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Autore: giulia_b    05/04/2013    3 recensioni
Si siede, le mani strette tra i capelli, e grida.
Il vetro della finestra accanto a lui va in frantumi, così come il bicchiere e la bottiglia abbandonati sul tavolo, il boccettino dell’inchiostro tra la carta, lo specchio appeso alla parete. I pochi passanti in strada sollevano lo sguardo sulle schegge di vetro che cadono dall’alto. Una giovane madre al piano sottostante scuote leggermente il capo e, con un sospiro, sale le scale buie stringendo il bambino a sé.
Mentre l’urlo di Alexander si spegne, i frammenti sparsi per la stanza si ricompongono e tornano al loro posto, l’inchiostro rientra nel recipiente, i fogli appesi oscillano, la gente in strada torna a camminare credendosi visionaria.
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Numero settantasette-
La voce dell’uomo con l’alto cilindro in testa risuona chiara nella stanza malgrado il brusio il cui volume a volte diventa tanto alto da rendere indistinguibile addirittura il suono del proprio respiro. I presenti controllano per l’ennesima volta il pezzetto di carta che stringono tra le dita. Controllano il numero stampato a macchina su quei pochi centimetri di cellulosa, pur sapendo che non è cambiato nulla, che mancano ancora ottantatre, sei o diciotto persone prima che sia il loro turno.
Solo un ragazzo si alza in piedi, sistemandosi sulle spalle la giacca troppo grande e accartocciando il numero tra le dita tremanti, le unghie innaturalmente scure. Sotto i capelli neri che gli ricadono sulla fronte, i grandi occhi brillano di eccitazione e timore in una curiosa sfumatura di verde che vira verso il giallo. Il fisico esile nasconde i suoi diciotto anni.
Segue l’uomo con il cilindro oltre una pesante tenda nera, lasciando cadere sul pavimento il pezzetto di carta che si schiude leggermente, facendo intravedere i numeri gemelli.
Attraversano un corridoio buio che si affaccia sul palco illuminato del teatro.
-Il suo nome?- dice l’uomo, fermandosi poco prima del rettangolo di luce che si staglia sul parquet.
-Alexander Teller- risponde il ragazzo con voce tremante.
L’uomo lo annota con una lunga piuma sul taccuino che tiene in mano.
-Aspettate qui-
Poi si avventura nella luce e sparisce tra le poltroncine immerse nel buio della platea.
Il ragazzo si passa le dita dietro le orecchie per spostare dal viso i capelli che cadono di nuovo sugli zigomi. Controlla che le calze a righe bianche e nere siano al loro posto all’altezza delle ginocchia, che i pantaloni siano ben tesi sulle gambe, che la giacca sia priva di pieghe, che la fascia sia ben stretta intorno al petto.
-Venite avanti-
Avanza nella luce del palco e, finché gli occhi non si sono abituati alla luce, non si muove. Riesce ad distinguere le sagome delle poltroncine della prima fila, poi della seconda e infine delle cinque persone che guardano verso il palco, sedute l’una accanto all’altra nella terza.
-Stupiteci, Alexander-
Sussulta impercettibilmente nel rendersi conto che si stanno rivolgendo proprio a lui.
Non sa individuare il punto da cui viene la voce, ma riconosce che è quella di un uomo, il tono pacato di chi ha visto centinaia di persone passargli davanti agli occhi nell’attesa di un giudizio.
Alexander non sa come procedere. Cosa deve fare?
Si volta, ma non riesce ad individuare la porta da cui è appena entrato.
-Non abbiate paura. Mostrate semplicemente quello che sapete fare- dice di nuovo l’uomo. –Come se non ci fosse nessuno a guardarvi-
In qualche modo il suono di quella voce riesce a calmarlo. Si sfila la giacca, la ripiega e l’appoggia a terra accanto a sé. Con indosso la camicia che un tempo doveva essere stata bianca, risulta ancora più magro di quanto non sembrasse prima. Arrotola le maniche fino ai gomiti e chiude gli occhi un istante, per poi riaprirli scintillanti di determinazione.
Inizia lo spettacolo.
Le sue mani si muovono nell’aria come se la stessero accarezzando, guidando le forme che compaiono quando la pelle viene a contatto con l’altra pelle. Il teatro si riempie del dolce profumo di rose quando, con uno schiocco di dita, dal palmo del giovane cadono petali di tutti i colori esistenti in natura e di colori mai visti. La penna posata sulle ginocchia dell’uomo con il cilindro, seduto in prima fila e concentrato ad osservare quello che si svolge sotto le luci del palco, si solleva e si mescola ai fiori e alle sfere colorate che danzano sospesi. Una fiamma si accende all’improvviso e scorre sulle braccia nude del giovane illusionista seguendo binari invisibili.
-Basta così-
Il ragazzo s’interrompe. Le fiamme si spengono con uno sbuffo di fumo e tutto quello che fino a qualche secondo prima volteggiava leggero, cade ai suoi piedi. Incontra lo sguardo duro dell’uomo seduto in fondo alla sala e illuminato debolmente dalla luce.
-D’accordo- dice Alexander.
I petali scompaiono. Le sfere colorate fanno lo stesso. La piuma si solleva e torna tra le mani dell’uomo con il cilindro. Il giovane raccoglie la giacca e scende dal palco.
-Grazie per il tempo che mi avete dedicato- mormora.
-Grazie a voi. Vi faremo sapere- risponde la voce pacata.
Esce e la porta si chiude dietro di lui. Il breve spiraglio luminoso illumina la platea e l’annunciatore che si alza per andare a chiamare il prossimo illusionista.
-Perché l’hai mandato via? Stava andando bene-
-Non era necessario andare oltre. È uno di quelli veri-
 
 
Ciao =)
Innanzitutto grazie per aver letto.
Non so se continuerò questa storia o meno. Ho voluto scrivere questa scena perchè mi tormentava da giorni e ne ho impostata un po' un'altra che forse pubblicherò, ma non ne sono sicura.
In ogni caso, sarei molto felice di sapere cosa ne pensate e, secondo voi, se sia o no il caso che scriva ancora.
Grazie di nuovo.
Ciaociao
  
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