Capitolo 3 – Castore
and Polluce
Nove
agosto.
Esattamente due mesi
prima, quella stessa notte, Sasuke festeggiava assieme ad
Itachi il suo ventiduesimo compleanno.
E a proposito di
compleanni, il minore dei due desiderò come non mai che
sparissero per sempre dalla circolazione, o che almeno potesse
addormentarsi la
sera prima e svegliarsi il giorno seguente, pur di non rivivere le
sensazioni
che i ricordi di compleanni precedenti gli donavano.
Se ne stava steso
sull’erba fresca, guardando il cielo cosparso di stelle.
Erano circa un paio d’ore che se ne stava lì a
contemplarlo, non pentendosi
della mancata partecipazione al falò organizzato da Naruto e
altri compagni.
Non se la sentiva proprio di stare in compagnia, in una serata
così malinconica
nella quale avrebbe celato a malapena il pessimo umore e di certo non
voleva
rovinarla anche al compagno.
L’immensità
di quella distesa oscura e puntellata di meteore luccicanti
estasiava i sensi dell’Uchiha e lo rilassavano profondamente.
Non ci volle
molto prima che decidesse di mettersi a cercare qualche costellazione.
Da piccoli, lui e
Itachi trascorrevano molto tempo a sfogliare libri con le
illustrazioni di insiemi di stelle che formavano delle figure umane,
animali, o
altro, e avevano imparato a distinguerle nelle notti in cui il cielo
era
gremito di stelle.
Decise di fare lo
stesso quella sera, mentre con una mano strappava steli
d’erba al prato costantemente innacquato, alcuni boccioli di
rosa nelle vicinanze,
gli alberi a contornare quella distesa verde: un melo, un pero
e… un ciliegio.
Ringhiò
sommessamente e strappò altri fili, gettandoli con forza sul
terriccio
umido e ridonando la propria attenzione al cielo stellato.
Con l’indice
indicava delle stelle, tracciando dei segmenti immaginari e
congiungendole mentalmente, così che gli apparisse vivida
l’immagine della
costellazione riscontrata.
«Orsa
Maggiore», segnalò la prima; «Orsa
Minore», trovò anche la seconda.
«Polluce,
Alhena, Castore, Tejat Posterior e Mebsuta…»,
elencò, «La
costellazione dei Gemelli… Regolo, Algieba, Denebola, Zosma,
Ras Elased
Australis e Coxa… La costellazione del
Leone…»
«Sapevo che
ti avrei trovato qui», lo interruppe qualcuno alle proprie
spalle.
«Nii-san?»
«Sono
qua».
«Tsk»,
sbuffò, «che perspicacia».
«Noto con
piacere che le mie parole sono ancora impresse dentro te,
otouto», pronunciò
con fierezza, ignorando l’ironia dell’altro,
«quindi sai ancora parlarmi di
queste costellazioni?»
Sasuke
annuì e, dopo aver preso un respiro profondo,
iniziò a parlare.
«La
costellazione del Leone si trova tra quella della Vergine e del Cancro,
sull’eclittica solare. Secondo il mito di Eratostene e Igino,
il leone fu posto
nel cielo perché re degli animali e si ritiene che sia il
leone nemeo,
sconfitto da Ercole nella prima delle sue dodici fatiche. Nemea si
trovava a
sud est della città di Corinto e le persone lì
sparivano a vista d’occhio a
causa di questo leone che si nascondeva in una caverna dotata di due
aperture.
Un giorno uscì e si addentrò nel bosco, dove vi
trovò Ercole: riuscì a
distruggergli l’armatura con i propri artigli e a strappargli
un dito, ma
Ercole lo afferrò per la criniera e il re di Nemea fu
sconfitto. Da allora, fu
posto da Zeus nei segni zodiacali e formò la costellazione
del Leone. Al giorno
d’oggi, invece, questa costellazione può essere
interpretata come l’avvento di
una primavera, di un periodo particolarmente sereno della vita di una
persona.
La stella più luminosa della costellazione è
Regolo, che emana una luce
azzurrina e raggiunge l’apoteosi della sua
luminosità ogni diciassettemila anni».
«E
Gemelli?»
«La
costellazione dei Gemelli è attraversata
dall’eclittica e si trova tra le
costellazioni del Toro, del Cancro, dell’Auriga, della Lince,
dell’Unicorno e
del Cane Minore. Nella mitologia i Gemelli erano Castore e Polluce, i
Dioscuri,
cioè i figli di Zeus; i due crebbero insieme e nessuno dei
due agiva senza
prima consultarsi con l’altro, né litigarono mai.
