Capitolo XXXIX – “Incestuos love.”
Ilex attese che Maxime
fosse giunto oltre l’ultimo gradino della scala prima di voltarsi verso Ruuben ed Eevi. Se fino a quel
momento aveva dimostrato di essere soltanto uno spettatore di fronte agli eventi,
adesso cominciava ad animarsi della sua solita compostezza altera, degnamente
imparata dal suo mentore.
I suoi occhi,
sempre curiosi e sornioni, in quel momento si erano tramutate in due schegge di
vetro, pronte a tagliare chiunque si fosse opposto alla pianificazione di Maxime. Ma, non soltanto poiché intimorito da una reazione
negativa del francese, quanto più per un suo intimo interesse personale, una
sorta di soddisfazione nel saper trattare le incombenze affidategli in maniera
pressappoco impeccabile.
“Accompagniamo Eevi di sotto affinché possa godere del prelibato spuntino
che Maxime ha pensato bene di preparare espressamente
per lei. Mentre lei sarà come dire… occupata, ti mostrerò la vostra stanza al
piano di sopra. La troverai certamente di notevole gradimento, Ruuben, non temere.”
Il discepolo di Maxime voltò di nuovo loro le spalle e si avviò lentamente
verso l’ingresso della casa, consapevole della loro presenza dietro di lui. Ruuben non si lasciava sfuggire nessun particolare: i
mobili, la disposizione degli oggetti, ogni ombra disegnata dalle candele
sparse per l’abitazione.
L’ingresso non era
particolarmente ampio, tuttavia dietro il grande appendiabiti si intravedeva a
malapena una piccola scala in muratura che scendeva verso il basso. Era stretta
e i gradini erano rivestiti da pesanti travi di legno massello di un caldo
color cacao. Nonostante i gradini fossero in penombra, doveva esserci una
grande luce ad illuminare la sala interrata. Eevi
muoveva le lunghe gambe al ritmo regolare del ticchettio dei suoi tacchi
eleganti, senza mai perdere l’equilibrio sulla scala e senza aiutarsi con il
muro di cemento grezzo.
Come se non si
fidasse dell’apparente tranquillità che circondava la casa, Ruuben
rivolgeva sguardi fugaci al di là della sua spalla destra, solerte, senza che
nessuno degli altri due vampiri potesse accorgersene.
La precauzione non
era mai troppa quando si aveva a che fare con Maxime
e lui l’aveva imparato a sue spese molto tempo prima, quando ancora credeva di
potersi realmente fidare di qualcuno che non fosse lui stesso.
La sala interrata
era incredibilmente spaziosa e curata come le altre stanze dei piani superiori.
Anzi, denotava un
certo gusto raffinato ed una meticolosità tipiche del padrone di casa: tutto
sembrava avere un’aria piuttosto annosa, la mobilia, il velluto delle poltrone
rosse, la moquette del pavimento, persino il tessuto pregiato che rivestiva le
pareti su ciascun lato. Nessun dettaglio era lasciato al caso.
Un lunghissimo
tavolo di legno circondato da dieci sedie era situato perfettamente al centro
della stanza senza finestre. Alla sua destra, una grande libreria alta fino al
soffitto faceva bella mostra di sé, ricolma di antichissimi volumi risalenti al
medioevo. Nell’angolo opposto un mappamondo sorretto da una grande struttura di
quercia rendeva l’ambiente simile ad una grande sala conferenze.
Eppure, non era
chiaramente quella la funzione che quella stanza elegante doveva ricoprire.
Infatti, sulla
parete più lontana dalla scala si poteva tranquillamente notare una porta nera
con una singolare maniglia rotonda, sfaccettata proprio come se fosse un grande
diamante grezzo.
La luce emanata dal
candelabro a cinque bracci alla sinistra della porta gettava morbide ondate di
luce sulla maniglia facendola brillare, alternando riflessi cangianti al pari
di un prisma.
Avanzavano
morbidamente sulla moquette guardandosi intorno ammaliati da tanto splendore.
I quadri alle
pareti erano cimeli di altri tempi e raffiguravano scene sacre e pagane
rendendo le pareti parallelamente antitetiche: nessuno avrebbe mai creduto che
i vampiri adorassero ammirare l’arte sacra.
Ilex si arrestò di scatto a pochi
passi dalla piccola porta scura e parlò senza guardarli in viso.
“Al di là di questa
porta sono rinchiusi sette esseri umani. Maxime ha
scelto personalmente i soggetti per età, sesso e bellezza esteriore: i più
giovani dovrebbero avere circa sedici, diciassette anni. Speriamo che Eevi apprezzi i nostri encomiabili sforzi, tra l’altro un
sangue giovane è svariate volte più nutriente di…”
“Ilex, permettimi innanzi tutto di ringraziarti per
l’ospitalità sia a nome mio, sia a nome di Eevi,
tuttavia, mi preme avvisarti per tempo così da non dover poi correre ai ripari,
ahimè, inutilmente. So molto bene cosa succederà non appena Eevi
avrà varcato quella soglia e, credimi, se davvero tieni alla tua stessa
sopravvivenza ti sconsiglio vivamente di mettere un solo piede lì dentro in sua
presenza. Io stesso, che la conosco meglio di chiunque altro…non…non riesco a
fidarmi di lei.”
Ruuben, incurvando lievemente le spalle
aperte, interruppe il vampiro senza nemmeno scusarsi.
Terminò quella
frase con molto dolore. Il suo, in effetti, era un bisbiglio strozzato, a
stento percettibile.
