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Autore: Hylia93    27/03/2013    8 recensioni
Dopo aver letto tante ma tante ff, provo a scriverne una anch'io, la mia prima Dramione!
Siamo al quinto anno, ma c'è qualche differenza. Voldemort non è rinato, perché Silente è riuscito ad impedire che Harry (e di conseguenza anche Cedric) usasse la passaporta, ossia la Coppa del Torneo Tremaghi. Tuttavia, Voldemort non è ancora morto del tutto e forse nasconde più di quanto si pensi. L'atmosfera è all'apparenza più tranquilla a Hogwarts, più serena. Sarà un altro anno pieno di peripezie o riusciranno, finalmente, a vivere un anno da adolescenti? Le due cose, in realtà, sono complementari! :)
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
Capitoli:
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Scusate l'attesa.
Blocco dello scrittore :)
Ringrazio ancora chi mi segue e
chi mi legge, ma soprattutto chi mi recensisce
perché mi aiuta a capire dove sbaglio e dove posso
migliorare. Spero che continuiate a darmi consigli, e che 
agli abituali se ne aggiungano altri. Non vi vergognate :D Buona lettura!

Capitolo 29, "Il signor Price."

- Hermione, avanti, vieni a pranzo. - mormorò Harry, poggiandomi una mano sulla spalla.
- Non ho fame. - dissi con voce roca, dopo ore di silenzio. La mattinata era stata, come prevedibile, del tutto infruttuosa. Neppure il Reparto Proibito finora era riuscito a dissipare quella fitta nebbia che avvolgeva la Pietra della Morte, il rito e Voldemort. Tutto era così sfumato da apparire poco reale, una storia inventata da Silente per rendere anche questo quinto anno ad Hogwarts pieno di nottate in bianco, pericoli e misteri. Purtroppo conoscevo abbastanza il Preside da poter affermare con certezza che non fosse tipo da imbarcarsi in questi "scherzi".
- Ma devi mangiare! Non puoi rimanere digiuna, stamattina alla fine non hai fatto neanche colazione! - esordì Ron, altamente contrariato e sbalordito dal fatto che una persona potesse saltare due pasti e continuare a vivere normalmente. Non capivano che non avevo alcuna intenzione di abbandonare le ricerche fino a che non avessi trovato anche il più piccolo indizio? Un qualcosa da cui ripartire, una notizia da riferirgli per far nascere un barlume di speranza nei suoi occhi grigi, una volta tornato. Non potevo né volevo accoglierlo a mani vuote, offrendogli il mero conforto della mia presenza. Dovevo essere all'altezza, fare per Draco quello che avevo sempre fatto per Harry.
- Non morirò, Ron. - mormorai, senza distogliere gli occhi dal libro poggiato sul tavolo, rilegato di cuoio nero e alto più o meno come il professor Vitious. I due si scambiarono uno sguardo, indecisi, che preferii ignorare.
- Torniamo tra poco, e ti porteremo qualcosa. - disse Harry, lanciandomi un'occhiata preoccupata prima di afferrare Ron e uscire dalla biblioteca con indosso il mantello dell'invisibilità.
Chiusi gli occhi, cercando di ritrovare un po' di tranquillità e fermando il movimento spasmodico della mia gamba che senza che ne fossi consapevole continuava a tremare. Dolohov, Bellatrix e Rodolphus sarebbero arrivati nel pomeriggio, il che implicava che ora Draco fosse da solo, probabilmente terrorizzato dietro la solita maschera d'indifferenza, ad aspettare il suo destino a braccia conserte. Portai due dita alle tempie, mentre il dolore continuava ad annebbiarmi la mente, imperterrito. Non ne voleva sapere di lasciarmi in pace, neppure dopo due dosi della pozione contro il mal di testa di cui avevo sempre una scorta.
Poggiai i pugni sugli occhi, infastidita anche dalla fioca luce che le lanterne gettavano sul tavolo di scuro legno massiccio e sulle librerie ricolme che lo circondavano. 
Avanti, Hermione, puoi farcela. Fallo per lui.
Presi un profondo respiro e mi immersi di nuovo nella lettura, le palpebre pesanti e gli occhi lucidi. Mi sentivo stanca, incredibilmente stanca.

