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Autore: shadowsymphony    18/03/2013    1 recensioni
"Adesso mi odierai ogni volta che ti dirò 'va bene'?" chiese lei, sorridendo, appoggiando la testa al suo petto. "Potrei farlo" rispose lui, ridendo. "Ti odio" rise anche lei. "Capisco. Sfoga pure la tua rabbia su di me". "Allora preparati alla tortura" ridacchiò, e si alzò in punta di piedi per baciarlo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Intanto che era di là a cambiare Matthew, Gaga si alzò dal divano e andò a controllare il telefono in carica, lo accese, e subito trovò trenta telefonate e altrettanti messaggi, tutti che chiedevano dove fosse. Scrisse alla madre “non vi preoccupate, sono a Chicago, torno domani”. Non era sicura che sarebbe riuscita a tornare il giorno dopo, però. Doveva dirgli ancora tante cose, ma appena lo vedeva, diventava incapace di parlare. La paura andava e veniva nei momenti sbagliati. Non aveva mai avuto paura di lui, e non avrebbe dovuto averne: era sempre stato un ragazzo gentile e… anche prima, non sembrava per niente arrabbiato. Ma l’aveva. O forse era lui ad avere paura di lei? Era sempre la stessa storia, non riusciva a tenersi stretto un uomo, tutti fuggivano per paura di lei. Ma quella volta doveva farsi valere. Era andata lì apposta, no? All’improvviso suonarono il campanello. Doveva andare ad aprire? “vado io!” e rieccolo comparire in cucina, con Matthew cambiato e ben vestito in braccio. “deve essere Judy” disse “me lo puoi tenere tu un attimo?” e, senza lasciarla rispondere, le mise il bimbo tra le braccia, poi corse ad aprire. Gaga lo guardò con un’espressione confusa mentre cercava le chiavi di casa, poi sentì il bimbo fare dei versi e si chinò su di lui. “sta arrivando la mamma” gli disse con un sorriso. Il bimbo la guardò con i suoi occhioni azzurri e rise. Taylor riuscì a trovare le chiavi e aprì la porta. “ciao!” salutò Judy, sulla porta “tutto bene?”. “benissimo. Matty è quasi pronto. Entra pure” disse Taylor, facendola entrare. La donna entrò in cucina e vide Gaga che stava mettendo il bambino nella sua culla trasportabile. “oh buongiorno!” disse all’improvviso, girandosi e vedendola “ehm… grazie ancora per ieri, per l’hotel… tutto. È stata molto gentile”. “si figuri. Spero che Matthew non le abbia dato fastidio…” disse Judy, andando a prendere il bambino, che appena la vide iniziò a fare dei versi eccitati. “no no assolutamente, è adorabile!” sorrise la ragazza. Judy prese la culla per il manico e andò alla porta. “grazie ancora di tutto. Ah, secondo me Taylor sarebbe un papà perfetto!” sorrise la donna, poi si salutarono e uscì. Taylor chiuse la porta. Gaga rimase lì vicino al divano a fissarlo, ripensando a quello che aveva detto la vicina. “sarebbe un papà perfetto… sì…”. Il ragazzo tornò in cucina e disse “allora… è mezzogiorno e mezzo, rimani qui a mangiare?”, il che interruppe il pensiero di Gaga. “oh… va bene, grazie” disse, ancora un po’ confusa. “che cosa vuoi? Non ho qua molto, non sapevo saresti venuta…” aprì la credenza “mmh… pasta va bene?”. “qualsiasi cosa, grazie” rispose lei, nervosa. Avrebbero pranzato insieme. Da soli. Seduti uno di fronte all’altra. Nel silenzio totale. E avrebbe dovuto parlargli, sennò avrebbe parlato lui e… “siediti pure. Se vuoi accendi la tv, io metto su l’acqua” disse il ragazzo, prendendo il telecomando sul comodino vicino alla porta-finestra, dove c’era la tv. Lo appoggiò sul tavolo e le indicò la sedia. Lei si sedette e accese la tv su un canale a caso, cercando di fingersi interessata al programma, mentre lanciava delle occhiate nervose a Taylor che preparava le pentole.

