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Autore: Groan    03/04/2013    1 recensioni
Quando un martire per scelta si appioppa un sopravvissuto per sbaglio, la vita non scorre mai veramente serena.
Dal primo capitolo:
Le mani di Piton sembrano artigli, dita troppo magre e vene assurdamente in rilievo. Le serra in due pugni, nasconde le nocche spigolose sotto al tavolo di legno.
«La prossima volta prova a metterci dell'aconito, nel purè. Il tuo utilizzo sconsiderato della noce moscata non mi sta ammazzando abbastanza in fretta.»
Fa una piccola pausa. «Imbecille», conclude, alla fine. Ma la voce è roca e manca di forza, solo gli occhi sono rimasti quelli di prima.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Famiglia Malfoy, Harry Potter, Il trio protagonista, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Da VII libro alternativo
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Fu Ron a trovare le foto, quella volta che si misero in testa di andare tutti e quattro a Spinner’s End.
Be’, non erano veramente quattro, sarebbe stato meglio dire “tre e mezzo”.  Il professore era ridotto ad uno spauracchio muto e completamente impermeabile agli stimoli esterni, s’era seduto su una sedia della cucina piccola, sudicia e Babbana, nascosta dietro alle enormi librerie come se fosse qualcosa d’imbarazzante e d’inutile.
Era come a Godric’s Hollow, ancora una volta: si cercano risposte, si cerca aiuto. Ma tutto ciò che si trova è freddo, vecchio, inutile. Cose che hanno a che fare solo coi morti, e non riescono a consolare i vivi.
Piton rimase lì, come se stesse aspettando qualcosa, con le spalle chiuse e la testa bassa. Il viso arcigno, la schiena curva come quella di un prigioniero, di uno sconfitto.
E loro tre fingevano di non provare curiosità, camminavano in fila indiana per il corridoio stretto, col soffitto macchiato dall’umidità, calpestando pezzi d’intonaco.
La camera più grande sembrava un museo. Il letto rifatto, con una precisione certosina, le lenzuola ancora tremendamente tese, senza neanche una piega… ma con tre dita di polvere sopra. Mobili vecchi, mobili da poco,  ed una serie di oggetti personali lasciati lì da anni, come se gli occupanti della stanza fossero semplicemente appena scesi a fare colazione.  Ci misero giusto una manciata di secondi a capire di chi fosse di quella camera. Un altro istante ancora, e la convinzione che fossero entrambi morti arrivò come uno schiaffo.
Le fotografie erano sulla cassettiera, in cornici anonime di legno inghirlandate di ragnatele. Eppure Ron le prese lo stesso, quasi automaticamente, mentre Hermione cercava di aprire le finestre per far entrare un po’ d’aria ed Harry faceva il suo monologo un po’ da martire stressato. Era per Piton che erano lì, per cercare di riscuoterlo, ma lui niente! Si era arenato su quella sedia, come se aspettasse il pranzo, zitto e spigoloso come un cancellaccio di ferro.
Ron nascose la mano nella manica, usò quella per scacciare un po’ di polvere dal vetro delle foto.
Riconobbe Eileen Prince, con le sopracciglia pesanti e le spalle incurvate, che guardava l'obiettivo con scarsa partecipazione, raggelata nella posa rigida d'una foto che non riusciva a muoversi. Teneva un neonato tra le braccia, un fagotto quasi impossibile da identificare con l’uomo che se ne stava in cucina a lasciarsi cadere la polvere addosso. L'altra fotografia, altrettanto statica, raccontava la storia d'un matrimonio frettoloso, di una cosa inutile quanto il cercare d'aggiustare il guscio di un uovo rotto, sperando che possa ancora custodire serenamente al suo interno il tuorlo e l'albume.
L'abito da sposa un po’ insulso non riusciva a nascondere il ventre già gravido della donna, e c'era qualcosa di possessivo e malsano nel modo in cui la mano grossa, ignorante di Tobias teneva la spalla della moglie. Come per non lasciarla scappare via.
Ron non disse niente, mentre si metteva le due fotografie sotto il braccio.

