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Autore: CatcatKhad    30/03/2013    7 recensioni
Tutti umani.
3 ottobre 1893, Londra, Inghilterra. Di fronte al cancello della dimora del dottor Cullen, tre sorelle e la loro zia avevano davanti un'opportunità che avrebbe cambiato la loro difficile e sofferta esistenza. Riusciranno a trovare finalmente la pace tanto agognata, o si ritroveranno in un intreccio famigliare scomodo e proibito? E l'arrivo di una piccola creatura, potrà riportare la pace in quella casa?
Tratto dalla storia:
"Ero un treno in corsa. I miei passi lenti, strascicati sul ciglio del marciapiede, compensavano la velocità dei miei pensieri, delle mie emozioni. Un battito, seguito da un altro più debole. A ricordarmi che da quel momento non sarei mai più stata sola."
Genere: Erotico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Bondage, PWP, Tematiche delicate | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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Capitolo 22















Salve a tutti! Come state? Allora, Pasqua si avvicina e non posso che augurarvi buone feste e buone (brevi...) vacanze! E, soprattutto, buona Pasqua a voi e alle vostre famiglie!
 Allora, in questo capitolo finalmente Esme e Carlisle si sposeranno ufficialmente, e i ragazzi rimarranno a casa da soli per un po', quindi... Cosa succederà? Non vi resta che leggere!
Buona lettura!



Bella

Dopo aver salutato le mie sorelle, mi ero quasi subito messa a letto per non dover, il giorno dopo, apparire appena stanca. Infondo era il gran giorno di nostra madre e avremmo fatto di tutto per lei, no?
Anche se stai per finire accasata con un uomo che non hai mai visto, Isabella? La voce della mia coscienza aveva ragione, anche se la mamma non poteva farci molto, non potevo ancora credere che mio padre avesse fatto una cosa del genere alla sua figlia più piccola.
Non che avesse dovuto farlo a Alice, nè tantomeno a Rose, solo non capivo come un uomo come lui, descritto come dolce e apprensivo, sempre disposto ad aiutare gli altri, avesse potuto farmi una cosa del genere.
Non ero riuscita ad addormentarmi, in preda a questi pensieri che ormai non facevano che tenermi sveglia da giorni, e avevo visto benissimo nostra sorella Rosalie uscire dalla stanza come se avesse dovuto fare qualcosa di importante.
Il sospetto che avesse deciso di raccontare tutto a Emmett, proprio il giorno prima del matrimonio dei nostri genitori, mi attanagliò lo stomaco, e mi precipitai a svegliare Alice, che già dormiva profondamente.
Fece una smorfia e si stropicciò gli occhi, guardandomi abbastanza imbronciata, poi appena notò la mia faccia si mise a sedere in fretta.
- Beh? - Disse, mentre io mi ero infilata qualcosa per nascondere la vestaglia da notte e uscire dalla porta.
- Dobbiamo fermare Rosalie, credo che sia andata a rovinare tutte e tre con la storia della gravidanza.* - Lei saltò in piedi e non si curò nemmeno di coprirsi, ma uscì subito così, e quasi le corsi dietro.
Poco dopo, vidi Rose fuori dallo studio di Carlisle, insieme a quest'ultimo, che parlavamo e, a meno che non avessi avuto allucinazioni, entrambi stavano piangendo.
Ci nascondemmo davanti alla porta accanto, per tentare di capire di cosa stessero parlando, ma non riuscimmo a captare nessuna parola che, legata una all'altra, formassero un discorso logico completo.
Poi, li vedemmo entrare dentro, e ci avvicinammo silenziosamente. Rosalie si stava congedando, e sentimmo le parole di Edward.
- Andiamo a dormire, Rosalie, non credi sia troppo tardi? Dovresti riposare. - Ci si gelò il sangue nelle vene, e per poco non collassai a terra; come faceva l'angelo a sapere della gravidanza? Era palese che ne fosse al corrente, il suo tono alludeva a quello.
Ovviamente, solo noi due e Jasper potemmo comprendere l'allusività allo stato interessante, ma era già molto che gli altri fortunatamente non se ne accorsero.
Alice mi diede una lieve gomitata, e mi fece cenno con il capo e un sopracciglio alzato di andare avanti e fare qualcosa; farfugliai una scusa, ma lei mi diede un leggero spintone e per poco non finii addosso ad Edward, davanti alla porta dello studio.
- Rose, ecco dov'eri! Ci hai fatte preoccupare tanto, lo sai? - Anche un sordo avrebbe potuto sentire la mia voce acuta e a scatti, tipica di quando ero in un momento panico e non sapevo come uscirne, ma fortunatamente sembrarono non farci troppo caso, i tre ancora dentro alla stanza.
Edward afferrò delicatamente nostra sorella per un braccio, e lei ci lanciò un'occhiata disperata, una muta richiesta d'aiuto: come potevamo negarglielo?
- Avanti Rose vieni con me, andiamo a letto che non stai tanto bene, non è così? - Alice sgranò appena gli occhi, avvicinandosi ai due, e Rose, cogliendo immediatamente la palla al balzo, annuì e si appoggiò la mano libera sulla fronte.
Allora intervenni io, e chiamai in disparte Edward che, pur controvoglia e desideroso di parlare con Rosalie per chiederle delle spiegazioni accurate, mi seguì fino alla sala.
I tre nello studio, come riuscii a vedere un attimo prima di girare l'angolo, si richiusero dentro per parlare, e io sgattaiolai sulla poltrona accanto al caminetto quasi spento, raggomitolandomi nella coperta che mi ero portata appresso.
Edward si mise esattamente di fronte a me, divaricò appena le gambe e appoggiò i gomiti sulle ginocchia, raccolse la testa fra le mani e tirò un lungo sospiro, che preannunciava un altrettanto lungo discorso.
- Bella, non vorrei risultare maleducato, nè tantomeno una persona che si impiccia nelle cose degli altri. Però veramente, non pensavo che voi poteste arrivare al punto da credermi così sciocco da non capire che lei è... - Si guardò attorno, ebbe anche quell'accortezza, e in quel momento intuii che lui, nonostante tutto, era dalla nostra parte.
- Incinta, ecco. Non è una cosa che si potrà nascondere ancora per molto, e poi... - Il suo sguardo si indurì appena, e senza che io potessi chiedergli di proseguire, finì la frase.
- Non pensavo che tu, o Alice, poteste tenermi all'oscuro di tutto. Non vi fidate di me, non è così Isabella? - Il suo tono freddo mi fece male, come uno schiaffo in pieno viso.
- Oh no, Edward, non è affatto così! Noi abbiamo cercato di non farlo sapere a nessuno perchè non volevamo altri problemi, è già una situazione molto scomoda per tutti noi... - Non osavo nemmeno immaginare quando lo sarebbe venuto a sapere Emmett. Se quella era la reazione di Edward, quella del futuro padre sarebbe stata molto, molto peggio, ne ero quasi certa. Infondo lo conoscevo bene, non era affatto un ragazzo che esternava le emozioni belle invece che quelle brutte, e sarebbero state quasi catastrofiche.
E non osavo nemmeno immaginare, anche se di ciò non ero assolutamente certa, la reazione di Edward alla notizia del mio prossimo matrimonio, che, da come la mamma continuava a farmi intuire, non doveva essere molto lontano.
- Bella, non posso nascondere il mio rammarico. Ma, infondo, anche voi avete ragione; non è una cosa semplice da risolvere, e infatti vedo molti disagi e disguidi, quando comincerà a vedersi qualcosa che, al momento, è ancora camuffabile. - Annuii alla sua affermazione, poi mi alzai.
- Vado a letto, si sta facendo tardi. Ci vediamo domani, e poi si vedrà. - Gli sorrisi, venendo subito ricambiata, e me ne tornai in camera, dalle due ragazze con cui avevo condiviso praticamente tutto, dal primo istante.
- Ok, ragazze, ho risolto, almeno per ora. Dobbiamo solo sperare che nessun'altro lo venga a sapere.* - E, dopo esserci abbracciate a lungo, andammo a letto, e non ci svegliammo fino al mattino dopo.


