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Autore: Redemption    14/03/2013    0 recensioni
Raccolta di eventi incentrati sulla vita di una ragazza di nome Nicole, dal concepimento alla morte. I fatti verranno narrati dal punto di vista non solo della 'protagonista', ma anche da quello di diversi personaggi, sia principali che secondari.
Buona lettura.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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«Amore, dici che Nicole sia il nome adatto per nostra figlia, vero?» chiedo a mio marito abbozzando un sorriso imbarazzato, sentendo già il calore del rossore sulle mie guance. Menomale che non uso fard, a quest'ora sarei stata un peperone arrosto! Lui annuisce con lo sguardo perso nel cielo, a pensare chissà cosa, chissà chi, con il verde spento dei suoi occhi che hanno sofferto tanto, e io involontariamente mi infastidisco. Detesto quando si comporta così, quando non mi rende partecipe dei suoi pensieri. Potrebbe farmi capire quello che vuole, ma infondo, so cosa gli passa per la testa in questo momento. Non è solo lui che due anni prima, provò tutto il dolore che in pochi giorni oscurò quel cielo estivo, come le prime nuvole di Ottobre che dipingono il cielo prima azzurro di un grigio morto, impassibile. Quel grigio perfido che portò via il nostro primo bambino, quasi come se volesse provare a imporsi su tutto ciò di chiaro e splendente che fino a poco tempo prima, aveva rischiarato le nostre giornate. «Questa volta andrà tutto bene, te lo prometto» gli dico io, con la voce rotta da quel maledetto groppo in gola che sale e sale come se in un secondo avesse scalato la mia laringe come uno sherpa. Lui mi sorride, e mi passa una mano dietro la testa, fino a far avvolgere suo braccio sulle mie spalle. Adesso ci sentiamo tutti e due un po' più tranquilli, confortati dal nostro amore, e dalla nostra piccola speranza. Il primo venticello autunnale soffia delicato, quasi a chiedere il permesso per poter tornare di nuovo, e qualche foglia cade giù dagli alberi, forse troppo prematuramente. Seduti su questa panchina, abbiamo passato il pomeriggio nella villetta alberata della nostra cittadina, tanto per prendere un po' di fresco, visto che ormai essendo fine Settembre il sole non batte poi così forte come i mesi precedenti. «Non vedo l'ora di ritrovarmela tra le mie braccia, è quello che adesso desidero di più» mi dice all'improvviso lui, passando la grande mano sul mio altrettanto grande pancione, dove da sette mesi e mezzo Nicole riposa. «Ogni tanto me la immagino qui dentro, sola e annoiata che si chiede quando sarà l'ora di uscir fuori» squillo io a mio marito, sorridendo appena. Lui scende di poco la mano, quasi ad arrivare al basso ventre ormai fuori misura, e inizia a muovere velocemente e delicatamente le dita, cercando impacciato, di far il solletico alla piccola dormigliona che ogni tanto si fa sentire in pancia, muovendosi dentro la placenta. «Se la svegli e inizia a scalciare poi te la sopporti tu» gli dico facendo finta di essere arrabbiata, riuscendo nel mio intento. Lui alza le mani, proclamandosi colpevole, e torna a tenermi stretta dalle spalle. Ridiamo di poco, abbiamo anche paura di farlo.

Cala quindi il silenzio per contemplare quegli istanti di tranquillità, e socchiudo gli occhi un attimo, il tempo di riposarmi. Sento qualche uccellino cinguettare, il respiro mio e del mio amato, i rami degli alberi che si muovono, e delle voci. Voci appena arrivate. Ma chi sarà mai? Curiosa, apro gli occhi, e scorgo davanti a me un gruppo di strani ragazzi che si siedono nella panchina di fronte alla nostra. Aggrotto le sopracciglia e inizio ad osservarli, perplessa. Sono in cinque, e avranno tutti all'incirca tra i sedici e i vent'anni. Vestono quasi tutti alla stessa maniera: pantaloni scuri o jeans e magliette a maniche corte nere, con le copertine di gruppi musicali disegnate addosso. «Ti immagini Nicole vestita in quel modo? La caccerei di casa, quelli sono degli scapestrati, gentaglia da evitare, maleducati, pazzi!» esclamo io, guardandoli di sottecchi. Credo che due di loro siano una coppia, visto le effusioni che si scambiano, anche se il maschio tiene in mano una chitarra. «Ma guarda quei due! Il ragazzo ha i capelli più lunghi della sua fidanzata, li vedi? Ma che fanno, non si lavano? Non ci vanno mai dal parrucchiere?» che vergogna, come li hanno cresciuti i loro genitori? Spero solo di non ridurre mia figlia così. Mio marito rimane in silenzio, li guarda sì, ma non sembra poi così tanto interessato. Non li conosco, non li voglio conoscere e non voglio avere niente a che fare con loro, ma mi urtano, mi danno fastidio. Uno di loro addirittura inizia a urlare 'puttana' a una povera ragazza che passava di lì, molto fine e raffinata, con dei lunghi capelli castani. Che maleducato, ma come si permette? Mi verrebbe da rimproverarlo, dargliene due in faccia e insegnargli come si ci comporta! «Io non riuscirei mai a immaginare la mia piccola Nicole che va in giro vestita così, a fare la pazza. Le spezzerei i piedi. Che poi questi chi sono, i metallari? Quelli che ascoltano musica dei pazzi che non è neanche musica? Gesù, Giuseppe e Maria, non ci voglio neanche pensare! Nicole che suona la chitarra, che canta le canzoni dei pazzi, che va ai concerti dei pazzi con altri pazzi» sussurro io sbigottita, con gli occhi spalancati che guardano quel gruppo di ragazzacci alzarsi e andare via, chissà dove, forse a fare i riti satanici da qualche parte. «Cose da pazzi, insomma» sentenzia la mia dolce metà, quasi a schernirmi, arricciando le sottili labbra e socchiudendo di poco gli occhi. Sembra che mi stia prendendo in giro. «Che hai adesso? Mi prendi in giro? Ho esagerato vero? Hai ragione, perché devo pensare così in negativo? Nicole non sarà mai come loro».

Ma no, sarà perfetta, come io la immagino.

Non amerà la musica, no.

Amerà studiare, e passerà il tempo sui libri, sperando di raggiungere sempre il meglio a scuola.

Vestirà di rosa, di azzurro e di giallo, e giocherà a mamma e figlia con le sue amiche, allontanando i maschietti.

Poi troverà un ragazzo, uno di quelli belli, intelligenti, di buona famiglia, che magari ha anche i soldi, anche se non ne avrà bisogno, visto che sarà laureata all'università in qualche facoltà prestigiosa, trovando un bellissimo lavoro che le frutterà tanti soldi. E abiterà anche vicino a me, così potrò averla sempre accanto.

No, non suonerà né canterà, non ce la vedo. Non dovrà assolutamente fare una cosa del genere.

Sarà dottoressa, o insegnante.


 

«Io spero solo che segua i suoi sogni. Bisogna sempre render conto al proprio cuore».


 

Sono queste le parole che riecheggiano nelle mie orecchie, parole pronunciate da mio marito, che segue con gli occhi quel gruppo di scapestrati che ridono e si danno spintoni. Io lo guardo, stupita, amareggiata, forse un po' confusa, ma non rispondo. Non saprei cosa dire.

Non ancora. Forse dovrei aspettare la nascita di mia figlia. Di nostra figlia.

Non riesco più ad aspettare, non ci riesco. Ho bisogno di accarezzarla, di stringerla, di vederla crescere e diventare una piccola donnina.


 

Nicole, ti prego. Non mi deludere.

  
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