Ad oggi, sono l'unico effetto personale presente nella camera di Piton. Le ha messe all'estremità del comodino, anche se il due è sì un numero buono, ma non abbastanza buono. Divisibile solo per se stesso e per uno, un numero che stringe lo stomaco. Il due, sotto radice, diventa irrazionale... sul comodino dà giusto un vago senso d'inquietudine.
In mezzo, i due pezzi della bacchetta spezzata a metà – un ricordo vergognoso. Ed il quattro va meglio, ma non troppo - per fortuna ci sono i sassi, piccoli ed irregolari, posizionati a spirale. Un simbolo antico, qualcosa che ci protegge tutti - ma è strano, perchè sono sette, ed il sette è un numero potente: lo sapeva anche Voldemort. Un numero potente e malignamente dispari, assieme alle altre cianfrusaglie sul comodino fa undici, che è il quarto tra i numeri primi, formato da quattro oggetti che ricordano il passato...
Ma siamo già nella pazzia, ed Harry non conta più di così.

Sa solo che Piton scosta le coperte solo quanto basta per infilarcisi sotto, che allinea le pantofole consunte con una precisione che strizza il cuore. E poi lo guarda con occhi che non sono mai stati buoni, scuri come la notte in cui si fa ciò che è troppo sordido fare di giorno.
Tiene tre cuscini sotto alla testa, tra i capelli lunghi ed unti c'è del grigio che Harry, fino a due anni fa, avrebbe giurato di non vedere. Deglutisce a fatica, Harry gli lascia precisamente otto fazzoletti vicino alle mani magre, per poi prendere la bacchetta con un gesto distratto.
«Tra una settimana», annuncia Piton, e la voce è roca e sgradevole, quasi strozzata. Harry non capisce, ma ha imparato ad aspettare: se ha abbastanza pazienza, l’uomo tende a spiegargli le cose di sua iniziativa. In maniera stringata e poco emotiva, ma lo fa, riconosce la confusione negli occhi verdi dell'altro.
«La signora Malfoy. Tra una settimana», aggiunge, infatti, e sono solo gli occhi a trasmettergli un silenzioso ed infantile "me l'hai promesso", malgrado non ci sia mai stato niente di simile, nonostante proprio Piton sappia riconoscere tra promessa e concessione, forse meglio di chiunque altro.
Harry annuisce e basta, la bacchetta in mano, i piedi ancora scalzi. Non ha bisogno di scarpe, non deve andare da nessuna parte, il suo posto è lì.
Piton rimane in silenzio a lungo, non ha ancora finito. E' strano, potenzialmente disturbante, il modo in cui comunicano quasi senza parole: per ogni vocabolo che si strappano di bocca, ce ne sono altri dieci che capiscono da soli, nel silenzio.
Ma è solo un effetto collaterale del vivere insieme, quando il pudore è lusso ed il pensiero si traduce dai più minimi atteggiamenti.
«Draco», dice, infatti, l'ex professore. Ed Harry ci mette un lungo attimo a capire che sta parlando di Malfoy, è strano sentirlo chiamare per nome, con una schiettezza simile.
Si passa la mano libera sulla faccia, sulla fronte dove la cicatrice è solo un segno muto e poco visibile, risponde prendendosi il suo tempo... anche se l'insofferenza dell'altro uomo è quasi qualcosa di tangibile.
«Chi vuole lei. Per me non c'è problema.»
«Molto umano, da parte tua», mormora, lasciando intravedere per un attimo i denti giallognoli, scoperti da una smorfia trattenuta solo a metà.
Harry si infila le dita tra i capelli, li pettina all'indietro, l'indice ed il medio rimangono per un attimo incastrati tra i nodi. Non si rende conto di quanto somigli a James, in questo momento: rilette lentamente, aggrotta la fronte prima di aggiungere una piccola condizione.
«Non suo padre. Lui no», aggiunge, con il tono definitivo di chi, suo malgrado, ha imparato ad ottenere, se non la cieca obbedienza, almeno la collaborazione degli altri.
Riconosce vagamente un sentimento che non è bello e non è sano, sul viso di Piton. Lo ignora.
«Buonanotte, Potter», dice solo, rimanendo immobile, steso sulla schiena, con il capo alzato dai cuscini e la vaga speranza di morire, finalmente, soffocato durate la notte.
«Buonanotte», risponde automaticamente il ragazzo, muovendo la bacchetta in un arco pigro, mentre le luci si abbassano fino a spegnersi.
Ha solo sentimenti vaghi, pensieri incoerenti, il suo letto è nella stessa stanza, è poco più di una branda, lo raggiunge camminando al buio. Come al solito, dorme solo per metà.

