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Autore: Mary P_Stark    04/04/2013    2 recensioni
Brie e Duncan guidano il branco di Matlock, il Concilio di Anziani è stato destituito e un nuovo corso è iniziato. Assieme a questa nuova via, nuovi amici e vecchi nemici fanno il loro ingresso nella vita dei due licantropi e un'antica, mistica ombra sembra voler ghermire tra le sue spire Brie, che non sa, o non ricorda, chi possa volerla morta. SECONDO CAPITOLO DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nel racconto precedente)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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11.

 
 
 
 
 
 
 


 

Lasciare Glasgow produsse in me un miscuglio indefinibile di emozioni.
Dopo miglia e miglia, passate a digerire la progressiva lontananza tra me e le mie amiche, ancora non ero sicura di ciò che sentivo dentro il mio cuore.
Ero felice di tornare a casa, tra l’abbraccio protettivo del mio branco e dei miei familiari, ma ero anche triste al pensiero che, almeno per molto tempo, non avrei potuto riabbracciarle.
Ma, più di tutto, non sapevo come comportarmi di fronte all’ostinato silenzio di Duncan.
Da quando eravamo saliti sulla Volvo, e avevamo imboccato la motorway per tornare a casa, nell’abitacolo era sceso un silenzio di tomba.
Il ronzio di una zanzara sarebbe parso assordante, alle mie orecchie.
Non aveva detto più nulla, dopo il suo rientro dal pattugliamento notturno attorno al quartiere.
Cosa ancora più strana, si era limitato a stendersi al mio fianco, abbracciandomi stretta senza fare null’altro, se non baciarmi ogni tanto i capelli.
Avevo quasi giurato che, dopo un evento simile, avrebbe fatto l’amore con me fino allo sfinimento, invece nulla.
Si era trincerato in quel maledetto silenzio, che tanto mi ricordava i primi giorni in cui ci eravamo conosciuti, quando lui taceva qualsiasi cosa, svicolando a qualsiasi mia domanda.
Beh, non gliel’avrei permesso oltre, questo era sicuro.
Intrecciando le braccia al petto, esordii dicendo: “Hai intenzione di tenere il muso fino a Farley, per caso? Perché, se è così, puoi mollarmi alla prima piazzola di sosta. Mi farò il viaggio di ritorno come lupo.”
Mi lanciò una breve occhiata, le mani ben salde sul volante di pelle nera e la lancetta del contachilometri fissa sulle ottanta miglia orarie.
Sbuffai innervosita ma, prima ancora di poter parlare, sentenziò lapidario: “Non ti muoverai mai più senza una scorta, quindi dimenticati pure di tornartene a Farley da sola, perché non lo farai.”
Strabuzzai gli occhi, inorridita dal suo tono autoritario e da quell’ordine perentorio. Sbottai immediatamente, esclamando: “Cos’è? L’ordine del mio Fenrir, questo?!”
“Esattamente. Non permetterò mai più che ti possa succedere qualcosa, perciò farai ciò che ti dico” assentì Duncan con un tono di voce così pacato e, nel contempo, così definitivo, che mi fece accapponare la pelle.
“Non ci penso proprio a farmi seguire ovunque da uno dei nostri lupi! Scordatelo!” ringhiai, innervosendomi non poco.
“Tu farai quello che ti si dice. Sono io l’autorità, nel branco” precisò, stringendo leggermente le mani sul volante. Ah, bene! Una reazione, finalmente!
“E io ti devo ricordare che una wicca non prende ordini da nessuno, neppure dal suo Fenrir!?” ribattei, assottigliando gli occhi con ferocia.
“Sei anche la mia Prima Lupa, perciò ho voce in capitolo, se permetti” mi fece notare, manifestando i primi accenni di rabbia.
Finalmente si stava scuotendo. Stavo frantumando la sua maschera compassata, ma non seppi dire se fosse un bene o un male.
“Beh, non mi obbligherai a fare qualcosa che non voglio. Tienilo bene a mente, Duncan. Non sono un oggetto che tu puoi sbatacchiare a destra e a manca a tuo piacimento” gli sputai addosso, guardando ostinatamente fuori dal finestrino con aria offesa.
Fu a quel punto che mi sorprese.
Rallentò di colpo e si fermò nella corsia di emergenza, mettendo le quattro frecce prima di voltarsi verso di me.
Con un ringhio che fece vibrare i vetri, fece esplodere tutta la sua rabbia e la sua paura
“Ma è mai possibile che tu non capisca quanto io tenga a te e quanto, quel che è successo ieri, mi abbia sconvolto a morte?! Pensi che io sia fatto di pietra, maledizione?!”
Sobbalzai, sorpresa di fronte a quello sfogo improvviso e violento che non era da Duncan e, spiacente, lo guardai negli occhi lucidi di lacrime, che non avrebbe mai e poi mai versato.
L’avevo ferito, e molto.
Mi stavo comportando da bambina insofferente e, con la mia testardaggine, avevo colpito al cuore la persona cui più tenevo al mondo.
“Duncan, io…” tentennai, mordendomi un labbro, indecisa su cosa dirgli.
Lui tornò a fissare la strada semi deserta di fronte a noi e, senza più dire nulla, ripartì e non si fermò più.
Dalla sua bocca, piegata in una smorfia, non uscì fiato per tutto il viaggio.
Ammutolita dalla vergogna e dal senso di colpa, me ne ristetti nel mio angolino, ascoltando la radio a basso volume e sperando che quel viaggio mostruoso avesse presto un termine.
Era assolutamente la prima volta che io e Duncan litigavamo a quel modo, da quando ero diventata la sua compagna.
Il senso di vuoto, che percepivo nell’animo, mi faceva stare così male che avrei voluto mettermi a urlare per la frustrazione.
Sapevo perfettamente che lo stesso dolore stava invadendo anche lui, simile a mille locuste desiderose di divorarci interamente, lasciando di noi solo polvere e nient’altro.
Sapevo anche che, la causa di quell’infestazione, era dovuta alla mia malsana abitudine di impuntarmi sulle cose, anche quando sapevo che era la mera stupidità a spingermi.
L’essere così a stretto contatto con Duncan, l’essere legata a lui con il sangue e con l’anima non era facile, in momenti come quello, perché il dolore era amplificato così tante volte da renderlo praticamente insopportabile.
E io gli avevo fatto questo.
Ero un mostro.
Con un sospiro, mi coprii il viso con le mani come per nascondermi di fronte all’immane errore che avevo commesso e, fino a Farley, non guardai più nella sua direzione, temendo di vedere condanna e dolore nei suoi occhi a me così cari.
Quando raggiungemmo il nostro ameno paesino nei pressi di Matlock, fu con un certo stupore che mi ritrovai a fissare la villetta dove vivevano Gordon e Mary B.
Si fermò e, nel vedere Duncan scendere dall’auto per suonare al citofono, mi chiesi cosa volesse fare.
Dopo neppure dieci secondi ne uscì Mary B che, raggiuntolo in strada, lo abbracciò e, con un sorriso, esclamò: “Ehi, ragazzi! Non vi aspettavamo che per sabato prossimo. Come mai questo ritorno frettoloso?”
Duncan era tornato a indossare la sua maschera di tranquillità fasulla e, sorridendo a Mary B, le spiegò: “Impegni improrogabili che non mi permettono di prendermi cura di Brie come vorrei. Può stare un po’ con voi, in questi giorni, finché non sistemo tutto?”
Mary B parve sorpresa da quella proposta – di certo, mai quanto la sottoscritta – ma annuì lieta e replicò: “So quanto possano essere gravosi i tuoi impegni, caro, e so quanto ci tieni che Brie non stia mai da sola. Certo che può rimanere qui.”