- Dimmelo! - urlò un uomo, un lungo mantello nero gettato sulle spalle, il cappuccio alzato e una maschera argentata sul viso. La voce era profonda, leggermente roca, imperiosa. Una mano segnata da una lunga cicatrice sul dorso spuntava dalla manica destra, la bacchetta di un bianco quasi accecante, lunga e regolare, tremava leggermente. Rabbia, il sentimento che quella figura emanava da tutti i pori. A pochi centimetri dalla punta della bacchetta, il petto di un altro uomo si alzava e si abbassava regolarmente.
- E' inutile che mi punti quel bastoncino contro. - mormorò, incrociando le braccia al petto. La mano dell'altro cominciò a tremare ancora più vistosamente ma la presa sull'arma si fece più ferrea, come se vi si volesse aggrappare. Poi, dopo un ultimo fremito, l'abbassò con un movimento lento e studiato.
- Vabene, Price, te ne do atto. Ti prego di perdonare i miei modi. - mormorò il Mangiamorte, modulando la sua voce per apparire tranquillo. Che lo fosse o meno, impossibile dirlo a causa della maschera che celava i suoi lineamenti.
- Come mi avete trovato? - domandò il fantasma, alzando le sopracciglia.
- Non è stato difficile, hai sempre avuto una passione per questo tipo di sobborghi inglesi. - rispose l'altro, riponendo la bacchetta al di sotto del mantello.
Il fantasma sorrise appena, increspando le labbra in un ghigno di superiorità.
- La vostra visita è inutile. - disse, dopo qualche secondo di silenzio. Doveva essere morto abbastanza giovane, ma sembrava appartenere ad un'altra epoca. Un abito classico, giacca e cravatta, di un beige un po' sbiadito, un paio di baffi neri a manubrio che facevano pandan con i capelli, stirati attentamente all'indietro se non per un piccolo ciuffo che ricadeva, ribelle, davanti agli occhi. Non era certo di bell'aspetto, con dei tratti troppo duri e un naso lungo e ricurvo, ma doveva essere stato un uomo affascinante. Inoltre, non sembrava un normale fantasma ma un uomo dalla pelle sottilissima, quasi trasparente, su cui dei colori, un tempo molto accesi, rilucevano sbiaditi. Non fluttuava, camminava, senza lasciare però alcuna traccia sull'erba sotto le sue scarpe laccate. Fece qualche passo in direzione della porta della graziosa casa di mattoncini rossi, allungando una mano verso la maniglia e facendola cadere subito dopo.
- No, io non credo. - mormorò il Mangiamorte, raggiungendolo.
Il fantasma si voltò lentamente, osservando l'uomo che aveva davanti assottigliando gli occhi scuri. Sembrava lo stesse valutando, facendo scorrere lo sguardo dalla punta del cappuccio a quella del mantello.
- Cosa ve lo fa pensare? - domandò, dopo la sua attenta analisi, poggiando le mani a coppa sulla finestra accanto alla porta, da cui si intravedeva, attraverso le tende bianche, un salottino sui toni del blu, un divano e una poltrona illuminati da una luce soffusa proveniente da una lampada. Una donna, semisdraiata sul divano si sporgeva verso la luce per leggere una lettera.
- Signor Price, noi abbiamo bisogno del suo aiuto, lei del nostro. - affermò sicuro l'uomo, facendo voltare di scatto il fantasma.
- Io non ho bisogno del vostro aiuto, non so di cosa stia parlando. - sibilò, scansandosi leggermente dalla finestra per fissare il Mangiamorte con sguardo enigmatico.
- Se lei ce la consegna, noi le consegneremo la vita che le è stata tolta. - cantilenò l'uomo dopo qualche minuto di suspense. Gli occhi del fantasma si spalancarono, i pugni si strinsero. 