I due gemelli si unirono alla
spedizione di Giasone e degli Argonauti per la conquista del vello
d’oro,
riuscendoci dopo che Polluce, grazie alla sua bravura
nell’arte del pugilato,
riuscì a sconfiggere Amico, lo sbruffone più
sbruffone di tutti. Tante furono
le avventure che li resero i gemelli inseparabili e invincibili, ma
durante lo
scontro contro un’altra coppia di gemelli, Castore fu
trafitto da una spada e
morì. Polluce pianse la morte del gemello e poi decise di
chiedere a Zeus
l’immortalità per entrambi; il dio li
accontentò, ponendoli nel cielo. Vengono
raffigurati abbracciati, indivisibili per
l’eternità. Le orbite delle stelle di
Castore e Polluce s’intersecano solo una volta ogni mille
anni e solo allora…
Ma, Itachi…»
«Sì,
otouto: quelle sono le stelle Castore e Polluce, i due
gemelli».
Due stelle, una bianca
e una arancione, si avvicinavano sempre più e mancava
poco ormai prima che la più piccola si trovasse tra le
braccia della più
grande, coprendone la parte centrale e lasciando che la luce arancione
si
intensificasse attorno alla propria forma.
«Che
spettacolo…»
«Un doppio
spettacolo», lo corresse il maggiore, sedendosi al suo fianco
e
cingendogli la vita con un braccio; poi
prese a carezzare un lembo di pancia e il fianco destro, alzandogli di
poco la
maglietta che indossava e lasciando che il più piccolo gli
si accoccolasse tra
le braccia, estasiato dalla magnificenza di quello spettacolo galattico.
«Doppio
spettacolo, già».
«Per me sei
tu la stella più bella di tutte, otouto».
Il diciassettenne
alzò lo sguardo e incontrò quello sincero del
fratello. Se
una parte di lui era colma di disprezzo per quello che aveva visto un
paio di
settimane prima, prevaleva comunque quella pregna d’amore;
quel lato di lui che
amava Itachi come un fratello non
dovrebbe fare. E il batticuore aumentò notevolmente e la
percezione sensoriale
calò in maniera drastica: non esisteva più nulla,
se non la figura di Itachi, i
suoi occhi, il suo profumo, il suo respiro sulla pelle del minore, i
capelli
lunghi legati in una coda bassa e alcune ciocche che cadevano
deliziosamente
sul viso, il colorito eburneo, le mani grandi e le braccia forti.
«Nii-san…»,
tentò Sasuke, ma fu interrotto dall’indice di
Itachi posato con
leggiadria sulle proprie labbra, l’intenzione di farfugliare
qualche parola
sconnessa del più piccolo disintegrata
in un battito di ciglia.
Rimasero in silenzio
per un tempo indefinito, il più piccolo disteso tra le
braccia del più grande che gli carezzava i capelli in
maniera soave, il
bisbigliare di Itachi trasformatosi in un canticchiare canzoni
ugualmente
sottovoce, il fiato che solleticava la cartilagine delle orecchie del
diciassettenne,
il calore che gli infondeva, delle stelle cadenti e desideri espressi,
nella
speranza che fossero esauditi. O delle richieste telepatiche
all’unica persona
che poteva intendere qualunque cosa di sé senza bisogno di
parlare, sbuffare di
continuo, gesticolare né niente.
«Non sono
fidanzato, otouto», affermò il maggiore, assorto
nei propri pensieri
e perso nell’immensità del cielo. Sasuke, dal
canto suo, si voltò
immediatamente verso di lui e lo guardò in maniera
stralunata.
«E questo
cosa c’entra adesso, Itachi?»
«Eri tu a
volerlo sapere, quattro anni fa», rammentò,
«e io non ti ho mai tolto
il dubbio».
«Non
sembravi tanto single, il ventidue luglio scorso con Sakura», sputò
con amarezza.
«Hai una
visione solo sentimentale del sesso, otouto?»,
domandò incuriosito
dall’affermazione convinta del fratellino. «A
pensarci bene, non ne abbiamo mai
parlato prima d’ora».
«Di certo
non farei sesso col primo che mi capita davanti!»
