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Autore: anqis    09/04/2013    2 recensioni
Sul vetro appannato erano state tracciate delle curve fatte delle dita creando così un disegno. Il ragazzo allontanò il viso per ammirare quell’intrinseco di forme vaghe e poco chiare: una ragazza in piedi di fronte a quella che doveva essere una fermata dell’autobus, il volto rivolto verso il cielo, gli occhi chiusi. I capelli lunghi le scendevano - bagnati, dedusse lui dalla rigidità - sul viso, la figura di lei, minuta e magra.
[..] A grandi e lenti passi attraversò la strada, non consapevole del sorriso che gli increspava le labbra. Aveva disegnato un ombrello. Sulla ragazza del disegno aveva disegnato alla meglio un ombrello per proteggerla dalle gocce di pioggia che le cadeva pesantemente addosso alle quali lei sembrava avesse deciso di non proteggersi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La ragazza dell'autobus.
Parte II.





Voleva vederla, almeno di sfuggita, l’autrice, la sua ormai nuova compagna di viaggio, la sua corrispondente di lettere mai scritte, la causa dei dieci minuti in più persi per dormire, il motivo per cui era più facile abbandonare le calde coperte del suo letto per affrontare il freddo di una delle tante lunghe giornate, uguali e spente divenute ad un tratto un poco più chiare, colorate. Harry vide in quella coltre di nebbia, di palazzi alti e grigi, di strade vuote o troppo piene, il miraggio di uno schizzo di colore.
Era consapevole che lei, una sconosciuta mai vista, era subentrata nella sua vita talmente infondo da riuscire a influenzarlo pur passivamente. L’aveva saputo sin dal primo momento in cui aveva appoggiato il dito sul finestrino e titubante aveva tracciato la prima linea di tante, come sapeva che se non avesse ricevuto nessuna risposta ci sarebbe rimasto male, molto più di quando aveva visto con dispiacere e un po’ di rabbia il suo ombrello scarabocchiato, cancellato malamente. Tuttavia, una parte di lui non era riuscito a trattenersi ed aveva fatto un salto di gioia perché la ragazza in questione aveva visto, aveva visto quello che lui aveva fatto! E gli aveva risposto per giunta, forse in modo brusco e freddo, ma l’aveva fatto e questo era bastato a Harry. Un piccolo seme di speranza si era fatto strada in lui e stava man mano crescendo, trovando radici in lui.
Dunque, quando quella mattina aveva appoggiato il primo piede sul pavimento freddo della sua camera, il primo pensiero che gli era saltato in mente era quello di volerla conoscere. E si era deciso che a seconda di quello che avrebbe visto disegnato sul finestrino avrebbe scelto se compiere quel pericoloso ma allo stesso tempo irresistibile passo avanti o dimenticarsene e lasciare perdere.
E quando si era seduto al suo solito sedile non aveva neanche minimamente pensato secondo a quale criterio avrebbe deciso di fare il passo o no, perché quella era solo una scusante. Lui era determinato  a volerla conoscere comunque.
Aveva spalancato i grandi occhi verdi non appena li aveva posati sul vetro. Delle lettere erano state tracciate in fretta e furia. Eppure non era stato quello che aveva portato Harry a spalancare anche la bocca in una smorfia di pura sorpresa che era riuscito negli anni a mascherare perfettamente con il suo cipiglio serio ed impassibile. Erano state le parole a suscitare in lui quello sgomento, perché lui le conosceva fin troppo bene. Free falling down, erano queste le parole che risuonavano nella sua mente, ripetute dalla voce di John Mayer. Era una delle sue canzoni preferite, una delle prime nella sua playlist.
Harry incredulo deglutì.
Doveva assolutamente incontrare quella ragazza.
 

