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Autore: Hikari93    02/04/2013    7 recensioni
«Calibro 9, un colpo alla tempia.» Una voce ovattata, grave, il rumore di un sorso profondo accompagnato dalla sensazione di qualcosa di puntinato e gelido a lato della testa. «Praticamente è un miracolo che tu non sia morto nell'immediato.»
[...]
«Dove… dove sono?» riuscì solo a mugolare.
«Benvenuto alla Retrobottega, in bilico tra la vita e la morte.»
[SasuNaruSasu - HashiMada ♥]
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hashirama Senju, Madara Uchiha, Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Retrobottega




 
01.   Capitolo Primo
– Nuove e strambe conoscenze e notizie da shock –  

 

 
 




 

«In bilico? Cosa… cosa intendi?»
L’uomo – ora messo completamente a fuoco nella sua folta capigliatura nera e negli occhi assottigliati al punto da diventare minacciosi – inclinò il capo, sollevando fino alla bocca un calice contenente del vino rosso.    
«In parole più semplici, il posto in cui ti trovi è un luogo di mezzo. Non c’è spazio né per i cuori pulsanti né per quelli marci, qui alla Retrobottega. Capisci che cosa significa?»
L’uomo si abbassò fino a raggiungere il viso di Naruto, e il ragazzo, ancora turbato e vagamente intimorito da quelle rivelazioni apparentemente senza senso – come uno scherzo di pessimo gusto –, riuscì soltanto a strusciare a terra, seduto, e indietreggiare di pochi centimetri, in volto un’espressione perplessa che però venne immediatamente sostituita da quella più temeraria ereditata da sua madre.
«Che sciocchezze vai dicendo?» urlò.
L’interrogato sorrise, strafottente, recuperando nell’immediato quella posizione dritta che gli donava un’aria da grande capo. Poggiò la mano sul fianco, alzando il mento e squadrandolo minuziosamente come il predatore con la preda.
«Se non mi credi, lascia che sia il tuo corpo a parlare per te. Poggia la mano sul petto. Dimmi, cosa senti?»
Naruto attese, immobile, col fiato mozzato. Sentì di non aver nemmeno il bisogno fisico di respirare, perché nulla bruciava nei polmoni se non lo faceva. Sotto il palmo, poi, non udiva alcun incessante battere.
Era il nulla, quello.
«Non…»
«Non?» incalzò l’uomo, beffardo.
«Non batte.»
«Già, Naruto Namikaze. Non batte.»
Se era vero che il ghignare non produceva alcun suono, era altrettanto vero che lo stridio udito da Naruto – e che, stranamente, gli fece sentire i brividi lungo la schiena e le spalle – non poteva provenire che dalle labbra, piegate all’angolo, di quel misterioso tizio. Si stava divertendo parecchio a vederlo in quello stato, Naruto ne era certo, e per quanto la sua personalità gli ordinasse di muoversi e di imporsi, la sensazione del vuoto assoluto dentro lui non voleva abbandonarlo, impedendogli così di agire e di domandarsi persino come facesse quello a conoscere il suo nome.
«Dovresti smetterla di terrorizzare chiunque arrivi qui, Madara.»
Naruto, sobbalzato come se fosse stato colto in pieno volto da una lampadina, e la figura chiamata Madara si voltarono contemporaneamente verso la stessa direzione, così da poter osservare l’entrata in scena di quello che sembrava un individuo molto più bendisposto e socievole. Naruto trasse immediatamente sollievo alla constatazione di non essere più da solo – anche se tecnicamente lo era ancora, con l’unica differenza che l’esclusiva compagnia di cui poteva godere non era più data solo da Madara –, come se il nuovo arrivato, difendendolo, avesse preso velocemente le sue parti.