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«I Guaritori l’hanno detto che pesa troppo poco. Troppo più poco. E non ci provi neanche a darmi la colpa, io almeno cucino! E comunque, a me sembra che vada bene», obbietta Harry, mentre si scaccola le dita dei piedi, stravaccato in maniera ben poco fine sul divano.
Piton, al contrario, se ne sta in piedi. Tiene la schiena dritta, i muscoli deboli ed inconsistenti tremendamente tesi. Forse. E’ difficile da dire, annegato com’è in uno dei suoi vecchi abiti, di quando ancora insegnava:  il corpo smagrito del Mangiamorte si perde in mezzo alla stoffa, ed Harry si chiede distrattamente come facesse a sentirsi intimorito da lui. Adesso, sembra semplicemente ridicolo.
E forse è questo il problema, ciò che fa contorcere il viso di Piton in un’espressione piena di disgusto e di rabbia.
«E’ inaccettabile», ribatte, di scatto, come un serpente che morde.
«Possiamo comprarne un altro.»
«No.»
«Posso andare io a comprarne un altro. Uguale. O può… mmhh… tenersi i vestiti Babbani e vedere se la signora Malfoy è debole di cuore?»
«Sciocchezze.»
Può rimanere nudo, e farla diventare debole di cuore?», sbotta Harry, alla fine, alzandosi fino ad appoggiare le natiche in cima allo schienale del divano.
La porta sbatte, e Piton non c’è più. Indubbiamente è una caduta di stile, rispetto a quando se ne volava fuori dai castelli sfondando vetrate a go-go, ma negli ultimi anni tutto è stato un’enorme caduta di stile, se la vogliamo mettere così.
E’ di fuori come una balaustra, pensa irosamente Harry, facendo scivolare le natiche contro lo schienale e riaccucciandosi tra i cuscini del divano.

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«Non saprei veramente da che parte cominciare», squittisce Hermione, con quell’ammasso di stoffa nera in grembo ed il panico negli occhi.
«Be’, a lavorare a maglia te la cavavi…», inizia a dire Harry, ma si blocca. Dire che se le cavava bene sarebbe una bugia un po’ troppo grossa: i suoi berretti da elfo domestico sono sempre rimasti troppo simili ad un gomitolo di lana ingarbugliato da uno squadrone di gatti. Cerca, quindi, di cambiare strategia.
«E poi, con la magia non dovrebbe essere più facile?»
«Più veloce, al massimo, ma devo saperlo io cosa far fare all’ago, non può certo decidere di testa sua! Lo sapresti, se ti fossi preso la briga di… oh, Harry, veramente… non… non so stringere dei vestiti, non l’ho mai fatto!»
«Ma puoi provare!»
«Sì, certo… ma, ehm, per Piton… se magari avessi più tempo per allenarmi un po’,  fare un paio di tentativi con qualcos’altro…»
«Oh, accidenti. Date qua.»
Entrambi si voltano verso Ron, di scatto. Ha l’espressione da Portiere tormentato, il viso tremendamente rosso.
Nessuno dei suoi amici trova il coraggio di fare commenti.