Chinandosi per baciarle una guancia con fare filiale, Duncan mormorò: “Ti ringrazio, Mary. Ti farò sapere appena avrò terminato tutto.”
“Non avere fretta. Sai che ci fa piacere avere Brie da noi” lo tranquillizzò Mary B, prima di sorridermi e asserire: “Coraggio, scarica la tua valigia. Non vorrai mica che faccia sempre tutto Duncan, no?”
Mi riscossi quel tanto che bastò per non apparire un’ebete e, annuendo a più riprese, mi affrettai ad aprire il bagagliaio per estrarre il mio trolley rosso fuoco.
Quando, però, mi ritrovai a fissare gli occhi apparentemente smarriti di Duncan, mi sentii sgretolare in mille piccoli pezzettini.
Se non fosse stato per la presenza di Mary B, mi sarei messa a piangere a dirotto per poi di buttarmi tra le sue braccia per scusarmi.
Invece, mi limitai ad alzarmi in punta di piedi e, dopo averlo baciato sulla guancia e averlo stretto in un dolce abbraccio, sussurrai debolmente: “Cerca di non stancarti troppo, in questi giorni. Sai che esageri sempre, quando non ci sono io a vigilare.”
Lui accennò un mesto sorriso, rispondendo al mio abbraccio che sapeva di dolore e di lacrime e, baciatami sui capelli, mormorò: “Non dimenticarti che ti amo.”
Annuii, lasciando scivolare la mano sulla manica della sua camicia finché non si fu del tutto allontanato da me.
Non appena lo vidi accendere l’auto per avviarsi verso casa, non potei esimermi dal sospirare pesantemente.
Mary B mi guardò un momento prima di prendere il trolley dalle mie mani e, incamminandosi verso casa, domandò: “Ora che non c’è, posso sapere che è successo per ridurvi in questo stato pietoso?”
Non mi stupii che Mary B avesse capito al volo che qualcosa era successo tra noi perciò, non appena misi piede in casa, esalai un laconico: “Abbiamo litigato.”
Quasi facendomi sobbalzare per la paura – il che la diceva lunga su quanto fossi sconvolta – Gordon sbucò dalla cucina con un tramezzino in bocca e una bibita in mano, bofonchiando: “Ehi, fao! Fi è fe ha litigato?”
Lo fissai con un sopracciglio sollevato e, scrollando il capo, mugugnai: “Ingoia quel panino, prima di affogare.”
Lui ingollò a fatica il boccone e si scolò un bel sorso di Coca-cola, dopodiché si avvicinò a me per stringermi in un breve abbraccio orsesco e chiedermi: “Allora. Hai litigato con il tuo bello?”
Spintonandolo, me ne andai in cucina, tallonata da Gordon e Mary B dopodiché, sollevai la maglietta per mostrare il mio fianco ricucito di fresco e sbuffai burbera: “Abbiamo litigato per questa.”
Come al solito, delicata quanto un treno in corsa spinto contro un muro a tutta velocità.
Mary B sgranò gli occhi a palla mentre Gordon, con un singulto strozzato, si piegò su un ginocchio per meglio osservare quel lavoro di ricamo.
Senza neppure avere il coraggio di toccarla, esalò: “Ma che… miseria, ma tu non puoi essere… chi diavolo…?”
Con un sospiro rabbioso e un gesto secco della mano, ricoprii la cicatrice e mi sedetti al tavolo della cucina, domandandogli aspra: “Quale domanda vuoi pormi, Gordon? Non posso leggere nella tua testa, a meno che non ti tocchi e usi un bel po’ di potere, e onestamente non ne ho voglia.”
“E io non te lo lascerei fare” precisò lui, balzando a sedere sul tavolo mentre Mary B si avvicinava con aria preoccupata. “Allora, che è successo? Deve essere per forza stata una lama d’argento a farti quel buco.”
“Colpita e affondata” annuii, prima di aggiungere: “Mary B, stai tranquilla, non è niente di grave. La ferita è pulita e non c’è più una goccia di argento nel mio sangue. E Duncan me l’ha ricucita perfettamente.”
“Non metto in dubbio le sue qualità, né le potenzialità del tuo potere, cara, ma ammetterai che una cosa del genere può turbare, così su due piedi” precisò Mary B, accennando un sorrisino.
“Perdonatemi” sospirai, reclinando il capo. “Sembra non sia capace di fare altro, in questo periodo. Mettere in ansia coloro che amo.”
“Ci sei nata, con questo dono” commentò Gordon con un sorrisone, passandomi un biscotto al cioccolato.
Ghignai in risposta, ammettendo: “Come al solito, sono sbottata perché Duncan voleva assegnarmi una scorta.”
“Cosa ovvia e giusta” annuì saggia Mary B.
“Già, ma io non l’ho capita subito, e abbiamo litigato. Gli ho fatto del male” sospirai nuovamente, passandomi nervosamente una mano tra i capelli.
“Sono convinto che gli passerà presto. E’ troppo innamorato di te per pensare di starti lontano per più di due ore” decretò Gordon con una certa ironia.
“Non è questione che gli passi, Gordon. E’ questione che io la smetta, una volta per tutte, di prendermela se lui vuole proteggermi” brontolai, portandomi le mani al volto per coprirmelo.
Mi sentivo maledettamente stupida, e lasciare che loro scrutassero il mio volto era troppo, per me, in quel momento.
“Tesoro, sei stata abituata fin da piccola a cavartela con le tue sole forze perciò, più la faccenda è difficoltosa, più questa tua indipendenza nel muoverti viene a galla. Duncan, per contro, è sempre stato abituato ad annullarsi completamente per il bene del branco e di coloro che ama, perciò gli viene naturale cercare di proteggerti in qualsiasi modo possibile, anche se tu non sei d’accordo” chiosò Mary B, sfiorandomi una spalla con la mano.
La fissai tra gli spiragli offerti dalle dita aperte a ventaglio sul mio viso e, borbottando, domandai speranzosa: “Quindi, cosa dovrei fare?”
“Cosa dovete fare. Siete entrambi giovani, ed entrambi state affrontando una marea di problemi, e nel giro di pochissimo tempo. Questo tuo aggressore misterioso non ha che complicato una situazione già di per sé difficile, quindi è naturale che siate esausti, nervosi e, oserei aggiungere, sessualmente frustrati.”
Gordon ridacchiò a quelle ultime parole mentre io, sbattendo più volte le palpebre, esalai: “Ah no, quello no.”
“Beh, meglio. Un problema in meno, direi” ridacchiò allora Mary B, prima di tornare seria e aggiungere: “Prendi tutte le precauzioni del caso, tesoro?”
Sbuffai, annuendo, e borbottai: “Sì, Mary B. Non stai per diventare nonna.”
“Ottimo. Non mi ci vedo proprio, in quei panni” precisò, scrollando una mano davanti al viso come per liquidare quella faccenda.
“Certo che non ti ci vedi” ghignò Gordon. “Non ti ci fanno davvero sentire, eh?”
Quella frase mi sconcertò e, fissando curiosamente Mary B, le chiesi: “Con tutti questi problemi, non te l’ho potuto chiedere, ma mi sembra tu stia meglio. O almeno, al telefono mi sei parsa più serena. Sbaglio?”
Mary B, che aveva fissato malissimo Gordon per quell’uscita imprevista, ora guardò me con un profuso, quanto inaspettato, rossore dipinto sulle gote.
Tastandosi nervosamente i capelli castano rossicci, come a voler aggiustare un inesistente ricciolo ribelle, esalò: “Eh? Oh, sì, tesoro, sto bene. Non devi preoccuparti per me, davvero. Qui mi trovo bene, i colleghi di lavoro sono gentili e il branco mi è stato molto vicino, in questi mesi di transizione. Inoltre, dopo la minaccia che abbiamo subito, sono ancora più prodighi di attenzioni. Non potrei chiedere niente di più.”