Lasciava
intravedere senza sforzo quanto quella verità ferisse il suo orgoglio, ma
soprattutto il suo cuore.
Ilex restò ad osservarlo ammutolito,
colto alla sprovvista da una simile ammissione.
Poteva davvero
definirsi amore quello che i due vampiri provavano l’un l’altro se nemmeno era
possibile per loro fidarsi a vicenda? Dapprima restò in silenzio, poi annuì
lentamente con il capo.
Non era mai stata
vita facile per i due vampiri finlandesi: lui, che non li aveva conosciuti
personalmente durante gli anni delle grandi sperimentazioni, aveva appreso la loro
storia da Maxime in persona.
No, non era una
storia romantica la loro, anzi, veniva considerata la più esecrabile delle
unioni.
Eppure, nonostante
questo, resistettero ai pregiudizi, alle minacce del Gran Consiglio. Alla
morte.
Dopotutto, non era
colpa loro se nacquero dalla stessa madre, se i loro capelli erano praticamente
identici, fatta eccezione per alcuni dettagli che li facevano differire l’uno
dall’altro. Se erano gemelli.
Dannati ancor prima
di venire alla luce, frutto insensato di un esperimento genetico embrionale.
Ruuben nacque per primo e, tra i due,
era il feto più forte e formato, Eevi arrivò subito
dopo, ma qualcosa durante la gravidanza non era andato come doveva per lei: ciò
che difettava nella piccola neonata era la capacità innata di controllare la
propria coscienza. Era come se fosse venuta al mondo già in uno stato
vegetativo che non le consentiva di essere autonoma. Eppure, con grande stupore
degli scienziati, soltanto in un caso particolare Eevi
riusciva a reagire agli stimoli del mondo esterno: quando era Ruuben a dirle cosa fare. Come se lui, con il suo cervello,
potesse gestire quasi totalmente
l’attività cerebrale della sua gemella.
Per il Gran
Consiglio inizialmente fu una grande scoperta: credettero di aver trovato un
modo per poter creare una nuova generazione di vampiri del tutto ubbidienti,
tuttavia, il potere che Ruuben inconsapevolmente
aveva tra le mani spaventava non poco le eminenti autorità dell’epoca.
Eevi cresceva e con lei anche il suo
potenziale distruttivo. Il veleno prodotto dalle sue ghiandole durante la
nutrizione poteva uccidere un non morto nel giro di alcuni minuti e questo,
ovviamente, la rendeva decisamente ‘pericolosa’ per tutta la comunità
vampirica.
Fu così che lei e Ruuben furono processati e, al fine, condannati a morte.
Naturalmente, il
consiglio non avrebbe potuto in nessun caso rendere noto l’errore commesso
durante le sperimentazioni e pertanto, ritenne opportuno insabbiare la
questione puntando sull’unica carta rimastagli: la relazione incestuosa che
segretamente veniva intrattenuta dai due.
Il giovane Ruuben aveva da sempre avuto un debole per la sorella: se
dapprima era unicamente un istinto di protezione nei confronti delle angherie
che erano entrambi costretti a sopportare, in seguito si trasformò in qualcosa
di più profondo, di morboso e malsano, una ossessione che lui scambiò
ingenuamente per amore.
La loro unione
incestuosa era impensabile; avrebbe potuto avere delle ripercussioni serie
sulla razza.
Ed una condanna a
morte era il minimo che il Consiglio potesse decretare per salvaguardare la
specie.
Fu Maxime a salvare loro la vita senza che nessuno lo
spingesse a farlo. Nessuno sa dire bene perché, dato che fu proprio lui a
scoprire per primo la relazione tra i due gemelli e a riferirlo all’assemblea.
Ciononostante, il
suo prodigo intervento fece in modo tale che fossero solo esiliati invece che
dissanguati.
Come riscosso da
quei pensieri ormai antichi e remoti nella memoria, Ilex
alzò lentamente le iridi chiare verso Ruuben solo per
scoprire che aveva già fatto entrare la gemella nella stanza e l’aveva chiusa a
chiave.
Il rumore secco
della serratura lo fece sussultare appena. Dopo solo pochi attimi iniziarono le
grida.
Ruuben parve turbato e difatti puntò lo
sguardo su un punto indefinito del soffitto.
“Cosa pensi che
dicano delle urla gli sbirri che sono sparsi attorno alla casa? Devono proprio
restare?”
“Si, è stato Maxime a volerlo. Il pasto di tua sorella è stata una
gentile concessione delle città vicine e non tarderanno ad arrivare i reclami per riaverlo
indietro. Secondo te, caro Ruuben, con un poliziotto
ad ogni porta, verrebbero mai a cercare qui i poveri scomparsi? Io non credo.”
Ilex si accostò al mappamondo e con
un gesto rapido dell’indice lo fece roteare sul suo asse. Poi lo bloccò, osservando
con finto interesse la località indicata dalla sua falange. Tailandia.
“Rilassati, Ruuben. Maxime non è uomo da
lasciarsi rovinare dai dettagli. La stanza di Eevi ha
un condotto speciale che consente di eliminare gli avanzi direttamente in un pozzo
privato.” Cambiò letteralmente tono e proseguì con non curanza. “Ora, se
preferisci, posso accompagnarti nella tua stanza, altrimenti puoi attendere qui
Eevi intrattenendoti con quel plico di fogli laggiù: Maxime lo ha redatto espressamente per te in previsione di
domani.” Sorrise apertamente e senza scherno: non avrebbe fatto male a nessuno
deporre le armi soltanto per una sera.