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Autore: Nihal    20/03/2013    4 recensioni
La guida che vi servirà per sopravvivere all'ingresso nell'università.
Serie di flashfic e oneshot tratte dalla mia esperienza universitaria, con qualche tocco di finzione.
Lasciate ogni speranza, oh liceali che entrate.
Godetevi i vostri banchi fissi, liceali. Dormiteci, scriveteci, mangiateci, usateli per prendervi a botte, quello che volete. Createvi dei ricordi dei vostri banchi, perché all’università vi resteranno solo quelli.
Cos’è, voi due che ridevate prima, perché ora siete ammutoliti? E non piangete, femminucce! Potete sempre tornare al liceo a trovarli, i vostri banchi! Non che io l’abbia mai fatto, sia ben chiaro.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Gli spostamenti

No, suvvia, non scoraggiatevi. Io sono qui perché voglio che arriviate preparati al grande passo – non il matrimonio, eh – mica voglio che rinunciate in partenza.
Come dicevano gli antichi, meglio arrivare preparati.
Comunque, passiamo al prossimo argomento, gli spostamenti.
Quante volte, al liceo, vi siete detti: perché dobbiamo sempre stare nella stessa aula? Se ci spostassimo almeno perderemmo un po’ di tempo!
Oh, su, non fate i timidi, sono sicura che è successo. E ora rimpiangerete quel desiderio, sappiatelo.
È esattamente quello che ho fatto io comunque. Finite le superiori, ciò che mi ero aspettata di trovare all’università era un liceo in grande. Insomma, un maestoso edificio pieno di universitari che invece di andare a lezione sorseggiavano il caffè e giocavano a bubble witch saga nel tempo libero – ovvero sempre – seguendo una lezione tra una pausa e l’altra.
Mi sono trovata quindi un po’ spiazzata quando ho scoperto che dopo la lezione che terminava alle dieci precise ne avevo una che iniziava alle dieci precise. È normale che sia così, direte voi. Beh, non avete contato che l’altra lezione è a venti minuti di tram – che non passa mai – dall’altra parte della città.
Va beh, ci provo, dopotutto non posso fare altro.
Torniamo un po’ indietro, al primo giorno di università.
Il giorno prestabilito mi presento a lezione piena di forza e vigore, pronta a balzare dalla sedia non appena il professore finisca di parlare.
Dopo presentazioni e ammonimenti vari (‘l’università non è il liceo!’ ‘Non mi interessa se frequentate o no, non faccio favoritismi, comunque ricordo ai non frequentanti di consultare la mia pagina per vedere i venti testi in più che devono studiare a memoria’), sento qualcosa di interessante.
«Ragazzi, sicuramente dopo di questa avrete un’altra lezione, ma non preoccupatevi, esiste il quarto d’ora accademico»
Il quarto d’ora accademico. Concetto nuovo ai più, forse la migliore invenzione mai sfruttata di sempre.
Le teste dei ragazzi si voltano tutte all’unisono verso l’insegnante, che si sorprende per la rinnovata attenzione. Il concetto di quarto d’ora accademico, anche se sconosciuto, è insito nel cervello umano. Ogni studente che lo sente nominare, automaticamente in cuor suo esulta. Neanche voi sfuggirete a questo fenomeno, fidatevi.
«Solitamente nell’università le lezioni iniziano un quarto d’ora dopo e finiscono un quarto d’ora prima. Per permettere a voi studenti di spostarvi.»
Notai una certa espressione di disgusto sulla faccia del professore, ma decisi di essermela immaginata. Chi non amerebbe il quarto d’ora accademico?
Inizia la lezione e io inizio a guardare freneticamente l’orologio. Questo è il momento in cui il mio nuovo metodo di ascolto si evolve: prendo appunti con una mano guardando il foglio con un occhio e l’altro occhio lo conservo per guardare l’orologio. Non fate quella faccia, imparerete anche voi!
Nove e quarantaquattro.
Dai, tra un minuto posso uscire! Ho mezz’ora, sono sicura che riuscirò a prendere il tram in tempo e ad arrivare all’altra lezione.
Smettetela di sghignazzare voi, altrimenti fate spoiler e rovinate il finale a chi ancora non ha capito cosa succederà.