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Ron cuce in silenzio, con una precisione ed una competenza mica male, anche se la velocità gli fa un po’ difetto. Ma forse è solo il disagio di sentirsi gli sguardi degli altri due addosso.
Alla fine non ne può più, rompe il silenzio sbottando.
«Lo sa fare anche Bill. Anche Charlie! Charlie sa lavorare all’uncinetto, e lui stende i draghi!», annuncia, alzando per un attimo dal suo lavoro e sfidandoli, con lo sguardo, a mettere in discussione la virilità dei fratelli.
Harry non ragiona, prima di parlare.
«E poi li stira, quando sono asciutti?»
C’è un attimo di silenzio pesante, ma alla fine ridono entrambi. Ridono forse troppo forte, ma è solo perché è da quando hanno lasciato Hogwarts che hanno poche occasioni per farlo.
Solo Ron sembra arrabbiato, si lancia in una filippica sui metodi della signora Weasley per trovare qualcosa da far fare ai figli, qualcosa per tenerli tranquilli e – perché no? – dare una mano coi lavori di casa.
Coi gemelli non ha mai funzionato, apparentemente… ed alla fine Ron si arrende, ghigna a sua volta, stacca il filo coi denti. Harry è piegato a metà, quasi piange.

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Gli viene da piangere. Okay, in realtà no, è solo esasperato. Se ne sta in piedi come un bravo, piccolo soldato, con un paio di stracci infilati nella tasca dei jeans e gli occhiali schizzati d’acqua, mentre Piton si agita, rischia di strozzarsi, si asciuga irosamente le labbra con una mano. Scruta mobili e pavimenti con lo stesso sguardo disgustato che riservava al calderone di Neville, ed effettivamente pare più simile al vecchio se stesso. Ron ha lavorato meglio che poteva, e se non altro non sembra più che Piton indossi la vestaglia da camera dello zio Vernon.  Anche Harry ha lavorato meglio che poteva, se è per questo, ma lo scomodo coinquilino non pare d’accordo.
«Non riesco a credere che tu abbia vissuto con Petunia», bercia, dando a quel nome un’inflessione così carica di disprezzo da farlo sembrare una parolaccia. Passa l’indice in un anfratto del vecchio scrittoio, riuscendo a pescare un po’ di polvere da un angolo. «Se neanche quella donna orribile è riuscita ad insegnarti come tenere una casa… potrei provare ad affamarti a mia volta, vedere se c’è ancora speranza che il metodo didattico dei tuoi zii possa funzionare, ma il proibirti di mangiare gli orrori che produci quotidianamente in cucina sarebbe solo un…»
«Basta», gli intima Harry, riesce a non urlare. Anzi, suona davvero molto calmo. Pericolosamente calmo, forse, ma Piton sorride, un sorriso maligno come un pizzicotto.

«Oh, chiedo scusa. Dimenticavo, in questo bel quadretto familiare io sono… cosa? Lo zio un po’ tocco e burbero, che in realtà ha un cuore grande così? E’ questa la fantasia che ti rende così testardo? Spero di non essere stato salvato per farti da figura paterna – potevate lasciarmi su quel pavimento, avreste solo accellerato i tempi: non so se l’hai notato, ma le tue figure paterne tendono a morir---»
Una specie di ringhio, uno schianto improvviso come un’esplosione, il corpo disastrato di Piton che sbatte contro alla porta.
La bacchetta di Harry è premuta contro quella gola che non funziona più come dovrebbe, ed ancora una volta l’uomo non riesce a deglutire. Il rumore è sgradevole mentre rischia di strozzarsi con la sua stessa saliva, ma Piton ride. E’ una risata cupa, se cerca d’inghiottire aria è solo perché l’istinto si ribella, cerca di continuare a vivere. Ma la sua parte cosciente è scoppiata in un’ilarità malsana, ed è solo quando i suoni strozzati si fanno più frequenti delle risa che Harry allenta di poco la presa sull’uomo.

Non tenta una Maledizione Senza Perdono, come ai vecchi tempi. Non sente veramente la voglia di fargli del male, non mentre la rabbia scende piano.
«Anapneo», dice, parlando lentamente.
Piton respira, affannosamente ma respira. Tiene gli occhi chiusi, Harry non lo lascia cadere a terra. Lo tira su, bruscamente.
Non pesa quasi niente, se di lui si dice che è un uomo pesante è per altri motivi.

