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Autore: Mary P_Stark    12/03/2013    1 recensioni
TERZA PARTE DELLA SAGA DI OCCHI DI LUPO. Sono passati dieci anni dalla visita del principe Ellessandar di Akantar nel regno di Enerios. Tra i due regni, da quel giorno, intercorrono rapporti di amicizia e rispetto reciproci, anche grazie all'accorato lavoro di intermediaria portato avanti da Naell, principessa terzogenita del regno di Enerios. Principessa che, incalzata dal Consiglio della Corona e dal suo stesso padre, non può più nascondersi dietro mille scuse per evitare un matrimonio che non vuole. Perché a una principessa di Enerios è vietato vivere liberamente... amare liberamente. E a Naell questo va stretto, molto stretto. Libera di pensiero e d'animo, non vuole rinchiudersi entro quattro mura, con un uomo che non ama. Inoltre, su di lei, incombe ben di più di un matrimonio non voluto. Le parole del Dio-Lupo sono ancora fresche, nella sua mente. Tenebra e Luce devono ancora affrontarsi, e lei ne sarà direttamente implicata. Come, resta da vedersi. La sua unica consolazione è di non essere sola, sulle soglie di quel baratro. Ma i suoi cugini sapranno aiutarla nel momento del bisogno, come le ha predetto il Dio-Lupo? (riferimenti presenti anche nelle 2 storie precedenti)
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di Lupo Saga'
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●●19●●

 

 

 

  

 

La prima cosa che avvertì, al suo risveglio, fu un dolce tepore sulla pelle.

Un attimo dopo, il profumo di mille fiori diversi le invase le narici e, sotto il tocco delle sue dita, soffice seta si distese scivolando leggera, senza peso.

Sbattendo le ciglia diverse volte per mettere a fuoco ciò che la circondava, Enyl intravide tralci di fiori rampicanti inerpicarsi su quella che pareva essere la struttura di un letto a baldacchino.

Il volo leggero di alcune farfalle attirò la sua attenzione e, senza parole, la giovane si ritrovò ad ammirare un infinito prato ricolmo di fiori di ogni genere.

Poco lontano, scorse fontane zampillanti in cui danzavano uccelli canterini e, sull’orizzonte, il profilo seghettato di monti aguzzi e ricolmi di neve perenne.

Levandosi a sedere sul morbido materasso che l’aveva accolta al suo risveglio, Enyl ammirò il bellissimo padiglione dove si trovava il letto in cui, fino a quel momento, aveva riposato.

Con un sorriso lieto, allargò le braccia non appena la figura eterea di Kell la raggiunse trotterellando.

Calde lacrime le scaldarono le gote mentre il suo lupo, perduto per sempre nel mondo dei viventi, la raggiungeva in forma di spirito, leccandole il viso per la gioia di quell’incontro insperato.

“Oh, Kell… Kell! Che gioia vederti!” singhiozzò lei, crollando in ginocchio a terra per meglio abbracciarlo.

Certo, la consistenza del suo corpo non era più la stessa – stringersi a Kell le dava la stessa sensazione del tocco lieve della nebbia sulla pelle – , ma poco le importò.

Kell era lì con lei, per sempre.

Il lupo allora uggiolò felice mentre, praticamente di corsa, Ferr e Kessa si unirono a loro per quell’incontro di gruppo.

Enyl rise ancor di più, finendo col crollare sdraiata sul pavimento di pietra bianca che ricopriva il padiglione fiorato, mentre i tre lupi la ricoprivano di baci e leccate.

La giovane dispensò uguali carezze e abbracci, prima di ritrovare l’equilibrio sufficiente per mettersi in piedi.

Lì, circondata dai suoi vecchi amici e da quell’idilliaco paesaggio circonfuso di luce, Enyl scorse infine la figura di Hevos.

Sdraiato sul prato dinanzi al padiglione, appariva pacifico e sereno, gli occhi chiusi e il viso illuminato dal sole che splendeva in quei luoghi.