Nove e quarantasette.
Beh, il mio orologio andrà avanti.
Nove e cinquantanove.
«D’accordo, per oggi la lezione è finita!»
Dieci e zero zero.
Il mio ottimismo si è dissolto come neve al sole. Mi alzo come una furia e cerco di sorpassare quelli che ancora stanno prendendo appunti. Sì, all’università i banchi sono tutti attaccati, così se c’è un incendio possono ucciderci meglio.
Corro fuori dall’edificio – ah, ah, all’università nessuno ti dice niente se corri nei corridoi! – per poter prendere il tram.
Fuori piove. E io non ho l’ombrello – fatevene una ragione, neanche voi ce l’avrete. L’ombrello sarà l’ultimo dei vostri pensieri!
Quando arrivo alla fermata – alle dieci e zero cinque – penso di avercela quasi fatta. Suvvia, la lezione inizia alle dieci e un quarto – sì, credo ancora nel quarto d’ora accademico, d’accordo? E non ridete! – quindi mal che vada arriverò con dieci minuti di ritardo.
Dieci e un quarto.
Un ammasso di ferraglia arancione che in quanto a vecchiaia se la gioca alla pari con Matusalemme arriva arrancando. Le persone – ventordici studenti e qualche incauto abitante locale – si ammassano sul marciapiede, smaniose di salire. Ovviamente io non faccio eccezione: dopo una lotta all’ultimo sangue riesco a guadagnare l’ingresso. Venti posti a sedere. Circa cinquanta persone. Sembra un’aula universitaria su ruote, insomma.
Dopo venti minuti di ondeggiante viaggio arrivo a destinazione.
Corro come mai avevo corso in vita mia – va beh, accelero il passo, per terra è bagnato, non voglio mica scivolare! – e seguo la massa di studenti che si riversa nell’edificio che mi si trova di fronte.
Aula 2, secondo piano. È tutto quello che mi serve sapere.
Prendo le scale e in men che non si dica arrivo al secondo piano, che non sembra neanche tanto grande. Camminando osservo i numeri sopra le porta delle aule. Trentanove, trentotto… a trentatré il corridoio finisce. C’è qualcosa che non va.
Riguardo il mio foglietto.
Aula 2, secondo piano. IT.
Ah, mi ero persa il IT, ovvio.
Un attimo, cos’è un IT?
Corro al piano di sotto, cercando disperata qualcuno che non avesse la faccia di una matricola. Tutto intorno a me vedo solo ragazzi disperati che gironzolano.
D’accordo, torniamo di sopra.
Mi giro di nuovo tutto il secondo piano.
Finalmente scovo un’auletta IT.
Aula di informatica. Per una lezione non di informatica. D’accordo.
Vedo all’incirca una trentina di studenti accampati nel corridoio.
«Scusate, è qui che c’è didattica?» chiedo a quello che mi sembra più sano di mente.
Lui annuisce e io sporgo la testa dentro. L’aula da circa quaranta posti è occupata da una settantina di persone. Esclusi i campeggiatori in corridoio.
Godetevi i vostri banchi fissi, liceali. Dormiteci, scriveteci, mangiateci, usateli per prendervi a botte, quello che volete. Createvi dei ricordi dei vostri banchi, perché all’università vi resteranno solo quelli.
Cos’è, voi due che ridevate prima, perché ora siete ammutoliti? E non piangete, femminucce! Potete sempre tornare al liceo a trovarli, i vostri banchi! Non che io l’abbia mai fatto, sia ben chiaro.
Comunque, ormai la lezione è persa. Ho affrontato condizioni meteorologiche avverse e tram strapieni per accamparmi in corridoio. Vado a prendermi una cioccolata alle macchinette, ho bisogno di forze per rifare tutto il percorso inverso.
Dimenticavo una cosa importante: il vostro primo giorno pioverà e suppongo che questo l’avrete intuito. E non fate quelle facce da io porto sempre l’ombrello!. Si romperà. E se ne porterete due, uno ve lo fregheranno. E se ne porterete tre non vi staranno più i libri… e magari finirebbe anche per fare bel tempo. Insomma, avete capito l’antifona.


Dai che vi sto facendo passare la voglia di andare all'università!XDXD
Comunque, mi scuso per le note corte, ma purtroppo sono di corsa!:(
Spero che apprezziate il capitolo!:)

Nihal

  
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