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Autore: _Eriky_    08/03/2013    12 recensioni
Isabella è una ragazza cieca. E' discreta, accompagnata nella vita solo dalla sua unica amica Angela, nascosta dall'oscurità che sempre circonda la sua esistenza.
Edward fa parte di una prestigiosa famiglia ricca. E' famoso, circondato da ragazze, sempre incentrato sotto la luce dei riflettori.
Due destini così diversi, ma irreparabilmente uniti, come la luce e l'oscurità: divisi da quella invisibile linea che li legherà insieme per sempre.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Prologo

Isabella Swan non si era mai sentita una ragazza speciale. Si avvertiva diversa, sbagliata, ma mai unica. Era circondata da persone che la coccolavano, almeno fino ai 10 anni, poi, lentamente, se ne erano andati tutti. I suoi genitori avevano perso interesse per lei, sua nonna era morta. Per la piccola era stato un grande colpo, tutti sanno che nel mondo dei bambini la morte non è altro che un tragico incubo, un incubo che le aveva rapito la sua principale fonte di felicità.

 Non conoscendola, si sarebbe potuto dire che non era come tutti gli altri. Anche chi, però, Isabella la conosceva bene era certo di questa sua diversità. Di differenze rispetto agli altri ne aveva tante (da quelle più evidenti a quelle meno), ma ce n'era una che solo la nonna aveva avuto la possibilità di conoscere: lei era molto più matura dei bambini della sua età. Le bambole non le aveva mai apprezzate, la televisione nemmeno a parlarne. Lei amava quando sua nonna la metteva sulle ginocchia, ormai indebolite dalla vecchiaia, e le narrava di storie fantastiche. Le erano sempre piaciuti i lieti fini, si crogiolava in essi per rifugiarsi dalla dura realtà che la circondava. Si immaginava spesso a cavallo, correre felice tra i prati, accompagnata da un principe dalla voce soave. Se avesse avuto i capelli bruni o biondi, non le avrebbe mai fatto differenza, non se ne sarebbe nemmeno accorta. Questo costituiva quello che Isabella considerava il suo più grande difetto: era cieca. Tutto ciò che riguardava i colori era associato a vecchi ricordi datati prima del compimento dei 6 anni. A qualche mese dai festeggiamenti, i suoi occhi avevano cominciato a funzionare male. Pian piano le tonalità erano andate morendo, poi anche le sole ombre se ne erano andate, lasciandola in balia dello scuro oblio. Tutti i bambini l'avevano sempre lasciata da parte, evitata, come se quel problema alla retina potesse contagiarli e farli diventare come lei. La ripudiavano per quel difetto.

 

All'età di 9 anni aveva conosciuto la sua prima e unica amica: Angela. Lei non era come tutte le altre, lei non si spaventava se Isabella camminava con gli occhi chiusi o se le toccava il viso per poter avere un'idea dell'aspetto dell'amica, a lei non importava. Lei era una di quelle poche persone ancora incondizionate dalla differenza altrui. 

I primi anni che seguirono passarono stranamente felici per la povera bambina che cominciava a farsi ragazza. Si alzò di qualche decina di centimetri, spuntarono le prime curve, ma la cosa che più di tutto la scosse fu l'accorgersi di un vuoto nella sua vita. Non era la famiglia ciò che le mancava, né l'amicizia, ma uno dei sentimenti che tanti scrittori lodavano in continuazione, quello che permetteva il lieto fine alla conclusione della fiaba. A Isabella mancava qualcuno che l'amasse, che la volesse come fidanzata, che non la considerasse solo un peso. I racconti di appuntamenti, baci, cene, le riempivano la testa come parassiti. Ne soffriva molto, ma dava la colpa al destino: era lui che impediva che tutto ciò potesse capitare anche a lei.

Quando anche Angela cominciò a conoscere i primi ragazzi, però, le sembrò di impazzire. Non si sentiva all'altezza del mondo che la circondava.

Aveva capito che in quel luogo era la bellezza, l'apparenza, a farla da padrona, peccato che lei non sapesse nemmeno di cosa si trattasse a livello visivo. Non aveva criteri, soprattutto perché lei trovava interessante e appassionante tutto, all'infuori di se. Nessuno era come lei, nessuno veniva isolato come invece le succedeva. Da quel fatto aveva concluso che era lei ad essere sbagliata, non il mondo che la attorniava.

 

All'età di 16 anni la depressione aveva cominciato ad affiorare. I suoi genitori la vedevano sempre più come una maledizione, Angela tra pochi anni avrebbe scelto strade diverse dalla sua, lasciandola sola, del tutto.

Un giorno, una sua professoressa, impietosita dalla solitudine di cui si circondava la ragazza, provò a sollevarle il morale: uno dei pochi casi in cui qualcuno ci tentò. Dovette insistere molto prima di avere un indizio su cosa la preoccupasse. << In questo mondo l'importante è apparire ed io non so se sono degna di essere sul palcoscenico >> le aveva risposto Isabella. Si capiva che era molto intelligente anche moralmente, oltre che nelle materie scolastiche.

La professoressa insegnava scienze in America ormai da molti anni, ma le sue origini italiane le erano ancora molto care. Aveva cercato un modo per tirare su il morale alla sua alunna prediletta. Incespicò nel suo inglese non ancora perfetto e le disse il massimo che le era venute in mente per incoraggiarla. << Sai che in Italia la parte finale del tuo nome significa bellezza? >> Isabella aveva scosso la testa e aveva fatto un sorriso timido. << Il tuo nome ti rispecchia, sei bella come dice lui. Non preoccuparti degli altri, per certe cose sono loro i non vedenti. >>  Con questo discorso si aprì uno spiraglio nella mente della ragazza. Sapeva che se un giorno, qualcuno, l'avesse chiamata "Bella" le avrebbe fatto un complimento, anche se inconsciamente. Si rallegrò a quel pensiero, ma durò poco.  

Dopo neanche un mese l'invidia che cominciò a provare verso le sue coetanee la spinse a rinnegare quelle parole gentili. Lei non era bella, non lo sarebbe mai stata, per nessuno. Non avrebbe mai interessato anima viva con quei suoi occhi che erano lì solo per decorazione.

Si ritirò due giorni in camera sua, senza mangiare un solo boccone di cibo. Le salì la rabbia quando capì che i suoi genitori non se ne erano nemmeno accorti. Era divisa tra il rassegnarsi e il reagire, ma sapeva che non avrebbe mai fatto molti progressi nella sua vita sociale. Si decise di calmarsi e di concentrarsi su altro, convincendosi che nella vita ognuno è destinato ad amare ed essere amato.

Si fece molte domande nell'arco di quelle sere, da quelle dal significato profondo a quelle insulse, senza valore preciso. Si chiese se mai la vita avesse avuto un senso, se in Cina sulla pizza ci mettessero i grilli, se fosse veramente lei quella cieca o fosse il mondo a non vederla.

 

*Angolino del manicomio dell'autrice*

Salve a tutte!

Vi ringrazio se siete arrivate a leggere fino a qui, mi fa molto piacere. Se non vi chiedo troppo, vi pregherei di lasciare una piccola recensione, anche negativa, per aiutarmi a costruire questa storia!

Se vi interessa il prossimo capitolo riguarderà Edward. Aggiornerò ogni venerdì, in caso di imprevisti anticiperò al giovedì.

Auguri a tutte le lettrici, baci e ancora grazie a chi ha letto! Spero che vi abbia incuriosito!

Eriky

  
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