«Tu, invece, dovresti curare i tuoi problemi di pessimo tempismo, Senju.»
Naruto, con suo sommo sollievo, sentì la tensione alleggerirsi, e poté permettersi un sospiro rincuorato. Pareva che persino Madara si fosse calmato, quasi fosse un’altra persona rispetto a quella che aveva conosciuto in quei minuti. In volto gli leggeva chiaramente un certo fastidio – evidenziato dalle labbra arricciate in un broncio e le sopracciglia alzate –, che tuttavia non sapeva ancora se attribuire alla presenza di quel Senju o se al fatto che non era riuscito a rigirarselo a suo piacimento e a farlo scoppiare il lacrime dal terrore. Non lo conosceva, ma intuì che probabilmente incidevano tutte e due le cose.
In ogni caso, adesso erano altri i suoi problemi, e francamente il cambio d’umore repentino di un perfetto sconosciuto passava in terzo piano.
Si alzò quindi dal pavimento, deducendo che parlare in faccia fosse più congeniale che rimanersene a terra e fissarli dal basso, prontissimo a chiedere e ricevere informazioni sul dove si trovasse, eventualmente sul come ci fosse arrivato e soprattutto sul come potersene andare – anche se tutta la sua euforia trovava un freno nel ricordo del suo cuore che non si udiva. Per rassicurarsi, cercò di immaginare che quello fosse un sogno e che si sarebbe presto svegliato; o, in alternativa, che era finito chissà come nella bettola di un mago, preferendo altamente ritenere plausibile l’esistenza della magia piuttosto che quella di un così detto limbo, anche se poi le due questioni non differivano enormemente, in quanto entrambe paranormali.
«Scusate!» esordì, imponente, deciso a mostrarsi talmente sicuro che quei due non avrebbero potuto rifiutarsi di rispondere alle sue domande. Non sapeva se sarebbe riuscito o meno a intimorirli, ma visti gli inizi poteva soltanto sperare di attirare la loro attenzione, proprio quella che entrambi, troppo presi da loro stessi, non sembravano assolutamente intenzionati a dedicargli.  
«Dovresti rilassarti, caro.» Senju sfilò il calice dalle mani del suo interlocutore e ne tracannò di colpo il fondo, facendo poi scoccare la lingua sotto al palato. «Niente male.»
«Come hai osato!? Hai infettato il mio bicchiere con quella tua sporca bocca da Senju!»
«La qualità è ottima, complimenti per la scelta» ammiccò l’altro, evitando lo sclero. «Dove posso trovarne ancora?»
«All’inferno, idiota!»
Madara sembrava sul punto di scoppiare – tradottosi in: strappare il calice di vetro dalle mani dell’altro e di spaccarglielo in fronte, riducendolo in mille brandelli; inoltre, insoddisfatto, c’avrebbe aggiunto volentieri anche una pestata a regola d’arte, con tanto di calci nello stomaco e in pieno viso, il tutto accompagnato da ritmati “così impari a tenere le mani a posto”. Pareva, almeno – mentre Senju cominciava, masochisticamente, a dargli colpetti sulla spalla, mentre sorrideva.
«Simpatica questa, Madara. Davvero simpatica. E’ un modo alternativo per dirmi che non me darai più?»
Naruto sbatté le palpebre un paio di volte, incredulo. Non poteva proprio pensare che uno di quei due tizi l’avesse quasi ucciso per lo spavento qualche attimo prima, mentre adesso si divertiva – poteva dire davvero che si divertiva? – a fare il diavolo a quattro e a fumare dalle orecchie e pure dalle narici per un normalissimo bicchiere di vino.
Tentò – ci provò con tutto se stesso – di mantenere un certo distacco dalla loro personalissima vicenda, poi ritentò, mestamente: «Ehm, scusate?»