Emmett

Due zaffiri lucenti e preziosi, incastonati in un viso madreperla e in risalto con le labbra rosee carnose e dalla forma elegante e sofisticata.
Quella era l'immagine che si era stanziata nella mia mente da un po', e che non riuscivo a togliere.
Un leggero tocco contro alla porta, e mi si fermò per un istante il cuore: e se avesse deciso di riprovarci? Se avesse voglia di tentarci di nuovo, dopo quella pausa che aveva logorato entrambi, o almeno me, sicuramente? Se le fosse venuto quell'istinto che io reprimevo da giorni, per rispetto della sua persona, e che solo lei poteva liberare dalla gabbia immaginaria in cui era chiuso?
Risposi, un lievissimo 'Avanti', sussurrato con una tale enfasi da sorprendere anche me stesso, ma una doccia fredda, e l'amaro in bocca: Jasper.
- C'è qualche problema, fratello? - Non avevo molta voglia di parlare con lui, anzi mi scocciava quasi, volevo solo andare a letto e togliermi di dosso tutti i pensieri che mi assillavano la mente. Forse, c'era solo una persona che avrei accolto a braccia aperte, ma non era il caso di mio fratello.
- Buonasera anche a te, Emmett. Siamo di cattivo umore come al solito, eh? - Il suo sarcasmo mi irritava, e mi buttai a peso morto sul letto, con le braccia incrociate sotto alla testa e le gambe unite.
- Avanti, Jasper, se devi parlare fallo adesso, sono stanco. -  Stai diventando parecchio sgradevole, caro Emmett, quando imparerai? Ci mancava solamente la vocina maledetta della mia coscienza, quanto avrei voluto un pulsante per spegnerla e farla stare zitta, soprattutto in momenti in cui avrei tanto voluto rimanere solo!
- Che c'è, Emmett? Aspettavi una persona, non è arrivata e ora te la prendi con me? Avanti, ammettilo che aspettavi lei. - Mi misi a sedere di scatto, e lo guardai furente. Che gli importava a lui, di quello che facevo io della mia vita? Aveva già i suoi problemi, e io i miei, perchè doveva impicciarsene sempre e comunque?
- Non sono in vena di scherzare, caro fratellino. E no, non stavo aspettando nessuno, ho solo voglia di andare a letto, è stata una giornata faticosa. - E inutile, soprattutto; non concepivo il fatto che avessimo dovuto partecipare a quella festicciola che, a parer mio, non aveva avuto alcun senso logico. Ma Esme voleva così, e ormai per nostro padre ciò che voleva lei, era legge. Quando mai si era vista una donna che prendeva decisioni di quel tipo, senza ascoltare il parere degli uomini di casa?
- Beh, non andrai ancora tanto presto a dormire, papà vuole parlarci di una questione, non mi ha detto esattamente cosa ma dice che è urgente, fossi in te mi alzerei e muoverei le gambe fino al suo studio, sai com'è. Non vorrai farlo arrabbiare alla vigilia delle sue nozze. - Sbuffai pesantemente, infilai le scarpe e lo seguii fino alla camera di nostro padre, in cui lui era seduto sulla solita poltrona di fronte alla scrivania, e ci attendeva con le mani congiunte e i gomiti appoggiati al tavolo, in silenzio.
Edward già era lì, ma sembrava stesse sulle spine, come se ci fosse qualcosa che gli premesse così tanto da avere come fretta di andare a risolvere una questione delicata.
Più passavano i mesi, più in quella casa noi avevamo sempre più problemi, sempre più complicazioni e disagi fra di noi, io ero sempre più assente con la testa e fantasticavo su cose a cui mai avrei mai immaginato di pensare minimamente, Jasper era come entrato in una crisi di abbandono ed Edward era alla ricerca di un qualcosa, di cui non parlava quasi mai, che sembrava occuparlo quasi tutto il giorno.
- Ragazzi, c'è un qualcosa di importante di cui vorrei parlarvi. - Nostro padre era serio, era da un po' che non lo vedevo così, ma aspettavo solo che finisse per tornare in camera mia, a dormire.
- Cosa succede, papà? - Edward si risvegliò dal suo torpore e lo guardò curioso, mentre appoggiai le spalle alla parte più alta della poltrona, con il sedere sul bordo della sedia, e incrociai le braccia al petto scocciato e Jasper sbadigliò con la mano davanti alla bocca.