“Il branco, eh?” ironizzò ancora Gordon, guadagnandosi per diretta conseguenza una sberla leggera su un ginocchio.
Cercando di lasciare da parte il dolore derivato dal litigio con Duncan per concentrarmi sulla mia famiglia, fissai a occhi spalancati il viso vermiglio di Mary B e, con aria inquisitoria, tornai a chiedere: “Cosa c’è che mi vuoi nascondere di così tremendo? Hai una tresca con uno dei miei lupi?”
Miei lupi.
Ormai era naturale, per me, pensare a loro come miei protetti, quasi come se fossero stati miei figli.
Per altre cose, come i titoli altisonanti, potevo anche essere restia ad accettare la dura realtà, ma loro erano miei, e io li avrei protetti contro tutto e contro tutti, a costo della mia stessa vita.
Di certo, però, non mi ero aspettata un risvolto del genere.
Cioè, non che Mary B non meritasse le loro attenzioni, intendiamoci.
Più di un lupo si era dimostrato interessato ad approfondire la sua conoscenza, dopo quella prima presentazione al Vigrond, vuoi per la novità della cosa, vuoi perché lei era una donna dannatamente attraente, e a trentotto anni aveva ancora parecchie frecce al suo arco.
Ma non mi ero aspettata, da parte di Mary B, un interessamento reale a cercarsi una compagnia, specialmente dopo quello che era successo con Patrick.
Sì, mi aveva raccontato che, dopo aver scoperto la verità su di lui e su tutte le menzogne che le aveva propinato nel corso degli anni, nel suo cuore non aveva trovato più molto spazio per l’amore che, un tempo, lei aveva provato per Patrick.
Questo, era stato sostituito da un profondo senso di vergogna e di rimpianto, per i dodici anni sprecati accanto a un uomo che lei aveva creduto una persona diversa da quella che era stata in verità.
Inoltre, dopo la nostra chiacchierata e la nostra visita al Vigrond – una settimana prima di partire per la riunione tra clan – mi era parso che il problema fosse stato definitivamente cancellato dalla sua mente e dal suo cuore.
A quanto pareva, stando alle battute di Gordon, il rimpianto e la vergogna erano stati decisamente soppiantati da qualcos’altro.
Tornando a guardare Gordon con aria indispettita per alcuni attimi, Mary B sospirò sconfitta e mormorò: “Quel che Gordon ha così elegantemente esposto, direi con una grazia simile a quella di un elefante zoppo…” e lì, risatina di Gordon. “… è che sono uscita un paio di volte con Lance, prima della vostra partenza per la Riunione tra Clan.”
La caduta di un asteroide proprio sulle nostre teste mi avrebbe sorpreso di meno.
Lance, il contenuto, ermetico, idiosincratico Lance, aveva invitato fuori Mary B?
Scuotendo il capo diverse volte, come se quel concetto fosse troppo difficile da farmi entrare in testa, non solo da comprendere, guardai fuori da una finestra per essere sicura che non ci fosse la fine del mondo o non volassero per caso draghi e fatine.
Fissando poi basita Mary B, esalai: “Sei sicura che stiamo parlando dello stesso Lance che conosco io?”
Lei mi fissò apertamente infastidita, prima di rabberciarmi imbarazzata: “Non mi bastano le battute di Gordon. Ora ti ci metti anche tu?”
“Scusa, scusa, è che … insomma…” tentennai, non sapendo bene come esprimermi. “…beh, non so se Lance ti ha parlato del suo passato, e allora…”
“Intendi il perché sia rimasto celibe fino a ora? Sì, me l’ha detto” annuì, facendosi seria e triste al tempo stesso.
Gordon fece una smorfia, e mugugnò: “Ma non l’ha detto a me, quell’antipatico. Non posso proprio saperlo?”
“No” dicemmo all’unisono io e Mary B e Gordon, fissandoci malissimo, scese d’un balzo dalla tavola e se ne andò verso la sua stanza, borbottando qualcosa sui segreti delle donne e sulla loro testardaggine.
Io ridacchiai per un momento, prima di dirle: “Perdona la mia sorpresa, Mary B. Naturalmente, sono felicissima di questa novità. Ma, conoscendo i trascorsi di Lance, mi è solo parso strano che fosse tornato a fidarsi di … beh, di una donna umana, per intenderci.”
Lei sorrise appena, annuendo, prima di spiegarmi come fossero andate le cose.
“E’ nato tutto per caso. Già prima di questa situazione d’emergenza, io e lui abbiamo sempre parlato spesso, specialmente per quel che riguarda l’ambito lavorativo. Sai… essendo entrambi medici, ci è venuto naturale scambiarci opinioni.”
Annuii, preferendo lasciare che parlasse a ruota libera, senza porle alcuna domanda che potesse, eventualmente, metterla in difficoltà.
Mordendosi un momento il labbro inferiore prima di lanciare uno sguardo fuori dalla finestra, Mary B proseguì dicendo: “Abbiamo scoperto di aver avuto un professore in comune, e così… insomma…”
Sorridendole gentilmente, le afferrai una mano – che strinsi con delicatezza – e asserii: “Non è necessario che tu mi spifferi tutto, Mary B. Sono contenta che ci sia stata una persona, qui nel branco, con cui tu ti sia trovata bene fin dal principio.”
Annuendo di fronte al mio tentativo di metterla a suo agio, Mary B proseguì più tranquillamente nel suo racconto.
“Ho sempre trovato Lance molto simpatico e una persona estremamente intelligente, fin dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti per telefono, quando tu hai avuto bisogno di me. Quando mi sono ritrovata qui, sbalzata in una nuova realtà e con il mio passato ridotto in frantumi a causa delle azioni di Patrick, beh, Lance mi è stato vicino."
Mi sorrise timida, neanche i nostri ruoli si fossero invertiti, e fosse stata lei, la figlia, e io la madre.
"E’ stata una fortuna averlo avuto qui, disponibile ad ascoltarmi quando avevo bisogno di parlare. Naturalmente, anche Sarah ed Erika sono state gentilissime con me, oltre a tantissimi membri del branco ma…”
“Lance ha una mente affine alla tua, vero?” le chiesi con un sorriso comprensivo.
“Forse perché siamo entrambi discepoli di Ippocrate, chissà…” ridacchiò, prima di tornare seria e aggiungere: “…fatto sta che, con lui, non mi sono mai sentita una sciocca. Buffo, eh?”
“Poteva capirti meglio di chiunque altro” replicai, scuotendo leggermente il capo.
Annuì, comprendendo a cosa mi stessi riferendo e, con occhi che esprimevano il profondo rammarico per ciò che era successo a Lance, sussurrò: “Me lo disse il giorno del mio compleanno. Non so neppure come entrammo in argomento. Forse mi vide triste, o arrabbiata, non saprei. Ma mi raccontò ogni cosa.”
“Non hai idea di quanto sia stato importante, per lui” dissi mestamente.
“L’ho capito, credimi” mi sorrise, stringendo appena la mia mano prima di scivolare via dalla mia stretta, per cominciare a passeggiare nervosamente per la cucina.
“Ho apprezzato tantissimo questa sua apertura, questo suo fidarsi di me nonostante ci conoscessimo da pochi mesi. Credo che il mio interesse per lui sia nato da lì.”
“Ma non ti sentivi ancora pronta, vero?” ipotizzai.
Annuendo, Mary B raggiunse il davanzale della finestra e lì, strette le mani a pugno sul bordo di granito, ammise: “Avevo i miei demoni da sconfiggere, sì. Non sarei mai riuscita a comprendere ciò che sentivo dentro di me se, prima, non fossi venuta a capo di ciò che provavo ancora per Patrick. Parlare con te è stato illuminante.”