***

 
La porta della classe si spalancò di colpo e sbatté contro i muri talmente forte che alcuni dei giubbotti appesi sui ganci caddero per terra seguiti dalle lamentele dei proprietari che però non si affrettarono ad abbassarsi per raccoglierli, anche loro curiosi dall’entrata irruente di Harry.
Il riccio si trascinò con rabbia fino al suo banco e fece cadere rumorosamente lo zaino dalla spalla. I riccioli scuri erano quella mattina ancora più sparpagliati del solito, disordinati come i mille pensieri che lo stavano tormentando.
«Il tuo piano» disse rivolgendosi al migliore amico che per niente stupito da quell’atteggiamento lo stava guardando, un sopracciglio inarcato quanto la piega del suo ciuffo castano, «Mai sentito piano peggiore» ringhiò.
«Quale piano?» domandò Louis a sua volta, tranquillo e gli occhi azzurri e vispi impiantati in quelli grigi e scuri del ragazzo infuriato di fronte a sé che alto lo frastagliava con la sua figura. Louis però non si lasciava impressionare da niente, non di meno dal suo migliore amico che conosceva meglio delle sue tasche sempre piene di cianfrusaglie inutili come scontrini vecchi, monete arrugginite e carta della gomma da masticare.
«Quella di conoscere la ragazza» si bloccò Harry e abbassò il tono di voce in un sussurro disperato, «dei disegni.»
«Io ti ho solo chiesto se volevi conoscere la ragazza» avvicinò il viso al naso dell’amico solo per divertimento, «dei disegni. Non ti ho detto nessun piano» si giustificò.
Harry sbatté violentemente sulla superficie del banco le mani grandi e ampie facendo sussultare alcuni studenti seduti lì accanto  a loro – che ebbero la buona idea di sloggiare. Fece per ribattere, ma le parole le rimasero sulla punta della lingua. Infine si lasciò cadere sulla sedia con un tonfo rumoroso (e molti dei compagni di classe uscirono dalla classe capendo che non sarebbero riusciti a ripassare). «Hai ragione, Lou.»
«Come sempre» commentò l’altro.
Un sospiro.
«Allora, cosa hai combinato questa volta?» chiese poi al secondo sospiro pesante dell’amico.
«Niente, mi sono svegliato prima e con prima intendo davvero presto, e sono salito sull’autobus del vecchio pelato. Ho fatto quasi due interi giri seduto al solito posto, ma nessuna ragazza si è avvicinata» raccontò con il viso affondato tra le braccia incrociate. «Sono disperato ed è colpa tua ormai, se solo non mi avessi posto quella domanda..»
«La volevi incontrare da prima, ora non scaricare la colpa su di me. Se non ti avessi detto niente sarebbe stato troppo tardi» replicò Louis.
Harry alzò la testa la fronte tesa, «Troppo tardi, perché?»
Il castano alzò gli occhi al cielo e con un dito gli fece cenno di guardare la finestra, dalla quale brillava il sole. «Comincia a fare più caldo.»
«E allora?»
«E allora? Voi due “messaggiate” tra di voi scambiandovi disegnini sul vetro appannato. Quando comincerà a fare più caldo, l’aria non si condenserà più e la finestra dell’autobus non sarà..»
«.. più appannata» concluse Harry, «Cosa devo fare Lou?!»
Louis, che si aspettava quella reazione, fece un sorriso furbo prima di appoggiare una mano sulla spalla dell’amico, «Tu fai quello che ti dico io. Allora, per prima cosa..»
 