- Domani sera, dopo la cena, io ed Esme partiremo per la luna di miele, e come sapete staremo via per due settimane. La casa dovrebbe rimanere sotto il vostro controllo... - A quelle parole mi illuminai, e rimasi ad ascoltarlo con molta attenzione: avremmo avuto la casa tutta per noi, e quindi sarei stato libero di proseguire con i miei lavoretti per un po', indisturbato.
- Ma la nonna ha detto che rimarrà qui fino al nostro ritorno, perchè mi ha esplicitamente dichiarato di non fidarsi della mia quasi moglie, nè tantomeno delle sue figlie. - La sua voce era dura, e risentita; si sapeva che la nonna, da quando aveva saputo del fidanzamento, aveva subito voluto conoscere la nuova futura signora Cullen, e quando era venuta a sapere delle sue origini aveva come fatto una specie di coalizione contro di lui, assieme alla zia Petunia, perchè non aveva mai sopportato gli spagnoli, e i gitani ancor meno.
- Grazie, ma sappiamo badare a noi stessi papà. Ormai ho quasi ventitrè anni, credo di essere abbastanza grande per poter rimanere a casa da solo per due settimane, assieme ai miei fratelli che hanno pochi mesi e un paio di anni meno di me, e soprattutto per poter proteggere anche le nostre future... - Pronunciare quella parola, mi fece rendere conto dell'enorme sbaglio che avevo commesso mesi prima. - Sorelle. - Ero veramente finito a letto con la mia futura sorellastra? E per giunta per due mesi di fila, tutte le sere, senza saltarne nemmeno una?
- Io questo lo so, figliolo, ma tua nonna non vuole sentire scuse, ha già deciso che rimarrà qui per controllare e non cambierà idea, sappiamo benissimo tutti e quattro che quando vuole una cosa la ottiene. - Jasper si massaggiò gli occhi e sospirò pesantemente, scuotendo il capo come sconsolato, mentre io rinunciai ad ogni vago tentativo di ribellione per starmene in silenzio sulla poltrona.
- Però con lei rimarrà anche Beth, deve svolgere delle commissioni e ne approfitterà per 'dare una lezione di galateo a quella gente maleducata e poco civile'. - Sembrava furioso, dentro di sé, e non negavo di esserlo un po' anche io, non mi era mai piaciuta la nomea che girava su di loro, mi ero affezionato ad Esme anche se non lo davo troppo a vedere, e Bella era come diventata una mia sorella minore, e sentire che tutti le consideravano di così bassa classe solo perchè non inglesi pure mi scocciava parecchio.
Sentimmo bussare alla porta, era un tocco delicato, sicuramente era una donna; appena la porta si aprì, ci girammo tutti e quattro a tempo verso... Rosalie.
Sembrava agitata, come se avesse avuto qualcosa di importante da dire e fosse stata sul punto di farlo, e appena parlò, la sua voce cadde profondamente, faticai perfino a sentirla.
Nostro padre, dopo la sua richiesta, uscì dalla stanza insieme a lei, e vi rientrò solamente dopo una manciata di minuti, completamente diverso e premuroso nei confronti della figlia più grande di Esme.
Lei ed Edward, infine, uscirono insieme, avvolti da un leggero alone di mistero, e nostro padre ci congedò, augurandoci una buona notte.
Io e Jasper ci avviammo verso le nostre camere, non molto distanti l'una dall'altra, e ci scambiammo un cenno con la testa, non appena ognuno imboccò la propria strada.
Sarebbe stata una lunga, lunghissima notte per me, piena di pensieri, di voglia di tornare indietro, di desideri respinti e di sentimenti repulsi alla base. Era stata la mia tattica, da piccolo, per sopravvivere all'abbandono di nostra madre e alla perdita di nostra sorella, e la era ancora a ventitrè anni, per sfuggire a qualcosa di cui avevo solo sentito parlare e che non avevo mai provato. Ne avevo paura, o solo timore, non sapevo nemmeno se c'era in effetti, e magari me lo stavo solo immaginando. Forse erano antichi sentimenti che risalivano a galla, magari nei confronti di Esme, ma lì, nel profondo del mio cuore, una lieve diversità c'era. Ma non sapevo darle un nome, ancora.