Era così che venivano trattati gli ospiti alla Retrobottega o come diamine si chiamava?
«Ehi?»
Nulla. Risposte zero.
«Potrei riuscirci a spedirti, non sottovalutarmi.»
«Ancora che tenti di fare lo scienziato, Madara?»
«Io non tento di fare lo scienziato.»
La conclusione della frase apparve talmente ovvia a Naruto – ancor più ovvia della constatazione di star davvero ascoltando quei discorsi con vago interesse – che sentì l’”io sono uno scienziato” riecheggiare nell’aria anche se non era stato pronunciato. Bah, si stava quasi assuefacendo alle stranezze; se avesse avuto una ciotola di ramen, si sarebbe persino riseduto, auguratosi buon appetito e aspettato la sua richiesta attenzione nella speranza che lo pseudo litigio trovasse presto la sua fine.
«Oh, ma io proprio non capisco perché dobbiamo litigare in questo modo, dato che ci sarebbe tanto altro da poter fare» brontolò Senju.
In un nanosecondo, le sue dita avevano già sfiorato la guancia di Madara e beccatosi uno schiaffone,  a una velocità tale che Naruto si chiese addirittura se la mano avesse prima subito e poi agito o l’inverso.
«Tieni le tue d-»
«Le tue dannate manacce da Senju a ventimila miglia da me? Oppure le tue sudice mani?» cantilenò Senju. «No, impossibile, ho udito chiaramente una d! Potrebbe essere degradanti dita obbrobriose? C’ho azzeccato?»  
«Tsk.» Madara recuperò tutta la sua nonchalance – scoprendo probabilmente, senza troppa sorpresa, che Naruto non aveva smesso di fissarli e soprattutto di sentirli nemmeno per un istante –, e, incrociando le braccia al petto, assunse un’espressione mista tra il riflessivo e il serioso.
«Qualcosa di simile, sì. E già che ci sei, tienitelo a mente.»
«Il solito spettacolino, a quanto sembra.»
Naruto si dedicò ancora una volta all’ennesima, nuova presenza – sperando che fosse per davvero l’ultima e che non spuntassero altri tizi in giro come se fossero funghi –, sperando dentro di sé che non si trattasse di qualcuno da cui sarebbe stato meglio prendere le distanze. Il ragazzo che incrociò, però, non aveva proprio nulla che potesse portarlo a volersene allontanare o altro, anzi. Tra quelli che aveva visto, per ora pareva il più normale, ragion per cui volle provare a rivolgersi a lui.
«Ehi, amico! Almeno tu potresti spiegarmi che cosa sta succedendo? Non è che ci stia capendo granché» confessò, avvicinandoglisi. Poi, pensando di essere cortese, allungò la mano verso di lui: «Io sono Naruto Namik-»
«So chi sei» replicò l’altro, asciutto. «E’ tutto registrato. Vieni. A quanto pare non ti è stato ancora spiegato nulla, pertanto, se proprio dobbiamo parlarne, facciamolo in un posto tranquillo.»
Naruto rimase col braccio a mezz’aria e gli occhi fissi sulla schiena del suo interlocutore che si allontanava sempre di più.
Bah.
Ripensandoci, era il secondo, quel tizio, a conoscerlo di già, e si chiese come mai fosse possibile, dato che di sicuro non aveva mai messo piede in quel luogo, prima d’allora – e se fosse riuscito a squagliarsela, di certo non l’avrebbe più rifatto. Decise, per il bene superiore, di soprassedere su quella che aveva definito “maleducazione ed estrema capacità di sintesi” e di seguire senza battibecchi e lamentele il ragazzo che, al momento, appariva come la sua sola via di fuga, nonché la sola fonte da cui carpire informazioni.
«Posso sapere almeno chi sei?»
Quello si voltò, lo guardò di sbieco, superata di poco l’anta della porta d’uscita. «Sasuke.»
 
