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Autore: SeleneLightwood    14/03/2013    7 recensioni
Blaine Anderson ha diciannove anni ed è uno studente di letteratura alla NYU, scrittore in crisi da pagina bianca.
Quando una sera è sul punto di arrendersi, il protagonista del romanzo che sta scrivendo da una vita salta fuori dalla storia e finisce nel suo soggiorno, ricoperto di scritte e grondante d'inchiostro.
Che succede quando ti innamori di qualcuno che non esiste?
"Ci sono delle volte in cui Blaine riesce ancora a sentire l'odore di carta e inchiostro sulla pelle di Kurt".
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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PAPER AND INK

 

 

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*



New York, East Village

22 settembre 2013

 

Non appena Blaine si riscosse ed ebbe la prontezza di riflessi di accendere la luce, il ragazzo al centro della stanza sobbalzò come se fosse stato colpito da una scarica elettrica. 

La possibilità di osservarlo chiaramente non lasciava spazio a molti dubbi: per quanto la cosa fosse sconvolgente e il suo cervello si rifiutasse di ammetterlo – tu sei pazzo, Anderson, devi essere scivolato sotto la doccia e aver preso una bella botta in testa – sotto allo strato di inchiostro che gli macchiava la pelle e le cicatrici scure che la percorrevano c’era Kurt.

Ma Kurt non esisteva, non era mai esistito: era frutto della sua immaginazione, una creatura nata dalla sua mente che aveva preso sulle proprie spalle il peso di una storia da raccontare attraverso un libro. Nulla più.

Eppure più reale di così, immobile ed impaurito al centro del suo soggiorno, proprio non poteva essere.

Blaine  ricordava di aver aggiunto i dettagli dell'aspetto fisico del protagonista del suo romanzo quasi per caso; sovrappensiero, ecco, facendo scivolare le descrizioni tra una frase e l'altra come se la penna, come se le sue mani sulla tastiera, fossero guidate da qualcun altro.

Ora quelle  risultavano essere alcune delle caratteristiche fondamentali di – beh, Kurt?, tanto che l'avrebbe riconosciuto ovunque: il naso all'insù, gli occhi chiari come l’acqua ed altrettanto incredibilmente luminosi, dal taglio un po' obliquo, la linea perfetta della mascella, le labbra sottili.

Persino i vestiti che indossava e il modo in cui gli occhi si arrossavano quando era spaventato o stava per piangere lo rendevano così terribilmente Kurt Hummel da fargli quasi paura.

Era come se fosse saltato fuori da solo dall'ultimo capitolo, o direttamente dalla sua mente.

Sicuramente stava sognando. Non era possibile.

Non era. Non.

Lo era?

Non era possibile che tutto quello fosse vero, eppure c'era un ragazzo stupendo, incredibilmente identico al suo protagonista, che lo fissava impaurito e spaesato dal suo angolino vicino al tavolo, e Blaine indossava nient'altro che un asciugamano in vita. Ed era armato di una spazzola.

Tutto divenne terribilmente reale quando il primo singhiozzo scivolò dalle labbra del ragazzo – Kurt, Dio, è Kurt - e questi fece un passo indietro, forse nel tentativo di scappare, chissà.

Non riuscì ad andare da nessuna parte: le ginocchia gli tremavano talmente tanto che quando tentò di spostarsi non seguirono il movimento e non ressero più il suo peso: scivolò in ginocchio e si accucciò ai piedi del divano, singhiozzando più forte.

Blaine rimase immobile come una statua ad osservare il modo in cui il ragazzo si avvolse le ginocchia con le braccia, come per proteggersi, senza avere la più pallida idea di cosa fare. Non esisteva nessun protocollo in grado di spiegare come comportarsi quando il tuo protagonista salta fuori dal libro che stai scrivendo e finisce per avere un crollo psicologico nel tuo soggiorno.

"Oh, Dio” rantolò Kurt chiudendo gli occhi. Lasciò che le prime lacrime gli scivolassero lungo le guance e affondò il viso nell’incavo che si era creato tra il suo petto e le ginocchia.

Fu la sua voce rotta, spezzata, sbagliata eppure in qualche modo stupenda a svegliare Blaine dal suo stato di shock. Poteva essere lui come poteva non esserlo, ma era pur sempre reale e forse era persino ferito.

Che diavolo stava facendo ancora lì in piedi?

