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Autore: Morgana_82    27/03/2013    1 recensioni
I Mounties gestiscono una allevamento di bovini nel Montana, agli inizi del '900.
Denna, la madre, è una donna d'altri tempi, dura e dalle origini sassoni. Ezechiele, il padre, è un uomo bonario, integerrimo e che viaggia spesso per lavoro.
I loro figli sono sei: Aaron, Devon, Damian, Lobo, Aril e Timothy. 
Sono molto belli, intraprendenti e si cacciano spesso nei guai!
Le avventure di questa famiglia così numerosa e movimentata saranno molte e (spero) talvolta divertenti.
ATTENZIONE: Spanking!
Genere: Avventura, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Aaron era pietrificato, al centro della stanza.
Poteva ricordare al massimo un paio di episodi, in tutta la vita, in cui suo padre aveva alzato le mani su di loro. E si era sempre trattato di qualche blando scapaccione.
Denna lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
-Ez, ma… tu?-
-L’ho conservato con cura-, rispose lui amaro, -per ricordare a me stesso quello che ero, e cosa ci è voluto per farmi cambiare-.
-Capisco-, disse Denna.
-Credo sia giusto-, disse Ezechiele.
Denna guardò l’involto che suo marito teneva tra le mani,-è pericoloso-, disse, -sai come usarlo?-.
-Ne ho subìto gli effetti abbastanza spesso-, rispose lui -da sapere bene quel che può fare-.
Denna annuì, -sta attento, però-.
L’uomo le mise una mano sulla spalla, e rivolse la sua attenzione al figlio, Aaron era ancora in piedi, fermo, ascoltando senza capire. Suo padre si fece avanti, e mise l’involto di stoffa sul tavolo, l’aprì lentamente, scoprendo al suo interno un lungo nerbo dalla forma a spirale. Aaron sentì una decisa contrattura alla bocca dello stomaco, la salivazione nella bocca si ridusse all’istante, capì subito di cosa si trattava, per anni da bambini erano stati minacciati di percosse con quello strumento, ma erano sempre rimaste vane minacce. La verga di vimini era di per sé già uno strumento temibile, Aaron sentì le gambe farsi molli.
Ezechiele sollevò il nerbo di bue e lo fece flettere più e più volte tra le mani, la pelle scricchiolò, piegandosi. Dopo averlo manipolato una decina di volte, l’uomo fendette l’aria con lo strumento, che produsse un sibilo profondo, come il lamento di un animale, un suono che si avvinghiò alla gola di Aaron, strozzandola.
-Chinati sulla sedia, Aaron-, ordinò Ezechiele, mentre con la mano sinistra sbottonava il polsino della manica destra, -mettiamo fine a questa faccenda-, e arrotolò accuratamente la camicia, scoprendo l’avambraccio scuro.
La contrattura allo stomaco si fece una stretta dolorosa, Aaron esitò, facendo scorrere lo sguardo da suo padre al nerbo a sua madre, sperava che lei dicesse qualcosa, che si opponesse, -Non mi hai sentito?- disse Ezechiele, -ho detto: chinati sulla sedia-.
La voce di suo padre era bassa, quasi un sussurro, Aaron annuì lentamente e si accostò alla sedia,
-Pantaloni e mutande, via tutto-, aggiunse Ezechiele, perentorio.
Aaron si morse il labbro, poi sbottonò i pantaloni, che caddero per terra frusciando, seguiti dalla biancheria intima. Provò una tale vergogna per quella improvvisa nudità, da provare il desiderio di andare a nascondersi, invece appoggiò il bacino allo schienale e sentì lo spigolo di legno premere contro le ossa dei fianchi. Curvò la schiena in avanti, posò le palme delle mani sulla seduta, il legno usurato dall’attrito era stranamente lucido, intuiva vagamente il riflesso della sua faccia e chiuse gli occhi.
Sentì suo padre muoversi, lo scricchiolio degli stivali di cuoio sul pavimento di legno, lo sentì fermarsi alle sue spalle, il respiro accelerò.
Strinse i denti, contrasse il muscoli delle spalle e inspirò allargando il torace, Ezechiele esitava. Denna lo guardò negli occhi e annuì, non poteva più tirarsi indietro, ormai.
L’impatto sulla parte alta delle natiche fu come una scossa, Aaron spalancò gli occhi, e strinse i pugni. Sulle natiche si formò un lungo segno dai bordi bianchi.
Ezechiele sentiva la gola stretta, -uno-, disse piano.