Subito, la fanciulla si aprì in un sorriso estasiato e, concedendosi per la prima volta il tempo di scrutarlo con attenzione, si beò la vista del suo corpo elegante e abbracciato da bianchi abiti di pelle.

I chiari capelli dorati erano stesi a ventaglio sulle mani – intrecciate dietro la nuca – e le forti braccia, tatuate dalla spalla al polso, recavano i simboli ancestrali della Luce, cui lui era Signore e Padrone.

Era strano poterlo ammirare in forma umana quando, per tutta la sua breve vita da umana, si era accontentata della sua forma animale – che peraltro amava.

Con il cuore gonfio di gioia, si incamminò verso di lui, calpestando con i piedi nudi la morbida e fresca erba profumata.

Un nugolo di farfalle si levò attorno a lei, portandola a ridere lieta e, nell’inginocchiarsi accanto all’amato, lo abbracciò con possessiva, esclamando: “E’ tutto così bello, qui! E i miei amici… i lupi sono qui! Tutti loro!”

“E’ il regno della Luce, mia cara… è la loro dimora spirituale, adesso. Non sarebbero mai mancati al tuo risveglio” le spiegò gaio Hevos, scostandola da sé per baciarla teneramente, le mani che sfioravano gentilmente il suo viso.

“E’ stato bellissimo ritrovarli e…” cominciò col dire Enyl, ancora eccitata per quella recente scoperta prima di bloccarsi esterrefatta, fissare sgomenta Hevos e, infine, esalare scioccata: “… Hevos… i tuoi occhi!”

Lui si limitò a scuotere il capo, come per non dare peso alla sua ansia e, nel poggiare un dito sulle labbra di Enyl per chetarne le sue paure, mormorò: “Va tutto bene, amore mio. Tutto bene.”

“Come può andare tutto bene?!” esclamò allora lei, fissando al colmo del panico gli occhi di Hevos, ricoperti da una patina biancastra che ne velava il bel colore dorato di un tempo. “Tu… tu non… non ci vedi, vero?”

Attirandola a sé per un abbraccio, Hevos ne carezzò la chioma morbida e, con lenti massaggi delle mani, tentò di placare il tremore che stava squassando la giovane.

Poteva capire il suo disagio, la sua preoccupazione, ma Hevos desiderava unicamente che Enyl si godesse le gioie di quel luogo, non che fosse in ansia per lui.

Con tono sommesso, asserì tranquillo: “I tuoi capelli sono seta sotto le mie mani, la tua voce è musica per le mie orecchie, il tuo amore è come una carezza senza fine per il mio cuore. Che altro potrei desiderare, mia diletta?”

Stringendosi a lui con forza, le palpebre serrate per trattenere le lacrime che le stavano ferendo gli occhi, Enyl replicò sgomenta: “E’ questo il prezzo per la mia salvezza, oltre al tuo esilio perenne in questo luogo?”

“Come può essere un esilio, se ho te?” ribatté lui, aiutandola ad alzarsi per poi avvolgerle la vita con un braccio.

Enyl si strinse a lui, il cuore colmo di rimorso per ciò che il dio aveva dovuto pagare per averla lì con sé, per salvarla dall’annientamento.

Con voce roca, lei asserì: “Non avrei potuto abbracciarti a questo modo, vero, se fossi giunta qui in spirito?”

“No, mia diletta. Saresti stata come i tuoi amici lupi, niente più che un desiderio esaudito solo a metà. Non avremmo potuto condividere in alcun modo l’amore che ci lega… e io non potevo sopportare che tu morissi, quando così tanto hai fatto per tutte le creature dell’Universo” assentì lui con tono accorato, baciandole le palpebre e le gote rosee. “Non avrei potuto sopportare di perderti… di averti al mio fianco solo come uno spirito errante.”

La fanciulla annuì, pur sentendosi colpevole e, nello scrutare la polla d’acqua che si trovava a pochi passi da loro, ansò per la sorpresa.

“Ma quelli sono… sono…” balbettò Enyl, sgranando gli occhi fin quasi a farsi male.