Due furono le domande
che piombarono nella mente di Itachi, ma avrebbe dato
tempo al tempo e avrebbe riservato la domanda cruciale a qualche minuto
più
tardi.
«Credi che
abbia pescato dal ciglio della strada Sakura?»
«Non mi
sorprenderei», sbuffò stanco il minore.
«Lo dici
solo perché l’hai beccata in
atteggiamenti… ambigui e l’hai conosciuta
come “la ragazza che vuole scoparsi mio
fratello”».
«NON
È VERO!», ribatté sicuro Sasuke,
lanciando uno sguardo inceneritore al
fratello che, nello stesso istante, gli prese una mano e
iniziò a giocherellare
con le sue dita.
«Sì,
invece, se tu la conoscessi, concorderesti con me: è una
brava ragazza,
disponibile e intelligente».
«Non mi
interessa, Itachi».
«E cosa ti
interessa? O meglio, chi
ti interessa?», il ventiduenne colse la palla in balzo e
rigirò la frittata,
ponendogli il fatidico secondo quesito; al che il fratellino
impallidì ancor di
più di quanto non fosse già di suo e trattenne il
respiro per qualche istante,
la bocca spalancata mentre sicuramente era alla ricerca di una risposta
plausibile.
«N-nessuno».
«Menti a tuo
fratello?»
«Non ti sto
mentendo».
«E io sono
solo un’illusione: il vero me è a casa».
«Plausibile».
«Impossibile,
otouto. Dimmi, per caso ti piacciono i ragazzi?»
Beccato.
«Fatti gli
affaracci tuoi!»
«Ti
piacciono i ragazzi».
«Taci!»
«Hai
già avuto rapporti?», Itachi
s’irrigidì, capendo solo dopo che la risposta
di Sasuke avrebbe potuto cambiare le carte in tavola; voleva davvero
saperlo?
«Ribadisco:
fatti gli affari tuoi, Itachi!», Sasuke sembrava
già più calmo,
mentre si ridestava controvoglia; il maggiore se ne rese conto e lo
forzò a
rimanere, e l’altro non ribatté.
Calò di
nuovo un pesante silenzio attorno a loro, interrotto soltanto dal
fievole rumore delle onde in lontananza, le foglie degli alberi mosse
dalla
brezza d’agosto, i loro respiri, gli steli d’erba
mossi dai piedi del diciassettenne
e il bubolare di un gufo.
«Vieni con
me, Sasuke», lo invitò il ventiduenne dopo un
po’, alzandosi e
porgendogli una mano; dal canto suo il minore, mordendosi le labbra e
indispettito dall’eccessiva premura di Itachi,
poggiò stancamente le mani sul
terreno e facendo leva sulle proprie braccia, si rialzò. Si
pulì distrattamente
i pantaloni e la maglietta, sistemò la corta chioma corvina
e si limitò a seguire le orme invisibili lasciate
dal
nii-san; non avrebbe mai ammesso che, più che guardare i
suoi passi o ricordare
a memoria la strada di casa, il più piccolo si affidava
all’olfatto,
inebriandosi dell’odore mascolino del fratello.
Il più
grande rallentò un po’, permettendo al suo otouto
di raggiungerlo e
rimanere al passo. Camminarono così, fianco a fianco in
perfetto silenzio, sino
a quando non giunsero nella propria dimora; in un tacito accordo, si
sfilarono
con lentezza spossante le scarpe e Sasuke fu il primo a raggiungere la
scalinata.
Salì appena due scalini, poi si voltò verso il
fratello che lo stava
raggiungendo. Itachi sostò dapprima sullo scalino
più in basso, poi attirò il
minore a sé facendolo scendere e abbracciandolo forte, quasi
stritolandolo;
senza però fargli male. Le mani calde del ventiduenne si
adagiarono sul viso
mingherlino e d’alabastro del minore, adattandosi alle forme
delle guance
lievemente arrossate e alzandogli il capo; remissivo, il ragazzino
issò il viso
di sua spontanea volontà, lasciandosi andare alle docili
blandizie degli arti
carnosi e morbidi del maggiore. I loro occhi s’incrociarono,
s’incatenarono per
davvero dopo tanto tempo trascorso ad evitarsi, effetto scaturito
perlopiù
dall’incertezza di Sasuke; e fu allora che Itachi
intuì la concreta realtà dei fatti.
