Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |       
Autore: Sophie Hatter    05/10/2007    6 recensioni
Nessuno diceva una parola. Era come doveva essere. Lui ferito e deluso, lei disgustata.
[riorganizzata sotto forma di raccolta, riveduta e corretta]
Parte II: Volevo soltanto essere me stesso, e smetterla di temere che se l’avessi fatto Lily non mi avrebbe trovato abbastanza interessante.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: I Malandrini | Coppie: James/Lily
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Love is... (the only weapon which I got to fight)'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota: è nel giro di qualche giorno che ho deciso di cancellare e ripubblicare questa fanfiction, dopo averla riveduta e corretta adeguatamente. L’ho ripresa qualche tempo fa e mi sono accorta di quanti piccoli dettagli ne volessi perfezionare, di quanto desiderassi riadattarla al mio stile attuale. Per cui, ripubblico questo lavoro dopo averlo revisionato ed esserne un po’ più soddisfatta. Le recensioni che avevo ricevuto per la vecchia versione mi avevano fatto molto piacere, tant’è che le ho conservate per ricordo, perciò ringrazio di cuore chi aveva commentato. Intanto, preciso che per questa song-fic la canzone citata nel testo è Nine Crimes di Damien Rice.

Finito lo sproloquio, vi auguro buona lettura.


 

 

 

Is That Alright?

 

 

 

James Potter marciò a passo spedito verso il dormitorio di Grifondoro attraversando i corridoi con ampie e nervose falcate, senza voltarsi una sola volta, senza fermarsi a controllare se gli altri riuscivano a tenere il passo.

Non gliene importava un accidenti di niente.

In quel momento avrebbe soltanto voluto prendere a calci ogni cosa, in modo forsennato, bloccando ogni pensiero razionale per non dover avvertire qualche stupido rimorso. Era tutto sbagliato, tutto storto, tutto inutile. Il grido martellante della sua coscienza continuava a rinfacciargli quanto si fosse dimostrato irrimediabilmente idiota ed infantile. Ed era assurdo. Si trattava di Snivellus. Si era accanito ferocemente contro di lui, per consolarsi nel conforto di una valvola di sfogo. E si sentiva in colpa per averlo fatto.

Incredibile.

 

 

Leave me out with the waste
This is not what I do
It's the wrong kind of place
To be thinking of you
It's the wrong time
For somebody new
It's a small crime
And I've got no excuse

 

 

“Avanti, James, adesso smettila di comportarti come un bambino”.

Uno scatto d’ira gli percorse il corpo fino alla punta delle dita.

“Smettila tu di dirmi cosa devo fare, Sirius” sibilò, voltandosi appena. Scaricò l’impeto della sua occhiata fulminante su uno dei gradini. Non voleva prendersela anche con il suo migliore amico, rischiando di coinvolgere tutti quanti all’interno di un circolo vizioso a cui era stato lui a dare inizio, e che non sapeva fino a quando avrebbe continuato a divorargli le viscere.

“Stai prendendo tutta questa storia troppo sul serio, dovresti semplicemente cercare di rilassarti” gli disse Sirius, sfoggiando quel suo tono rassicurante con cui di solito riusciva a tranquillizzarlo in un attimo, inducendolo ad affrontare la vita con meno irruenza. Ma in quella situazione, per James era davvero troppo difficile sforzarsi di seguire il suo consiglio.

Lasciò che la vista gli si appannasse, perdendosi nel vuoto. Non gli interessava vedere dove andava. Per quello che gli importava, poteva anche finire a sfracellarsi contro una parete. Forse il dolore e l’umiliazione per aver compiuto l’ennesima idiozia gli avrebbero dato modo di allontanare la rabbia che aveva in corpo in quel momento, e che riusciva a scaricare soltanto impiegando tutte le sue energie per allungare la gamba e muovere un passo dopo l’altro.

“James, accidenti, mi vuoi ascoltare?!”

Sirius aveva già perso la pazienza. Si sentì afferrare con violenza per una spalla, un gesto secco lo costrinse a voltarsi. Incrociò lo sguardo del suo migliore amico solo per un breve secondo, dopodiché fissò gli occhi a terra, tentando di incenerire una crepa nel pavimento. Era sicuramente più utile e costruttivo che dare retta a lui, in circostanze simili.

“Si può sapere che diavolo ti succede?”