“Sono lieta tu lo pensi” le sorrisi, felice di saperlo.
Si volse per guardarmi, poggiando la schiena contro la finestra e avvolgendo le braccia sotto il seno.
“I ricordi del passato possono farti commettere degli errori, o precluderti qualsiasi futuro. Se si rimane imbrigliati nelle proprie memorie, non c’è scampo alcuno. Continuerai a vivere e rivivere la tua storia senza mai progredire, senza mai andare avanti e crearti un futuro. Beh, io questo non lo volevo. E grazie a te e Lance ho compreso di non voler rimanere in quel mondo per me così triste. Sono stata la moglie di Patrick, nel bene e nel male, ma ora sono una persona nuova, con nuovi desideri.”
Allargai il mio sorriso, asserendo con calore: “E io sono felicissima di saperlo, Mary B. Anche se mi spiace che tu debba vivere questo tuo nuovo sentimento in una situazione così spiacevole.”
Mary B si limitò a sorridermi, scuotendo il capo come per liquidare le mie parole.
“E’ stata questa situazione spiacevole a creare l’opportunità di uscire insieme, dopotutto, quindi non posso lamentarmi, no?”
Ridacchiai debolmente, chiedendole: “Com’è successo?”
“Una sera, mentre Lance era di guardia in ospedale per controllare che nessuno mi facesse del male. Ha pensato che forse avrei gradito andare da qualche parte per svagarmi un po’ e…”
“…e…” la incitai, curiosa.
“Beh, parlandone in sala mensa, durante la mia pausa, è saltato fuori che lui, il giorno seguente, avrebbe avuto un convegno a Cambridge, così mi ha chiesto se fossi interessata a partecipare a mia volta” mi spiegò, tornando a farsi rossa in viso.
“Sempre professionale, direi” commentai.
“Sì, certo. Aveva pensato, giustamente, che potesse interessare anche a me e, visto che doveva andarci anche lui…” annuì in fretta, nervosa come una ragazzina.
Ridacchiai, trovando divertente e dolcissimo assieme il suo imbarazzo nei miei confronti e, con un ghigno divertito, le rammentai: “Non devi sentirti in imbarazzo, Mary B. Non hai bisogno del mio benestare per vedere una persona che amo e apprezzo.”
Lei sorrise timida, e disse per contro: “Sei la Prima Lupa del branco, e lui fa parte della tua Triade di Potere. Mi sembra  quanto meno giusto parlartene.”
Mary B si era sempre comportata in maniera molto formale quando il branco, e tutto ciò che lo riguardava, aveva fatto parte delle nostre chiacchierate di fronte a una tazza di the.
Pensava che fosse per lo meno il minimo che ci si dovesse aspettare da lei, vista l’accoglienza calorosa che avevano ricevuto lei e Gordon, e nulla era valso a convincerla del contrario.
Questo era un esempio eclatante.
Le sorrisi gentilmente, prima di replicare: “Ti ringrazio per questa cortesia, ma non sono la padrona del cuore di nessuno dei miei lupi. Hanno il diritto e il dovere di amare chi credono. E se lui ti rende felice e sorridente, non posso che esserne lieta.”
“Mi da pace, sì” ammise Mary B. “Non pensavo di potermi sentire così dopo… beh, dopo la morte di Patrick. L’ho amato quando ero ancora giovane e sciocca e, anche se col tempo quell’amore era scemato fino a divenire nulla più di una fiammella, mi ero sempre detta che, se c’erano l’affetto e il rispetto reciproco, un matrimonio poteva andare avanti anche così.”
La osservai spiacente mentre i suoi occhi si facevano di pietra. “Ma quando ho scoperto le sue menzogne, mi sono sentita così tradita che tutto è andato in pezzi. Trovare voi, per quanto tremendo fosse il motivo del nostro avvicinamento, è stato una manna dal cielo, per me.”
“E per noi” annuii, sfiorandole una mano con la mia.
Con un cenno del capo, asserì: “Posso capire benissimo Lance, perché anch’io sono passata attraverso un tradimento simile. Forse è per questo che si è fidato a parlarmi di sé e del suo passato.”
“Credo che la rispettiva compagnia potrà fare solo che del bene a entrambi” convenni, stringendole maggiormente la mano. “Hai tutta la mia approvazione, Mary B.”
“Grazie, cara. E’ molto importante, per me, sapere che approvi” sussurrò Mary B, prima di abbracciarmi e scoppiare in un pianto silenzioso quanto liberatorio.
Ora sapevo che il processo portato avanti in quei mesi, e conclusosi al Vigrond, era servito davvero a qualcosa.
Mary B poteva davvero ricominciare a vivere e se, nel farlo, anche un’altra persona a me cara avrebbe potuto tornare a sorridere alla vita, ero doppiamente felice.
Nell’avvicinarmi a lei per stringermela al petto, pregai di avere più tempo da dedicare alle persone che amavo, anche se sapevo perfettamente che neppure la Madre Terra avrebbe potuto mettere mano a una cosa del genere.
Ero ciò che ero, e i miei compiti, piacevoli o meno, gravosi o meno, restavano sempre gli stessi.
Il fatto che la mia famiglia avesse bisogno di me, o contasse su di me, non poteva distogliere i miei pensieri dal branco.
Duncan lo aveva fatto per anni, annullandosi per tutti coloro che lui doveva proteggere, relegando se stesso in un angolo, in attesa di avere un momento per sé. Cosa che non era mai avvenuta, se non con il mio arrivo.
Abbandonarlo a sé come avevo appena fatto, lasciando che le mie personali idiosincrasie ci separassero, era stato sciocco e puerile.
Era tempo di crescere e rispettare anche il volere degli altri, specialmente quando quel particolare volere era solo inteso ad aiutarmi e proteggermi.
Non dovevo più lottare da sola, ed era giunto il momento di capirlo e accettarlo.
Come aveva detto Mary B, non si poteva restare ancorati alle idee e ai ricordi del passato, ma andare avanti e crearsi un futuro nuovo, più felice.
Ma era così difficile abbandonare le vecchie abitudini!

***

Il Legame di Sangue tra una wicca e il proprio Fenrir non è solo un curioso, quanto intenso, rito legato a misticismi del passato, o a credenze vecchie di millenni.
E’ molto di più.
E’ come avere dentro di sé il cuore dell’altro, la sua mente, i suoi pensieri, le sue paure, le sue gioie. Tutto.
Aver litigato con Duncan non mi aiutava di certo a sentirmi bene.
Ogni mio dolore era amplificato dal suo e, per diretta conseguenza, ogni mio sospiro si rifletteva su Duncan, affliggendolo ancora di più.
Un cane che si morde la coda avrebbe fatto meno danni a se stesso.
Mi ero chiesta più volte se questo legame non fosse più un danno, che un utile, per wiccan e Fenrir.
A conti fatti, però, preferivo conoscere lo stato d’animo di Duncan – pur se magistralmente schermato dalla sua forza colossale – piuttosto che domandarmi se lui stesse male esattamente come stavo io.
Certo, se lui avesse voluto riversarmi addosso tutta la sua afflizione, Mary B avrebbe dovuto tramortirmi in ogni modo lecito, o illecito, possibile, perché non avrei resistito di sicuro.
Come Duncan avrebbe dovuto chiamare in tutta fretta Lance, al fine di farsi mettere sotto flebo per sopportare tutto il mio dolore, se solo lo avessi fatto fuoriuscire per intero dal mio cervello.
A ogni modo, quel poco che non potevamo controllare, proprio a causa del legame di sangue, ci stava riducendo a pezzi l’umore e l’animo.
