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Autore: Nivees    09/03/2013    5 recensioni
{ Dieci storie tratte dalle canzoni più belle dei Kagamine | Len/Rin ♥ }
Ogni volta che Rin non riesce a dormire la notte, corre sempre nel lettone di Len il quale, finché la sorella non chiude gli occhi, le sussurra una dolce favola della buona notte, stringendola a sé.
First night ~ «C'era una volta...» ...una bambola. [Dolls]
Second night ~ «C'era una volta...» ...una principessa. [Sword of Drossel]
Third night ~ «C'era una volta...» ...una parola. [Hello Again]
Fourth night ~ «C'era una volta...» ...un robot. [Kokoro]
Fifth night ~ «C'era una volta...» ...un prigioniero. [Paper plane]
Sixth night ~ «C'era una volta...» ...un sogno. [Dreamy Dance Party]
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incest
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Sono tornata! Vi sono mancata? *un coro di 'no' la abbatte*
Ma non fa niente, vi voglio bene lo stesso. Ebbene, stavolta sono tornata con una storia sui Kagamine che è stata scritta per un contest - ma per mancanza di tempo alla fine non ho più partecipato. Ma alla fine l'ho portata a termine, quindi tanto vale pubblicare queste piccole sciocchezzuole invece che lasciarle prendere la polvere nel computer.
In poche parole, saranno dieci capitoli: dieci notti dove Rin si ritroverà nel letto di Len (non a fare porcate, che pensate!) e il fratellone le racconterà ogni notte una storia tratta da una delle loro canzoni, per farla addormentare. L'idea è piaciuta abbastanza a chi mi ha sopportata durante la stesura - e spero che piaccia anche a voi.
Sarei moolto contenta se lasciaste anche solo una recensione minuscola, per farmi sapere se questa raccolta sia decente o no.



 

La dolce favola della buona notte

First night ~ Dolls

 

 

La notte era arrivata pigra, quasi come se non avesse avuto voglia di far calare le tenebre sul mondo e di far così addormentare tutti gli esseri viventi. Len però non era d'accordo con lei: sentiva addosso tantissima stanchezza che, ne era più che certo, non appena avesse toccato il soffice letto che lo attendeva sarebbe crollato inevitabilmente nel sonno più profondo, senza avere nemmeno il tempo di mettersi sotto le coperte.
E così fu: si buttò a peso morto sul materasso e chiuse gli occhi, lasciandosi andare tra le braccia di Morfeo.
«Leeeeen!».
Aveva davvero sperato di riuscire ad addormentarsi senza alcuna difficoltà? Si diede dello scemo da solo.
Aprì un occhio verso l'accecante luce che arrivava dalla porta della sua stanza, spalancata per poter fare entrare la persona che aveva urlato così poco delicatamente il suo nome. Sua sorella lo guardò con uno strano cipiglio sul volto, prima di prendere quasi la rincorsa e di buttarsi anche lei nel letto al suo fianco.
Len sospirò, senza scansarla via. «Neh, Rin. Posso sapere come mai non ti trovi nel tuo bel letto caldo caldo?» chiese, un po' scocciato per il fatto che il suo sonno era stato così bruscamente interrotto.
«Non riescivo a dormire» espose con molta semplicità la ragazza, «Così mi chiedevo cosa stesse facendo il mio bel fratellino! Sai pensavo che forse avevi bisogno di compagnia perché ti sentivi tutto solo nella tua stanza e allora ho deciso che questa notte dormirò insieme a te, Len Len!» concluse, stringendosi un po' di più al suo petto.
Len sospirò di nuovo – non del tutto scontento, però. Infondo andava bene che Rin dormisse accanto a lui, era rassicurante – quasi – la sua presenza durante la notte. Gli faceva fare sonni più tranquilli.
«Va bene» acconsentì lui, dandole degli affettuosi buffetti sulla testa, «Ti chiedo solo di cercare di contenerti nel darmi i calci durante la notte, quando ti muovi».
Di risposta ottenne solo un pizzicotto piuttosto dolorante sulla pancia, poi ci fu finalmente il silenzio – dopo un ʻbuona notteʼ appena accennato da parte di entrambi.
E Len sperava davvero, stavolta, che sarebbe riuscito una volta per tutte a chiudere occhio. Purtroppo, Rin non aveva assolutamente intenzione di farlo dormire così presto.
«Len, continuo a non riuscire a dormire!» sbottò dopo qualche minuto silente, e Len si ritrovò ad aprire di nuovo con lentezza le palpebre e portare lo sguardo su sua sorella, che lo guardava con le guance gonfie – segno che era almeno più scocciata di lui.
«Facciamo così» disse, mettendosi meglio con il busto appoggiato alla testiera del letto e abbracciando Rin con un braccio, «Se ti racconto una favola, prometti che quando ho finito non mi sveglierai mai più?».
«Ci sto!» esultò Rin, pimpante, «Ti sveglierò direttamente domani mattina!».
«Sul tardi».
«Sul tardi» concordò.
Len sospirò una terza volta, poi prese fiato e iniziò: «C'era una volta...».

