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Autore: FALLEN99    29/03/2013    2 recensioni
«E così ci rincontriamo, Jason.» dice il mostro; la sua voce è tagliente quanto la lama della mia spada. Penso a cosa dire per guadagnare tempo, ma l’incontro con gli occhi di Evangeline mi fa cambiare idea. Non ho più tempo. Da quando l’ho incontrata non ne ho più.
Serro le labbra e socchiudo gli occhi.
«Ma non abbiamo più tempo, e purtroppo stasera qualcuno morirà.
A te la scelta, Jason.»
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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§ Come Spuma di Mare §
Capitolo 1


Uscii di casa con la borsa degli allenamenti sotto braccio. Camminai nella via buia, i lampioni che mi facevano compagnia con la loro luce fioca e spettrale. Le mie infradito  producevano attrito contro la ghiaia, cosa che ho sempre odiato. Storsi il naso, irritato. Perché diavolo Copenaghen, la capitale della Danimarca, non poteva permettersi di avere l’asfalto normale come tutte le altre capitali europee dovevo ancora capirlo. Una leggera brezza si levò lentamente, facendo agitare i miei capelli castani come filamenti di una gomitolo srotolato. Non che li avessi così lunghi, ma lo erano abbastanza perché i miei compagni di nuoto mi chiamassero “ La sirenetta”. Quanto li odiavo, quei bastardi. Ma sapevo che per tenere buona la mia faccia da duro dovevo sopportarli. Il coach Jackson mi aveva proposto di rivestire il ruolo del capitano della squadra. Ovviamente avrei accettato, ma dovevo lasciarlo un po’ sulle spine per fargli credere di essere un ragazzo maturo ed intelligente, che prende sul serio ogni cosa che gli viene posta davanti. Sorrisi all’idea della faccia che avrebbero fatto Clark  e George quando il coach mi gli avrebbe comunicato di avermi assegnato il ruolo di capitano. Quei bastardi avrebbero capito chi comandava, e se avessero osato solo chiamarmi un’altra volta “Sirenetta” gli avrei fatto assaggiare il sapore del mio pugno e dell’espulsione dalla squadra.
Le mie infradito preferite si stavano rompendo a furia di camminare sulla ghiaia, così decisi di levarmele e di cominciare a correre. Me le tolsi velocemente e le infilai nella borsa di nuoto. Appena i miei piedi nudi toccarono la ghiaia fu come camminare su spilli piccoli e affilati, che premevano contro la mia carne per perforarla. Cercai di ignorare il fastidio, dopotutto io ero Jason Winston, e non potevo permettermi quelle cose da femminuccia.
Presi a correre velocemente, i muscoli delle gambe che si tendevano e si rilassavano a ritmi regolari come il mio respiro. Amavo correre, mi liberava dai pensieri opprimenti e lasciava che la mia mente si rilassasse. Il sole era tramontato da un pezzo, dovevo sbrigarmi se non volevo arrivare in ritardo agli allenamenti.
Mi infilai in una via secondaria sulla destra. L’odore sgradevole dei cassonetti mi fece aggrottare il naso. Cercai di ignorarlo e continuai a correre. Ero vestito con una semplice canottiera nera e dei pantaloni della tuta corti e larghi che si muovevano a tempo con le mie gambe. I muri di quella via erano estremamente stretti, ma non mi feci molti problemi. Non ero claustrofobico come quella mezza sega del mio amico Michael, a cui bastava che un ambiente fosse appena più stretto della palestra per farlo collassare. Era un ragazzo estremamente debole e senza spina dorsale. I capelli neri senza nemmeno un briciolo di gel e gli occhiali squadrati sul naso lo facevano apparire ancor più sfigato di quanto non lo fosse già.