Hevos allora le sorrise e, avvicinandosi con lei alla polla, le domandò: “Cosa vedi, Enyl?”

“Sono Ran,… mamma, papà… tutti quanti!” esclamò lei, prima di fissarlo speranzosa ed esalare: “Com’è possibile?”

Accentuando il suo sorriso, Hevos le carezzò il viso con un tocco solo leggermente esitante e, nell’avvertire sotto le sue dita la bocca dell’amata, ammise: “Ho pagato il mio fio per averti voluta qui al mio fianco per l’eternità, immortale mio pari e con pari diritti… ma non ho mai detto che anche tu avresti dovuto pagare il mio stesso prezzo, per essere qui.”

Enyl allora strillò di gioia e, gettandosi tra le braccia di Hevos, ne ricoprì il volto di baci mentre il giovane dio, ridendo divertito, esalava: “Attenta, Enyl, non sono ancora avvezzo alla cecità e potrei finire per far cadere entrambi, non vedendo dove metto i piedi.”

“Oh… scusa!” ansò lei, appoggiando immediatamente i piedi a terra e trattenendo Hevos per le braccia.

“Non scusarti mai, Enyl… amo tutto di te, anche la tua euforia a volte incontrollata” le sorrise benevolo lui, dandole un casto bacio sulla fronte.

Lei allora sorrise di fronte a quel volto che ancora poco conosceva e, nello sfiorare le palpebre socchiuse di Hevos con una mano, mormorò: “Sarò io i tuoi occhi, d’ora innanzi. Penserò io a guidare il tuo passo e ti racconterò ogni cosa del mondo dei terreni, così che tu possa conoscere ciò che i tuoi figli compiranno nel corso dei secoli a venire.”

Hevos annuì e nel poggiare la fronte contro quella dell’amata, mormorò con convinzione: “Sarai più dei miei occhi, mia cara… ma non oggi voglio parlarti di questo. Ci sarà tempo per ogni cosa. Ora voglio solo godermi la giornata con te, sentirti vicina e al sicuro,… amata.”

Enyl si limitò ad annuire e, nell’accostare la bocca a quella di Hevos, seppe di essere nel luogo giusto, con la persona giusta.

Indipendentemente da tutto il resto.

***

Seduta sul bordo di una delle fontane del giardino di palazzo, il cielo adombrato dalla notte e una brezza fresca a carezzarle il viso, Naell volse lo sguardo al suono sommesso di alcuni passi sull’erba.

Vagamente sorpresa, sorrise all’arrivo di Coryn che, con l’accenno di un inchino, si sedette a poca distanza da lei.

Gli eventi di poche ore prima avevano sconvolto l’intero palazzo reale, e avevano fatto gridare tanto al miracolo coloro che non avevano vissuto direttamente quegli eventi.

Per chi, come loro, avevano visto svolgersi ogni cosa, era lo sgomento – più di ogni altro sentimento – a farla da padrone.

Naell per prima faticava ancora ad accettare la scomparsa della cugina, pur se era felice di saperla con l’amato immortale, rediviva ed eterna come il dio che l’aveva portata nella Luce.

Le mancava, e questo non avrebbe potuto cambiarlo nessuno, ma sapeva che sarebbe vissuta per sempre, il che non era poco.

“Come ti senti?” le domandò a un certo punto Coryn, sorridendole comprensivo.

Le forme di cortesia erano scomparse durante il corso della giornata quando, ormai, simili fardelli erano stati cancellati con un colpo di spugna.

“Stordita, credo. Sono cose che non capitano tutti i giorni” asserì con una scrollata di spalle.

Ylar, sdraiato sull’erba, scosse leggermente le orecchie prima di levare il capo e scrutare il cielo notturno, quasi avesse udito, o percepito, qualcosa di strano ma, come venne, quell’impulso passò.

Nello scrollare il muso con aria infastidita, tornò a sdraiarsi a terra.

Naell lo fissò incuriosita al pari di Coryn ma, nulla ricevendo in risposta dal suo lupo, si limitò a sorridere e commentò: “Vai a sapere cosa l’ha turbato…”

“Anche lui è un miracolo, da quel che ho saputo dal principe Rannyl” dichiarò Coryn, osservando ammirato il bel lupo.