 
 
Camminando per i corridoi della Retrobottega, Naruto se ne sorprese del buio.
Ripensandoci, la sala in cui si era risvegliato non spiccava per la lucentezza, tuttavia, lì per lì, con tanti crucci in capo, la presenza di candele al posto di lampadine era passata inosservata. Mentre i candelabri elaborati, grigiastri, posti ai lati dei muri piuttosto stretti e di una colorazione viola veleno, non solo non erano passati inosservati, ma avevano anche accentuato l’ipotesi di essere giunto in una specie di mondo magico, e nello specifico al cospetto di uno stregone dagli oscuri poteri, un po’ come quelli dei racconti che aveva sentito in giro quand’era stato bambino. Inoltre, a rendere l’atmosfera molto più lugubre, contribuiva la lunghezza infinita di suddetto corridoio, sul quale, a ogni lato, spuntavano numerosissime porte di un nero intenso, sulle quali la maniglia, d’un bianco latte, spiccava, ipnotica.
Sasuke ne abbassò una e attraversò l’uscio. Il suo, parve un gesto quasi naturale, come se avesse imboccato un’entrata a casaccio – anche perché non pareva possibile poterle distinguere –, ma a giudicare dai suoi movimenti rapidi e dalla mancanza di indecisioni che Naruto gli leggeva sul viso, probabilmente lo aveva condotto in una stanza apposita.
L’interno del nuovo ambiente puzzava di un pulito asfissiante, del tutto diverso da quello solleticante del detersivo usato da sua madre. A livello di arredamento, definirlo spoglio era un eufemismo: le uniche cose presenti in quel bianco abbagliante da manicomio – Naruto rimase sorpreso dal cambiamento repentino del luogo, adesso addirittura luminoso – erano le due sedie in plastica – bianche anch’esse, da far venire il mal di testa –, simili a rigidi divanetti.     
Naruto si guardò un po’ intorno, poi, onde evitare di accecarsi e rincoglionirsi alla vista continuata di quella che pareva una chiazza di pittura tutta uguale, preferì imitare Sasuke e sedersi di fronte a lui: il seggio era duro, proprio come appariva alla vista.
«Senti, ma che cos’è questo posto?» gli chiese, impaziente, desiderando parlare in modo da non focalizzarsi sulle pareti, sul pavimento e sul tutto, semplicemente. «Mi pare che così l’abbia chiamata quel tizio…»  
«Si chiama Madara, lui. Consideralo pure il capo di questo posto, se ti va. Per quanto riguarda l’altra tua richiesta, ti trovi alla Retrobottega, immagino che ti sia stato detto.»
Naruto annuì veloce. «In effetti è proprio quello che mi ha detto Madara appena sono arrivato. Però vorrei capire… insomma, come diamine ci sono finito qui? Non mi sembra un posto troppo normale.»
Di nuovo lo intimidì il ricordo del suo cuore che non sussultava; ingoiò amaramente, decidendosi a fare un altro, silenzioso tentativo, nella speranza che prima si fosse solamente distratto o che, preso dalla paura e dal condizionamento di Madara che gli parlava, davvero non era riuscito a sentirlo, come se non battesse. Sasuke lo notò, e sospirò, evidentemente stufo di dover fornire lui tutte quelle informazioni.
«E’ inutile, non c’è.» Gli prese il polso, appoggiò il palmo sul suo, di petto. «E’ lo stesso anche per me. Sembra strano all’inizio, ma poi ci si abitua perché non se ne può fare altrimenti. Se non lo accetti, impazzirai. E’ già successo altre volte.»
Naruto rimase in silenzio, turbato, pallido. Si predispose all’ascolto, facendo segno a Sasuke, con gli occhi, di poter continuare.
«Cosa ricordi di prima?»
«C-come?»
Non si aspettava una domanda, tutt’altro; si era preparato psicologicamente ad ascoltare un discorso lunghissimo che, considerati gli inizi, probabilmente lo avrebbe sconvolto. Per questo fu colto di sorpresa dalla richiesta di Sasuke.
«Ti ho chiesto che cosa ricordi di prima» rispiegò, annoiato. «Prima che arrivassi qui, intendo» aggiunse, quando lo vide ancora confuso.
«Mmm… non ho ricordi troppo chiari, in realtà.»
«E’ normale, sei arrivato qui da poco. Prova a sforzarti e a ripensarci. Mal che vada, va bene qualsiasi cosa.»
Naruto annuì di nuovo, chiudendo gli occhi nello stesso istante. Quella stanza lo confondeva, e fu quasi tentato di dire a Sasuke di portarlo da qualche altra parte in modo da farlo ragionare meglio, tuttavia lasciò perdere, anche perché qualche pezzetto di passato venne a galla spontaneamente.
«Una pistola» mormorò.
Calibro 9, aveva detto Madara.
«Ehi!» spalancò gli occhi, alzandosi dalla sedia. «Tu dovresti saperlo, no? Conosci già il mio nome, hai detto che avete tutto registrato. Potresti anche darmi una mano» lagnò.
E sì, riflettere non era il suo punto forte.
«Soltanto Madara ha accesso a tutte le informazioni su di te. Per ora, a me sono state fornite solo le tue generalità» spiegò Sasuke, senza scomporsi, il viso inclinato sul dorso della mano. «Poi lo facevo per te, è una procedura della Retrobottega che spesso Madara preferisce ignorare – raccontando subito i fatti come con te – perché la trova estremamente noiosa e perditempo. Non che non concordi. Comunque, se non ti interessa, immaginati quanto possa importarne a me.»
