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Autore: Nivees    28/03/2013    5 recensioni
{ Dieci storie tratte dalle canzoni più belle dei Kagamine | Len/Rin ♥ }
Ogni volta che Rin non riesce a dormire la notte, corre sempre nel lettone di Len il quale, finché la sorella non chiude gli occhi, le sussurra una dolce favola della buona notte, stringendola a sé.
First night ~ «C'era una volta...» ...una bambola. [Dolls]
Second night ~ «C'era una volta...» ...una principessa. [Sword of Drossel]
Third night ~ «C'era una volta...» ...una parola. [Hello Again]
Fourth night ~ «C'era una volta...» ...un robot. [Kokoro]
Fifth night ~ «C'era una volta...» ...un prigioniero. [Paper plane]
Sixth night ~ «C'era una volta...» ...un sogno. [Dreamy Dance Party]
Genere: Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: Raccolta | Avvertimenti: Incest
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Kokoro.
Questa canzone è stata la primissima canzone dei Vocaloid che ascoltai (proprio questo video, con le due versioni insieme *^*) taanto tempo fa, e da altrettanto tempo sono diventata una Kagamineshipper. Forse proprio grazie a Kokoro, che è stata la prima fottuta canzone che mi ha fatto piangere - anche se dopo, ce ne sono state molte altre.
Non ho tanto da dire, solo godetevi questo capitolo che è stato scritto con il cuore (non è detto a caso, eh!) e che, soprattutto, da questa quarta notte ci saranno delle svolte nel rapporto di Rin e Len 'oltre le favole narrate'.
Yeep. Vi lascio dunque alla lettura, senza dimenticarmi di ringraziare tutte le persone che hanno recensito e che hanno messo la fic tra le preferite/ricordate. Aumentate sempre di più, wow. ♥




 

La dolce favola della buona notte

Fourth night ~ Kokoro

 

 

Una gocciolina di sudore iniziò a colargli dall'attaccatura dei capelli dietro la nuca lungo tutto la schiena. Evitò di guardare Rin che, osservandolo con un cipiglio confuso, restava seduta sul suo letto in attesa che Len si avvicinasse come le sere appena trascorse e iniziasse a raccontarle una bella fiaba.
Diversamente da Rin, però, l'animo di Len era veramente in subbuglio: la notte prima aveva fatto finta di dormire anche dopo aver sentito quelle parole e aver ricevuto il suo bacio quotidiano sulla guancia – ma non ne era rimasto affatto indifferente. Cioé, a dirla tutta il ragazzo sapeva perfettamente che i sentimenti che provava verso la sorella erano un po' tanto oltre il semplice amore fraterno e con il passare del tempo aveva imparato anche a conviverci bene o male. Soprattutto perché non vivevano da soli, e cosa più importante non dividevano la stanza – come invece facevano da bambini.
Erano bastate solo tre notti passate con lei così tremendamente vicini, e il suo autocontrollo stava andando a rotoli.
«Uhm... Len? Che stai facendo impalato davanti al letto?».
Len sobbalzò al sentire il suono della sua voce, troppo preso dai suoi pensieri che stavano prendendo una strana piega che non gli piacevano per niente. «N–Niente!» urlò in modo stridulo, beccandosi così un'occhiataccia ancora più strana dalla sorella, «Mi... fa male la schiena! Ecco, sì, mi fa male la schiena. Per questo non mi muovo, eh eh» arrancò la prima scusa che gli passò per la testa, sperando che Rin ci cascasse.
Credeva davvero che la sorella fosse così tonta da cascare in una balla come quella? Nah, non sarebbe da Rin dopotutto. Ed infatti... «Baka Len, non capisco perché, se hai mal di schiena, tu debba stare in piedi. È un controsenso! Sul letto non saresti più comodo, e di conseguenza sentiresti meno male?».
«Ho... Ho i miei modi per combattere il dolore» sbottò, rosso in viso. Poi sospirò e si sedette stancamente sul letto, portandosi le mani sulle guance – sentendole scottare, «Piuttosto, posso sapere che fai qui? Non è ora di andare a letto?».
Vide benissimo, con la coda dell'occhio, Rin al suo fianco torturarsi distrattamente le mani, per poi mormorare: «Mi chiedevo... Mi chiedevo se prima non ti andava di raccontarmi un'altra storia».
Dopo la sera prima, forse non era una buona idea. «Sono stanco, Rin...».
«Ti prego, Len Len!».
Imprecò mentalmente. Quando Rin s'intestardiva su qualcosa, non c'era verso di farle cambiare idea. Soprattutto quando iniziava a fargli gli occhietti dolci, metteva le mani a preghiera sotto il mento e gli dava nomignoli a caso, sapendo benissimo che il fratello non sarebbe mai riuscito a resisterle. E dannazione, aveva ragione.
«Io... Okay» si arrese, facendo finta di nulla quando Rin saltellò contenta fino a stendersi al suo fianco. Prese fiato, e anche quella sera iniziò: «C'era una volta...».