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Mancano ancora un paio d’ore all’arrivo dei Malfoy, ma Harry ha smesso di ridacchiare sotto i baffi all’idea di farli entrare in quella casa così schiettamente Babbana. La voglia di ridere se n’è andata un’altra volta, non prova veramente sensi di colpa per l’aggressione a quel grandissimo stronzo che…

Che sa perfettamente come vivevo dai Dursley. L’ha visto con la Legilimanzia, lo immaginava già da prima, conosceva Petunia, non gliene frega niente, lo trova divertente. Mi avrebbe ucciso senza pensarci un attimo, se fosse servito a salvare mia madre. Non gli importava di mandarmi a morire, non è vero, l’ha detto a Silente, mi proteggeva solo per lei, avrebbe ucciso me e mio padre se solo… non so quante persone abbia ucciso, mi fa schifo, mi fa schifo e…

Butta roba nella tazza praticamente a caso, ha mollato Piton su una sedia, gli dà le spalle. Versa qualcosa che lo renda più mansueto, versa la polvere con quel nauseante odore di erba secca dentro all’acqua così corretta, una sostanza che aiuti ad addensarla un poco.
Sia mai che si strozzi, sia mai che muoia, facciamogli tutte ‘ste schifezze per tenerlo in vita, pensa, abbastanza sardonico, neanche s’è preoccupato di azzeccare le dosi, ci schiaffa dentro un cucchiaino.
Appoggia bruscamente la tazza davanti all’uomo, tiene la testa curva, i capelli lunghi e trascurati gli coprono gran parte del viso brutto, la voce è schifosamente roca.
«Preferirei rimanere lucido.»
«Allora mandi giù quella roba, tanto meno lucido di così non può umanamente diventare.»
«Senti da che pulpito…», osserva l’altro, sbirciando il ragazzo. Il viso è inespressivo, tremendamente vecchio, mandare giù quel mezzo bicchiere di acqua curiosamente solidificata e calmante è un affare lungo e penoso.
Se si accorge delle dosi buttate a caso, per una volta, non lo dà a vedere.

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Harry si convince che Piton non sembri poi così fuori fase. Magari giusto un po’ rincoglionito, niente che possa preoccupare la tenera coppia di maghi oscuri che hanno invitato a prendere il thè.
Forse.

L’igiene personale dell’ex professore è qualcosa di strano, le vecchie malignità non sono del tutto esatte: si lava minuziosamente le mani ad ogni minima sciocchezza, si sciacqua regolarmente il viso arcigno, si immerge stancamente nella vasca da bagno più o meno una volta al giorno.
Perché si ostini a non lavarsi come si deve i capelli, tuttavia, lo sa solo Merlino.
E’ comunque passato da tempo il periodo in cui Harry provava ribrezzo per certi gesti un po’ leziosi, da madre che si prende cura della figlia: l’ha pettinato di fretta, bruscamente, gli ha legato i capelli in una goffa coda di cavallo, ha deciso che così andava meglio, non si è sentito veramente in colpa nel trovare l’uomo così remissivo e spento, con lo sguardo perso quanto quello di Luna. Al massimo ha provato un po’ di disgusto, perché la sua aria assente non ha l’ingenuità e la schiettezza di quella della ragazza, è qualcosa di torbido, come se stesse rimestando in pensieri troppo sporchi da dire ad alta voce.

Harry rimpiange la comodità dei piedi scalzi, cerca d’appiattirsi i capelli con le dita umide, senza neanche guardarsi allo specchio.  Sobbalza quando il campanello suona, Piton si alza quasi automaticamente, pare più un burattino scoordinato che una persona. Harry non ha gli strumenti per valutare quanto sia cambiato in quei due anni: il declino è avvenuto lentamente, sotto i suoi occhi, ed è con la stessa innocenza potenzialmente cattiva dei bambini che apre la porta d’ingresso.

Narcissa ha qualcosa di disgustosamente simile a zia Petunia – il portamento, l’aria mummificata da persona abituata a certi ambienti, troppo attenta alle apparenze. Ma sulle labbra ha un sorriso morbido che Harry associa involontariamente a Molly, un sorriso che trema appena, che la fa sembrare più bella di quanto sia veramente. Più giovane, più piccina.
«Severus», riesce a dire, solamente, dopo aver  salutato il salvatore del mondo magico, degnandolo più o meno della stessa attenzione che potrebbe ricevere un portaombrelli.