Aveva due soli interessi; lo studio e la sua patetica fidanzata Sheila, che aveva rimorchiato solo perché si era appena lasciata con il suo ragazzo. Scossi la testa a quei pensieri troppo riflessivi per me e imboccai un grande stradone che terminava proprio dove si trovava la mia palestra. Era un imponente edificio blu scuro che richiamava le onde del mare del nord con la loro cromaticità bluastra e profonda, dove lo sguardo come la luce non riuscivano a penetrare. Mi rimisi le infradito e camminai verso la palestra. Varcai la porta d’ingresso con aria trionfante; ero riuscito ad arrivare in orario. Appena entrai mi accolse un’immensa vasca colma di acqua turchese mossa dalle continue onde che procuravano i ragazzi del corso prima del mio tuffandosi dal trampolino.
«Ehi, Jason!» mi chiamò una voce alle mie spalle. Mi girai di scatto. Il coach Jackson veniva verso di me. Se c’era una cosa che odiavo di lui erano i baffetti stile commissario di polizia, che mi ricordavano troppo quelli della mia professoressa di matematica.
«Coma va, coach? Annabell?» chiesi battendogli una pacca sulla spalla. Lui ricambiò con un sorriso.
«Bene, a parte le solite ramanzine che mi fa perché guardo troppo i campionati di nuoto in Tv.» rispose alzando gli occhi al cielo.
«Ma che ci vuole fare, sono donne. Chi le capisce è davvero bravo.»
«Hai proprio ragione, Jason.» si guardò in giro con fare cospiratorio. Avvicinò le sue labbra al mio orecchio e mi sussurrò:
«Riguardo la mia proposta…hai deciso di accettare?» probabilmente aveva paura che gli altri lo sentissero.
Lo guardai desolato, e vidi sul suo viso un’ombra di delusione.
«Ovvio che sì!» dissi in fine. Il coach saltò quasi di gioia, facendo tintinnare il fischietto che teneva appeso al collo.
«Ragazzo, mi stavi facendo prendere un colpo!» esclamò appoggiandosi al muro alla mia destra.
«Un po’ di suspense ci vuole sempre, non trova?» chiesi ridacchiando.
«Non con chi ha vent’anni più di te, giovanotto. Ora vai a cambiarti che l’allenamento inizia fra dieci minuti esatti.»
Gli feci cenno di sì con la testa e mi avviai verso lo spogliatoio. Alcune ragazze in bikini mi salutarono rosse in viso, ed io ricambiai con un occhiolino che per poco non le fece svenire. Ero cosciente del mio fascino, e sapevo che con esso potevo ottenere tutto ciò che volevo, quando volevo. Il potere mi aveva sempre esaltato.
Entrai negli spogliatoio e l’odore di umidità mi fece assumere una smorfia disgustata. Ignorai tutto ciò e mi sedetti sulla panchina di legno, dove si stavano cambiando anche Clark e George. Mi guardarono in cagnesco, gli occhi freddi come il ghiaccio.
«Ciao ragazzi, qualcosa non va?» chiesi malizioso. Mi sfilai i pantaloni e la maglietta, rimanendo in boxer e sfoderando la mia tartaruga da nuotatore professionista.
Clark e George mi si avvicinarono con fare minaccioso.
«Ebbene il nostro Jason Winston ambisce al ruolo di capitano.» disse Clark infastidito. I capelli biondi ricci facevano emergere due orecchie più enormi di quelle di Dumbo, mi dovevo sempre trattenere per non scoppiare a ridere davanti a tutti.
«Già; sembra che le notizie circolino in fretta.» dissi infilandomi il costume nero pece. Sopra vi era disegnata una pinna di squalo, di cui andavo fiero. Perché io ero uno squalo, il Re sei sette mari, colui che nessuno può fermare. E chi ci provava, finiva molto male.
«Hai proprio ragione.» mi sorrise sprezzante George. «Ma, sai com’è, ognuno deve restare al proprio posto senza ambire a posizioni più alte rispetto alla sua posizione sociale.» dissero in coro incrociando le braccia. Li guardai fingendo di non aver capito. Mi infilai la cuffia grigia sopra la mia chioma castana e feci per alzarmi, ma Clark mi spinse costringendomi a sedere.