«Che ne dici, invece, di parlarmi di questo posto?» chiese ancora Naruto, risiedendosi goffamente. «A queste cose di routine potremo pensare dopo, no?»
«Bene, se è così che preferisci… stai morendo.»
«Cosa?»
Naruto balzò di nuovo dalla sedia, tanto che, impercettibilmente, si domandò se non fosse più conveniente restarsene direttamente in piedi.
«Volevo fartici arrivare con calma, ma è stato sbrigativo sia per me che per te.»
«Sì, va bene, va bene» blaterò Naruto, in tensione. «Ma che cosa significa che sto morendo?»
«Arriva gente sempre più idiota in questo posto. E ciò può soltanto significare che più il mondo finge di andare avanti e più regredisce» commentò Madara, sbucato fuori all’improvviso. «Star per morire significa essere prossimi al baratro, al nulla e alla fine. Caput, fine, stop. Chiaro, adesso?»
L’uomo avanzò qualche passo, fino a posizionarsi al fianco di Sasuke e a sedersi su una sedia che fino ad allora – Naruto ne era certo – non c’era stata. Probabilmente era sbucata fuori dal pavimento, plasmandosi e assumendo i tratti di quell’insolito seggio squadrato.
«Però io sono qui.» Col cuore che non si sente e la vita che non scorre. «Questo non puoi negarlo» controbatté, convinto.
«E non lo farò, infatti. E, se ti interessa, sappi che anche nel tuo mondo esisti ancora. Un paio di tubi in bocca, aghi nelle vene, parenti disperati e quant’altro di bello possa esserci in una stanza asettica d’ospedale, ma ci sei. In altre parole» alzò la voce di un tono per non farsi surclassare da Naruto che già, pronto, aveva aperto bocca per replicare. «Coma.»
«In coma?»
«Questo ragazzino ha il pessimo vizio di ripetere qualunque cosa gli si dica» borbottò Madara a Sasuke, il quale si limitò a guardarlo per riflesso. «Fossi in te mi chiederei come uscire da qui. Sarebbe una domanda molto più intelligente da parte tua, per quanto apparentemente scontata. Coraggio, chiedimelo.»
Naruto strinse i denti; cominciava a non poterne proprio più di quell’atteggiamento saccente e beffardo. Si trovava lì da pochissimo tempo e già sperava di potersene andare quanto prima. Preferì comunque mantenere la calma, allontanando dalla mente il pensiero – piuttosto sciocco – di escogitare un modo intelligente per porre la domanda che, come Madara aveva anticipato, adesso avrebbe voluto porgli. Lo prendesse pure in giro, poi: se ne sarebbe andato presto da lì.
«Se sai già che voglio chiedertelo, perché non me lo dici direttamente?» domandò, d’istinto; si era ripromesso di non cacciarsi nei guai e di non parlare troppo – come suo padre gli ripeteva sempre –, ma stranamente in quelle occasioni era sempre il DNA di Kushina a emergere.
Madara si distese meglio contro lo schienale, allungandosi e alzando contemporaneamente il gomito sul bracciolo, in modo da sistemare comodamente il viso contro la mano.
«Non ho troppa voglia di fare chiacchiere, perciò te lo svelerò. Soprattutto perché immagino che la mia risposta non ti piacerà.»
«E allora?» lo forzò Naruto.
«Esiste il modo per uscire dalla Retrobottega, ma non sta a me dirtelo. Dovrai capirlo tu. E da solo, poiché a nessuno – me escluso – è dato il permesso di confidare questo… tabù
«Ma… ma senza indizi?» Naruto si voltò svelto verso Sasuke, sperando di trovare nei suoi occhi qualcosa che lo aiutasse, ma il ragazzo si limitò a scrutarlo in silenzio, senza permettergli di capire se conoscesse o meno quel mistero che gli avrebbe reso la libertà. «E quanto tempo ho a disposizione?»
«Oh, dipende da te. Quanto pensi di riuscire a vivere ancora sulla Terra dopo che una pallottola ti si è impiantata in testa?» domandò Madara, sornione.
Naruto strinse le mani. Si sentiva in trappola, da solo, abbandonato. In ansia. Doveva muoversi, cominciare le ricerche da subito, aprire a calci anche tutte quelle porte che aveva visto. Ma doveva riuscirci. Per forza.
«E cosa succederebbe se non ci riuscissi?» provò a chiedere, sperando che almeno quello fosse una bella notizia – se non bella, almeno decente.
«Vorrà dire che ci farai compagnia per l’eternità. Ti sembra tanto mostruoso?»

 
 
 


























 
 
 
 

Buonasera. :)
Un capito molto di spiegazioni questo. Lo so che vi sembra tutto un casino, ma pian piano vi sarà tutto chiaro. Per ora, fatevi bastare questo po’ che avete scoperto. ;)
Francamente, pensavo che la storia avrebbe preso una piega più comica, però, per come aveva reso la parte che volevo metterci, ho preferito lasciar perdere e cancellare – anche perché, per quanto ami il comico, io non sono troppo brava. X//)
Ah, Naruto chiama Hashirama Senju, perché non ha ancora capito che quello è il suo cognome e non il suo nome; non è un mio errore. Poi. Ho adorato scrivere la parte finale con Madara. =ççç=
Per quanto riguarda il femminile di Retrobottega, dovrete aspettare il prossimo capitolo. ;)
Per il resto, grazie per essere arrivati fino a qui. :)

 
 
 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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