Jasper

Un profumino di thè e biscotti appena sfornati raggiunse le mie narici mentre io, da ormai mezz'ora, mi rigiravo nel letto per tentare di prendere ancora un po' di sonno.
Era ancora presto, troppo presto accidenti, e quasi nessuno era sveglio già a quell'ora, se non il personale di servizio. Mi ero anche dimenticato di tirare le tende, la sera prima, e in quel momento la luce accecante del primo mattino mi trafiggeva il viso quasi con violenza, tanto da farmi infilare la testa sotto al cuscino in un battibaleno.
Era esattamente il giorno del matrimonio, avevo ancora un sacco di tempo per prepararmi però, quindi potevo fare con calma, infondo avrei solo dovuto indossare uno smoking, aggiustare i capelli e infilarmi le scarpe, e sarei stato pronto. Così almeno speravo...
Avevo un leggero tirmore in realtà, ovvero che Isabella ed Alice sarebbero venute da noi per smanettarci da capo a piedi e renderci praticamente perfetti, assieme alla loro zia Soledad e a tutte le altre donne della loro famiglia.
Anche se non mi sarebbe dispiaciuto troppo, soprattutto se Alice fosse venuta ad aggiustarmi la cravatta con le sue manine delicate che tanto mi piacevano.
Lo sapevo dal principio, da quando le mie labbra avevano sfiorato le sue settimane prima, che mi piaceva, ne ero attratto sia fisicamente che caratterialmente, e più stavo a contatto con lei più me ne rendevo conto, se all'inizio ero confuso in quel momento non lo ero più, il giorno in cui confessai a Rosalie dell'abbandono di nostra madre ne fu una conferma, era come il mio piccolo angelo caduto.
Non mi accorsi, durante questi pensieri, di essermi già vestito e di trovarmi quasi in sala da pranzo, solo quando oltrepassai la porta capii di essere di fronte al tavolo a cui erano sedute Alice e sua nonna.
Stavano chiacchierando fittamente, non sembravano troppo agitate e anzi apparivano serene, ai miei occhi. La commozione, quella sicuramente c'era, infondo tutti al posto loro si sarebbero commossi già da prima.
Le raggiunsi a capo basso, mentre loro si interruppero come se fossero nel bel mezzo di una conversazione che un uomo non dovrebbe sentire, anche se io effettivamente non capivo assolutamente niente.
- Buongiorno, Alice. Signora, come vi sentite oggi? - Alice arrossì appena, facendomi sorridere, mentre la signora, che si sforzava di capire qualcosa, annuì con energia e si fece il segno della croce.
- Come mai sei già sveglio? Solitamente sei uno degli ultimi, dopo mia sorella e tuo fratello Emmett. - Disse la ragazza, ma prima di riuscire a replicare, sua nonna si alzò lentamente e si congedò, dicendo qualcosa che, nuovamente, non riuscii a comprendere.
- Alice, ascolta... - Dissi, una volta che l'anziana signora si fu dileguata. - Vorrei parlarti, se hai voglia di ascoltarmi. - Lei mi guardò incuriosita, con lo sguardo acceso e un lieve sorriso sulle labbra.