Dal suo tono di voce, ora, traspariva una chiara irritazione. James contrasse il volto in una smorfia, assumendo la sua tipica espressione da strafottente che tutti detestavano. Le labbra tirate, strette, la fronte corrugata, lo sguardo ritorto. Sentiva di potersi far odiare tranquillamente da tutti, e ne andava fiero. Era quello che voleva, che lo lasciassero in pace almeno per una volta.

La pressante attesa di una sua risposta da parte di Sirius cominciava ad infastidirlo. Avrebbe voluto reagire con violenza e andarsi a rinchiudere in qualche posto dove nessuno avrebbe potuto trovarlo. Ma capì che il modo più semplice per risolvere la questione era dargli quello che voleva e poi sparire indisturbato, senza che nessuno dovesse più sentirsi in dovere di esigere qualcosa da lui.

“Che cosa credi che mi succeda? Mi sono solamente stufato”.

“Non me la bevo, non hai mai raggiunto questi livelli”.

“Stai cercando di difendere Snivellus, per caso?” replicò James. Sollevò lo sguardo, e fissò Sirius diritto negli occhi con aria di sfida.

“Non dire assurdità. Mi sto preoccupando per te, non per Snivellus, razza di imbecille” si sentì rispondere. La durezza del tono di Sirius e la pesantezza dell'insulto che aveva osato rivolgergli furono per James come uno schiaffo in pieno volto. Eccone un altro che si divertiva ad umiliarlo. Era stanco di tutto questo.

“Scusami,” rimarcò, in tono decisamente ironico, “ma non riesco proprio a capire perché ti preoccupi così tanto”.

Con uno strattone tentò di divincolarsi dalla presa di Sirius. Sentì il rumore secco di uno strappo alla camicia, ma la mano che lo tratteneva si avvolse intorno al mantello e strinse con forza.

“Su, Padfoot, lascialo stare--” tentò di intervenire Remus, con il chiaro tono di voce di chi sta cercando di ripristinare la calma, ma Sirius non gli diede retta e intensificò la stretta.

“Sembravi fuori di testa, accidenti! È mai possibile che una sola frase pronunciata da quella stupida ragazzina riesca a ridurti così?”

I muscoli di James si irrigidirono, mentre un groppo gli serrava improvvisamente la gola. Guardava ancora Sirius negli occhi. Le sue parole si erano trasformate in un altro schiaffo; poteva quasi sentire la guancia bruciargli. Non un briciolo del suo orgoglio riusciva ad emergere da quel mare di rabbia. Era più forte di lui, non riusciva davvero a dare la colpa a lei. Lei non c’entrava niente. Non era in torto. Non si era messa a sputare sentenze solo per il semplice gusto di vederlo reagire negativamente, non sentiva l’impellente bisogno di provocare qualcuno per trarne un piacere personale e nemmeno nutriva la necessità di trasformare la sua vita in una farsa per mantenere la faccia davanti a tutti. Quelle cose sul suo conto le aveva dette perché le pensava davvero, e prendere atto di una simile verità gli stava costando la lucidità mentale.

 

 

Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright, yeah, with you?

 

 

James distolse gli occhi dal volto di Sirius, reclinando il capo in direzione di un punto imprecisato alle spalle dell’amico. Rinunciò ad attingere la forza necessaria a risalire da quel baratro sforzandosi di notare l’apprensione aleggiante sul volto di Remus e Peter, perché per quanto sapesse che si stavano soltanto preoccupando per lui si rendeva conto che l’appoggio dei suoi amici non gli era sufficiente a riprendersi, in quel momento. Non voleva discuterne; aborriva anche solo l’idea di provare ad ammettere quanto gli bruciava. Finché si trattava di dissimulare il suo malessere svagandosi con Snivellus non c’erano problemi. Ma non poteva tollerare di spogliarsi di ogni dignità davanti a loro, per quanto fossero le persone che lo conoscevano meglio al mondo. E loro, dannazione, non potevano essere così perversi da volergli fare ammettere a tutti i costi che l’aver scoperto quale tipo di considerazione nutrisse Lily Evans nei suoi confronti l’aveva gettato in un abisso senza fondo.

Capì che l’unico modo per essere lasciato in pace era tentare di tranquillizzarli.

“Non ti scaldare, mi passerà. È stato solo un momento. Evita di prendertela a male più di me”.

Sentì lo sprezzante sguardo di rimprovero di Sirius inchiodarlo a terra. Ma lui voleva andarsene. Non voleva più sopportare tutta quella pressione che gravava continuamente sulle sue spalle, o avrebbe sicuramente finito per esplodere. E Sirius, Remus e Peter non si meritavano di essere trasformati nelle prossime vittime dei suoi sfoghi rabbiosi.