«Non abbiamo ancora finito.» disse rosso in viso. Dovevo averlo fatto molto arrabbiare.
«Le tue possibilità di diventare capitano della squadra sono nulle, Winston, è inutile che ci provi.» sopraggiunse George.
«Bene, allora non avete di che preoccuparvi.» dissi in tono di sfida alzandomi. Feci breccia fra le loro spalle e mi avviai verso la vasca. L’odore del cloro mi rilassò subito, facendomi distendere i nervi. Quei due bastardi avrebbero avuto una bella sorpresa.
«Bene ragazzi, otto vasche a delfino e otto a stile libero!» gridò il coach Jackson dall’altra parte della piscina. Mi misi gli occhialini e salii sul trampolino inarcando la schiena. Sentivo le voci di Clark e George confabulare alle mie spalle, ma non me ne badai più di tanto. Quando il rumore assordante del fischietto del coach squarciò l’aria tesi le braccia in avanti e piegai le gambe. Saltai velocemente in avanti, gli occhi cremisi in attesa dell’impatto con l’acqua gelida. Prima che toccassi la superficie dell’acqua passarono istanti che mi parvero eterni.
Sentii gridare alle mie spalle: “Sirenetta”, ma prima che potessi ascoltare altro ero già nell’acqua. L’impatto con la sua temperatura mi fece percorrere da brividi gelidi che mi fecero sussultare. Toccai con i piedi le piastrelle fredde della piscina. Il loro colore bianco mi accecò qualche istante, e dovetti sbattere gli occhi un paio di volte per recuperare la vista. Spinsi forte con le gambe e riemersi, l’ossigeno che avevo in corpo usciva sotto forma di bolle incolore che si disperdevano nella piscina.
Respirai a fondo, inalando più aria possibile. Poi cominciai a nuotare con bracciate lunghe e sbattendo i piedi più forte che potevo. Era in quei momento che mi sentivo padrone di me stesso, dove non dovevo fingere di essere un altro. Ero Jason, lo squalo che nessuno può fermare, di cui tutti hanno paura. Tutti i problemi restavano fuori dall’acqua, espulsi dal mio corpo come batteri nocivi.
L’allenamenti terminò più in fretta di quanto pensassi. Uscii dall’acqua spargendo in giro moltissime goccioline che brillarono alla luce delle lampade al neon sul soffitto. Recuperai fiato appoggiandomi con le mani alle ginocchia. I capelli bagnati premevano contro la cuffia per uscire, mentre gli arti bruciavano per il grande sforzo che avevo fatto. Ma ci ero abituato, fin da bambino nuotavo.
All’inizio mi aveva insegnato mia madre, non dovevo avere più di quattro anni. Poi sempre lei aveva insistito perché mi iscrivessi ad un corso, e così successe. All’età di dieci anni facevo già parte della squadra pre-agonistica, ed ora che ne avevo diciassette ero in quella agonistica. Ma mia madre non mi aveva accompagnato per tutto il percorso, lei morì quando avevo dodici anni. Fu un duro colpo per tutti, mio padre ne uscì respingendo ogni contatto con il mondo esterno.
Viveva di lavoro, e basta. Ricordo che aveva preso moltissimi straordinari, e stava fuori fino all’una di notte per ritornare a casa e lasciare che la notte lenisse il suo dolore muto. Mia sorella Cassandra si era da poco trasferita in Inghilterra con il suo fidanzato Ethan. Era scappata dal dolore, e mi aveva lasciato lì, solo, ad affrontare il lutto nella più completa solitudine e con la maturità che un dodicenne possiede.
Scacciai dalla mia mente quei pensieri troppo vividi e mi tolsi gli occhialini, che avevano lasciato enormi solchi attorno ai miei occhi. Infilai le infradito e mi diressi verso lo spogliatoio. Ma prima che potessi entrarvi sentii una mano toccarmi il braccio destro e tirarmi indietro. Quando mi girai vidi il coach sorridente.
«E’ giunto il momento di comunicare a tutti la buona notizia.» mi sorrise.