Gordon, dopo neppure quarantottore di convivenza, cominciò a evitarmi in tutti i modi possibili e Mary B che, durante il giorno, era in ospedale nel reparto di chirurgia, sicuramente non pianse la mia lontananza.
Ero insopportabile, lo sapevo per certo, ma non potevo farci nulla.
Fu perciò con somma gioia che vidi giungere alla mia porta Lance, armato di un sorriso e di tutto il suo buonumore.
Erano passati i tempi in cui, quel viso da vichingo, non si prendeva neppure la briga di piegare all’insù quelle belle labbra, ed ero felice che parte di quel merito dipendesse da me.
Volevo molto bene a Lance, e saperlo più ilare di quanto non fosse prima del mio arrivo, mi dava quel po’ di gioia che mi bastava per non cadere nel baratro nero dello sconforto.
Sapere, poi, che il restante merito di quel sorriso dipendesse da Mary B, mi allietava ancora di più.
Se c’era una donna che poteva capirlo, era certamente lei.
Fu Gordon ad aprire e, mentre io mi alzavo dalla poltrona del salottino dove mi trovavo, gli sentii dire con voce sollevata e speranzosa: “Oh, meno male! Vedi di farla risorgere dalle ceneri. Se un lupo può fare qualcosa del genere, s’intende. Perché non si regge più in piedi.”
“E’ come il suo degno compagno” celiò Lance, dandogli una pacca sulla spalla. (Sentii chiaramente il suono e l’ugh di Gordon)
Due secondi e mezzo dopo, vidi comparire sulla porta del salottino la figura imponente e bellissima di Lance che, sorridendomi a mezzo nel vedermi ancora in pigiama e con i capelli arruffati, si avvicinò ed esclamò: “Principessa, sei messa davvero male, sai?”
Mi baciò sulla fronte, sempre con un sorriso stampigliato sul volto abbronzato, e si accomodò al mio fianco, quando andai a rintanarmi sul divano.
Proseguendo nel dire, ammiccò divertito. “Non che Duncan sia messo meglio. Non fa che sospirare davanti a una ciotola di corn-flakes. Persino Jasmine si è stufata di ascoltarlo lamentarsi.”
Ridacchiai flebilmente prima di esibirmi in un sospiro afflitto e Lance, sogghignando, rincarò la dose con ironia.
“Certo che siete due sagome. Per stare come state, nessuno dei due è più arrabbiato con l’altro, eppure non trovate il coraggio di parlarvi. Due bambini saprebbero far di meglio.”
Gli feci la lingua, brontolando: “Mi sono comportata come una bambina, quindi…”
“E lui mi ha detto di essersi comportato da dittatore, cosa di cui dubito, conoscendolo” scrollò le spalle Lance, dandomi un buffetto sul naso subito dopo. “Quel ragazzo ti ama alla follia, e pure tu sei bella presa, principessa, quindi, perché vi ostinate a farvi la guerra?”
“Le abitudini sono dure a morire” mi lagnai.
Non avrei mai pensato che la mia indipendenza e il mio sapermela cavare mi avrebbero dato così tanti problemi.
“Non fosti tu a dirmi che non ci si deve soffermare su ciò che è successo in passato, per guardare al futuro e a ciò che ci può riservare?” mi rimproverò dolcemente, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Annuii, rammentando la volta in cui, durante una passeggiata nei boschi per cercare more, gli avevo detto di non soffermarsi più sul ricordo della sua vecchia fiamma – che gli aveva spezzato il cuore e distrutto la fiducia nelle donne – ma di guardare oltre.
Aveva tutto il diritto di vivere appieno la vita nel branco, e tra gli umani.
Ero brava a predicare bene e razzolare male.
Fuori, il sole era debole, velato da esili cirri sfilacciati nel cielo d’estate, e rendevano quella giornata triste e tediosa, per me.
Un filo di vento sfiorava leggero le foglie della betulla che cresceva di fronte alla finestra del salottino e io, osservandola distrattamente, mugugnai: “Non so come chiedere scusa.”
“Nel modo più semplice” dichiarò Lance. “Noi licantropi non abbiamo bisogno di tanti fronzoli, Brie. Ormai dovresti averlo imparato.”
“Ma voglio che capisca quanto tengo a lui, e quanto mi spiaccia l’essermi comportata a quel modo” precisai, tornando a guardarlo in quei chiarissimi occhi da husky.
Era curioso che, in forma animale, diventassero neri. La prima volta che li avevo visti, ne ero rimasta più che sorpresa.
Lance mi sorrise per un momento, prima di guardare una foto di Gordon e Mary B, poggiata su un ripiano della cassettiera che si trovava dinanzi a noi.
Nella foto, erano entrambi sorridenti e se ne stavano seduti su un cumulo di neve, che avevano appena finito di raccogliere dopo un’abbondante nevicata natalizia.
Era stata la prima volta che avevo rivisto un sorriso spontaneo sul viso di Mary B, e avevo voluto immortalarlo con la mia fotocamera.
“Mary mi ha detto che ti ha parlato di noi due” mi espose all’improvviso Lance, sorprendendomi. Non ero del tutto sicura che avrebbe voluto parlarmene.
Annuii cauta e lui, continuando a fissare la foto, disse: “E’ successo quasi per caso. Erano già diversi giorni che ci pensavo, prima ancora della minaccia del nostro comune amico e…”
“…e…” lo incoraggiai timidamente.
“Mi è sembrato carino distoglierla dai pensieri che sembravano arrovellarla in quel momento. In seguito, scoprii che doveva affrontare una difficile operazione, da lì l’aria pensierosa” mi spiegò, lanciandomi una brevissima occhiata prima di tornare alla foto.
Non lo forzai a proseguire... volevo che fosse libero di dirmi ciò che sentiva, in piena libertà.
“Ho sempre apprezzato la tua matrigna. A pensarci bene, fin da quando la conobbi per telefono, neppure un anno fa. In seguito, mi è venuto naturale continuare a cercarla, parlarle, chiacchierare con lei del nostro comune ruolo di medici. A un certo punto, però, questo non mi è più bastato. Volevo sapere qualcosa di più della donna, non del medico. Cominciai a desiderare di conoscere lei.
“Mary B è stupenda, lo so” annuii, sentendomi un poco meglio, a parlare di lei.
Rise sommessamente, un suono imbarazzato, quasi infantile e io, sgranando gli occhi nel guardarlo per sincerarmi che quella risatina provenisse proprio da lui, esalai: “Okay, devo proprio preoccuparmi. Dov’è finito il mio Hati preferito?”
Lance rise ancora di più.
Nel dargli una pacca sul braccio, gli sorrisi e dissi: “Sono contenta che tu e lei vi troviate bene assieme. Un po’ di compagnia vi serviva davvero.”
Storcendo la bocca, Lance precisò: “Non ci siamo spinti fino a lì. Stiamo solo uscendo insieme.”
Ghignando, replicai: “Credimi, non voglio sapere fino a dove siete arrivati. Ma voglio molto bene a entrambi, e sapere di voi due mi ha resa felice.”
“Almeno quanto rende felice me” ammiccò Lance, chinandosi per darmi un colpetto alla testa con la sua. “Ammetto di aver temuto questo momento.”
“E perché? Anche Mary B sembrava in ansia. Mica sono vostra madre, no?” esalai, sbattendo le palpebre per la confusione.
“In un certo senso, sì. Sei la madre del branco e, volente o nolente, noi siamo legati al branco, anche se in modi differenti” sottolineò Lance.
“Il branco che ne pensa?” volli sapere a quel punto.
Sorrise sornione ed emise una risatina divertita, stavolta emettendo un suono più mascolino, quasi tronfio.