... una bambola. Aveva la pelle chiara di porcellana, biondi capelli che parevano fatti con fili d'oro e un vestito color dell'erba che risaltava a meraviglia il colore ceruleo delle sue iridi vitree.
Quella bambola non era come tutte le altre. Da dietro la sua vetrina dove veniva esposta, osservava quel ragazzo che di lei si prendeva cura – e che era finita irrimediabilmente con l'innamorarsi. Lei era una bambola che amava, non era un solo e semplice involucro vuoto che altro non faceva se non cantare; ogni nota che la sua voce pronunciava le usciva dal profondo del suo cuore d'argento, perché lei cantava solo per lui.
ʻLenʼ si chiamava il giovane. Lei adorava pronunciarlo nella sua mente o cantarlo timidamente al vento quando lui non era presente. Chiamava il suo nome quando le mancava – e le piaceva pensare che anche lui facesse lo stesso, dal giorno preciso in cui lui stesso le donò un nome:ʻRinʼ.
La bambola Rin era felice. Ogni volta che era al suo fianco anche solo per cantare tutto il giorno e facendo così nascere un dolce sorriso sul suo bel viso.
Andava tutto bene, ma anche una bambola come lei si sarebbe dovuta aspettare che prima o poi sarebbe tutto finito.
Quel giorno il vento soffiava violentemente. Persino lei, rinchiusa all'interno della sua vetrina, riusciva a sentirlo attraverso le fessure delle finestre; ma nonostante questo, il sole splendeva alto nel cielo.
Rin non stava comunque perdendo tempo ad osservare quella sfera luminosa, piuttosto aveva i suoi occhi puntati su Len che sembrava indaffarato su qualcosa, tra pezzi di stoffa gialla e forbici che tagliavano.
Incuriosita, si avvicinò lentamente a lui. Quando l'altro se ne accorse le donò un piccolo sorriso, allungando una mano tra i suoi capelli d'oro; a quel gesto, la bambola arrossì. «Sei una bambola speciale» le disse, prima di rigirarsi per finire il suo lavoro.
Quella frase glielo ripeteva spesso: sapeva anche lei di essere speciale, comunque. Lei arrossiva, piangeva, amava. Non agiva come qualsiasi altra bambola, e ne era consapevole. In cuor suo, sperava che questo suo essere così ʻspecialeʼ valesse qualcosa per lui. Che la considerasse qualcosa in più che una bambola, ecco.
Quel che successe dopo, accadde nell'arco di un battito di ciglia.
Rin sentì soltanto la porta spalancarsi con un rumore assordante e tutto ciò che sentì di voler fare, presa dal terrore, fu cercare di raggiungere il suo amato allungando una mano verso di lui, cercandolo con lo sguardo e inorridendo quando degli sconosciuti la trascinarono via, e altri armati di una pistola presero Len, che fu portato lontano persino dalla sua vista – e dalla sua vita.
Era successo tutto velocemente, troppo per rendersi subito conto di quel che significava quella scena a cui aveva appena assistito. Ebbe il tempo di capire finalmente ciò che aveva perso per sempre quando fu abbandonata sul freddo pavimento, da sola. E calde lacrime scesero lungo le sue guance di porcellana.
Da quel maledetto giorno erano passate minuti, ore. Forse mesi o anni. Rin non contò più il tempo.
Nonostante Len non fosse più lì ad ascoltarla, da dietro la sua vetrina lei continuava a cantare – a cantare il suo dolore, ciò che ormai il suo cuore d'argento spezzato sentiva, sperando che ovunque fosse lui riuscisse in qualche modo a sentirla.
Ma alla fine, anche le bambole finiscono con il stancarsi.
Rin si stancò di cantare da sola, così smise di farlo per sempre. Si rese conto che l'unica cosa che la spingeva a danzare e intonare melodie era proprio il fatto che c'era sempre Len ad ascoltarla e a lodarla; ora che lui non c'era più, nulla aveva più senso.
Fu così che lei decise di uscire da quella vetrina, correre attraverso i corridoi di quella casa silenziosa e vuota ed uscire per la prima volta in tutta la sua esistenza in quel mondo che non aveva mai visto se non attraverso una finestra.
La prima cosa che si accorse, fu che anche quel giorno – proprio come quello dove perse ogni cosa – tirava un forte vento, ma non se ne dispiacque. Quasi era piacevole sentire qualcosa, qualsiasi cosa fosse, accarezzarle la pelle di porcellana. Capì anche che aveva dimenticato come cantare, non ci riusciva più.
Il suo corpo finto non era abituato a tutto quello sforzo; cadde a pezzi lentamente e dolorosamente, divenendo così una semplice bambola rotta, su quel campo adornato di fiori – tanto bello che in lontananza si riusciva a sentire il suono del mare e percepirne persino l'odore.
«Ora posso riposare in pace e restare insieme a lui» mormorò Rin al vento, riconoscendo in qualche modo che quel posto era proprio dove il suo amore riposava in eterno.
Ma poco prima che il suo intero corpo divenisse solo polvere, davanti a lei apparve un pezzo di stoffa gialla e...