«Sono certo che gli altri membri della squadra la prenderanno benissimo.» dissi sogghignando. Lui mi fece cenno di seguirlo e lo seguii fino al bordo vasca. Clark, George, Christine e Jessica si stavano ancora mettendo le infradito. Tutta la squadra al completo. Con fischio del fischietto il coach richiamò la loro attenzione.
Tutti alzarono lo sguardo, sorpresi. Scambiai un paio di sguardi maliziosi con Christine e Jessica, che mi guardavano come fossi un dio da venerare. Devo riconoscere che avevo un certo ascendente su di loro. Jessica era la ex-fidanzata di Clark, e Christine quella ufficiale di George, ma non era certo quello a fermare lo squalo dei sette mari.
 «Ragazzi, ho un annuncio importante da farvi!» esclamò il coach orgoglioso.
«Sto per dirvi il nome del futuro capitano della squadra.» guardò verso di me, gli occhi castani che luccicavano.
George e Clark si scambiarono occhiate sconcertate, troppo sorpresi per dire qualcosa.
«Jason!» il coach alzò la mia mano destra, ed io esibii il mio miglior sorriso. L’adrenalina mi percosse le membra come un’onda anomala, e sul mio viso si poteva vedere impressa la sorpresa più finta del mondo.
«Lui saprà guidare la nostra squadra alla vittoria! Un hip hip urrà per Jason!» gridò. Christine e Jessica lo imitarono, alzando le mani in segno di esultanza. Clark e George mi squadrarono dall’alto in basso, non erano evidentemente contenti della nuova notizia. Ma chi l’avrebbe mai detto!
«Bene ragazzi, ci vediamo venerdì per gli allentamenti. Non mancate. E ricordate: Con Jason capitano vinceremo il campionato!» detto questo mi lanciò uno sguardo d’intesa e se ne andò. Clark e George si avviarono subito verso gli spogliatoi, mentre le ragazze ancheggiavano verso di me. La bionda, Jessica, mi tese la mano mentre Christine si sedeva con le gambe aperte sulla panca di legno dove c’era il suo accappatoio.
«Congratulazioni, Jason. Sono certa che tu meritavi questo titolo più di tutti gli altri.» mi sorrise, i denti bianchi che celavano la lingua scarlatta.
Afferrai la sua mano e la strinsi forte, mentre ci scambiavamo sguardi maliziosi. Poi mi passò di fianco.
«Domani, al parco dopo la scuola.» mi sussurrò all’orecchio. Le feci cenno di aver capito e entrai nello spogliatoio.
«Molto bravo, Jason.» Clark e George applaudivano divertiti.
Poi mi si avvicinarono, i pugni chiusi dalla rabbia. Li sfidai con lo sguardo, sfilandomi il costume e la cuffia. Mi rivestii più in fretta che potevo.
Prima che Clark uscisse dallo spogliatoio George mi sputò addosso, la sua saliva mi scivolò dallo zigomo al mento. In tutta risposta gli alzai il dito medio.
«Addio, perdenti.» gli urlai dietro mentre uscivano. Mi pulii dallo sputo con l’acqua che sgorgava dal lavandino davanti alla panca dove mi ero cambiato. Mi osservai allo specchio, i capelli castano chiaro radunati ina cresta ordinata e gli occhi cremisi pieni di superbia. Perché quello ero io, un eterno peccatore.
Almeno, prima di incontrare lei.



Ehiiiii! COme state? Io bene, tanto che sono riuscito a scrivere questo capitolo in menod id eu ore! record per me!
Vi è èiaciuto? Si capisce la personalità di Jason? E' la prima volta che scrivo dal suo putno di vista, quindi non so come mi è venuto.
COsa dite?
La copertina? E' bella o dovrei cambiarla?
Posto il nuovo capitolo fra un po'....ho anche altre storie da seguire.
alla prossima
baci
F99
se vi va di passare dalla mia storia
Water Wings - Blue Lights

   
 
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