Aprii gli occhi di scatto, balzando in piedi e facendo cadere la sedia dietro di me. Presi qualche respiro profondo per tentare di calmarmi, il cuore che batteva a mille.
Una previsione. Non una visione. Quello che avevo visto sarebbe accaduto molto presto, me lo sentivo. 
Price.
Il suo nome e la sua immagine erano stampati nella mia mente che lavorava frenetica per tentare di ricollegarli a qualche cosa che avessi letto nel corso degli anni. 
Price, price, price…
Strizzai gli occhi e battei un piede per terra, nervosa. Niente da fare, non mi veniva in mente nulla. Cosa voleva un Mangiamorte da uno strano fantasma dall'impeccabile accento inglese?
Se lei ce la consegna, noi le consegneremo la vita che le è stata tolta.
Un rumore di passi attirò la mia attenzione, facendomi voltare lo sguardo su due figure che si stavano avvicinando, coperte dalle ombre. Posai la mano sulla bacchetta, per pura precauzione.
- Preferirei che non lo faceste davanti a me, comunque. - sbraitava Ron con un tono di voce stranamente acuto per i suoi standard.
- Oh avanti! Era un bacio a stampo! - sentii Harry rispondere, ed immaginai le sue guance tingersi di rosso mentre i suoi occhi si abbassavano per soffermarsi sulle interessantissime trame del pavimento.
- Ci mancherebbe! Lei è piccola! - sibilò il rosso di rimando, sbucando per primo da dietro uno scaffale con un vassoio argentato tra le mani e un'espressione di disappunto. Dietro di lui Harry scuoteva piano la testa, come a scacciare un pensiero fastidioso.
Mi sedetti, tentando di fare un po' di chiarezza nei miei pensieri.
- Herm, cos'è successo? - chiese Ron, appoggiando in mal modo il vassoio sul tavolo ed accucciandosi davanti a me, le mani sulle mie ginocchia. Sbattei un paio di volte le palpebre, disorientata da quel contatto.
- Dobbiamo cercare un certo Price, probabilmente vissuto qualche secolo fa, che a quanto pare è morto giovane. - dissi, cercando di suonare sicura. Ron e Harry mi guardarono confusi, così decisi che era meglio spiegargli per filo e per segno cosa avessi visto.
Una volta terminato i loro volti si fecero pensierosi ma illuminati da una flebile speranza.
Passammo il pomeriggio ad analizzare tutti i Price vissuti nel Settecento, nell'Ottocento e nel Novecento, ma nessuno sembrava avere un qualche collegamento con la nostra ricerca.
- Questo è un attore. Magari Tu-sai-chi vuole mettere su un teatrino e questo era particolarmente bravo. - borbottò Ron, indicando con un dito il nome di un certo Dennis Price. Sbuffai, contrariata da quell'umorismo fuori luogo, e presi una mela verde dal vassoio, addentandola con rabbia.
- Granger, non mi pare il caso di accanirsi con quella povera mela a causa delle battutacce di Weasel. - mormorò una voce soffice dietro di me. Per poco non mi strozzai, mentre il frutto cadeva impietosamente per terra rotolando ai piedi di Draco. Lo guardò con sufficienza, lo scavalcò e fece qualche passo verso di me. Non riuscivo a muovermi. Harry e Ron spostavano lo sguardo da lui a me, in attesa di qualche reazione.
Si fermò a un passo dalla mia sedia, le mani in tasca, lo sguardo che cercava il mio. Sentii gli occhi lucidi, il nervosismo e la tensione che mi avevano tenuta prigioniera tutto il giorno tentavano di farsi strada verso l'esterno attraverso le lacrime. Sbattei un paio di volte le palpebre per ricacciarle indietro, alzai gli occhi e mi persi nei suoi. Senza neanche accorgermene balzai in piedi, lanciandogli le braccia al collo e premendo violentemente la bocca contro la sua, bisognosa di quel contatto. Lui spalancò gli occhi, interdetto, prima di rispondere al bacio e farsi strada nella mia bocca con la lingua senza lasciarmi il tempo di respirare. Un botto dietro le mie spalle mi riportò alla realtà. Mi staccai improvvisamente da Draco, guardandomi dietro le spalle. Ron era in piedi, i pugni stretti, le orecchie rosse. La sedia su cui poco prima era seduto era a terra, inerte, una gamba spezzata. Harry mi osservava con un'espressione tra lo sconvolto e lo schifato, una mano a mezz'aria, impietrito nell'atto di voltare pagina. Arrossii involontariamente, osservando i tratti del viso di Ron farsi sempre più duri, più disgustati.
- Mi dispiace. - mormorai, abbassando gli occhi, - Io… torno subito. - aggiunsi, prendendo la mano di Draco e trascinandolo dietro di me fino a che non fui sicura di essere abbastanza lontana da loro.
- Cos'è successo? - sussurrai, guardandolo negli occhi. Sembrava tranquillo, ma vedevo qualcos'altro in fondo a quel grigio così profondo.
- Credo che alla donnola non sia piaciuto vederti mentre mi salti addosso, ma forse è solo un'impressione. - disse, le labbra che mi sfioravano la guancia e le mani ferme sui miei fianchi. Deglutii, facendo di tutto per evitare di cedere al suo respiro sulla mia pelle, al suo tocco e alle sue provocazioni.
- Avanti non fare l'idiota, cosa ti ha detto Dolohov? - ritentai, rimanendo delusa dalla voce spezzata e leggermente roca con cui avevo posto la domanda. Un ghigno divertito accolse le mie parole mentre con una mano dietro la schiena mi avvicinava ulteriormente e pericolosamente a sé.
Fissai gli occhi nei suoi, determinata, preoccupata, spaventata. La sua espressione cambiò, si fece più serio, ma non allentò la presa su di me.
- Credo che tu già lo sappia, Granger. - disse con tono duro.
E così era vero. Silente, come al solito, aveva ragione.
Draco avrebbe dovuto consegnare il medaglione, altrimenti lo avrebbero senza dubbio ucciso.
Il che voleva dire fare il suo gioco, porgergli su un piatto d'argento quello che sembrava un innocuo monile ma che in realtà avrebbe privato chiunque gli si fosse opposto dell'amore, l'unica arma da impugnare, secondo il Preside, contro il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi.
Una stretta al cuore mi fece tremare le gambe.
Appoggiai le mani al suo petto, in cerca di sostegno e di calore, mentre le sue braccia si avvolgevano intorno alle mie spalle.
- La prossima volta che mi baci in quel modo, mezzosangue, non sarò così clemente da limitarmi a ricambiare. Avverti i tuoi amici. - sussurrò con un sorriso a mezza bocca. 

   
 
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