La spazzola gli sfuggì dalle mani e finì a terra con un tonfo. Blaine scattò in avanti e cadde in ginocchio davanti al ragazzo, sollevando le mani e lasciandole a mezz’aria senza sapere come avrebbe reagito l’altro se avesse provato a toccarlo.

“È tutto ok” provò a gracchiare debolmente nonostante la gola fosse chiusa in una morsa e il suo intero corpo dolesse per l’improvvisa necessità di toccarlo e assicurarsi che stesse bene. Non lo conosci neanche.

“Sei al sicuro, non voglio farti del male” aggiunse, spostando freneticamente lo sguardo lungo il corpo di fronte al suo alla ricerca di ferite o sangue. Cerca di mantenere la calma, non è il momento di dare di matto. Non ora, Blaine.

Kurt – forse, sottolineò la sua mente con testardaggine – fu scosso da un brivido e si strinse di più le braccia intorno al corpo, cercando di appiattirsi contro il divano il più possibile mentre i suoi respiri veloci erano spezzati dal pianto.

Aveva un attacco di panico.

E Blaine sapeva cosa fare, doveva riuscire solo a-

“Va tutto bene” ripeté cercando con difficoltà di mantenere un tono calmo e rilassante, quasi conciliante, e allo stesso tempo ignorare la voce nella sua testa che gli gridava che era pazzo. “Non può succederti niente, qui sei al sicuro. Devi aiutarmi, però, ok? Fai dei respiri profondi”.

Kurt all’inizio singhiozzò più forte ma dopo mezzo minuto in cui Blaine continuò a sussurrargli “È tutto ok” come un mantra, stando attento a non toccarlo, riuscì a prendere un respiro tremolante, quasi inaudibile al di sopra del rumore della pioggia. Blaine osservò attentamente mentre il ragazzo lo lasciava scivolar via dalle proprie labbra insieme ad un singhiozzo.

Stava cercando di seguire le sue direttive. “Sì, così, perfetto. Inspira, respira. Piano” ordinò dolcemente. I muscoli di Blaine stavano finalmente riprendendo sensibilità e avrebbe voluto sospirare di sollievo, ma la strada era ancora lunga e non sapeva se lui fosse ferito o meno, perciò cercò di stamparsi in faccia il più convincente e sereno dei sorrisi e si avvicinò appena.

“Ci stai riuscendo, ottimo, continua così. Ora però devi aiutarmi. Ho bisogno che sollevi il viso. Continua a respirare e tira su la testa lentamente, ti farà stare meglio. Fidati di me”.

Quante volte aveva ripetuto quelle parole a Sebastian durante uno dei suoi terribili attacchi di panico? Quante volte era riuscito a calmarlo?

Continua così, respira. È tutto ok. Fidati.

Sperò che il ragazzo lo ascoltasse. Se era quel Kurt, ‘fidarsi’ sarebbe stato molto più difficile del previsto.

Lui riprese a tremare ma, dopo un momento di indecisione che lasciò cadere il cuore di Blaine dal petto al fondo dello stomaco, spostò di poco le braccia e alzò impercettibilmente il viso.

Quando quello sguardo azzurro spuntò da sopra le sue ginocchia a Blaine quasi girò la testa: il ragazzo aveva gli occhi arrossati e spalancati dalla paura, eppure continuò a prendere respiri tremanti e vigili. Non sembrava intimorito dalla vicinanza di Blaine, ma lui non si azzardò comunque a toccarlo. Probabilmente non aveva idea di dove si trovava, né di come ci era arrivato.

“Va tutto bene” ripeté per la millesima volta sorridendogli con dolcezza. “Visto? Respiri molto meglio”. Kurt lo fissò mordendosi il labbro con forza. Un debole cenno di assenso fu tutto ciò che ricevette Blaine, ma per il momento era abbastanza.

Un altro passo avanti, almeno ora aveva la sua attenzione.

Anziché vomitargli addosso una serie pressoché infinita di domande – ti ricordi chi sei, cosa ci fai qui, hai idea di cosa ti sia successo, cosa si fa ora? Sai chi sono? - Blaine alzò molto lentamente le mani, senza staccare gli occhi dai suoi, e chiese con calma: “Posso controllare se sei ferito? Non devi fare niente, solo spostare anche le braccia. Va tutto bene, ho dei cerotti e – disinfettante, bende. Se stai male posso curarti”.