Annuendo, Naell sfiorò con una mano il capo di Ylar per carezzarlo amorevolmente e, con tono sommesso, ammise: “Pensavo di averlo perso per sempre, e invece lui è tornato da me. E Rannyl lo ha curato.”

“Ciò che il principe è in grado di fare, è davvero strabiliante. Ho avuto l’onore di vederlo all’opera, poco fa, e nulla mi è parso così incredibile come il suo dono curativo!” esclamò eccitato Coryn, sorridendo come un bambino.

Naell rispose a quel sorriso, ammettendo senza remore: “Sei molto diverso da tuo padre, Coryn.”

“Lo spero, Naell, anche perché la mia famiglia ha molti debiti da ripagare, in primo luogo con te” replicò il giovane, fissandola spiacente. “Avrei dovuto trovare prima il coraggio di mettermi contro mio padre e, forse, non si sarebbe giunti a tanto. E tu non avresti sofferto inutilmente.”

“Dubito che si sarebbe potuto evitare tutto ciò, Coryn, poiché già in tenera età fui messa in guardia circa una grave crisi, che mi avrebbe vista protagonista” ribatté gentilmente lei, battendogli una mano sul braccio.

Alcuni servi corsero veloci lungo il corridoio aperto lungo il giardino, e Naell si chiese fuggevolmente dove fossero diretti. Che qualcuno si fosse sentito male?

Nel tornare a volgere lo sguardo verso Coryn, comunque, aggiunse: “Inoltre, il coraggio lo si può trovare solo quando si è pronti. Neppure io sono esente da errori, poiché non ho avuto abbastanza fede in me stessa e nel mio amore per Ellessandar. Avessi parlato prima, non mi sarei cacciata nei guai in cui io stessa mi sono spinta.”

Coryn annuì e Naell, tornando a scrutare il cielo, mormorò: “Ho passato anni e anni a credere che mio padre non volesse il meglio per me, ma solo il buon nome della corona, mentre invece non ha fatto altro che difendermi a spada tratta contro il consiglio. A volte, si può essere così ciechi!”

“L’amore tende a creare incomprensioni e paure” ammise Coryn, giocherellando con le stringhe in pelle della sua tunica ricamata. “Pur temendolo, ho sempre provato amore per mio padre, e questo mi ha portato a sopportare le sue angherie, non comprendendo quanto fosse sciocco tacere e, soprattutto, negare l’ovvio. Era l’unica persona di famiglia che mi era rimasta… e ora, devo dire addio anche a lui, e nel modo più orribile.”

“La nostra mente e il nostro cuore possono renderci deboli, anche per lunghissimo tempo, ma quando troviamo la forza per ribellarci a questo stato di inedia, dobbiamo cogliere al volo l’occasione” assentì Naell. “Papà mi ha raccontato ciò che hai fatto per tutti noi, e ciò che intenderesti fare con i possedimenti della tua famiglia. Non credi sia troppo devolvere tutto alla corona? Tu, in fondo, non hai colpe per ciò che tuo padre ha fatto.”

Scuotendo il capo con risolutezza, Coryn replicò: “Sono in disaccordo con il tuo dire, se mi permetti. La mia famiglia ha fondato la sua ricchezza su una menzogna, mutando la pietra in oro grazie ai poteri di un libro che non avrebbe mai dovuto essere toccato da mani umane, perciò ritengo che tutto ciò che è stato acquisito con quella immonda bugia finisca nelle mani di tuo padre. Mi rimetterò al suo giudizio anche sulle sorti di colui che mi generò… non chiederò grazia, per lui.”

Naell sentì la morsa del dolore perforarle il petto, a quelle parole così livide e, in cuor suo, le spiacque per Coryn.

Era un giovane gentile e generoso, cui il Fato aveva tolto molto e chiesto ancor di più.