Perseveravo. Perseveravo da dopo pranzo, e non avevo ancora combinato niente, se non bighellonare per tutta casa mentre le tre sorelle ed Edward si stavano preparando, nostro padre e Jeronimo finivamo di discutere tranquillamente, forse con un po' d'agitazione, degli ultimi dettagli e la nonna ripassava con zia Petunia, zio Jack e Beth l'etichetta che avrebbero dovuto mantenere durante tutta le cerimonia.
Come se non lo facessero già tutti i giorni. Ridacchiai da solo, mentre finalmente tiravo fuori lo smoking che mi avrebbe accompagnato ad una nuova vita, completamente diversa.
Mi stava ancora a pennello, non ne ero stato completamente certo fino a quel momento, forse avevo esagerato un po' negli ultimi tempi a tavola, ma fortunatamente facevo anche esercizio fisico.
Presi il pettine, e mi sistemai i capelli all'indietro, davanti allo specchio di camera mia, poi allacciai saldamente la cintura per non perdere i pantaloni e afferrai la cravatta, anche se sapevo perfettamente come annodarla avrei potuto fingere di non essere capace e farmi aiutare da Alice, ma non lo feci, non ero così perfido.
L'avrei solamente messa alla prova, per testare un piccolissimo dubbio che avevo da un paio di giorni, ma alla fine rinunciai e indossai le scarpe, che avevo fatto lucidare per bene da Trevor il giorno prima.
Poi, come stabilito all'ora di pranzo, alle quattro ci ritrovammo tutti, tranne Esme e suo fratello Jeronimo, davanti al cancello di casa, per salire sulle carrozze che ci avrebbero scortati direttamente dalla chiesa.
Salii per secondo, dopo Emmett, assieme a nostro fratello Edward e alle tre sorelle, che già avevano gli occhi lucidi e non avrebbero retto ancora molto.
Alice si sedette accanto a me, e Rose dall'altro fianco, di fronte a me c'era Bella e ai suoi lati i miei fratelli, così il cocchiere chiuse lo sportello e, quando anche le altre carrozze furono piene, partimmo velocemente.
- Ci siamo quasi. - Sussurrò Bella, con lo sguardo come perso nel vuoto, mentre Alice spostava lo sguardo da me a Rose, e viceversa.
- Fra un paio d'ore, saremo una sola famiglia. Posso dire di essere completamente fregata.* - Non compresi le parole di Rosalie, ma provai ad intuirle quando le sue sorelle annuirono e le diedero ragione, mentre lei quasi scoppiò in lacrime, con Emmett di fronte a lei che la osservava come la sera precedente, senza far trasparire emozioni in particolari.
Ma io sapevo cosa stava provando in quel momento, anche se faticavo ancora a capire come avesse potuto farlo, un ragazzo esattamente come lui.


Rosalie

Ore 16.15, fuori dalla Chiesa
I preparativi, fin dal primo istante in cui io e Bella ci svegliammo quella mattina, furono così stressanti che io, da donna incinta qual'ero, avevo dovuto sedermi e rilassarmi ben otto volte, in tre ore e mezzo. Alice e Bella quasi correvano insieme alle nostre cugine per prepararsi, ma io non potevo affatto farlo, e avevo rallentato tutti a causa dei lievi malori che ogni tanto mi coglievano di sorpresa.
Il viaggio verso la chiesa era durato troppo poco, per i miei gusti, e il piccolo che portavo in grembo da circa undici settimane ne aveva probabilmente risentito, visto il mio malessere appena scesa dalla carrozza. Avevo fatto i conti, dal giorno in cui avevo finito il mio ultimo ciclo fino ad allora, e più o meno avrei avuto ancora una manciata di settimane, prima di dover rivelare della sua presenza al resto del mondo.
Era finalmente arrivato il giorno, in cui io, Alice e Bella saremmo diventate ufficialmente le sorellastre di Jasper, Edward ed Emmett. Cosa avremmo fatto, da allora in poi? Avremmo represso i nostri sentimenti per loro, impuri e ingiusti, malsani e sbagliati, per amore dei nostri genitori, poco ma sicuro.
Io ero incinta di Emmett, Bella stava per sposarsi con un ragazzo di cui conosceva solo il nome, Alice sola si salvava ancora, ma chissà cosa c'era in serbo per lei.
Entrammo in chiesa, dopo aver indossato il coprispalle e il cappello, e ci sedemmo sulle prime panche, almeno io mi sedetti subito, gli altri rimasero accanto all'organo per un po', a parlare tranquillamente fra di loro.
Non me la sentivo di rimanere insieme a loro in piedi, e di fingere che andasse tutto alla grande, non il giorno in cui mia madre si sarebbe sposata per la seconda volta, non avevo minimamente la voglia di parlare ed elargire sorrisi a destra e a manca, che più che falsi non sarebbero stati.
- Signorina, vi sentite bene? - Il ragazzino smagrito che giorni prima, quando eravamo andati a ultimare le spese grosse per il matrimonio, avevamo incontrato assieme al vescovo era di fronte a me, in quel momento, vestito con una lunga tunica bianca e un cordone dello stesso colore annodato alla vita, probabilmente avrebbe aiutato il celebrante durante la messa e la celebrazione.
- Sì, vi ringrazio per esservi preoccupato per me inutilmente, signorino. - Dissi, sorridendogli appena e facendogli gonfiare il petto dall'orgoglio.
- Non mi sembrate molto in forma signorina... Per caso, sono quei problemi da donne che si hanno quando stanno per avere un... - Colsi il senso della frase ancora prima che la terminasse, e dopo aver alzato le mani verso la sua bocca lo zittii all'istante, sgranando gli occhi e stringendo la bocca come per implorarlo di non continuare.
- Vedo che la mia teoria è giusta, allora. - Disse, e dopo avermi fatto un educato cenno con la testa, si avviò verso la sagrestia, facendo roteare la cima del cordone fra le dita.
Sperai con tutto il cuore che non gli venisse la voglia di spifferarlo a qualcuno, e tornai ad immergermi fra i miei pensieri.