***

 
Non era mai stato così nervoso in tutta la sua vita. Neanche alla sua prima gara di skateboard che alla fine era andata proprio secondo le sue aspettative: di merda; alla sua diciassettesima festa di compleanno che  lui e i suoi amici ritenevano più importante dei diciotto anni. Ritenevano i diciotto anni il segno della fine della loro infanzia e l’inizio di quella tortuosa strada che Zayn definiva “vita” detto sempre seguito da un potente sputo che aggiungeva quel tocco di schifo in più.
A Harry non piaceva sentirsi “nervoso”, perché lui era lo stesso bambino che quando si era rotto la gamba per la prima volta si era limitato a saltare su un piede solo fino a sua mamma; lui era quello che aveva affrontato la verifica di algebra che avrebbe inciso sulla sua carriera scolastica senza una piega; lo stesso ragazzo di quattordici anni che non aveva versato una lacrima quando i suoi genitori aveva divorziato. Non poteva assolutamente sentirsi “nervoso” al semplice pensiero di conoscere una ragazza.
Odiava sentire le dita delle mani bisognose di qualcosa da stringere, odiava il sudore che gli imperlava la fronte quando intorno a sé c’era una temperatura vicino allo zero, odiava doversi inumidire le labbra che ogni due per tre diventavano secche e si screpolavano. Si sentiva debole, inerme, vulnerabile a non riuscire a controllare quelle sensazioni fisiche.  
Si sistemò lo skate che teneva sempre legato al suo zaino con delle corde e si lisciò i pantaloni scuri che quel giorno avevano deciso di rimpicciolirsi e fargli perdere la sensibilità degli arti.
L’autobus arrivò, come il sorriso del vecchio pelato.
Harry ridacchiò – un altro sintomo del “esser nervoso” era ridere per ogni qualcosa – al pensiero della faccia che avrebbe fatto il vecchio nel vederlo camminare di nuovo lentamente verso l’ultima porta. Esitava ad ogni passo, appoggiava il piede e due battiti lo scuotevano. “Quanto sei  patetico” la voce di Louis si fece strada tra i suoi pensieri.
Spinto da quel mezzo insulso entrò nel veicolo. Riempì con la mente i posti della bionda e della signora anziana scorbutica, che Harry si chiedeva spesso dove andava a quell’ora della mattina, che non occupavano i loro posti perchè era troppo presto per loro. E si immaginò anche le imprecazioni dell’autista alterato dal suo comportamento.. no, quelle c’erano davvero. Tutto era al suo giusto posto. Quella volta a spezzare l’ordine delle cose sarebbe stato lui. Percorse i medesimi passi, ma prima del previsto si fermò e prese posto proprio di fronte al suo. Si premette il berretto sui riccioli e lo coprì a sua volta con il cappuccio del giubbotto, affondò il viso nella sciarpa e si mise ad aspettare.
Dopo il capolinea avevano già superato diverse fermate e nessun passeggero si era minimamente avvicinato al sedile dietro di lui. Allora non era una sua e unica impressione che tutti snobbassero quel posto al quale ormai lui si era affezionato. Stava quasi scomodo nascosto in quel modo, su quel sedile consumato ma funzionale tutto gli appariva diverso e molto meno interessante. Sospirò, stava perdendo le speranze.
Quando ormai riconobbe la sua zona e il pensiero che la ragazza lo avesse visto quel giorno in cui aveva deciso di incontrarla e si era lasciato comandare dall’impulso commettendo il grande errore di scoprire la sua identità, e  lo avesse riconosciuto anche nascosto sotto la sciarpa o ancor a peggio, avesse deciso di non salire e disegnare più niente si infiltrò nel suo cuore dandogli fitte tremende allo stomaco, le porte si aprirono ed una ragazza salì.
Non si sarebbe neanche accorto di lei se non fosse stato per la fiammante sciarpa di lana rossa che balzava immediatamente nell’occhio tra il grigio della città. Stretta in un cappotto blu scuro, le mani strette intorno ad un libro che sembrava avesse appena chiuso giusto per salire. Harry osservò con attenzione quelle mani nel tentativo di cercare qualche indizio che lo aiutasse a capire se disegnava spesso, ma nulla. Si concentrò nel viso. Era una ragazza carina, ma niente di particolare. I capelli coloro miele erano stati sistemati in una strana crocchia venuta male, alcuni ciuffi le sfuggivano e le incorniciavano il viso chiaro. La montatura di un paio di occhiali rotondi le scivolavano sul naso minuto e dovette sistemarseli due volte nell’arco di pochi minuti. Era completamente diversa da come se l’era immaginata. Sempre se fosse stata lei.
Harry la guardò speranzoso, ma il sorriso che gli era appena spuntato sulle labbra si spense nel vederla avanzare verso i primi sedili. Mancavano ormai due fermate prima della sua, a quel punto lui sarebbe dovuto salire e avrebbe visto il nuovo disegno lasciato. E dato che la ragazza non c’era, questa volta niente lo avrebbe aspettato. L’idea che lei avesse deciso non “messaggiare” più con lui divenne ormai una consapevolezza ed un peso enorme si fece spazio sul suo petto. Ormai arreso si mise dritto e cominciò a liberarsi dell’ingombrante sciarpa. Era stato così stupido e avventato, non avrebbe dovuto cercare di incontrarla senza neanche pensare ad un piano, era soltanto un grosso cazz..
La ragazza aveva aperto il libro e quello che doveva aver usato come segnalibro venne strofinato sulla macchina dei biglietti che emise un bip rumoroso. Si voltò e tornò indietro.
Harry riafferrò di scatto la sciarpa e se la strinse con violenza intorno al viso e nella fretta finì quasi con il soffocarsi. Era quasi riuscito a nascondere metà viso, quando lei gli passò accanto. Un dolce profumo di sapone si diffuse nell’aria al suo passaggio. Immobile, la sentì prendere posto dietro di lui.
Era lei, certo che era lei.
L’aveva trovata finalmente.
Non si mosse di un millimetro durante l’intero viaggio. Abbassò completamente  il volume della musica, proprio durante la sua parte strumentale preferita di Champagne Supernova dei Oasis. Non interrompeva mai una canzone: abbassare il volume fino al minimo era sempre stato considerato un sacrilegio inaccettabile e imperdonabile che lui aveva appena commesso. Senza neanche il più piccolo sentimento di rimorso, ed era questo a spaventarlo. Aspettò con il naso metà nascosto dalla lana, fin troppo goloso di quel profumo di sapone di cui si stava dissetando; le guance arrossite all’improvviso per un motivo a lui sconosciuto, forse per il caldo che inaspettatamente e dal nulla lo aveva avvolto e lo stava facendo sudare freddo, o forse – gli era difficile ammetterlo – per la presenza della ragazza a cui pensava ormai insistentemente da settimane che si trovava esattamente a neanche un metro da lui; il respiro affannato e le spalle tese. Fino a quando non la sentì raccogliere la borsa dal sedile accanto – dove l’appoggiava sempre anche lui – e alzarsi.
Sentiva le sue gambe picchiettare incontrollate sempre più forte senza seguire neanche un ritmo preciso sul pavimento, controllate dalla voglia di alzarsi da quel sedile scomodo e non suo per raggiungerla; le mani contorcersi all’interno della tasca dei pantaloni dal desiderio di toccarla, di presentarsi, stringerle una mano e  guardarla da vicino fino a imprimersi ogni dettaglio di quel viso che tanto le era estraneo, ma che voleva conoscere. Ma si concesse solo una sbirciatina, un solo e unico sguardo.
Le porte si aprirono e lei scese, non prima che lui notasse il respiro mozzato che le era sfuggito dalle labbra.
Il motore ripartì verso la sua fermata. Scese con lo zaino a penzoloni e con un cattivo presentimento guardò la finestra. Nessun disegno questa volta. Lettere, una parola sola.
Goodbye.