Ora più che mai, doveva sentirsi solo e schiacciato da un peso troppo grande da portare nella più totale solitudine, destino che non avrebbe augurato neppure al suo peggior nemico.

Battendogli una mano sulla spalla, Naell gli sorrise comprensiva e, con tono pragmatico, gli disse: “Non possiamo sceglierci la famiglia, ma gli amici sì, e io vorrei che tu mi considerassi tua amica, Coryn, e così pure Ellessandar.”

“Naell…” esalò il giovane, sgranando sorpreso gli occhi.

Accentuando il sorriso, Naell aggiunse: “Io credo che papà abbia apprezzato molto il tuo coraggio e la tua intraprendenza e, visto che al momento Enerios non ha un degno ministro del commercio, potrei anche decidere di chiedere a mio padre di dare a te tale carica.”

Lo sconcerto sostituì in fretta la sorpresa e Coryn, scuotendo nervosamente le mani dinanzi al suo volto paonazzo, balbettò stentate proteste prima di venire azzittito dalla stessa voce del re che, emergendo dalla notte stessa, dichiarò: “Mia figlia non avrebbe potuto scegliere ministro migliore. Concordo pienamente con il suo dire.”

“Ma… mio Signore! Non sono né degno, né in grado, di portare avanti un simile compito!” esalò sempre più sconvolto Coryn, sbarrando i chiari occhi cerulei di fronte all’espressione sorniona del re.

“Sei un ottimo studioso, hai una conoscenza più che ottimale del regno e delle sue ricchezze, parli correntemente più lingue di quante io ne balbetterò mai e, oltre a questo, hai dimostrato più che ampiamente la tua fedeltà alla corona” replicò con una certa ironia Ruak, affiancando la figlia per poi darle una pacca sulla spalla. “Sono sicuro che sarai un ottimo ministro. E poi, se proprio vuoi rendermi le cose difficili, potrei sempre ordinartelo.”

Coryn a quel punto reclinò il viso e, compito, mormorò: “Lo ritengo un grande onore, sire, e sarò più che felice di mettermi al servizio della Corona. Penso che ora prenderò congedo e mi rifugerò in camera mia per esprimere in privato il mio terrore più che genuino.”

Ruak e Naell risero divertiti e il re concesse al suo neo promosso ministro di ritirarsi in buon ordine, prima di accomodarsi sul bordo della fontana accanto alla figlia.

Ylar si levò scodinzolante per poggiare il musetto sulle gambe dell’uomo e Ruak, nell’accarezzarlo gentilmente, gli grattò le orecchie mormorando: “Hai corso un bel rischio, eh, Ylar?”

Il lupo abbaiò una volta e Naell, ammirando padre e lupo con un caldo sorriso in viso, asserì: “Sono stati giorni terribili… c’era un tale caos, tra qui e il deserto.”

“E tu e i tuoi cugini avete dovuto affrontare tutto da soli, senza confidare ad alcuno i vostri timori” mormorò Ruak, con tono spiacente. “Non era paranoia da matrimonio, la tua, ma terrore nei confronti di un avvenire incerto… e io non l’ho capito.”

Ridendo imbarazzata, Naell replicò candidamente: “Oh, no. Ero veramente terrorizzata all’idea di un mio futuro matrimonio, ma è vero che le mie ansie derivavano anche e soprattutto dalle parole di Hevos. Sapere a dodici anni di dover affrontare, in un futuro prossimo, una tremenda battaglia, non è un pensiero che fa riposare tranquilli.”

Ruak annuì, continuando ad accarezzare Ylar.

“Tua madre mi disse più volte che, a suo modo di vedere, la tua amicizia con Ellessandar era mutata in qualcosa di più profondo ma, non udendo nulla da parte tua, pensavo che Renke volesse vedere cose che, in realtà, non esistevano. Se tu ci avessi detto dei sentimenti che provavi per lui, il consiglio non ti avrebbe mai tartassato come invece a fatto, e io non avrei mai acconsentito a cedere alle mire di Alderan.”