... un robot. Fu creato molto tempo fa da uno scienziato solo – e fu proprio un ʻmiracoloʼ.
Il robot aveva le sembianze di una graziosa ragazzina, dai capelli biondi e gli occhi color del cielo. E forse non era del tutto un caso che avesse proprio quell'aspetto; somigliava tremendamente al giovane scienziato che le aveva donato la vita, ma nessuno seppe mai perché.
«Buon giorno» mormorò lui, non appena lei aprì per la prima volta gli occhi.
«Buon giorno» rispose automaticamente lei. Lo scienziato – il suo nome era Len – sorrise con amarezza, vedendo in quegli occhi troppo simili ai suoi solo il vuoto, senza alcuna scintilla ad illuminarli. Era felice di vederla vivere, ma ancora non bastava.
Accarezzò con tenerezza la sua chioma bionda, «Bene. Vedo che funzioni perfettamente, anche se ti manca ancora qualcosa...», aggrottò le sopracciglia, avanzando verso i numerosi macchinari e lasciandosi indietro il cyborg che lo seguì solo con lo sguardo. Poi sembrò pensarci su, girandosi verso di lei in una giravolta contenta, «Il tuo nome sarà Rin. E ora, creerò quel che ti manca, in modo che tu possa essere felice».
Dopo quelle parole, Len si mise all'opera.
Per crearle un ʻcuoreʼ.

Gli anni passarono, ma Rin non ebbe mai il suo cuore. Il robot attese centinaia di anni, ma quella persona non tornò mai più quando se ne andò – nonostante lo avesse sentito bene che le aveva mormorato con voce rauca un «Torno subito, aspettami».
Lui non tornò più. Attese davanti a quella porta, che con il tempo era invecchiata e cadeva in pezzi, guardando il punto preciso dove lui era sparito, lì accanto a quell'albero di ciliegio. Probabilmente aspettare non valeva niente ormai, ma a Rin non restava altro da fare.
Infine, espresse un desiderio. Non sapeva cosa la spingeva ad attendere il suo ritorno, ma ad un tratto volle conoscere a tutti i costi a cosa aveva lavorato quella persona per tutto quel tempo, spendendo i giorni, i mesi e gli anni della sua vita – e nonostante ciò, non lasciandola mai sola.
Si avvicinò con lentezza a quei macchinari tanto complicati, con i suoi occhi spenti che fissavano le luci intermittenti emettere dopo un po' di tempo un lieve ʻbipʼ che non le dava nemmeno fastidio. Toccò con la punta delle dita proprio una di quelle luci, quella più grande e luminosa, di un appariscente color giallo.
Pochi istanti dopo, sbarrò gli occhi. Sentì le sue braccia formicolare fastidiosamente, del liquido caldo scivolarle lungo le guance e qualcosa battere furioso nel suo petto. Rin ansimò, perdendo l'equilibrio e scivolando per terra: era del tutto estranea a quelle sensazioni, era tutto completamente nuovo per lei. Eppure non le sembrava niente di brutto, anzi era tutto così piacevole.
Nella sua mente, immagini di una vita passata la colpirono, facendole ricordare tutti i momenti belli passati insieme a quella persona, delle sue carezze, dei suoi baci e di quelle piccole – e grandi – cose che aveva fatto per lei, solo per lei. Sorrise tra le lacrime, Rin, rimpiangeno quei momenti che aveva sprecato, non riuscendo a provare niente di tutto quello che sentiva in quel preciso istante.
«Len!» chiamò, alzandosi in piedi, barcollando un po'. Iniziò a correre, uscendo per la prima volta da quel laboratorio che stava ormai cadendo a pezzi sotto i suoi occhi – e che lei non ci aveva mai fatto caso. Adesso tutto ciò che importava era ritrovare quella persona, portarla a casa e ricominciare da capo.