Scrutandolo con attenzione, e avvertendo nettamente i suoi sentimenti, sgranai gli occhi ed esclamai: “No! Non ci credo! Ci sono dei lupi gelosi di te e Mary B?!”
“Ebbene sì. In un primo momento, ho dovuto chiarire un paio di punti ad Anthony, circa la mia amicizia con Mary. Ma si è risolto tutto con una stretta di mano” commentò gongolando.
Sentii un pizzicore alla base del naso e, storcendo la bocca,  indicai me stessa prima di ricordargli: “Hai dimenticato che non sono solo la Prima Lupa, ma anche la wicca del branco?”
Lance mi fissò un secondo senza capire, prima di scoppiare a ridere di gusto e annuire. “Sì, scusa. Diciamo che la stretta di mano c’è stata dopo.”
“Dopo cosa?” chiesi sconvolta, prima di scuotere il capo e scorgere chiaramente nella sua testa quello che aveva omesso di dirmi.
Avevano combattuto al primo sangue. Non avevo davvero parole.
Come per giustificarsi, Lance replicò sulla difensiva: “Beh, si fa così, tra di noi. Pensavo lo sapessi. Evita battibecchi futuri.”
“Oh, sicuro. E così Mary B si assicura di avere anche il lupo più forte. Non fa una grinza” sogghignai, fissandolo con aria così maliziosa che, alla fine, Lance divenne rosso come un peperone maturo. “E tutto questo, senza dire nulla a Duncan. I miei complimenti. Davvero mooolto discreti.”
“E dai, non prenderti gioco di me” brontolò Lance mentre Gordon, correndo lungo il corridoio, si avviava verso la porta.
Con un ‘vado, ciao!’ si dileguò da casa e inforcò lo scooter per andarsene chissà dove.
Passandomi una mano sul viso, mormorai esasperata: “Speriamo vada solo da Erika. Non voglio venire a sapere che anche le lupe più giovani si battono per lui.”
Lance ghignò, chiosando: “Non arrivano a tanto solo perché Duncan gliel’ha espressamente vietato. Anche se, così facendo, ha attirato le ire di tutte su Erika. Ma, se la ragazza si decidesse una volta per tutte e lo marchiasse come suo, non avrebbe più problemi.”
Mi sollevai di colpo dallo schienale del divano per fissare sgomenta Lance e, con tono cauto e solo apparentemente calmo, chiesi: “In che senso, marchiare?”
Fissandomi esacerbato, grugnì: “Non come un capo di bestiame, Brie.”
Ridacchiai. Mi aveva letto nella mente.
“E’ una sorta di ufficializzazione di un rapporto. Ma capisco perché non l’abbia ancora voluto fare. Sono giovani, per l’amor di Dio” scrollò le spalle Lance. “Erika partirà per l’università a ottobre, mentre Gordon finirà gli studi qui solo l’anno prossimo, quindi che fretta hanno, queste ragazze? Che lo lascino respirare un po’.”
“Sai com’è il detto; chi ha i denti non ha il pane, chi ha il pane non ha i denti” motteggiai, prima di sospirare. “Come me al momento. Il mio pane sta ammuffendo davanti a una ciotola di corn-flakes.”
Lance mi passò un braccio dietro le spalle per scrollarmi delicatamente e, sorridendomi bonario, asserì: “Lo vuoi un consiglio? Incontratevi al Vigrond e state un po’ per conto vostro. Vi farà bene. La notte è fresca e riposante, in questi giorni. Calmerà i rispettivi animi.”
Mi aprii in un sorriso estatico e, lanciandomi contro di lui, lo abbracciai con foga, stampandogli una miriade di baci sul viso. “Oh, grazie, Lance, grazie! Hai avuto un’idea grandiosa!”
Ridacchiando e cercando di intercettare il mio viso con le mani, mi bloccò prima dell’ennesimo bacio e disse sorridente: “Trattieni la foga per lui, principessa.”

***

Era mezzanotte inoltrata e, per le vie di Farley, non c’era anima viva.
I giovani erano già scesi a Matlock per divertirsi mentre, il resto dei suoi abitanti, era comodamente addormentato a letto, a godersi la brezza notturna proveniente dalla faggeta.
Ne approfittai per giungere fino alla casa di Duncan direttamente in forma animale, confidando nel fatto che percepisse la mia presenza e mi seguisse nel bosco.
La luna sorrideva silenziosa nel cielo notturno, tinteggiato di stelle enormi e brillanti.
Dopo aver lanciato un breve sguardo alla mia pallida compagna di ventura, proseguii fino a raggiungere il cortile di casa McKalister.
Percepii distintamente gli odori dei cavalli, la scia di Jasmine, il profumo dei gelsomini e delle rose in boccio e, al primo piano, quello muschiato e a me tanto caro di Duncan.
Lo udii distintamente bloccarsi a metà di un passo, muoversi cauto lungo il corridoio per giungere fino alla finestra che dava sul cortile e lì, a luci spente, lo scorsi oltre il velo diafano della tenda, silenzioso e pensieroso mentre mi scrutava con i suoi fumosi occhi di smeraldo.
Trotterellai via, allontanandomi per addentrarmi nel bosco, desiderosa che lui mi seguisse, che capisse che quello era il mio tentativo di chiedergli scusa.
Lo percepii uscire di casa una decina di secondi dopo, anche lui in forma animale, silenzioso spettro nella notte stellata, nivea presenza alle mie spalle, evanescente figura ammantata dall’oscurità.
Camminammo nel bosco a una certa distanza l’uno dall’altra per diverso tempo, mentre le creature della notte si scostavano da noi, grandi predatori, per cederci il passo e prostrarsi al nostro passaggio con deferenza e paura mescolate assieme.
Ma non eravamo lì per la caccia, quella notte. Tutt’altro.
Avevo ben altri pensieri, che non cacciare un bel daino o una piccola e scattante lepre.
No, la mia preda aveva un nome diverso.
Ascoltando le voci degli animali mescolate allo stormire delle piante e il frinire delle cicale, raggiungemmo infine la radura del Vigrond, dove la grande quercia sacra splendeva d’oro e di bronzo ai miei occhi di wicca.
Come ogni volta, il suo coro d’archi e di flauti mi accolse, dandomi il benvenuto.
In un sussurro mentale appena accennato, la ringraziai per l’accoglienza e salutai l’essenza stessa di quell’enorme pianta che, unica nel suo genere, aveva la possibilità di interagire con me, e non solo per mostrarmi le memorie in essa contenute.
Mi volsi per guardare Duncan, i cui occhi ambrati mi stavano fissando colmi di domande inespresse.
Piegando il capo verso il basso, mi afflosciai sulle foglie secche del sottobosco e poggiai il muso sulle zampe, in posizione di totale sottomissione.
Scodinzolai ripetutamente, smuovendo il letto di fogliame e producendo uno sfrigolante suono che andò a sommarsi a tutti i sussurri della notte.
Ancora non parlammo. Stavamo limitandoci a comportarci come due veri lupi. E mi stava bene.
Ero troppo in imbarazzo, per parlare.
Lui si avvicinò, il muso basso, le orecchie calate sul capo e lo sguardo pensieroso, mentre le sue zampe affondavano leggermente tra l’erba e il fogliame, annullando passo dopo passo la distanza che ci separava.
Quando infine mi raggiunse, mi sfiorò il naso con il suo, freddo e umido e io, abbaiando una volta, lo portai a indietreggiare di un passo.
Mi rialzai, tenendo la coda tra le gambe per fargli comprendere quanto fossi pentita del mio comportamento.
Avvicinandosi nuovamente, Duncan sfiorò col suo muso la mia gorgiera, affondandovi il naso prima di emettere un suono molto simile alle fusa di un gatto.