“Avevo paura. Pensavo di essere troppo giovane per lui, inoltre credevo che, l’avermi vista crescere, l’avesse fatto divenire a torto più amico che altro…e io…” borbottò Naell, scalciando nervosamente un sassolino con uno stivale.

“Penso piuttosto che questo sia stato  un vantaggio, per voi due, perché avete potuto conoscervi fin nel profondo, e da amici.”

Nel sorriderle, Ruak le carezzò una guancia e le domandò: “Sei felice, e i tuoi occhi brillano. Ne deduco sia quello giusto, ma te lo chiederò lo stesso. Vuoi sposarlo?”

“Sì” disse soltanto Naell, convinta come poche altre volte era stata in vita sua. “Amo Ellessandar, e amo questa terra. Desideravo con tutta me stessa salvarla dalle grinfie di Nellassat e di Kennadarya, volevo combattere al fianco degli akantaryan, e così ho fatto. Era questa la mia prova e, a quanto pare, l’ho passata con il massimo dei voti. E’ il mio popolo, papà.”

Annuendo, Ruak la attirò a sé per un rapido abbraccio e, nel darle un bacio sulle guance, dichiarò: “Tornerai con noi, quando partiremo per rientrare a casa, ma solo per confortare tua madre circa le tue condizioni di salute. Naturalmente, Ellessandar verrà con noi per ratificare i documenti inerenti il vostro matrimonio, cosicché il consiglio possa azzittirsi una volta per tutte. Inoltre, credo che farebbe bene anche a Rannyl stare in vostra compagnia ancora per un po’. Avete vissuto così tante avventure, insieme.”

“L’avrei fatto anche senza il tuo dire, padre. Non voglio abbandonare Ran, Antalion e gli zii al loro dolore. Anche se sapere Enyl insieme a Hevos è una consolazione, è ancora troppo fresca la separazione da lei, e stringerci in un abbraccio collettivo è il miglior modo per superare questo momento.”

Con un sorriso, aggiunse: “Nel branco, è così che si fa.”

“Credo sia un ottimo metodo” assentì Ruak, lanciando uno sguardo verso il cielo, dove le stelle palpitavano splendenti e la costellazione del Lupo si intravedeva oltre le forme scure del palazzo reale.

Non sapeva dove fosse il regno della Luce, ma sperava davvero con tutto il cuore che la sua adorata nipotina stesse bene e fosse felice.

“Abbi cura di te, piccola cara…” mormorò quasi tra sé Ruak, sorridendo alle stelle.

***

“Lo farò, caro zio” asserì Enyl, ammirando commossa le figure di Ruak e Naell nel giardino del palazzo di Yskandar.

La polla che le aveva mostrato Hevos si era rivelata fonte di grandi sorprese, per lei, e di immensa soddisfazione.

Certo, nessuno dei suoi cari poteva sapere che lei era in grado di vederli, ma era già una consolazione sapere che tutti loro stavano combattendo per recuperare un equilibrio, dopo il vuoto venutosi a creare con la sua mancanza.

“Pensano a te, Enyl?” le domandò Hevos, stringendole una mano per attirarla nuovamente a sé.

“Sì, ma mi sembra che i loro volti siano percorsi da speranza, non solo da tristezza” assentì la giovane, sdraiandosi accanto al corpo nudo e perfetto di Hevos, avvolti entrambi dalla morbidezza dell’erba e dei fiori profumati.

Un’aquila, in lontananza, si librò nel cielo, lanciando il suo grido.

Osservandola pensierosa nell’appoggiare il capo sul torace del suo amore, Enyl mormorò: “Imparerò mai a comprendere le stranezze di questo mondo?”

“Imparerai come feci io quando venni creato, migliaia e migliaia di epoche or sono” dichiarò Hevos, carezzandole gentilmente il contorno morbido di un seno.

La scoperta dell’amore in tutte le sue più diverse sfaccettature, aveva non soltanto reso Enyl felice, ma le aveva fatto sperimentare sentimenti e sensazioni che mai, prima di allora, si era anche soltanto illusa di poter provare.