Sollevò il braccio e il secondo colpo piovve sul ragazzo, Aaron emise gemito soffocato, al confronto, le sferzate di sua madre erano carezze.
-Due-, disse Ezechiele, e sollevò di nuovo il braccio, con lentezza estenuante.
Altro colpo, -Tre-.
Aaron si sollevò di scatto portandosi una mano al fondoschiena.
-Sta giù-, disse Ezechiele.
Mordendosi le labbra Aaron piegò di nuovo la schiena. Il silenzio era soffocante.
-Quattro-.
Fu un riflesso automatico: scattò all’impiedi senza neanche rendersene conto. Il dolore era quasi intollerabile.
-Sta giù, figliolo. Non te lo dirò un’altra volta-.
Aaron annuì con la mascella contratta. Non voleva nemmeno pensare a cosa sarebbe successo se non avesse obbedito.
-Cinque-.
Non riuscì più a trattenersi: gridò.
-Sei-.
Strillò di nuovo, cristosanto, cristosanto, cristosanto…
Ogni colpo era come un lampo rosso dietro agli occhi. Una scossa elettrica.
Il dolore partiva dalle natiche e scendeva nelle gambe, su per la schiena.
-Sette-.
Gli occhi e la gola cominciarono a bruciare.
-Otto-.
Sentiva le natiche pulsare fin nella testa. Le sentiva gonfiarsi, e immaginò i lividi violacei formarsi, espandersi.
-Nove-.
All’attaccatura con le cosce. Cazzo. Il dolore fu tale che non poté fermarsi. Si raddrizzò di scatto afferrando lo schienale con le mani, e contraendo spasmodicamente i glutei.
Stavolta Ezechiele non disse nulla.
Aaron lo sentì muoversi alle sue spalle, -scusa-, disse ansimando, -scusa, non volevo…-
Non fece in tempo a voltarsi, suo padre aveva allungato il braccio sinistro sopra di lui e lo aveva afferrato saldamente, cingendogli la vita. Il piede sinistro dell’uomo si posò con un tonfo sulla sedia. Aaron sentì il ginocchio incunearsi sotto la pancia e premere contro lo sterno, la pressione del gomito di Ezechiele lo obbligò a chinarsi in avanti.
Da quella posizione gli era praticamente impossibile alzarsi.
Suo padre riprese a colpirlo. Adesso le nerbate erano più leggere, ma rapide e ravvicinate.
-Dieci, undici, dodici, tredici-.
Aaron ricominciò a strillare e a divincolarsi.
-Basta! Ti prego. Basta!- Supplicò.
-Quattordici, quindici, sedici-.
-Basta, basta, basta!-.
La stretta di Ezechiele non si allentava.
-Diciassette, diciotto -.
-Papà, ti prego! Basta!-
-Diciannove, venti-.
Ezechiele si fermò e lanciò il nerbo per terra, ma anziché lasciare andare il figlio rinsaldò la presa e cominciò a sculacciare Aaron con la mano nuda.
Per una frazione di secondo il ragazzo non si rese conto di quello che stava succedendo.
Poi capì, e fu come se qualcosa dentro di lui si spezzasse. Le lunghe settimane di stress emotivo gli franarono addosso come l’acqua di una diga esplosa.
Scoppiò in lacrime.
Senza ritegno, senza freni.
Singhiozzò fino a non riuscire più a respirare.
Ezechiele continuò a sculacciarlo con cadenzata decisione. Gli schiocchi sulla pelle erano sonori, netti.
Ad un tratto si rese conto che il ragazzo non piangeva più così forte, anzi, si stava calmando “La tempesta è passata”, pensò, e lo lasciò andare.
-Rivestiti-, disse con calma.
L’uomo si allontanò, voltandogli le spalle, per raccogliere il nerbo lanciato lontano, mentre Denna si alzò e cominciò a sparecchiare la tavola.
Lasciato in balia di sé stesso, Aaron ebbe il tempo di ritrovare un minimo di compostezza.
Riuscì a far salire i pantaloni oltre le natiche tumefatte, a chiuderli e a infilarvi dentro la camicia.
Si terse le lacrime con un fazzoletto di stoffa che aveva in tasca, e si soffiò il naso. Poi rimase così, in piedi, fermo, a fissare il nulla.
Provò uno strano senso di… calma irreale. Come se qualcuno avesse spento di colpo tutti i rumori.
Sentiva la testa leggera, vuota. L’unica sensazione persistente era il dolore.
Le natiche bruciavano come se si fosse seduto su una piastra di metallo incandescente.
Rimase in silenzio, ancorato alla sedia.
