti di un insieme, vero?” gli rammentò lei, accentuando il sorriso.

“Continui a dirmelo, ma io credo piuttosto che, quando sarai andata via, il mio cuore si spezzerà in due” ironizzò per contro Rannyl, scrollando leggermente le spalle.

“Non dico che non soffrirai, come io patirò le pene più atroci, sapendoti lontano, ma so anche che non saremo mai veramente separati. Siamo nati dallo stesso grembo, con la Luce a unire i nostri cuori, i nostri animi, e questo perdurerà per l’eternità.”

“Vorrei crederci” sospirò Rannyl, storcendo la bella bocca in una smorfia.

“Così è” mormorò allora Enyl, rammentando le parole di Equilibrio.

E quella stessa voce, forte e stentorea, rimbalzò nella mente di Rannyl, sorprendendolo.

Con un ultimo sorriso, Enyl lasciò andare il fianco di Haaron per stringere in un abbraccio Hevos e rifulgere della stessa luce che, solo poche ore prima, l’aveva circonfusa sul campo di battaglia.

In uno sfrigolio dorato, le figure di Enyl, Hevos e Haaron scomparvero in un battere di ciglia ed Eikhe, stringendosi nell’abbraccio del compagno, pianse silenziosa al pari del figlio maggiore, fermo a pochi passi da loro.

Liana, stretta a lui, poggiò il capo contro il suo torace sospirando tremula, mentre My-chan singhiozzava affranta nell’abbracciare Naell ed Ellessandar, in lacrime entrambi.

Ruak, fermo accanto a Rannyl, sfiorò con mano tremante la spalla del nipote e il giovane, rabbrividendo da capo a piedi quando infine la luce scemò fino a mostrare l’improvviso vuoto di quella stanza, avvertì i poteri della sorella penetrare in lui come un’onda di piena.

Un coro di campane a festa accompagnò quel mutamento e, all’interno della sua mente devastata dal dolore, e la voce corale di Enyl e di Hevos mormorarono benedicenti: “Sii Portatore di Luce su questo mondo, fratello… ciò che doveva essere fin dall’inizio.”

Due entità divise alla nascita, ora erano tornate a essere una, per sempre unite. Indivisibili.

 

 

 

 

  
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