Feci lo stesso con lui, immergendomi nella sua nivea gorgiera che profumava di bosco, di muschio e di Duncan e, aprendo finalmente la mia mente a lui, dissi: “Non sai quanto mi spiaccia. Mi sono comportata da vera idiota e ti chiedo di perdonarmi, Duncan, se puoi.”
“Non c’è nulla da perdonare. Dovrei sapere, ormai, quanto sei forte e indipendente, quanto le mie attenzioni morbose ti soffochino, eppure ci ricasco ogni volta.”
Lo disse con un tale strazio nella voce mentale, che uggiolai addolorata.
Gli leccai il muso più e più volte, replicando con veemenza:“Non pensarlo neppure! Adoro quando mi coccoli e ti prendi cura di me, è solo la situazione che mi ha fatto sbarellare, non tu! Non pensare mai più che io non apprezzi le tue attenzioni!”
“Ti arrabbi sempre così tanto, quando mi impongo per proteggerti” mi fece notare, colpendomi nel mio punto debole.
Lo sapevo eccome che mi arrabbiavo come una belva feroce, e sembrava che nulla potesse cambiarmi.
“Lo so, sono testarda oltre ogni ragionevole dubbio, ma tu non devi pensare di fare qualcosa di sbagliato. Sono io a sbagliare. Ti chiedo solo ancora un po’ di pazienza. Sto cercando di venire a patti con il mio caratteraccio, va bene?”
A quel punto rise così di gusto che sobbalzai per la sorpresa, chiedendomi stupita cosa avesse scatenato un’ilarità così marcata quando, pochi attimi prima, lo avevo sentito disperato e afflitto.
Che gli prendeva?
"Tu che vieni a patti con il tuo carattere? Brie, per favore, raccontamene un'altra."

“Beh, ci provo, per lo meno” precisai, vagamente indispettita dalla sua mancanza di fiducia.
E fu lì che mi bloccai.
Mancanza di fiducia.
Non mi fidavo abbastanza di lui da porre la mia vita nelle sue mani? Per quello mi infuriavo?
Nonostante tutto, preferivo ancora cavarmela da sola, piuttosto che affidarmi a lui? Da dove veniva quell’idiozia colossale?
Sbuffai contrariata, sedendomi a terra e poggiando il muso sulle zampe.
Duncan, imitandomi, mormorò: “Il problema sta tutto lì, Brie. Non nel tuo carattere o nel mio. Non nelle mie prese di posizione o nelle tue. E’ solo fiducia. Ti fidasti di me, quando ci conoscemmo in quella cantina, ti  fidasti di me quando mi  seguisti per mezza Inghilterra. Perché non ti fidi ora, quando il pericolo è maggiore?”
“Perché sono così stupida da pensare che, finché posso dare anche solo un minimo contributo, allora posso accettare l’aiuto degli altri, ma quando mi devo affidare completamente a qualcuno, vado fuori di matto” borbottai.
“E perché?”
“Perché se mi affidassi anima e corpo a una persona, e questa morisse, o se ne andasse, o la perdessi in qualche modo, soffrirei così tanto da morirne” ammisi finalmente a Duncan e a me stessa.
Il problema stava tutto lì.
Avevo affidato il mio cuore, il mio amore, le mie speranze ai miei genitori, e loro erano morti, distruggendomi dentro.
Certo, non gliene facevo una colpa. Non più, almeno. Ma il punto rimaneva.
Le persone potevano morire, lasciarti, e tutto ciò che tu avevi dato sarebbe scomparso assieme a loro, distruggendo una parte di te.
Duncan mi si accucciò accanto, sfiorandomi con il suo muso e, dolcemente, asserì: “So come ci si sente, Brie, e capisco le tue remore a lasciarti andare completamente una seconda volta, ma è così che si vive realmente. Mettendo in gioco se stessi. Se rinunci a combattere, non potrai mai vivere pienamente.”
“E se tu…”
Mi azzittì immediatamente, dichiarando con veemenza:“Io non andrò da nessuna parte e, se dovessi anche morire, vivrei in te e nei tuoi ricordi. I tuoi genitori vivono ancora nelle tue memorie e in te. Sono nel tuo sangue, nella tua mente, nel tuo cuore. Non hai perso nulla, in realtà. E’ solo una sensazione, derivata dal dolore profondo che si prova nel veder morire una persona cara. Ma, in realtà, non si perde che l’involucro fisico. L’amore, i ricordi, le passioni, le speranze, le parole, quelle non le perderai mai. Ma devi imparare a vivere il presente, non pensare solo al passato.”
Non mi resi conto di essere scoppiata a piangere finché non terminai la mia mutazione in umana e, tra le lacrime, abbracciai Duncan – tornato umano assieme a me.
Lui si limitò a tenermi stretta a sé, baciandomi i capelli di tanto in tanto, mentre le sue calde e rassicuranti mani mi massaggiavano la schiena nuda ed esposta al fresco della notte.
Non seppi dire quanto tempo passammo abbracciati e seduti tra le foglie, sotto l’ombrello protettivo offerto dalla quercia ma, alla fine, una volta sfogato quel mare di lacrime , riuscii a scostarmi quel tanto da lui per dirgli: “Ti amo”
Mi sorrise, baciandomi il naso, prima di rispondere: “Ti amo anch’io, e non devi sentirti turbata per ciò che è successo. Cristo, hai vent’anni, Brie! Sei passata in mezzo a un autentico cataclisma emotivo, in questo anno passato assieme. Di che ti stupisci se, ogni tanto, perdi il controllo? Posso capirlo. Ma devi imparare a fidarti completamente di me e del tuo branco. Siamo qui per amarti, per proteggerti, per vivere ogni giorno della nostra vita con te. Lunga o corta, non importa, ma ogni giorno della nostra esistenza va vissuto con pienezza, o avrai sempre dei rimpianti.”
Annuii, passandomi una mano sotto il naso umido, e gli chiesi: “Soffristi molto, quando i tuoi genitori morirono?”
Si adombrò in viso, annuendo mestamente prima di ammettere: “Soffrivo già da tempo, essendo a conoscenza delle loro mire nei miei confronti. Ma persi ugualmente metà del mio cuore, pur sapendo che loro non mi amavano come avevano amato Hope, quando li vidi sbranare dal branco. Io li amavo, nonostante tutto.”
“E non ti sei mai pentito di aver dato loro tutto quell’amore non corrisposto?” gli domandai allora, accoccolandomi nel suo abbraccio.
Duncan accennò un sorriso e mi rammentò un particolare adattissimo al momento.
“C’è una poesia di Walt Withman che parla proprio di questo. Lui è convinto che l’amore sia sempre una buona cosa, anche quando non è corrisposto, perché comunque ti regala qualcosa, non si è mai totalmente privi di ricompensa, ad amare.”
“E qual è stata la tua ricompensa?” mormorai, sollevando il viso per scrutare il suo nella penombra della notte.
“Aver trovato te” ammiccò, baciandomi sulla fronte.
Finalmente sorrisi, reclinando indietro il capo per appoggiarmi alla sua spalla. “Quindi, la mia ricompensa è stata aver trovato te?”
“Lo spero” rise, facendomi stendere teneramente sul fogliame secco mescolato all’erba fresca e umida. “Ma, soprattutto, mi auguro che tu pensi a tutti noi come alla ricompensa per il dolore che hai patito nella tua vita.”
“Amo e amerò sempre il mio, il nostro branco, come amo e amerò sempre te” sussurrai, avvolgendogli le braccia attorno al collo per attirarlo a me.
Mi baciò teneramente, sfiorando da principio le mie labbra. come se non fosse sicuro delle sue azioni.