Non sapeva che, però, quelle sensazioni l'avrebbero potuta anche far male.
Rin non trovò mai Len, una volta che lei ebbe raggiunto quell'albero di ciliegio dove lo aveva visto allontanarsi tanti anni prima. Trovo solo un mucchio di ossa abbandonate, e della terra smossa.
Ma non importava molto. Rin era contenta lo stesso, sentendo quella persona così vicina, tanto da poterla immaginare accanto a sé. Sorrideva, Rin, ascoltando quelle parole mormorate da lui, sedendosi ai piedi di quello stesso albero – come fece anche Len anni prima, senza che lei lo avesse mai saputo.

«Il primo miracolo,
è stato che sei nata.
Il secondo miracolo,
è stato tutto il tempo trascorso insieme.
Il terzo miracolo... non si è ancora verificato.
Non fino ad ora.»

Chiuse gli occhi, ascoltando quella voce.
Strinse le braccia intorno all'aria al suo fianco, sentendo che in qualche modo stesse abbracciando proprio lui.
Poi mormorò: «Grazie... onii... chan...».
E proprio in quel momento...


«... il robot smise di muoversi. Probabilmente, quel programma chiamato ʻcuoreʼ era troppo grande per lei, tanto che non durò che soli attimi in quel corpo. Però, sembrava tanto che il robot abbia smesso di funzionare con serenità, perché il suo sorriso non smise mai di illuminare il suo volto, nemmeno dopo... Rin? Rin, mi stai ascoltando?».
Di risposta, Len ottenne solo un mugugno sconnesso, mentre Rin – profondamente addormentata – si rigirava nelle coperte, attirandole tutte a sé. Il ragazzo rimase a guardare per un bel po' la sorella, chiedendosi da quanto tempo stesse parlando a vuoto, e di quanto potesse essere furba a volte Rin, che proprio colei che voleva sentire quella storia si era addormentata alla grossa.
Probabilmente, quella sarebbe stata l'ultima notte. Meglio così, si disse Len. Le cose stavano degenerando, e soprattutto, ormai le storie in cantiere che aveva stavano finendo... cioè, non era proprio il vero, ma sicuramente quelle che avrebbe preferito sentire Rin non gliele avrebbe raccontate mai.
Storie d'amore. «Tzé» sibilò Len a bassa voce, tra sé e sé, «Non ci penso nemmeno...».
Abbracciando da dietro una Rin immersa nel mondo dei sogni, Len si avvicinò un po' troppo al suo viso, mormorando, «Buona notte, rompiscatole». Si fermò appena prima che le sue labbra di posassero su quelle della sorella, allontanandosi di scatto – fortuna che Rin aveva il sonno pesante, dunque a quel movimento così brusco non si smosse di un centimetro – e allontanandosi più che poté dal suo corpicino caldo, maledicendosi più e più volte e prendendosi quasi a testate con la sveglia.
E adesso, cosa diavolo doveva fare?!

  
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