Senza alcuna fretta e
con una rincarata dose di assoluzione, avvicinò piano la
propria fauce a quella dischiusa e desiderosa del fratellino;
cercò un
qualunque cenno di marasma o titubanza, ma non ve ne scovò
nemmeno in minima
parte. Una delle sue mani si posò sulla nuca
dell’altro, attirandolo a sé con
un lieve tocco e delle carezze appena accennate, senza smettere nemmeno
quando
finalmente, dopo la separazione forzata e necessaria, congiungendo le
loro
labbra, si ritrovarono.
E quel bacio fu il
simbolo del ricongiungimento più agognato e strepitoso che
potesse esistere sulla faccia della Terra. Un’invasione
perpetua di emozioni
contrastanti, uno scambio reciproco di affetto fraterno e amore puro;
un amore
sbagliato, condannato per la consanguineità,
perché erano due semplici fratelli
e non potevano assolutamente pensare nemmeno
ad anni luce di distanza di
potersi lasciar andare in una maniera del genere.
Eppure una forza
maggiore rispetto alle proprie li induceva a stare uniti,
permettendo alle loro lingue di incontrarsi, rincorrersi, leccarsi,
assaporarsi, lasciare scie roventi sulle labbra dell’uno e
segni di denti su
quelle dell’altro, le mani diafane di Sasuke che stringevano
con forza il collo
e carezzavano con dolcezza i capelli ordinati del più
grande; quella voglia
matta di marchiare l’uno e l’altro e poter dire:
«Lui è mio».
E la libidine del
momento, capace di scacciar via il più assurdo e doloroso
pensiero, che diede la forza ad Itachi di prendere in braccio il
fratello, unendo
le proprie mani tra i glutei e il posteriore dell’altro, e a
Sasuke di
agganciare le proprie gambe lunghe al bacino del fratello, le braccia
attorno
alle spalle e le labbra instancabilmente in collisione.
Il ventiduenne
concluse la scalinata e si apprestò a raggiungere la propria
stanza, incoraggiato dagli ansimi del più piccolo e dagli
«Itachi…» sussurrati
al proprio orecchio, mentre con maestria leccava e succhiava il lobo.
Stesisi sul letto,
Sasuke non perse tempo e liberò il petto del fratello da
quell’ingombro che era la maglietta e poi scese a carezzargli
la pancia; si
alzò a sedersi per accarezzare la schiena del fratello e
baciargli il petto,
succhiandogli i capezzoli e giocherellando, lasciandosi andare a
ciò che il
proprio istinto lo induceva a fare. Il più grande senza
fatica attuò lo stesso
procedimento con la maglietta del fratellino, accarezzandolo con
frenesia e
baciando e leccando il busto, lasciando scie roventi di saliva al suo
passaggio.
«Otouto…»
«Nii-san…»
«Perché
non me l’hai mai detto?»
Sasuke
arrossì vistosamente e, nonostante il buio della camera, il
fratello lo
intuì.
«Itachi…»
«Non devi
vergognarti di me, Sasuke».
«Mh».
«Otouto, ti
prego, parlami», Itachi gli lasciò un dolce bacio
a fior di labbra,
che venne ben presto approfondito dal più piccolo, che aveva
tutta l’intenzione
di far cadere il discorso; ma il più grande non
gliel’avrebbe data vinta.
«Nii-san!»,
protestò il diciassettenne non appena il fratello si
staccò da lui,
insistendo con lo sguardo a voler sapere tutto ciò che
taceva… da ormai troppo
tempo.
In effetti nemmeno
Sasuke stesso sapeva da quanto provava tutto ciò, era
semplicemente qualcosa covato dentro sé, sopito ancor prima
che potesse
sbocciare, ignorato e ricordato in determinati istanti della propria
vita e
riemerso un paio di settimane prima; grazie
a quella brava ragazza di Sakura.
«Ti
ascolto», ribadì il maggiore.
«Mpf, non
c’è niente da dire!», lo
aggredì Sasuke, scostandosi con poco garbo e
spalancando gli occhi, non appena lucidamente rielaborò
ciò che stava accadendo
tra loro; ma c’era anche qualcosa in basso che lo induceva a
non sconvolgersi e
a non tirarsi indietro.
«Oh,
sì invece. Ad esempio, da quand’è che
ti sei accorto di, come dire…
provare certi sentimenti per me?», lo provocò.
«M-ma cosa
vai blaterando!»
«Sasuke,
smettila di fare il bambino», lo richiamò Itachi.
«Non lo so!