Non era del tutto vero. Ovvio, aveva una cassetta di primo soccorso e sapeva disinfettare delle ferite, ma se la situazione fosse stata più grave del previsto Blaine avrebbe dovuto portarlo in ospedale. E come avrebbe spiegato ai medici che il suo personaggio era uscito ferito dal suo libro senza finire per essere ricoverato nel reparto psichiatrico?

Kurt abbassò gli occhi e dopo un altro momento di esitazione -  Fidati di me – lasciò che le sue braccia scivolassero ai lati del suo corpo, sollevando appena le maniche della camicia zuppa d’inchiostro che indossava.

Di nuovo nessuna ferita visibile, ma…

Ecco, quell’odore era ovunque, impregnava l’aria fino a renderla quasi opprimente.

Carta e inchiostro. Veniva da Ku – lui?

Dopo. Pensaci dopo.

“Grazie” mormorò Blaine al ragazzo. Lui alzò di nuovo gli occhi di scatto e li portò sul viso di Blaine, studiandolo al di sopra del rumore della pioggia e degli ultimi singhiozzi. Blaine avvicinò una mano alla sua spalla. “Posso?” chiese con cautela, arrivando quasi a sfiorare il tessuto. Cercò di non pensare al fatto che, a parte il primo sussurro in preda al panico, lui non aveva ancora detto una parola. O a quanto volesse sentire di nuovo la sua voce.

Un altro debole cenno di assenso, ma almeno sembrava essersi calmato. Lo sguardo di Blaine scivolò accidentalmente su uno degli avambracci scoperti del ragazzo e allora le notò.

Le cicatrici.

Non erano davvero delle cicatrici, ora che riusciva a vederle così da vicino. In effetti sembravano tantissime scritte tatuate sulla pelle chiarissima di – ma il suo Kurt non aveva tatuaggi.

Eppure quella calligrafia gli era familiare.

Decidendo di ignorare momentaneamente la cosa e fingendo di non aver visto niente Blaine sorrise incoraggiante a Kurt e lo aiutò ad alzarsi, posandogli una mano sulla spalla e avvolgendogli la schiena con l’altro braccio. Tuttavia il ragazzo si appoggiò su di lui solo per il più breve degli istanti: non appena fu in piedi si staccò come se fosse stato scottato, diventando di una gradevole sfumatura rosso fuoco e lasciandosi sfuggire l’ennesimo singhiozzo – ma stavolta era di sorpresa.

Fu allora che Blaine si ricordò di essere praticamente nudo. Lui doveva averlo appena notato.

Ops.

“Riesci a stare in piedi? Ti fa male da qualche parte?” chiese dopo aver deglutito pesantemente l’imbarazzo.

Lui gli lanciò un’occhiata veloce e diventò, se possibile, ancora più rosso. “S-sto b-bene” mormorò con voce stanca ma melodiosa fissandosi le mani con aria persa. Blaine seguì il suo sguardo e si accorse che anche il polso, fino al dorso della mano, era ricoperto di scritte. Giravano tutto intorno al braccio e risalivano fino al gomito, scomparendo sotto la camicia chiazzata di macchie bluastre che si stavano lentamente asciugando sul tessuto.

Osservandolo di sottecchi riuscì a vedere anche intere frasi oltre il colletto della camicia, lungo la linea della gola, attraverso il collo.

Tre parole – come aveva fatto a non notarle prima? – erano impresse sullo zigomo destro. Chissà se aveva quelle scritte ovunque.

Anderson, lo rimproverò il suo cervello. Che cosa stai pensando?

Blaine scosse la testa e prese l’ennesimo respiro profondo prima di sorridere, un po’ incerto, a Kurt.

Non era il momento di bombardarlo di domande, probabilmente era ancora scosso e – e poi erano domande che andavano fatte con calma, per la miseria. Non poteva mica stringergli la mano e dire: “Piacere, presunto protagonista, sono l’idiota che sta scrivendo la tua storia”. (Non poteva essere vero).

“Ok” disse, attirando la sua attenzione. Gli occhi azzurri di Kurt saettarono verso di lui, di nuovo cauti. “Non sei ferito. Per prima cosa… Scusa per – beh, per il non-abbigliamento? Mi hai colto un po’ di sorpresa”. Il che è un eufemismo. Sei saltato fuori dal mio libro. Non può essere reale.

Kurt spalancò gli occhi e si portò una mano tra i capelli, esclamando: “No, scusa tu, io- non so come- e non-“

Il ragazzo aveva davvero una bella voce. Blaine lo zittì con un gesto ed un sorriso ma, nonostante stesse cercando di sembrare calmo, dentro stava per esplodere. Affronta un problema alla volta, Blaine.