Hevos era stato gentile con lei, procedendo per gradi per non spaventarla ed esplorando per la prima volta il suo corpo con occhi umani, mani umane, … e godendone pienamente.

Assieme alla sua amata, si era abbandonato ai più caldi piaceri e, tra le sue braccia fiduciose, si era infine perso e ritrovato.

Enyl, come suo solito, l’aveva sorpreso e deliziato, e aveva spinto Hevos a lasciarle campo libero, perché esprimesse pienamente se stessa e i suoi desideri.

Avevano riso insieme, avevano spaventato le timide farfalle con i loro ansiti, si erano tuffati nella vicina polla per puro divertimento.

Sotto il sole di quel meriggio di eterna primavera, stavano ora asciugandosi godendo della reciproca vicinanza.

Scavalcandolo di colpo per poi sedersi sul suo stomaco, le chiome bionde e ondeggianti sparse sul suo corpo come su quello di Hevos, Enyl sorrise maliziosa e mormorò: “Se noi siamo immortali, non ci stanchiamo, vero? Rimanendo qui, intendo.”

Cercato il suo viso con le mani, Hevos lo trovò anche grazie all’intervento di Enyl e, nell’avvertire il suo sorriso dispettoso sotto le dita, il giovane dio asserì pensoso: “Beh, mia diletta, a onor del vero, il tuo ragionamento è corretto. Ma mi domando perché ti sia venuta in mente una cosa simile.”

Enyl rise maliziosa e, nel chinarsi su di lui, stampò un bacio delicato sull’incavo del collo di Hevos, mormorando contro la sua pelle calda e levigata: “Pensavo di sfruttare in modo proficuo il tempo di cui disponiamo.”

“E quale sarebbe il modo da te scelto?” ironizzò Hevos, inarcando impercettibilmente la schiena, quando la sentì assaporare la sue pelle con lievi, dolci baci.

“Te lo mostrerò. E’ più facile” sussurrò allora Enyl, discendendo ancora con la sua bocca.

Il tocco impercettibile di una lacrima sulla sua pelle lo fece però irrigidire e, nel rimettersi immediatamente seduto, con Enyl ancora in grembo, Hevos le sfiorò esitante il viso.

Sospirò poi spiacente quando, sulle gote morbide, trovò fredde perle disperate.

“Enyl, no… non piangere…” mormorò il dio, stringendola a sé in un abbraccio tremante.

Lei singhiozzò, non potendolo evitare.

Con voce incrinata dal pianto, ammise: “Desidero darti tutta la gioia possibile, tutto l’amore possibile per dimostrarti quanto io apprezzi l’enorme sacrificio che tu hai fatto per me. Se potessi, ti ridarei la vista anche subito, ma non posso, non è in mio potere. Però, posso amarti come nessun’altra donna ha mai amato l’uomo che tiene il suo cuore tra le mani.”

Tu tieni il mio nelle tue” le ricordò con dolcezza lui, sfiorandole le labbra umide di lacrime con un bacio. “E, se ascolti bene, esso è lieto, felice, sereno. Non c’è nulla che lo angustia, perché tu sei con me. Non importa se non potrò più bearmi della bellezza del tuo viso, come di quella del Creato. Li ho nella mia mente, nella mia anima, e ciò mi basta. Ho te, il dono più grande di tutti.”

Enyl lo carezzò sul viso, avvertendo tutt’attorno a lui la serenità che proveniva dal suo animo.

Parzialmente pacificata, lo baciò sulle guance, domandandogli: “Non c’è davvero nulla che io possa fare per te?”

Hevos non poté che ridere della sua domanda e la giovane, accigliandosi leggermente, ritrovò immediatamente il sorriso non appena gli sentì dire: “Tutto ciò che fai mi rende felice, per cui…”

Vistasi libera di proseguire, Enyl allora lo sospinse verso l’erba mentre Hevos le sorrideva fiducioso.

Tornando a baciarlo con delicatezza e malizia assieme, procedette nella scoperta di quel nuovo mondo, per lei del tutto estraneo ma che, fino dal primo momento, lei aveva adorato.