Per un attimo sembra che voglia abbracciare quello sgorbio pieno di rancore. Cammina silenziosa, infagottata in abiti Babbani troppo retrò, da signorina degli anni ’20, coi capelli biondi raccolti in una treccia comicamente lunga e sottile – una pettinatura che, inconsciamente, Harry associa più ad una bambina che ad una donna di quella età.
Il ragazzo li osserva con la coda dell’occhio, non c’è nessun abbraccio, solo una mano femminile che sfiora il braccio ossuto dell’uomo, lo stringe per un attimo, in un gesto strano ma pazzescamente composto.
«Ti trovo bene», la sente dire, e non ha bisogno di vederla in faccia per indovinare che sta sorridendo, per capire che il suo è un sorriso forzato.

Il resto se le perde, perché Draco è ancora sull’uscio della porta, si schiarisce molto deliberatamente la voce.
«Permesso», biascica, inarcando pericolosamente un sopracciglio. Non sembra cambiato, con quella faccia pallida ed insignificante da roditore, il completo troppo formale e serioso addosso, più da piccolo violinista prodigio che da semplice Babbano in giro per Godric’s Hollow.
Ha solo i capelli più lunghi, raccolti in una coda di cavallo corta e talmente stretta che c’è da stupirsi che i capelli così malvagiamente tirati non gli stirino la faccia fino a fargli venire gli occhi a mandorla. Neanche aspetta una risposta (e fa bene: Harry si limita a fissarlo con malcelato rancore ed una faccia ebete da gnu), sembra gli basti aver attirato l’attenzione. Quasi gli tira una spallata mentre entra, ma tiene lo sguardo basso, ha una singola ruga verticale impressa tra le sopracciglia chiare.
Harry lo sbircia con curiosità, mentre chiude la porta… ma Draco non rivolge a Piton ed a sua madre più di uno sguardo veloce, malgrado l’ex Mangiamorte lo stia fissando in silenzio, al di là della spalla della donna, con quei suoi occhi scuri e mai veramente buoni.