“è pronto!” esclamò Taylor, spegnendo la cappa. Scolò la pasta nel lavandino e poi la mise nei piatti già preparati sul tavolo. “ecco qua… scusa ma non ho il sugo, dovremo accontentarci del ketchup” sorrise, un po’ imbarazzato, sedendosi a tavola di fronte a lei. “non ti preoccupare… mi ricorda i bei vecchi tempi della mensa del liceo” rise lei, prendendo il suo piatto. La guardò ipnotizzato mentre spremeva, mezzo tubetto di ketchup sulla pasta, facendogli fare uno strano disegno circolare. Il suo sorriso diventava sempre più bello ogni minuto che passava. “buon appetito” disse lui, e prese il ketchup. Ricoprì la pasta con la salsa rimanente e iniziarono a mangiare. Gaga si avventò sul piatto, prendendo forchettate enormi, quasi più grandi della sua bocca. Sembrava che non avesse mangiato per giorni. Sorrise divertito, e lei lo notò. “oh scusa, è che ieri ho mangiato solo un sandwich… sto morendo di fame” disse, poi tornò al piatto. In pochi minuti il piatto era vuoto, mentre lui non era ancora a metà, e la guardò mentre prendeva dei giganteschi pezzi di pane, li ricopriva di ketchup e formaggio e li masticava come una belva. Non l’aveva mai vista mangiare così velocemente. Per poco non scoppiò a ridere, ma cercò di contenersi e continuò a mangiare.

“allora… come va il lavoro? È tutto pronto?” chiese Taylor all’improvviso, mentre lei stava ancora spalmando il formaggio su una fetta di pane. Rimase col coltello a mezz’aria, e iniziò ad agitarsi. Doveva mantenere la conversazione su cose neutre. Una sola parola sbagliata e sarebbe stata la fine. “bene. Abbiamo mixato quasi tutte le canzoni, fra qualche giorno vado a fare il servizio fotografico per l’album…” disse, cercando di mantenere un’aria tranquilla, spalmando il formaggio. “come lo farete?”. “non lo so, pensavamo a dei primi piani, da varie angolazioni… poi sarà tutto riempito di colori. Una cosa piuttosto appariscente…” rispose, dando un morso al pane “e tu? Avete finito di filmare?”. “ancora settimana prossima e poi abbiamo finito la stagione, finalmente” rispose lui. Alzò lo sguardo dal pane e se lo ritrovò davanti che la guardava con un sorriso.

Alle due, le campane di una chiesa vicina suonarono. Avevano conversato per un’ora, senza però toccare gli argomenti di cui dovevano veramente parlare. In quel momento stavano parlando della moto di Taylor. “sono riuscito a portarla fin qui da Lancaster, non vedo l’ora di farci un giro. Però fa un po’ schifo, dovrò lavarla...” disse. “oh davvero? Me la fai vedere? È da una vita che non la vedo!” esclamò Gaga. Lui la guardò, stupito: non era mai stata interessata ai motori, per lei la sua moto era solo un mezzo di trasposto scomodo che la costringeva a mettere il casco e rovinare l’acconciatura. Gli vennero subito  in mente tutte le ore passate su quella moto, nel vento, con il suo corpicino aggrappato al suo, tra le strade di periferia e su per le montagne. “certo. È in garage. Vuoi vederla adesso?”. La ragazza annuì, sembrava davvero impaziente. Si alzò e insieme scesero le scale e andarono in garage. C’erano alcune auto dei residenti del condominio, vecchie e nuove, due Vespe, un motorino, varie biciclette, e la Ford Mustang rossa e bianca del 76 che Taylor aveva comprato l’anno prima per spostarsi velocemente a Chicago. “è qui” disse, e la accompagnò vicino al muro dell’ingresso. Coperta da un telo, c’era il suo tesoro, la magnifica Yamaha nera. Tolse il telo e la guardò, emozionato come ogni volta che ci posava gli occhi. Era un peccato che Gaga non condividesse la sua passione per le moto, sarebbe stato bello parlare dei nuovi modelli con lei… ma ogni volta che ci provava, non riusciva a mantenere la sua attenzione per più di dieci secondi, e rimaneva da solo a parlare di motore, cilindri, manubrio, marmitta e quant’altro da solo, mentre lei annuiva e sbuffava. La moto era tutta coperta di terra, e il nero lucido della vernice era diventato marrone. “devo proprio lavarla” disse, passando una mano sul sellino.