“Proprio non ti capisco” gli disse Padfoot, con un distacco che lo ferì. Il groppo alla gola di James si fece più stretto.

“Bene, ti consiglio di fare un altro tentativo mentre non sarò nei paraggi” rispose.

La discussione era da considerarsi chiusa. Si divincolò di nuovo, e stavolta riuscì a liberarsi. Sirius aveva ceduto, allentando la stretta. La vittoria era sua, e per celebrarla aveva bisogno della più completa solitudine.

James salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola di corsa, senza voltarsi indietro. Raggiunse la sua stanza, afferrò il Mantello dell’Invisibilità con un gesto rapido e secco, se lo calò sul volto e si diresse di nuovo verso il buco del ritratto, oltrepassando i suoi compagni con un fruscio appena percettibile.

 

***

 

Dopo circa un’ora trascorsa lì dentro, James si accorse di aver completamente perso il senso del tempo.

Il freddo gli percuoteva le ossa, eppure la sua ostinazione gli impediva di alzarsi e abbandonare quell’angolo per trovare rifugio in un posto più riscaldato. Quello era l'unico e solo luogo in cui davvero poteva sperare di avere pace; a quell’ora non ci si avvicinava anima viva. Erano tutti intenti a festeggiare la fine di un altro esame, e nessuno pensava a scrivere stupide lettere, né tantomeno a girovagare fino lassù per il puro piacere di farlo. Era solo, e solo sarebbe rimasto.

Continuava a sbattere con violenza il pugno chiuso contro la parete scabra. Ormai la sua mano era piena di graffi e di sangue, ma il dolore non lo sentiva più. Prendere a pugni un muro era l'unica cosa che riusciva a fargli sbollire efficacemente la rabbia: gli impediva di distruggere con troppa facilità oggetti che non gli avrebbero procurato nessuna sofferenza fisica al momento dell’urto, mentre lui aveva bisogno di distogliere l’attenzione dalla sua collera concentrandosi su qualche dettaglio esterno, come ad esempio una mano scorticata. Faceva abbastanza male da fargli sbollire tutto quanto, dopo un po’. Buttare giù le pareti di Hogwarts invece era evidentemente impossibile, anche se quel suo periodico rituale lo conduceva lì piuttosto di frequente, e la forza che ci metteva non era poi così trascurabile.

Sospirò e chiuse gli occhi, lentamente. Sentì svanire l'ultimo impeto di violenza, e la sua mano smise di colpire il muro. Era finita, ora, era notte fonda e la rabbia era passata. O almeno, ne aveva abbastanza di riversarsi all'esterno.

Provò a ripensarci, per verificare se l’effetto era del tutto svanito. Lily Evans, l’unica ragazza al mondo che fosse mai riuscita a renderlo talmente succube da farlo vergognare di se stesso, pensava che lui fosse soltanto un ridicolo sbruffone.

Sentì un peso sul petto, una specie di enorme macigno che gli affaticava il respiro.

Forse quello era il dolore.

Tentò di rallentare il respiro, dosando la quantità d’aria che gli usciva dai polmoni con una concentrazione esasperante. Il tremito gli scese alle mani, e per calmarlo le strinse spasmodicamente intorno ai lembi del mantello. Era diventato una creatura insignificante, di cui nessuno si curava, reso invisibile per sua stessa volontà. Spesso non capiva se davvero desiderava essere lasciato solo perché in quei momenti non avrebbe potuto tollerare nemmeno la muta presenza di un amico, o se agiva così per necessità. Perché dopo la rabbia subentrava il tormento, e con il tormento la debolezza. E nessuno avrebbe mai dovuto vederlo ridotto in quello stato. Aveva un onore, una dignità da mantenere. Era il più rinomato Cacciatore della squadra di Quidditch di Grifondoro, e la sua faccia la conoscevano tutti. Era un ruolo difficile da sostenere, che spesso finiva per disgustarlo, perché non gli concedeva mai nemmeno un attimo di respiro. Era costretto a sforzarsi di piacere alla gente ogni istante della sua misera esistenza, sostanzialmente per una sua scelta; avrebbe potuto infischiarsene di ciò che pensavano gli altri, ma lui voleva essere il migliore, qualcuno che anche Lily potesse adorare.