Non ne ho idea, okay? So solo che… argh!»,
sbuffò esasperato il
minore, «So solo che…»
«Otouto,
guardami», lo pregò il nii-san, «va
tutto bene, sono sempre io».
«So solo che
tu sei perfetto, Itachi e che ti…»,
tossì, «Che ti voglio e non
sopporto il pensiero che qualcun altro possa toccarti, baciarti, averti
per sé…»,
digrignò i denti e a stento trattenne un ringhio, le mani
serrate attorno al
tessuto dei jeans che aveva indosso, quelle di Itachi tra i suoi
capelli.
«L’hai
fatto con Naruto?», domandò al fratellino,
accarezzandogli una guancia e
nascondendosi nella penombra della propria imperscrutabilità
e la pacatezza
invidiata da chiunque.
Silenzio.
«Io…»
«Rispondi,
Sasuke», ordinò con fermezza.
«…
Sì», ammise controvoglia il più
giovane, non trovando la forza di mentire
ancora.
Itachi
sospirò.
«Non sei
arrabbiato con me, vero, nii-san?», si premurò di
domandargli Sasuke,
avvicinandosi sul letto e mettendosi a cavalcioni sul corpo rigido del
maggiore. Deglutì a fatica e continuò a fissarlo,
ma ogni suo respiro, ogni
espressione era così indecifrabile; il che era avvilente,
data l’ottima capacità
di intuizione di Itachi quando si trattava del fratellino.
Senza emettere alcun
suono, il ventiduenne ribaltò le posizioni, coprendo
il fratello e fungendo quasi da protezione al suo
corpo in fase di sviluppo,
carezzandogli il petto e rubandogli un bacio lento e profondo,
successivamente
trasformatosi in uno pieno di libidine, passione e rudezza.
«Tu sei solo
mio», ribadì, «lo sei sempre stato e
sempre lo sarai».
«Allora
fammi tuo…», Sasuke spalancò gli occhi
e si coprì il viso con le mani,
mordendosele con forza, «Ah, ma che cavolo mi fai dire,
nii-san!»
«Lo vuoi
davvero?», chiese Itachi.
Il diciassettenne si
prese qualche attimo prima di sentenziare, estremamente
imbarazzato: «Sì».
«Otouto,
svegliati», Itachi scosse con leggerezza il fratellino, che
si ridestò
quasi in automatico e con un sorriso sincero stampato sul volto,
«vieni con me».
Ancora mezzo
addormentato, il più piccolo lasciò che il
maggiore lo issasse dal
caldo giaciglio, senza curarsi di dove lo stesse portando e per quale
ragione;
semplicemente gli si concesse di nuovo. Avrebbe potuto fare tutto
ciò che
voleva: lui non si sarebbe opposto.
«Itachi…»,
soffiò il suo nome appena sul collo del fratello,
rannicchiandosi
contro il suo corpo caldo, il suo porto sicuro.
«Siamo
arrivati, Sasuke», così dicendo, il minore si
trovò seduto tra le gambe
lunghe del fratello, i loro piedi nudi che si strusciavano e
solleticavano, i
capelli del più piccolo sul mento di Itachi, le mani del
più grande attorno al
petto nudo del fratello.
«Da quanto
tempo…», osservò il ragazzo dai capelli
corti, guardando in estasi
il turbinio di colori chiari e caldi nel cielo rischiarato dalle prime
luci del
sole, il silenzio più idilliaco di tutti nell’arco
delle ventiquattro ore della
giornata.
«Mi sembrava
opportuno farlo, otouto».
«Portarmi
qui?»
«Sì»,
disse, carezzandogli una guancia e girandogli il viso, così
da lasciargli
un bacio sulle labbra, «ohayougozaimasu».
«Ohayougozaimasu»,
rispose il minore.
Il sole sorse con
lentezza, infondendo tranquillità nei cuori scalpitanti dei
due fratelli, immobili e abbracciati, le mani congiunte, le menti perse
in vari
pensieri.
«Non
sarà mai facile, vero?»
«No, otouto.
Nessuno dovrà mai sapere di noi».
«Cosa
c’è di sbagliato?!», Sasuke capiva,
eccome se lo faceva, eppure non se ne
capacitava; perché non doveva essere libero di amare la
persona che lo faceva
stare bene, che gli stava sempre accanto nonostante i suoi modi
discutibili, il
suo pessimo carattere, la sua infantilità che veniva fuori
specialmente nei
momenti meno opportuni e, cosa più significativa di tutte,
che ricambiava il
suo amore profondo?