“Facciamo così” propose avvicinandosi appena a Kurt per sfiorare delicatamente un lembo della camicia grondante inchiostro. Lui sobbalzò appena ma non si ritrasse, costringendo lo stomaco di Blaine a fare una capriola. “Visto che nessuno dei due ha la più pallida idea di cosa stia succedendo, che ne dici di farti una doccia e toglierti questa roba appiccicosa di dosso? Io nel frattempo mi – uhm, vesto” Ti prego non pensare che sia un maniaco. “Ti trovo dei vestiti e metto su del caffè. E ne parliamo, ok?”

Di cosa, sinceramente, non ne aveva la più pallida idea. Eppure cos’altro avrebbe dovuto fare, sbatterlo fuori dalla porta?

Lui gli rivolse il primo, debole sorriso, che illuminò letteralmente la stanza, e Blaine pensò che poteva farcela. Doveva esserci una spiegazione a tutto ciò.

“Sono Blaine, comunque” disse porgendogli la mano.

La stretta del ragazzo era, sorprendentemente, decisa. Blaine notò che aveva le mani fredde e che stava ancora tremando un po’ ma che i suoi occhi erano colmi di gratitudine e curiosità.

“Kurt” confermò lui, sciogliendo la stretta troppo presto. Blaine si ritrovò con il cuore in gola. “Kurt Hummel”.

Beh. Almeno ad una delle domande aveva già dato una risposta.

Sono l’autore del libro che racconta la tua storia. Tu non esisti davvero.

Blaine non lo disse e lasciò che Kurt lo seguisse fino in bagno, portando con sé un intenso odore di carta e inchiostro. 




La mente di Blaine scivolava da un pensiero all’altro, cullata dal suono della doccia che penetrava oltre la porta chiusa del bagno.

Dopo l’imbarazzante operazione che era stata trovare a Kurt dei vestiti che gli andassero – il ragazzo aveva arricciato il naso di fronte ai pantaloni della tuta e alla t-shirt in maniera assolutamente adorabile e lo stomaco di Blaine aveva fatto una capriola – Blaine l’aveva lasciato solo e si era adoperato per pulire dal pavimento le macchie d’inchiostro, finendo per perdersi nei propri pensieri. 

Di Kurt Hummel ne conosceva uno solo. E quello che conosceva non era mai esistito, perché l’aveva inventato Blaine stesso. 

Aveva iniziato a scrivere quella storia a sedici anni: stava scendendo l’ampia scalinata della Dalton, in ritardo per l’ennesima esibizione improvvisata degli Warblers, di cui era il solista, e mentre riponeva l’orologio da taschino l’idea lo aveva colpito come un fulmine. 

Aveva immaginato questo ragazzo dai lineamenti delicati e gli occhi azzurri pieni di tristezza e una storia forse troppo dolorosa, ma realistica, con una chiarezza impressionante, quasi come se stesse scendendo le scale al suo fianco. L’idea era stata talmente improvvisa e fulminea da costringerlo a fermarsi e guardarsi intorno, come se si aspettasse di vederlo sbucare da un momento all’altro alle sue spalle. Come se il ragazzo, l’idea, avesse chiamato il suo nome, facendo riecheggiare quel richiamo nella sua testa. 

Nessuno era arrivato, ma ormai il seme era stato piantato nella sua testa: era corso a cantare Teenage Dream, aveva saltato tutte le lezioni della giornata e si era chiuso nella sua stanza per prendere appunti su ogni foglio che gli capitasse a tiro, circondato da post-it, tazze di caffè semi vuote e una cartina dell’Ohio. 

Era nata così la storia di Kurt Hummel, controtenore, membro del Glee Club, unico ragazzo gay del Liceo McKinley di Lima: scritta sui bordi del libro di storia medievale europea e tra le coniugazioni dei verbi francesi, su post-it giallo fosforescente e le note del cellulare, perfino sul palmo della mano. Impressa a fuoco nella sua mente. 

Un lampo di luce su una scalinata della Dalton Academy. 

I dettagli erano venuti con il passare del tempo, come le caratteristiche fisiche di Kurt, il suo carattere o i suoi amici del Glee Club, una lunga, variopinta serie di sfigati; la sua famiglia allargata, una cotta per il proprio fratellastro, l’infarto di suo padre, i tormenti dei giocatori di football e il bullismo, le eterne battaglie per ottenere degli assoli, e quel Karofsky che l’aveva minacciato. 