Alice

Ore 17.10, interno della Chiesa

Tutti erano al proprio posto, ognuno di essi attento al minimo movimento del vicino, ad una parola fuori posto o ad un comportamento inappropriato al luogo in cui ci trovavamo in quel momento, una sacra chiesa in cui ben presto si sarebbe svolto il matrimonio dell'anno.
Noi tre sorelle eravamo le damigelle d'onore, e saremmo dovute uscire per accompagnare la mamma dentro alla chiesa, e dopo un lieve cenno che ci fece il nostro cocchiere, uscimmo dalla porta laterale quasi infreddolite, scorgendo da lontano la carrozza bianca su cui veniva scortata nostra madre.
Arrivò, e appena mise piede a terra Rose si mise a piangere in silenzio per la commozione, così tanto che per poco non cominciammo anche noi tre.
Lo zio Jeronimo scese subito dopo, costretto in uno smoking che la zia Sol gli aveva fatto fare dalla sarta che, al suo matrimonio, le aveva confezionato un abito che andasse bene per i costumi della Spagna, e non solo gitani.
Allora la mamma si mise a posto l'abito, aggiustò il velo di fronte al viso e strinse con energia il bouquet fra le mani, agitata ed emozionata; noi ci posizionammo dietro di lei, ognuna intenta a tenere un lembo del suo lungo strascico per non farlo strisciare a terra, e aspettammo che le piccole Socorro ed Aurora partissero, davanti a noi cinque, con i cestini pieni di petali di rose bianchi da spargere sul tappeto lungo che ci avrebbe accompagnate fino all'altare.
Da dentro, sentimmo partire l'organo, e lo zio prese la mamma a braccetto, sorridendole orgoglioso e cominciando a camminare lentamente verso la meta.
Nella mia mente, tentavo quasi disperatamente di non farmi prendere dall'agitazione e sbagliare, cadere, strappare un lembo di vestito o ferire qualcuno, era come se mi sentissi completamente nuda di fronte a tutta quella gente che mis crutava con fare attento, soprattutto le donne della famiglia Cullen, avevano una nota critica nei commenti che si facevano fra di loro, ne ero quasi completamente certa.
Fra meno di due ore, tutto ciò che avevamo sperato io e le mie sorelle sarebbe svanito sotto ai nostri occhi in un attimo, infrangendo i nostri sogni di bambine che altro non sognavano che la più romantica delle storie d'amore, con un principe azzurro, un matrimonio da favola in un castello incantato e un mondo di bambini tutti nostri da accudire al meglio.
Era l'unica cosa che quella mattina mi avrebbe fatto chiudere gli occhi per non riaprirli fino all'indomani, sperando che quel giorno, per chissà quale imprevisto, venisse cancellato il matrimonio per non essere mai più fatto.
Ma come avrei mai potuto sperarlo fino infondo? Sarebbe significato sperare nell'infelicità di mia madre, in un atto egoistico, per pensare solo ed esclusivamente alla mia, e non l'avrei mai permesso, nostra madre aveva sempre fatto di tutto per vederci felici, e noi avremmo fatto lo stesso per lei.
Volsi un ultimo sguardo all'esterno della chiesa, per l'ultima volta.