Stringendo maggiormente la presa attorno al suo collo, gli feci capire subito che non doveva più preoccuparsi di nulla, che io ero più che disponibile a riallacciare il rapporto che, tanto maldestramente, avevo incrinato con le mie paure.
Duncan allora scivolò con la bocca lungo il mio collo ripiegato all’indietro, mentre mugolavo sotto i suoi baci e artigliavo le sue spalle, affondando le unghie nella sua carne accaldata.
Lo sentii muoversi contro il mio bacino, stimolandomi a danzare con lui senza però penetrarmi ancora.
Risi flebilmente.
Adorava stuzzicarmi e portarmi a supplicarlo, e anche quella volta glielo lasciai fare con sommo divertimento.
Sorrise contro la mia pelle, scendendo a esplorare i miei seni con le labbra e le mani, mentre io gli accarezzavo i capelli e scivolavo con i piedi lungo i suoi polpacci sodi.
Avrei voluto avvinghiarmi tutta attorno a lui ma, così facendo, gli sarebbe stato impossibile proseguire in quella piacevole tortura.
Mi frenai perciò a stento, limitandomi a toccarlo ovunque fosse possibile raggiungerlo con le parti mobili del mio corpo non impegnate a sottostare ai suoi baci divoranti.
Mugolai in preda a desiderio e disperazione, bramando di più, chiedendo di più da lui oltre a baci e carezze, per quanto sensuali e piacevoli fossero.
Volevo lui, interamente, pienamente, e alla fine mi accontentò.
Con una spinta improvvisa fu dentro di me, riversando contemporaneamente nel mio animo la sua aura, tanto da farmi gridare di sorpresa e piacere, quando avvertii quel duplice assalto al mio corpo.
Avvolsi le gambe attorno alla sua vita per assecondare i suoi movimenti sinuosi e cadenzati e, piegando indietro il capo, mi lasciai andare a un brontolio di gola molto simile a un ringhio di lupo.
Duncan ridacchiò debolmente nel sentirlo, sempre continuando a spingere dolcemente quanto implacabilmente dentro di me, inondandomi con la sua aura rovente.
Lo graffiai sulla schiena più volte, attirandolo verso di me per morderlo sulle spalle e sul collo, lasciando più di un segno rosso sulla sua pelle naturalmente bronzea
. A ogni morso o graffio, lui rispose con una spinta più forte e profonda, quasi volesse fondersi con il mio corpo, esattamente come io volevo fare con il suo.
Per quanto fare l’amore con lui fosse l’esperienza più bella della mia vita, sentivo di volere di più, e percepivo questo desiderio anche in lui.
Volevamo essere l’uno dentro l’altra completamente, divenire un'unica creatura, un’unica entità, pur sapendo che era fisicamente impossibile.
All’ennesima spinta, lo sentii mordermi alla base del collo, procurandomi un brivido così profondo da scuotere tutto il mio corpo, sottomesso completamente al suo, che mi ricopriva per intero.
Sorrise, e sussurrò roco: “Ti vorrei sempre così, in ogni momento del giorno e della notte. Non riesco a non pensare a noi due mentre facciamo l’amore.”
Riuscii a trovare la forza di ridere e dissi, con voce bassa e debole: “E’ un ottimo… passatempo.”
“Trovi?” ridacchiò, allontanandosi un poco da me per guardarmi in viso.
Sapevo cosa stava vedendo.
I miei occhi, completamente mutati, che lo fissavano torbidi, colmi di tutto l’amore e il possesso che, in quel momento, sentivo scivolare nel mio corpo fino a raggiungere il suo.
Lo ricondussi verso di me con un gesto della mano e, mentre le nostre bocche si univano in un bacio, l’energia del nostro amplesso ci portò all’orgasmo nel medesimo istante, lasciandoci esausti e completamente distrutti sul letto di foglie che era stato il nostro talamo.
Ansimando, e restando caparbiamente sopra di me e dentro di me, Duncan continuò a baciarmi lievemente lungo l’arco del viso mentre io, a occhi chiusi sotto di lui, sentivo le ossa liquide e il corpo privo di sostanza.
Era sempre così, con lui. Alla fine, mi sembrava di perdere completamente il contatto con il mondo, tanto ero in estasi.
Cominciai a tornare alla realtà solo quando lo sentii solleticare il mio ventre con le sue labbra tumide e, ridacchiando, esalai fiacca: “Non vuoi concedermi requie?”
“No” mormorò, con un basso brontolio di gola.
Il suo lupo bramava ben altro, e anche il mio, dovetti rendermi conto.
Le nostre auree si riunirono con una specie di schiocco sopra le nostre teste e io, attirandolo a me per baciarlo, lo sospinsi sull’erba mescolata alle foglie e mi misi a cavalcioni su di lui, fissandolo vittoriosa e bramosa.
Lui sogghignò, lasciandomi fare e, nel momento stesso in cui io mi chinai su di lui per dargli piacere, persi completamente il contatto con la sua mente. Evidentemente, lo stavo facendo davvero bene.

***

O ero impazzita del tutto, o un cardellino stava cantando allegramente, quanto freneticamente, all’interno della mia camera da letto.
Sonnacchiosa ma stranamente soddisfatta, aprii gli occhi, ritrovandomi a fissare il petto villoso di Duncan, dove un paio di formichine spericolate si erano irrimediabilmente incastrate nel groviglio di riccioli scuri che ricoprivano il suo torace.
Ridacchiando, le aiutai a districarsi prima di chiedermi, confusa, cosa ci facessero due formichine sul suo petto.
E perché io fossi accanto a Duncan, visto che avevamo litigato.
Ammetto che, dopo aver fatto l’amore a quel modo con Duncan, le mie percezioni mattutine tendevano a essere molto più che scarse del normale.
Sollevandomi su un gomito per capire meglio dove ci trovassimo, scoppiai immediatamente a ridere quando vidi il tronco nodoso e pluricentenario della quercia del Vigrond.
Nel sentire quel suono rilassato e gaio, Duncan si destò, fissandomi sorpreso prima di sorridere ed esalare: “Buongiorno, principessa.”
Lui era molto più veloce di me nel connettere.
“Ciao” sussurrai, piegandomi per baciarlo sulla bocca arcuata in un sorriso. “Siamo rimasti qui tutta la notte, a quanto pare.”
“Già, anche se non abbiamo dormito granché” ammise, rizzandosi a sedere e stiracchiandosi come un gatto.
Affamata – di lui – lo ammirai in quello splendido spettacolo di perfezione maschile e, leccandomi leggermente le labbra, sussurrai: “Tu vuoi istigarmi, vero?”
Lui si bloccò a metà di uno stiramento, fissandomi sornione, e mormorò roco: “Lungi da me, ma se vuoi assaggiare…”
Scoppiai nuovamente a ridere, alzandomi in piedi e spazzolandomi il corpo dalle foglie, il terriccio e le formichine più intraprendenti, che avevano deciso di scalare il mio corpo morbidamente rilassato.
Dopo averlo guardato fare lo stesso, gli chiesi: “Cacciamo?”
“Volentieri” annuì, prima di stringermi a sé in un abbraccio. “Stare così tanto tempo senza di te, sapendo quanto stavi male, mi ha quasi distrutto.”
“A chi lo dici” sospirai, affondando il viso nel suo petto. “Ti prometto che, prima di parlare, penserò fino a cento e, quando parlerò, lo farò usando il cervello.”
Duncan ridacchiò, passandomi una mano tra i capelli con fare giocoso prima di baciarmi dietro l’orecchio  e asserire: “Cacciamo insieme, mia Prima Lupa.”
“Sì, mio Fenrir” annuii, allontanandomi di un passo per mutare.
Avremmo sicuramente avuto altre discussioni, non dubitavo di questo, ma ora sapevo come affrontarle senza impazzire.

  
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