***

Le onde si abbattevano sui fianchi della goletta mentre, all’orizzonte, bianche nubi si gonfiavano simili a panna candida e soffice.

Abbandonare Yskandar aveva portato Rannyl a provare un miscuglio dolceamaro di sensazioni.

Nel salutare la famiglia reale, aveva dovuto stringere i denti per non lasciarsi sopraffare dal dolore che aveva percepito con chiarezza nei loro animi.

Stentava a comprendere come, negli anni, sua sorella fosse riuscita a tenere a freno un simile, devastante potere.

Era davvero ben misera persona, lui, al suo confronto.

“Pensieri davvero profondi… hai la fronte aggrottata da far spavento” esordì My-chan, affiancando Rannyl sul mascone di dritta della goletta.

Il giovane sorrise a mezzo alla donna-felino che, ritta al suo fianco e singolarmente bella nella sua unicità, stava osservando il mare dinanzi a sé e la bellissima giornata che li aveva accolti alla loro partenza dal porto.

La chioma fluente, maculata come il resto del suo corpo perfetto, e ricoperto da una soffice peluria, era scomposta dal vento di bolina, ma a My-chan poco importava.

Lei non era una femmina molto interessata a quel genere di problemi, poiché la sua forma semi-umana era solo una parte della vera se stessa, e neppure la più importante.

My-chan era e sarebbe sempre rimasta un renpardo stellato che, solo per caso, possedeva l’incredibile proprietà ancestrale di mutare.

La maggior parte dei renpardi non aveva più simili poteri da secoli e, forse, nessun altro dopo My-chan l’avrebbe avuto.

“Siamo unici. Due gocce in un oceano di creature differenti da noi” mormorò My-chan, continuando a osservare l’orizzonte.

Gli occhi felini che si muovevano impercettibilmente a ogni più piccolo sciabordio del mare.

“Posso capire quanto questa tua diversità ti renda insicuro ma credimi, non sarai mai realmente solo. Hai una famiglia che ti ama, amici fidati e un intero branco ad aspettarti. Lascia che siano le loro braccia a stringerti, non le tue.”

Rannyl si guardò curiosamente e, solo in quel momento, si rese conto di stringere se stesso come se, il solo liberare il proprio corpo da quella stretta, potesse mandarlo in frantumi.

Ghignando, rilassò le braccia fino a stenderle e My-chan, annuendo compiaciuta, asserì: “Verrà un giorno in cui, forse, io troverò un compagno con cui creare un mio branco ma, se ciò non dovesse mai accadere, avrò comunque Naell ed Ellessandar, Erenokt ed Elmassary… voi tutti. Non mi sembra poca cosa, ti pare?”

“No, è un pensiero confortante” ammise Rannyl, lanciando uno sguardo dietro di sé per scrutare le figure poco lontane della sua famiglia.

My-chan ne seguì lo sguardo, annuendo e dando una pacca sulla spalla al giovane.

“Enyl mancherà a tutti, ma sappiamo che è felice con l’uomo che ama e, cosa ancora più bella, abbiamo la certezza che vivrà in eterno con lui. Anche questo è confortante.”

“Sì” annuì soltanto Rannyl, volgendo le spalle all’orizzonte.

Il renpardo sorrise soddisfatto e, nell’avvolgergli la vita con un braccio, si avviò con lui verso coloro che amavano.

“La famiglia non ci lascerà mai soli, Ran, per quanto diversi da tutti loro noi potremo mai essere. La famiglia è amore, e l’amore può arrivare ovunque, anche nei nostri cuori tristi e solitari.”

Rannyl non poté che annuire e, nello stringersela al fianco, si ritrovò a sorridere di vero piacere dacché Enyl era scomparsa dinanzi ai suoi occhi.

Sì, lui ora era il depositario del potere della Luce sul loro mondo.

Questo l’avrebbe reso più unico che raro anche tra le creature più rare tra tutte, ma ciò non doveva spaventarlo perché, assieme a lui, ci sarebbe stata per sempre la sua famiglia.

Il suo mondo.

 

 

  
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