Forse era per quello che Sirius era così preoccupato: perché il giorno dopo tutti avrebbero cominciato a mormorare con malcelata discrezione riguardo al suo terribile scatto d’ira, smontando pezzo per pezzo la sua perfetta immagine davanti all’intera scuola. Magari i Serpeverde avrebbero tentato di farlo buttare fuori dalla squadra, accusandolo di essere un soggetto violento e pericoloso. L’aspetto ironico della questione era che in quel momento non gliene importava assolutamente nulla. Avrebbero anche potuto espellerlo dalla squadra di Quidditch, da Hogwarts stessa, non sarebbe cambiato niente, Lily Evans non avrebbe mai mutato opinione riguardo a lui. E lui, per anni e anni, nella sua cieca stupidità non si era mai reso conto del fatto che i suoi disperati tentativi di farsi notare da lei le erano risultati solamente ridicoli e deplorevoli.

Era un misero ragazzino fallito, ecco la verità. Detestava compatirsi, atteggiarsi da vittima, suscitare la pietà altrui anche solo involontariamente, ma in quel momento non riusciva davvero a farne a meno. Gli serviva per dare un senso a tutto quello che era successo, al fatto che continuasse ad andargli male ogni cosa, al fatto che ogni mattina si svegliava sperando che la giornata si sarebbe rivelata più serena della precedente, e invece c'era sempre un qualche fattore esterno che interveniva a turbare il suo equilibrio già di per sé precario. Un equilibrio che si reggeva sull’illusione che Lily Evans un giorno gli avrebbe parlato gentilmente e sarebbe rimasta colpita da lui. Quell’illusione ormai non poteva più permettersi di coltivarla.

E faceva male constatarlo.

Faceva davvero male.

 

***

 

Fu il secco cigolio dei cardini a svegliare James di soprassalto. Aveva chiuso gli occhi dopo aver riflettuto sulla possibilità di concedersi una pausa dai suoi pensieri assillanti, ma anche quella, evidentemente, non era stata una mossa molto ben studiata. Qualcuno era entrato nella Guferia.

I battiti gli si bloccarono di colpo mentre guardava giù e si rendeva conto di chi avesse appena compiuto il suo ingresso lì dentro. L’avrebbe riconosciuta ovunque, purtroppo possedeva un’attenzione e una capacità di osservazione fin troppo acute. Riconosceva le movenze quasi nervose nella loro sistematica misura, la tonalità rosso cupo dei capelli, le fattezze delle mani che si protendevano a richiamare il gufo, il modo in cui reclinava la testa da un lato. Si maledisse silenziosamente. Non aveva previsto che avrebbe potuto succedere, e se non l’aveva previsto l’unica strada che gli si profilava davanti era piombare nel panico.

Per fortuna finì presto. Lily stava per andarsene. L’ennesimo brivido di freddo gli percorse la schiena, e un’idea folle gli balzò alla mente. Decise di assecondarla, considerato che ormai non aveva più nulla da perdere. Scivolò giù dalla nicchia in cui si era rifugiato, muovendosi il più silenziosamente possibile, attraversò la Guferia e bloccò la porta con una mano poco prima che si richiudesse alle spalle della Evans, scivolò fuori e la seguì giù per le scale, in punta di piedi. Trattenne il respiro, chiedendosi perché sentisse sempre il bisogno di essere così autolesionista. Lei era lì, a pochi passi di distanza, e lui le stava alle spalle, percorrendo i suoi stessi passi, impiegando tutte le sue energie per non farsi nemmeno sentire, senza sapere esattamente perché lo stesse facendo. Non aveva nemmeno la possibilità di soffermarsi ad analizzare quello che gli stava passando per la testa in quel momento, era un carico eccessivo e troppo vario, e forse faticava a realizzare che in ogni caso, dopo quello che era successo quel pomeriggio, niente sarebbe stato più come prima tra loro due.

Gli accadde in un solo istante di inciampare inavvertitamente in un gradino storto e di perdere l’equilibrio un momento prima che i suoi riflessi potessero scattare, scivolò e tentò di arrestare la caduta annaspando con un braccio e aggrappandosi al muro, pestò un orlo del mantello e per poco non cadde in avanti, sentendoselo strappare violentemente via dal capo.

“Potter!”

 

 

Leave me out with the waste
This is not what I do
It's the wrong kind of place
To be cheating on you
It's the wrong time
she's pulling me through
It's a small crime
And I've got no excuse

 

 

Il tuffo al cuore gli fece quasi uscire gli occhi dalle orbite. James fissò Lily, terrorizzato, sentendosi sprofondare. E ora, che accidenti le raccontava per giustificare la situazione?