Un quarto d’ora dopo, Gaga era seduta sulle scale che portavano al garage, guardando Taylor che strofinava meticolosamente con uno straccio insaponato ogni millimetro della sua moto, quasi in estasi. Si era messo a parlare di ogni caratteristica di quel veicolo, orgoglioso come una mamma che parla di suo figlio. “vernice nera con quattro strati di lucido”, “arriva a 200 km orari”, “romba come un tuono”, “la senti a kilometri di distanza”, “motore super potente”… sbadigliò e si accasciò sullo scalino. Era così noioso quando parlava di motori, sapeva che non le interessavano, ma continuava lo stesso a parlarne. Si alzò, sbuffò e disse “senti, io torno di sopra, devo chiamare mia mamma. Se vu…”. “vai pure, non ti preoccupare, cinque minuti e arrivo anch’io!” disse il ragazzo, intento a passare il lucido sul sellino. Sospirando, corse su per le scale e si chiuse in casa, finalmente  da sola. Gli era rimasta vicino per due ore, e nessuno dei due aveva accennato alla faccenda “quel messaggio che ti ho inviato un mese fa”, ma aveva sempre paura che potesse accadere da un momento all’altro. Staccò il telefono dalla carica e si sedette sul divano. Chiamò la madre e le disse bene dov’era, con chi era, e sembrava sollevata nel sapere che era con Taylor. Rispose a qualche messaggio e, controllando le note, trovò un messaggio che le aveva scritto lui un giorno che le aveva preso il telefono. Era un lunghissimo messaggio, un po’ scherzoso e un po’ romantico, che doveva essere una specie di canzone o poesia, date le rime. Aveva usato molti di quei versi nelle sue nuove canzoni. Adorava leggerlo quando era da sola, prima di andare a dormire, perché era come se lui fosse vicino a lei a dirle quelle parole nell’orecchio. Lo rilesse per l’ennesima volta, identificando ogni strofa con la canzone corrispondente. “potremmo essere catturati…” “oh Sex Dreams!” disse tra sé e sé, e sorrise. C’era almeno metà della canzone scritta in quella nota. Dopo aver letto il messaggio, controllò l’orologio. Erano le 3. Dove diavolo era finito Taylor? Non aveva ancora finito di lavare la moto? Sbadigliò e cercò un gioco da fare sul telefono.