«Siamo
fratelli, Sasuke, un rapporto del genere è malsano e
proibito».
«Ma non mi
pare tu ti sia tirato indietro, questa notte!», lo
assalì Sasuke,
ferito dalla freddezza riscontrata in quelle parole, l’atonia
del maggiore a
ghiacciare il paesaggio circostante nonostante fossero in pieno agosto
e il
sole sempre più alto in cielo.
«Nemmeno tu,
otouto».
«Non ne ho
mai avuta l’intenzione, se è per
questo!», si trovò a confessare.
«Credo tu
abbia frainteso le mie parole».
«Oh, no,
Itachi, io ho capito benissimo! Ti stai pentendo di ciò che
è successo
perché ero lo sfizio di una nottata, mentre quella Sakura
è la persona che vuoi
veramente! E per chissà quale ragione non l’hai
riportata qui e non te la sei
scopata! Fallo, sentiti pure lib…»
«Sasuke,
ricordi le mie parole di quattro anni fa?», lo interruppe con
tono
quieto Itachi, carezzandogli le braccia e prendendo a fargli rilassanti
grattini.
«Smettila di
ignorarmi!»
«Non ti
lascerei mai per una qualunque, tu sei la persona più
importante per
me; ti proteggerò e ti amerò per sempre…»,
marcò le ultime quattro parole baciando il collo del
fratello e stringendo la
presa del suo abbraccio, appoggiando poi il mento sulla sua spalla e
cercando
uno sguardo che il più piccolo si rifiutò di
donargli; almeno per il momento.
«Io
non…»
«Aishiteru,
otouto».
«Nii-san!»
«Non
dimenticarlo».
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Giappo-glossario:
Ohayougozaimasu:
buongiorno.
NB:
La mia
intenzione iniziale era quella di stabilire un anno di nascita per
Sasuke e Itachi, così da ritrovarmi ad assegnare loro il
segno zodiacale
giapponese. Siccome non ho dato una collocazione annuale precisa,
nonostante
sia un’Alternative Universe ai giorni odierni, e non solo
avrei dovuto
intersecare i loro anni di nascita con l’uscita, ad esempio,
del profumo
Obsession Night eccetera, ho preferito usare i segni zodiacali nostri.
E
aggiungerei anche il fatto che ci sono le costellazioni di questi due.
L’argomentazione
e la descrizione delle due costellazioni l’ho scritta
ricavando informazioni da Wikipedia; per esigenza, ragioni di trama, mi
sono
permessa di inventare dei dettagli. Ad esempio: la stella
più luminosa della
costellazione del Leone raggiunge l’apice del proprio
splendore ogni 17.000
anni, o che le stelle di Polluce e Castore saranno ferme sullo stesso
punto
ogni 1.000 anni; il buon augurio dato dalla prima costellazione citata:
aggiunta mia. Anche il vederle in agosto, durante la notte di San
Lorenzo, è
una licenza che mi sono concessa per ragioni di trama: la costellazione
dei
Gemelli si vede soltanto in febbraio (circa il 20), mentre quella del
Leone in
aprile (il 15). Anche il vedere determinate cose ad occhio nudo
è una mia
scelta per riferimenti ai due fratelli, come infatti si nota
l’intersecazione
tra le stelle dei Gemelli.
I battibecchi tra i
due fratelli rendono una vaga idea di come sarebbe stato il
loro rapporto se non fosse stato Itachi ad uccidere i genitori e se
Sasuke non
fosse diventato un decerebrato idiota.
“Aishiteru,
otouto” è sempre tratto dal capitolo 590 del manga.
Note dell'autrice:
Hello, dear readers! How r u? ... Okay, scusate, torno a
parlare in italiano. Come state? Vi sono mancata? °-°
Sto dando di matto ultimamente *ç*
Comunque sia, il mio umore nemmeno oggi è dei migliori
(direte voi: ma ci sarà una cazzo di volta in cui stai bene?
ebbene (?) è un evento raro!) per cui non sarò
particolarmente loquace. Ma approfitto ancora per ringraziare coloro
che hanno recensito e aggiunto la storia tra le preferite e le seguite
^^
Pubblicherò il prossimo capitolo il giorno 17
marzo!
*regala abbracci a chiunque e si chiude nel suo mutismo*
Bacioni, Giacos.