Quando si riscosse guardò i suoi genitori. Erano fianco a fianco, vicino all’acquaio. Armeggiavano con gli utensili da cucina, dandogli le spalle. La cucina era perfettamente sparecchiata e in ordine.
“E ora?”pensò, “si aspettano che dica qualcosa?” Fece un leggero movimento e urtò la sedia con un piede, facendo rumore.
Denna di girò immediatamente e Aaron distolse lo sguardo.
La donna sorrise, e toccò la spalla del marito, Ez si girò verso di lui.
Denna prese una tazza e una cuccuma che bolliva sulla stufa. Versò acqua bollente nella tazza e immerse un infusore pieno di fiori di camomilla, si avvicinò ad Aaron e gli porse la tazza.
-Tieni, tesoro. Ti farà bene-.
Aaron prese la tazza e la tenne tra le mani, il calore della ceramica gli trasmise un piacevole conforto. Soffiò sul liquido bollente e provò a bere qualche sorso, sotto lo sguardo attento di Denna, si accorse di avere la mascella ancora contratta, e la lingua secca come una raspa.
La tisana era profumata e delicata.
-Io-, esordì dopo aver bevuto in silenzio, -vi voglio ringraziare-, lanciò un’occhiata a Ezechiele, che stava asciugandosi le mani con un panno. L’uomo si avvicinò a loro e sedette a metà sulla tavola.
Aaron bevve un altro sorso fumante, -credo che le scuse non servano a questo punto-, disse guardando il liquido dorato nella tazza, -e che sia inutile dirvi quanto sono dispiaciuto per avervi deluso, per aver messo a rischio voi la fattoria, o… insomma, per tutto. Ma vi voglio assicurare che ho capito. Ho capito davvero. Ero terrorizzato all’idea di non riuscire a risolvere da solo i miei problemi, all’idea che gli altri sapessero che avevo sbagliato. Ero terrorizzato all’idea di fallire. Adesso penso che l’unico fallimento, in tutta questa storia, sia stato il non riuscire ad affrontare i miei limiti-. Sentì di nuovo le lacrime salire nella gola.
-Ero convinto che non mi avreste mai perdonato per una cosa del genere. E invece voi…-
Un tocco leggero sulla guancia gli fece alzare la testa.
Denna gli si era avvicinata, stava sorridendo.
-Lo so, tesoro, lo so. Va bene così, ora è finita, non parliamone più. Adesso ti porto a letto, ti va?-
-Sì-.
-Ce la fai a camminare?-
-Penso di sì… forse-.
Con cautela e trattenendo le smorfie, Aaron mosse alcuni passi. Denna lo prese sotto braccio e portò fuori dalla cucina.
Ezechiele si accasciò su una sedia, e fu così che Denna lo trovò al suo ritorno, con lo sguardo perso nel vuoto.
-Ma come fai?- chiese alla moglie quando lei gli fu vicino.
-Faccio cosa?- domandò lei cingendogli le spalle con le braccia.
-Tutto. Questo. È sfibrante, è stata la cosa più difficile che abbia mai dovuto fare in tutta la mia vita. Sono esausto, mi viene da vomitare. E tu lo porti avanti ogni giorno, mentre io per mesi e mesi sono in giro per affari… Come fai?- disse Ez, stringendole le mani.
-Faccio solo quel che devo-, disse lei placida.
-Mi dispiace, davvero. Sono un pessimo marito e un pessimo padre, forse dovrei…-
-Forse dovresti smetterla di dire sciocchezze-, lo interruppe lei tirandogli giocosamente la barba brizzolata, -altrimenti mi costringi a riprendere il nerbo e farti vedere come si usa-.
-Oseresti tanto contro tuo marito?- disse lui oltraggiato e delicatamente la tirò per un braccio, invitandola a sedere in braccio a lui.
-Oserei questo e molto di più-, convenne lei baciandolo, adorava il contatto ruvido dei baffi sulle labbra morbide, -ma anche io sono stanca, davvero tanto, non so nemmeno se ce la farò a salire di nuovo le scale-, poggiò la testa bionda sulla spalla di Ez.
L’uomo la strinse, -beh, dovrò pur far l’uomo qualche volta in questa casa, no?- disse, e si alzò in piedi sollevando Denna tra le braccia.
-Sciocco, fammi scendere, ti verrà il colpo della strega!- rise lei aggrappandosi al collo del marito.
-Credi forse che sia così vecchio? Sta vedere!-
I due salirono al piano di sopra, Denna trasportata docilmente da Ez, che la tenne tra le braccia tutta la notte.

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