A che cosa valeva la sua tanto decantata intelligenza quando finiva per cacciarsi in pasticci del genere?

“Scusa, Evans” disse, impacciato, raccogliendo rapidamente il mantello e avvolgendolo fino a poterlo confinare in una tasca dei pantaloni.

“Scusa in che senso? Da dove diavolo salti fuori?” gli domandò, con veemenza.

La sua rabbia lo investiva senza pietà, e lui cominciava a sentirsi male. Era la prima volta che si rivolgevano di nuovo la parola dopo l’incidente di quel pomeriggio, e sembrava così assurdo che proprio in un’occasione del genere la sorte gli avesse riserbato di dover fare una figura così pessima.

“Ero... nei paraggi, ecco. Non scandalizzarti”.

“Guarda dove ti trovi, Potter. L'unico posto da cui puoi provenire è la Guferia, e io ci ho appena messo piede”.

Non aveva il coraggio di guardarla se non di sfuggita. Il cuore gli batteva troppo veloce per poter essere sicuro di riuscire a mantenere il controllo su se stesso.

“Hai bisogno di analizzare la dinamica dei fatti fin nei minimi dettagli prima di essere soddisfatta?” replicò, sfoggiando un leggero sarcasmo.

“Oh, certo, perdonami, è evidente che tu non ti preoccupi mai quando qualcuno ti compare di colpo alle spalle. Vivi in un mondo troppo avventuroso per trovarla una cosa un po’ fuori dal normale” gli rispose lei, sullo stesso tono. James sospirò e inarcò le sopracciglia, imponendosi di rinunciare a litigare.

“Potevo benissimo esserci anch'io nella Guferia” le disse, come se fosse ovvio.

“In tal caso sai nasconderti fin troppo bene” commentò lei, scettica.

“Ha importanza, per caso?”

Stava reagendo con scontrosità, se n’era reso conto. Ma era meglio così. Era meglio che lei non sapesse né capisse mai per nessuna ragione quanto quello che era successo l'avesse emotivamente distrutto.

“E va bene, tieniti i tuoi misteri, non mi interessa” cedette lei, facendo un gesto spazientito con la mano e avviandosi giù per le scale. James rimase fermo a fissarle la schiena per qualche secondo, poi pensò che forse sarebbe stato meglio se fosse tornato al dormitorio, nonostante tutto.

“E adesso che cosa vuoi?” lo attaccò Lily, voltandosi con freddezza verso di lui e  squadrandolo da capo a piedi. Lui trattenne di nuovo il respiro, anche se in quel momento non ce n’era bisogno. Si diede mentalmente dello stupido. Era davvero impossibile non riuscire a notare il traboccante disprezzo che traspariva dai suoi occhi.

“C'è solo un modo per scendere dalla torre” rispose, a voce fioca, stringendosi nelle spalle.

“Potresti usare la scopa e volare giù dalla finestra, dato che sei tanto bravo” replicò lei, tagliente. Voleva ancora fargliela pagare, era evidente. Ma ormai la sua reputazione era rovinata, e a lui non importava più nulla. Farsi insultare ancora per un po’ non avrebbe cambiato le cose.

Storse la bocca, corrugò la fronte e, non trovando le parole adatte per risponderle né una qualsiasi argomentazione sensata per controbattere, prese a scendere velocemente i pochi gradini che li separavano, fino a giungerle di fianco e a superarla. Forse nel farlo aveva sfiorato l’orlo del suo mantello.

“Che cos’hai fatto?” lo bloccò improvvisamente lei, qualche gradino più avanti.

“Come?” domandò, voltandosi di riflesso per guardarla.

“Alla mano, Potter”.

Come diavolo aveva fatto ad accorgersene?

Decise che non aveva alcuna intenzione di provare a farsi compatire.

“Che te ne importa” disse, in tono piatto, poi atterrò sul pianerottolo saltando l’ultimo gradino e continuò a camminare. Lei teneva il passo. Non gli si avvicinava troppo, quasi sicuramente preferiva mantenere le distanze, e ormai James aveva smesso di credere che giocasse soltanto a fare la reticente perché le piaceva essere corteggiata. Però non riuscì a lasciarla indietro di troppo. Gli stava comunque alle costole, intravedeva il balenio dei riflessi delle torce sui suoi capelli.

 


Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright?
If you don't shoot it how am I supposed to hold it
Is that alright?
Give my gun away when it's loaded
Is that alright
Is that alright with you?