Blaine inorridì davanti alla portata del suo elenco. 

La solitudine, la mancanza di un’anima gemella, la tenacia nel lottare nonostante tutto per essere se stesso…

In pratica Blaine gli aveva rovinato la vita.

Ora Kurt Hummel era sotto la sua doccia, stava per indossare i suoi vestiti e presumibilmente non sapeva di non essere reale.

Forse lo era, vero. Insomma, Blaine l’aveva toccato, Kurt era una persona, respirava, aveva un battito cardiaco, era – era ricoperto di scritte, grondava inchiostro e si trascinava dietro l’odore di un libro.

Forse, per qualche assurdo scherzo del destino, Blaine aveva scritto la storia di una persona che esisteva realmente. Certo, questo non spiegava come avesse fatto Kurt ad arrivare dall’Ohio al suo appartamento a New York.

Aveva indagato sul liceo McKinley, certo, ma non aveva mai chiesto di nessun Kurt Hummel. Chi è l’idiota che cerca il proprio protagonista su Google? E poi la sua storia l’avevano letta due persone: sua nonna e Sebastian. Nessun altro.

Del liceo pubblico di Lima aveva scoperto che aveva avuto un Glee Club, qualche anno prima, ma che era stato chiuso perché nessuno si era iscritto, e che i bulli erano soliti lanciare granite in faccia agli sfigati della scuola. Tutti i personaggi che aveva inserito – la rompiscatole Rachel, il direttore del coro, Schuester, Mercedes, la migliore amica di Kurt, Burt, suo padre... erano tutti frutto della sua immaginazione.

Fondamentalmente la storia di Kurt Hummel era l’opposto della sua: un Glee Club pieno di voci eccezionali ma considerato un covo di perdenti, il contrario di quello di Blaine. Un padre in grado di poter dare accettazione – così differente dal suo – e una migliore amica dolce, una famiglia che lo supportava, il coraggio di tenere la testa alta ed affrontare i propri tormentatori. Tranne David Karofsky.  

La storia si era fermata un attimo prima del punto di svolta, in realtà: Kurt era stato spinto per l’ennesima volta contro un armadietto da Karofsky, il peggiore dei suoi bulli, e – e Blaine non aveva saputo come andare avanti.

Mancava qualcosa di fondamentale alla storia, uno stimolo. Avrebbe voluto permettere a Kurt di affrontare una volta per tutte il ragazzo che rendeva la sua vita un inferno ma la verità è che il Kurt di cui aveva scritto non aveva ancora trovato quel genere di coraggio dentro di sé. Ed ecco che era arrivata la crisi da pagina bianca, i tentativi di Sebastian, già devastato da sé, di tirarlo su di morale, e ora questo.

Kurt che era saltato fuori dal libro direttamente nel suo soggiorno, come per magia.

Continuò a sembrargli un’assurdità anche quando le chiazze d’inchiostro sulla moquette vennero via, lasciando delle semplici zone umide.

Eppure le macchie bluastre sulle sue dita erano più reali che mai, in contrasto con la sua pelle.




Una volta Blaine aveva chiesto a sua nonna cosa ne pensasse dei libri di Harry Potter. Aveva nove anni e la sua maestra lo aveva rimproverato  perché stava litigando con un altro bambino.

Ma insomma, quell’antipatico di Michael stava dicendo che la magia non esisteva e che Harry Potter era da sfigati, femminucce e checche – una delle prime volte in cui aveva sentito quella parola – e che se stava davvero aspettando di ricevere la sua lettera per Hogwarts poteva anche diventarci vecchio, perché tanto niente di tutto quello era reale.

 

 

Segreteria Telefonica del 17 Marzo 2004

 

Avete raggiunto Christine Anderson, lasciate un messaggio.

 Christine, sono Anne, Blaine è lì da te, vero? Cos’ha combinato a scuola? La mamma di Michael Collins pretende che io parli con lei! Oh, perché non rispondi mai al telefono? Comunque, riportalo a casa appena puoi, mhm? Devo andare da David in ufficio per portargli delle scartoffie. Poi se ho tempo ci penserò io. 

Sua nonna gli aveva sorriso dolcemente, si era inginocchiata davanti a lui – Blaine era sempre stato minuto, per la sua età – e gli aveva messo in mano una copia delle fiabe dei fratelli Grimm. 