Bella

Ore 18.15, interno della chiesa

- Io, Esme, prendo te, Carlisle, come mio sposo, e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. - La voce tremante della mamma risuonava in tutta la chiesa, silenziosa e col fiato sospeso, durante quel magico momento dei voti.
- Io, Carlisle, prendo te, Esme, come mia sposa, e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. - Anche il nostro futuro patrigno era emozionato, lo si poteva notare dall'espressione che aveva in volto e dalle sue mani, tremanti, che stringevano però, molto saldamente, l'anello che stava per consegnare alla mamma.
Si scambiarono gli anelli, poi le ultime formule, e finalmente il vescovo diede il permesso a Carlie di baciare nostra madre; quando le tirò su il velo dal viso, la mamma era sul punto di piangere, io ed Alice avevamo già preso un fazzolettino per asciugarci gli occhi e Rose singhiozzava, cercando di non fare troppo rumore, dall'inizio della cerimonia, aumentando sempre di più le lacrime.
Eravamo esattamente sedute sulla prima panca, davanti a tutta la famiglia di Carlisle, mentre i ragazzi erano dalla pare opposta, di fronte a nostra zia e a nostra nonna; ma mentre loro facevano già parte della grande famiglia che era la nostra, noi non eravamo ancora ben viste dalla loro, e anzi non avevano fatto altro che criticare ogni cosa che ci riguardava, direttamente o no, dal primo momento in cui ci avevano viste entrare in chiesa.
Ma non mi importava un granchè, al momento avevo da pensare a mia madre, a Carlisle, al loro magico momento... e, ben presto, mi resi conto che nel giro di qualche mese, mi sarei ritrovata nella stessa situazione.
Ogni ragazza dovrebbe avere il diritto ad essere felice, in quei momenti, e dovrebbe sentirsi al settimo cielo, sapendo di stare per sposarsi e di essere sul punto di crearsi una nuova famiglia, accanto ad un uomo che l'avrebbe amata e rispettata tutta la vita, e dovrebbe andare in giro ad urlare ai quattro venti la propria felicità.
Ma io non ero così. Sapevo, di essere un'ipocrita egoista, che pensava solo all'amore che provava per colui che era appena diventato il suo fratellastro, ufficialmente, e che non considerava il fatto che non avrebbe potuto, in ogni caso, contestare la decisione di suo padre, ne ero perfettamente consapevole e cosciente.
Ma non volevo, non volevo affatto sposarmi con Jacob Black. Non lo conoscevo, non sapevo com'era la sua faccia, il suo corpo, il suo carattere e, tanto meno, non sapevo quali erano i suoi sentimenti.
Non era naturale, per me, non era nel mio essere me stessa, dover accettare l'idea di un matrimonio combinato stabilito nei miei primi mesi di vita, dall'uomo che mi aveva messa al mondo e che stava vivendo i suoi ultimi atti, prima del lungo viaggio verso l'ultima tappa della vita terrena di un uomo.
Pensai, per un attimo, a cosa stesse provando lui, quel Jacob Black a me sconosciuto, in quel momento: e se fosse stato nella mia stessa situazione? E se anche lui avesse avuto una ragazza nel cuore, e magari le avesse promesso un qualcosa che, per cause maggiori, non avrebbe potuto mantenere, e l'avesse ferita dicendole che fra di loro era tutto finito, che era promesso ad un'altra di cui non conosceva niente, e che magari non l'avrebbe nemmeno reso felice come sarebbe potuto essere accanto a lei?
Cosa avremmo potuto fare noi, due ragazzi che, nonostante tutto, dovevano ancora conoscere appieno la vita e i suoi misteri, di fronte alla decisione di tre adulti consapevoli di ciò che stavano per fare, se non cercare una via di fuga?
La fuga, Bella, sii Giulietta. Quelle cinque parole mi rimbombarono nella mente per tutto il tempo, dall'uscita dalla chiesa degli sposi e di tutta la famiglia, dalle grida di gioia che si spandevano per le strade, fino a casa, dove si sarebbe svolta la cena e il ricevimento.
Anche sulla carrozza, insieme alle persone con cui avevo condiviso il viaggio all'andata, e sulla quale il clima che avevamo trovato prima era completamente diverso, quasi pesante, le parole non dette, i sentimenti repressi, i pensieri lasciati liberi di correre e viaggiare solo perchè nessuno sarebbe mai venuto a conoscerli, nemmeno per sbaglio, fluttuavano su di noi, una nuova, unica famiglia, come un antico fantasma aleggiava fra le torri più alte di un castello oscuro, malvagio, in cerca di vendetta verso il suo uccisore.
Nessuno di noi aveva avuto il coraggio di parlare, né di scambiarsi opinione alcuna sulla cerimonia appena conclusa, anche se tutti sapevano che i nostri genitori non erano al corrente di ciò che stava accadendo fra di noi, né lo sarebbero stati tanto presto. O forse mai.