 

Nessuno diceva una parola. Era come doveva essere. Lui ferito e deluso, lei disgustata. Lei, l’unica da cui avesse mai voluto qualcosa. L’unica che non avrebbe mai desiderato rivolgergli la parola per più dello stretto necessario.

La vita era davvero contorta nella sua perfidia, alle volte.

“Come sta Piton?” la sentì chiedere, dopo un po’. Una sorda risata gli crebbe nelle orecchie.

“Come non approveresti che stia, probabilmente” replicò, fissando lo sguardo sul fondo del corridoio. Ancora poco, e quella tortura avrebbe avuto fine. Non ne poteva più. Il cuore gli faceva male, e l’umiliazione lo schiacciava sotto i suoi piedi fracassandogli le costole una per una, senza pietà.

“Il modo in cui vi siete comportati, sono cose da bambini” disse lei, in tono cupamente amaro.

“Già, probabile” rispose, scrollando le spalle con finta indifferenza.

Non capiva perché sentisse il dovere di rimproverarlo. Come se non ne fosse già abbastanza cosciente. Come se fosse davvero solo un bambino che non era in grado di comprendere che cosa fosse giusto fare e che cosa no. Come se ancora non fosse riuscito a capire il significato del suo disprezzo verso di lui.

Faceva male. Tutto questo, faceva male. Avere a fianco Lily Evans, e continuare a ripetersi che mai e poi mai avrebbe potuto ottenere qualcosa da lei in virtù dei suoi patetici sentimenti. Che era tutto vano e inutile. Che erano incompatibili, e che a quel dato di fatto non c’era rimedio.

Avrebbe dovuto imparare a rassegnarsi. Fare come faceva Sirius, trovare subito un nuovo passatempo per distrarsi. O come faceva Remus, accettare la realtà dei fatti con filosofico pragmatismo. O come faceva Peter, avere l’umiltà di ammettere che stava da cani e appoggiarsi ai suoi amici per ricevere un po’ di conforto. La verità era anche quella: che i suoi compagni erano molto più svegli e intelligenti di lui, che invece si era fissato su un unico obiettivo che non avrebbe mai potuto raggiungere. E ora, si ritrovava solo in mezzo alle macerie.

Sentì che Lily gli si fermava a fianco, una volta giunti in sala comune. Da una parte il suo dormitorio, dall'altra quello delle ragazze. Il momento che forse non avrebbe mai voluto veder arrivare. L’emblema di quello che significava il loro rapporto: l’inevitabile necessità di intraprendere due strade diametralmente opposte. Qualcosa che non aveva significato, e che evidentemente mai ne avrebbe avuto.

Doveva imparare a convivere con quella consapevolezza.

“Buonanotte, Evans” mormorò, stentoreamente. Le parole gli uscirono a fatica, con voce roca. Ma era inevitabile. Doveva perderla, di nuovo, per l'ennesima volta. E non poteva fermarsi ad attendere una sua risposta. La lasciò lì, immobile, probabilmente in preda a provare un ardente disprezzo nei suoi confronti, sentendo che non poteva esserci altro da aggiungere. Si voltò a guardarla soltanto di sfuggita, mentre saliva la scala a chiocciola sulla destra. I loro sguardi si incrociarono per un solo istante. Dopo, anche lei smise di soffermarsi su stupidi dettagli, e corse su, verso il dormitorio, mentre l'imbarazzo si ergeva a dividerli come ennesima barriera. Il battito di James si placò lievemente, e una strana sensazione di malessere e spossatezza lo invase. Capì che aveva bisogno di dormire, e di provare a dimenticare. Forse avrebbe sognato qualcosa di confortante, e al risveglio, per quei pochi istanti di ingenua inconsapevolezza, avrebbe creduto fermamente che fosse tutto vero, e che la giornata non gli avrebbe posto problemi da affrontare.

 

 

Nota di fine fanfiction: giusto per precisare, questa shot si conclude davvero qui. Ricordo che qualcuno me l’aveva chiesto, all’epoca, ma per me questo rappresenta un preludio a sé stante. Tutte le mie fanfiction che hanno come protagonisti i Malandrini e Lily si legano tra di loro, ma quanto precede Between You And The Giant Squid ha sostanzialmente carattere malinconico, e in questo, personalmente, ci sguazzo con piacere. Per me la maturazione di James parte da qui, e quindi mi è sembrato opportuno mostrare la profondità del suo sconforto.

   
 
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Sophie Hatter