... Rin restò in attesa, trepidante, ma il finale di quella frase non arrivò mai alle sue orecchie.
«E cosa?» chiese, curiosa e ancora pienamente sveglia. Dato che gli stava dando le spalle, si girò verso il fratello e quasi ebbe la tentazione di buttarlo giù dal letto, quando si rese conto che Len si era ormai addormentato.
Gonfiò le guance indispettita: avrebbe tantissimo voluto sapere quale sorte fosse toccata alla bambola – e in cuor suo, sperava che in qualche modo lei fosse riuscita a raggiungere il suo amato e a vivere felice insieme a lui, come tanto lei desiderava. Eppure, lui era morto e lei si stava sgretolando al vento. C'era speranza per loro due...?
Sospirò, decisa a non svegliare Len proprio come gli aveva promesso, anche perché il ragazzo era evidentemente molto stanco. La storia gliel'aveva raccontata dopotutto, anche se non aveva ricevuto un degno finale – un bel ʻvissero per sempre felici e contentiʼ le sarebbe piaciuto, ma era troppo banale e non si sarebbe accontentata in ogni caso.
Si ripromise però, mentre si avvolgeva nelle calde coperte del letto di Len, gli donava un leggero bacio su una guancia e si accucciava al suo petto, che la notte dopo lo avrebbe costretto a raccontarle un'altra favola, dato che quella di questa notte non aveva avuto una fine.
E almeno, sorrise a quel pensiero, aveva trovato una scusa per poter dormire una notte in più accanto al suo adorato fratellone.

  
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