Edward

- E' stato carino, infondo, anche se mi sarei aspettata una moglie diversa. - Beth, seduta di fronte a me quasi agli ultimi posti a tavola, lontani entrambi dagli sposi e dai loro genitori, fratelli e sorelle, non faceva che ripetere quella frase che avrei cancellato dalla mia memoria all'istante, se solo avessi potuto.
- Lo so, Beth, lo so. Ho capito che Esme non ti va giù, potresti non continuare a ripeterlo, soprattutto davanti a loro? - Jasper l'aveva interrota, dopo che lei ebbe iniziato a pronunciare nuovamente quelle parole, ed Emmett la guardò in malo modo, senza aggiungere altro, dopo aver posato la forchetta accanto al piatto quasi vuoto, che stranamente non fu ripulito completamente.
Bella, Alice e Rosalie non avevano detto una sola sillaba, dal ritorno dalla chiesa, e non avevano intenzione di cominciare in quel momento, a giudicare dalle loro facce.
- Come se fosse possibile per una persona di così poco tatto, capire che a volte le parole feriscono più di una spada.* - Mi sbagliai, dopo aver sentito quella frase incomprensibile uscire dalla bocca della sorella più grande, che a fatica mangiava e beveva.
- Non cambia assolutamente niente, caro cugino, rimarrà così comunque, anche dopo i nostri preziosi insegnamenti. - La sua arroganza quasi mi disgustava, non avevo mai capito perchè lei dovesse essere così sprezzante nei confronti delle persone che non erano come lei, quando loro sarebbero benissimo potuti essere persino migliori di lei.
- Quali insegnamenti? - Alice si asciugò le labbra, dopo aver guardato nostra cugina e noi, in ordine; lei ridacchiò in maniera subdola, e dopo essersi posata sulle ginocchia il tovagliolo la guardò come se fosse stata un animale.
- Come, ragazzina, non ti hanno avvertito? Io e mia nonna rimarremo qui per insegnarvi ad essere degne di far parte della nostra famiglia, e ad essere almeno presentabili come lontane parenti. - E riprese a mangiare, facendomi perdere immediatamente l'appetito.
- Avere un anno più di Rosalie ti fa sentire così grande da credere di permetterti il lusso di fare l'adulta con loro, Bethany? Perchè, se non erro, se vogliamo proprio puntualizzare, sono io che dovrei poter anche solo minimamente pensarlo, essendo il più grande. O sbaglio? - Mai, come in quel momento, avrei detto di adorare mio fratello Emmett così tanto. Finalmente, la cugina si tappò la bocca risentita, e finì di mangiare come se fosse sola ed isolata rispetto ai suoi genitori, lasciando in pace le povere sorelle.
- Edward, credi che un giorno di questi potrò suonare qualcosa al pianoforte, assieme a te? Mi piacerebbe imparare. - Bella, dal cantuccio in cui era seduta, se ne uscì con quelle parole che mi mozzarono il fiato. Pensavo che non mi avesse ancora visto suonarlo, eppure l'aveva fatto, senza che io me ne potessi solo accorgere.
- Oh, beh.. Certo Isabella, non vedo perchè non si possa fare. - Mi sorrise dolcemente e tornò a mangiare lentamente, e in cuor mio ne gioii come un pazzo, se avessi potuto mi sarei messo a ballare per tutta la sala!


- Vedi di comportarti come si deve, anche se so di potermi fidare, e cerca di mantenere alta la mia dignità durante la mia assenza figliolo, ci conto! - Mio padre, dopo aver stretto la presa della sua mano sulla mia spalla, mi abbracciò a lungo, facendomi sentire tutto l'affetto che provava nei miei confronti.
Esme, intanto, stava stritolando in una morsa quasi ferrea le sue figlie, tutte in lacrime da minuti interi ormai, e si stavano salutando senza che io, o i miei fratelli, potessimo comprendere una sola sillaba.
- Bambine mie, so che è la prima volta che ci separiamo per così tanto tempo, ma non temete, ci saranno i ragazzi a proteggervi in ogni caso, quindi non disperate, ci vedremo molto presto.* - Si staccarono, infine, e venne a salutarci con un bacio sulla guancia.
Era così dolce con noi, che la sentivo come una seconda madre vera, forse molto più affettuosa e benevola che la nostra naturale, anche se di lei avevo ormai così pochi ricordi, vaghi e senza un vero significato particolare, che rimembrarne tutte le caratteristiche era ormai un'impresa non da poco per la mia povera mente.
Si presero per mano, conclusi i saluti, e dopo aver imboccato la porta si girarono un'ultima volta, con un cenno della mano e un sorriso stampato in viso, per poi sparire dalla nostra vista sopra alla carrozza che li avrebbe accompagnati molto lontani.
Tutti gli invitati erano andati via pochi minuti prima di loro, ed eravamo rimasti solo noi sei, i servitori e il pensiero che, il giorno dopo, nostra nonna ci avrebbe raggiunti nuovamente per 'mantenere in buono stato la casa e impedire che venga ridotta ad un grandissimo porcile da gente poco civile e matura, per potersi permettere un tale lusso.'
Ci stavamo incamminando verso le nostre stanze, quando Trevor fermò Alice poco prima di raggiungerle, e decidemmo di aspettarla per augurarci una buonanotte diversa da tutte le altre.
- Signorina, oggi è arrivata una lettera per voi, credo che sia urgente. - Una busta ingiallita finì fra le sue mani, e lei curiosa lo ringraziò e la aprì velocemente, leggendone il contenuto.
Mentre eravamo tutti riuniti di fronte alla porta di camera mia, la vidi impallidire all'improvviso, e ci spaventammo all'unisono.
- No, non posso crederci. -  Sussurrò, con gli occhi quasi fuori dalle orbite e la bocca semi dischiusa.
Qual'era il suo problema?



Angolino autrice: *riemerge da una coltre di vergogna* Ok ragazze, sono riuscita a pubblicare con DUE SETTIMANE D'ANTICIPO! Wow, non me lo aspettavo proprio! Allora, spero che non vi abbia fatto così schifo e che il matrimonio vi abbia soddisfatti, siamo arrivati ad uno dei punti cruciali della storia, da qui in poi siamo ad un punto di non ritorno! E, volevo annunciare che ho apportato delle lievissime modifiche nei primi capitoli, quindi di dare loro un'altra occhiata per non perdervi nella storia ;) Se poi voi, carissimi lettori, doveste notare delle incoerenze fra i vari capitoli, vi basterà scrivermi un messaggio per avvisarmi, sarà molto gradito! Mi raccomando, recensite numerosi! A presto, un bacione, Alba97.

























   
 
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