“eccomi! Scusa se ci ho messo tanto…” disse Taylor, rientrando in casa. Si asciugò le mani ancora bagnate sui pantaloni e chiuse la porta. Andò in cucina, e la ritrovò addormentata sul divano, con il telefono in mano. “oh scusa…” ripete, ma Gaga era completamente nel mondo dei sogni e non lo sentiva. Era un po’ seduta e un po’ sdraiata, una posizione non molto comoda, così pensò di portarla nel letto. Prese il telefono che aveva in mano e lo mise sul tavolo, poi la prese in braccio cercando di fare il più delicatamente possibile. La portò in camera sua e con una mano libera riuscì a spostare la coperta dal letto per farla sdraiare sulle lenzuola. Sistemò il cuscino sotto la testa e poi tirò su la coperta. Era tenerissima quando dormiva, sembrava una bimba. Adorava guardarla dormire, quando si svegliava prima di lei. Senza neanche pensarci, si sdraiò vicino a lei, su un fianco. Il viso vicinissimo al suo. Fissò il piccolo neo che aveva vicino all’orecchio, perfettamente circolare. Era rimasto come l’aveva lasciato, un puntino scuro sulla sua pelle bianchissima. Vicino al naso, c’era una leggera spruzzata di lentiggini. Erano chiarissime, non si vedevano mai perché le copriva sempre col trucco, ma lui sapeva che erano sempre lì. E aveva ritrovato anche loro. Prestò attenzione a ogni particolare del suo viso, dalle lunghe ciglia scure ai sottili peli biondi, il foro nel lobo, le labbra socchiuse di un colore rosato. Era tutto lì. A pochi centimetri dalle sue dita. Iniziò a toccarle i capelli sparsi sul cuscino, morbidi e leggermente arricciati. Poi le toccò la testa, ma un dito gli s’incastrò nelle ciocche delle extensions e, cercando di tirarlo fuori, le tirò i capelli e lei si mosse. L’aveva svegliata? Gaga si mise su un fianco, ma dormiva ancora. Taylor allora la lasciò dormire da sola e tornò nella cucina silenziosa. Guardò l’orologio: 3.45. aprì il frigo e tirò fuori una birra, poi si sedette sul divano e la bevve in silenzio, guardando fuori dalla finestra. Non voleva accendere la tv per paura di svegliarla. Video il suo telefono sul tavolo e fu tentato di controllarlo. Voleva vedere se aveva davvero ricevuto quei suoi stupidi messaggi. Si alzò, lo prese e tornò a sedersi. Si stupì nel vedere la foto del blocca schermo: era una foto che si erano fatti qualche mese prima, di notte, in mezzo alla neve di Chicago, sul ponte del fiume omonimo. Dietro di loro, le luci della città e la luna. Anche lui aveva una foto simile come blocca schermo del suo telefono, fatta nella stessa occasione. Sbloccò lo schermo. C’erano ancora venticinque chiamate perse e altrettanti messaggi non letti. Sfiorò l’icona dei messaggi e cercò la conversazione, sperando che non l’avesse eliminata. Dove sei, dove sei, buon compleanno, buon compleanno, allora ci vediamo domani… va bene. Eccola. “va bene”, letto 8.41. non aveva più scritto altro. Rilesse tutta la conversazione, che era durata mezz’ora e almeno quaranta messaggi. Come diavolo aveva potuto scrivere quelle cazzate? Come aveva potuto lasciarla in quel modo? Anzi, come aveva potuto lasciarla? Perché l’aveva fatto? Uscì dai messaggi e notò il badge delle notifiche di Ruzzle. Gli tornò in mente la chat del giorno prima. Aprì Ruzzle e video che il nome utente era proprio quello, Hope. “lo sapevo!” sussurrò, felicissimo. C’era ancora la partita contro di lui in sospeso, e due messaggi in chat: “Davvero? Adoro New York!” e “ci sei?”. Controllò quella conversazione, e sembrava così diversa dall’altra! Era stata davvero contenta di parlare con lui, allora. Anche lei lo rivoleva. Ne era sicuro. Ma aveva paura a fare il primo passo… non poteva semplicemente scusarsi. Come poteva scusare il suo comportamento orribile? Una scusa non bastava. Non bastavano un milione di “mi dispiace”. Ma era venuta da lui, apposta per ascoltare le sue scuse. Forse. Era venuta da lui per rivederlo … forse il suo comportamento di quel giorno l’aveva confusa, sarebbe ritornata a casa il giorno dopo senza concludere niente, l’avrebbe persa di nuovo. Doveva dirle tutto. Aveva ancora qualche ora per preparare un discorso decente, poi si sarebbe svegliata. Tornò in camera. Il sole iniziava a filtrare dalle tapparelle, la stanza era troppo luminosa, avrebbe disturbato il sonno. Cercando di non far rumore, le abbassò, e la stanza tornò nella penombra. Si tolse le scarpe e si sdraiò di nuovo vicino a lei; si era girata sull’altro fianco, erano faccia a faccia. Aveva un’espressione strana, forse stava sognando. Sospirò e chiuse gli occhi.
   
 
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