“Non fa mai male credere ad un po’ di magia, Blaine” gli aveva detto facendogli l’occhiolino. “Solo perché gli altri non la vedono non significa che non ci sia”. 

Possibile che Christine avesse disseminato durante la sua vita consigli ai quali Blaine avrebbe dato un senso solo quando era ormai troppo tardi per dirle grazie?


 

 


 

New York, East Village

22 settembre 2013

   

Blaine aveva appena finito di versare il caffè in due tazze della NYU quando il suono dei passi soffici di Kurt che attraversava il soggiorno attirò la sua attenzione.

Chiuse gli occhi per un istante – un problema alla volta, Blaine – e quando li riaprì si ritrovò a sorridere al ragazzo che stava facendo nervosamente capolino dalla porta della cucina, con indosso la sua vecchia maglia e finalmente privo di tracce di inchiostro. 

Aveva i capelli umidi che gli cadevano in ciocche scure e disordinate sulla fronte, le guance arrossate e le labbra leggermente gonfie; sembrava completamente perso. 

Dalle maniche, arrotolate fino al gomito, erano ancora visibili le scritte, e quando alzò la mano per fargli un cenno Blaine notò alcune parole anche all’altezza dell’anulare della mano sinistra. Nemmeno quelle sul suo collo erano scomparse, né in qualche modo sembravano sbiadite. 

“Grazie” disse Kurt in tono sincero e imbarazzato quando Blaine gli porse una delle due tazze, facendogli segno di seguirlo in sala. 

Si sedettero ai lati opposti del divano color crema: Kurt incrociò le gambe e prese un lungo sorso del suo caffè, socchiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo, come per riordinare le idee. 

Finalmente Blaine riuscì a distinguere le tre parole incise sulla curva dello zigomo destro. 

Never been kissed.* 

“Sei un medico?” chiese Kurt all’improvviso, imbarazzato. Blaine lo guardò incredulo per un istante e lui si affrettò ad aggiungere: “Perché sapevi cosa fare quando – quando ho avuto quel piccolo momento di panico, e ho pensato –“ 

Blaine ridacchiò con leggerezza. “No, no, è una domanda lecita!” lo tranquillizzò scrollando le spalle. “Non sono un medico, non ho neanche diciannove anni. Studio letteratura alla New York University e sono al primo anno. Sapevo cosa fare perché non è la prima volta che mi capita di assistere ad un attacco di panico, tutto qui”. Sebastian ne ha uno al mese. 

Blaine attese fino a che gli occhi azzurri dell’altro non trovarono i suoi. 

“Bene” disse infine, sorridendo caldamente a Kurt. “Ti va di raccontarmi cosa ti è successo?” 

Kurt gli lanciò un’occhiata spaventata e deglutì a fatica. 

“Io – io non me lo ricordo”.



 


 




Note dell'Autrice


Ebbene, eccoci a questo secondo capitolo, che spero non vi abbia confuso ancora di più le idee! 

In realtà è tutto molto semplice (hahaha). BLAINE STA SCRIVENDO LA STORIA DELLE PRIME DUE STAGIONI DI GLEE. 

Prima del suo arrivo, naturalmente. La self-ins è il male 

Kurt è il suo amato protagonista, e ora si trova nella sua cucina, ricoperto di scritte. Tatuaggi. Chissà di chi è la scrittura che a Blaine sembra così familiare, visto che è lui l'autore della storia :P

E il loro primo incontro - ovvero quando Blaine ha avuto questa lampante idea per la storia di Kurt - vi è per caso familiare? :P

BENE. Detta questa serie inutili di note, passiamo a quella importante: non l'ho detto nelle note del primo capitolo, quindi lo dico ora. Questa storia è un grandissimo cliché letterario (lo scrittore che si innamora del personaggio e viceversa, non è niente di nuovo/incredibilmente originale. Geniale sì, quello sì, ma non farina completa e totale del mio sacco!) quindi troverete veri e propri libri/film/fumetti con la trama base autore/personaggio. Questa fanfiction, tuttavia, non è ispirata in modo particolare a nessuno di questi :) Io sto solo giocando intorno al cliché! :)

Ora me ne torno al mio angolino a farmi venire l'ansia per questo capitolo, fatemi sapere cosa ne pensate!

Il solito ringraziamento speciale va alla mia formidabile beta, Ilaryf90, che più che beta è una sorta di psicoanalista per casi disperati quali il mio. 


A giovedì prossimo, recensite numerosi bla bla bla


Selene 



   
 
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