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Pensava di sentirsi più a disagio, in effetti. Si aspettava una quantità di cose (molte delle quali, in tutta onestà, avrebbero richiesto l’intervento degli Auror), ma di sicuro non avrebbe mai creduto di ritrovarsi a ridere, seduto al tavolo di casa sua con tre Mangiamorte attorno.
Aveva sottovalutato Narcissa, a dirla tutta.
«…una serata disastrosa. C’erano questi tre ragazzi del quarto anno che, per un qualche motivo, trovavano veramente molto divertente “battezzare” quelli del primo. In svariati modi, tutti di pessimo gusto… dov’è che avevamo ritrovato Avery?», s’informa, guardando quel Piton insolitamente silenzioso. Ma il sorriso della donna ha qualcosa di effettivamente contagioso, ed è buffo sentirla raccontare tutti quegli aneddoti con voce così educata e composta. Ritrova la memoria da sola, ed Harry ha la distinta impressione che stesse solo cercando di coinvolgere l’uomo nella conversazione.
«Ah, già. Nel gabinetto», ricorda, arricciando il naso come un coniglio, con un’espressione così disgustata da sembrare quasi comica. C’è qualcosa di autoironico nelle sue pose, Harry non l’avrebbe mai sospettato…
Ma, d’altra parte, Harry l’ha sempre vista sulla difensiva, per un motivo o per l’altro.
«Non al gabinetto. Proprio dentro il gabinetto, e chiedo scusa se magari non è proprio l’argomento di conversazione più piacevole.»
Scuote la testa, ride piano, coprendosi la bocca con la mano.
«Un caos infernale, quell’anno, dopo lo Smistamento. Ma non Severus. Lui stava così.»
Incrocia le braccia al petto, tiene su il broncio, mantiene quest’aria seriosa ed arcigna giusto per un paio di secondi.
Harry non saprebbe spiegare perché la trova così divertente. Le unghie lunghe e curate di Narcissa tintinnano piano contro la porcellana della tazza.
«Lucius, poveraccio, lo credeva un ragazzino in crisi. Nostalgia della madre, della casa, le solite cose. Insomma, si avvicina per consolarlo, e…»
«E gli ho detto di andare a farsi fottere», interviene la voce roca di Severus, ancora un poco scollegata, troppo lenta e riflessiva.
Non appena Harry riesce a riprendersi dal piccolo shock, tira un’occhiata a Draco. Ma l’altro ragazzo tiene ancora lo sguardo basso, ha un sorriso vago che pare nascere più da una sterile cortesia che da vero divertimento. Sembra non ascoltare veramente, sta facendo fuori una quantità industriale di thè, neanche sentisse il bisogno disperato di tenere le mani sempre occupate, snobba beatamente i pasticcini comprati di fretta al negozio Babbano all’angolo.
Intanto, Narcissa continua a parlare.
«Era un ragazzino orribile», afferma, guardando Piton con un sorrisetto quasi malizioso. «Sapeva più parolacce lui degli studenti del settimo anno!»
«Non ricordo che Lucius abbia mai imprecato davvero prima del…»
«Del ’79», annuncia Narcissa, con aria competente. «Ed è stata colpa tua, Severus.»
«Cos’è che diceva, prima? Quand’era veramente…»
«Oh, non ti aspettare che lo dica. Sono completamente, totalmente fedele a mio marito…»
«Caspiterina? Era questo?»
«Merlino, no! No!», si scandalizza la donna, il sorriso ampio seminascosto dalle dita della mano, tiene gli occhi chiari un po’ strizzati. Anche le rughe attorno ai suoi occhi hanno qualcosa di grazioso.
«Nessuno l’avrebbe mai preso sul serio, a sentirlo parlare così!»
«Aspetta… lo prendevano sul serio? Sei sicura?»
«Severus, non fare il difficile. E poi, scommetto che te lo ricordi. Stai solo cercando di darmi fastidio.»
L’uomo sorride, un sorriso lento ed un po’ sperso.
«Corbezzoli», ammette. «Corbezzoli.  Un conto era sentirglielo dire ad Hogwarts, un conto era sentirlo fuori da lì. Era l’unica cosa che ci faceva tornare la voglia di ridere, almeno finchè il Signore Oscuro…»

E l’atmosfera diventa improvvisamente molto più fredda. Draco chiede il permesso di assentarsi un attimo, lo chiede a sua madre, automaticamente. Si alza, si scusa molto compitamente, sembra vada a cercarsi il bagno da solo, ignorando beatamente San Potter.
Che, al momento, si sente decisamente meno santo del solito. O forse è solo il peso delle cose che tornano nella loro giusta prospettiva, torna a riflettere sull’irrealtà della situazione. Su quanto sia sbagliata.
Ed è con soddisfazione che soppesa Severus, così apparentemente vecchio e fragile, con l’espressione nuovamente austera e circospetta… ed un filo di saliva che cola dall’angolo delle labbra sottili, rovinando qualsiasi parvenza di dignità possa ancora sperare di fingere.
Harry approfitta del silenzio per riflettere, oziosamente, ma i suoi sono pensieri che non dovrebbe avere. Perché se è così che vede Piton, il vivere con lui sembra… qualcosa di malsano, di sadico.
E’ comunque un’idea che non fa neanche in tempo a formarsi completamente.
«Potter…»
Anche la voce di Narcissa sembra aver perso il calore di prima, come se fosse stata tutta una farsa, un vano tentativo di non rendere sgradevole la situazione già assurda.
«Vorrei parlare un attimo da sola con Severus. Se non è di disturbo…»

Non sta chiedendo veramente il permesso. Mi sta prendendo in giro.

Ma Harry scosta velocemente quel pensiero – non lo cancella, lo tiene da parte, il suo “ma certo” suona disgustosamente ironico.
Non si cura d’essere almeno vagamente fine, scosta la sedia facendo rumore come un bisonte, si allontana con quella sua camminata un po’ goffa, dinoccolata.

  
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