 
***

 
Harry era arrabbiato perché era la prima volta che non era stato lui a mettere fine ad un legame scomodo, perché non era stato lui a porre la parola fine a tutto, ma lei, una ragazza a cui non aveva neanche rivolto una vera parola che senza un valido motivo sembrava si fosse stancata di lui e nessuno, secondo l’orgoglio incontrollato e abnorme di Harry si poteva stancare di lui, nessuno; era frustrato perché da quella volta non aveva più visto nessun disegno, nessuna parola, niente di niente, perché non l’aveva più vista neanche tutte le volte che aveva sacrificato un ora di sonno per aspettarla seduto al freddo per poterle parlare; era spaventato perché le mancavano quelle conversazioni, quei messaggi, le sue faccine sorridenti che a volte non erano davvero così sorridenti. Le mancava lei, una ragazza che aveva visto una sola volta e che continuava a ricomparirle in mente di giorno in giorno sempre più sbiadita. E più il tempo passava, più aveva paura di dimenticare quei pochi ma chiari dettagli che era riuscito ad imprimersi nella mente. Ed era ancora arrabbiato, perché era scappata lasciandosi dietro solo una fottuta ed inutile parola.
Alla quale però, lui continuava ad aggrapparsi.




 

- all'angolo della strada.

Buonasera, lettrici.
Dopo una lunga e tirata attesa, eccomi finalmente al vostro cospetto con la seconda parte di questa one shot.
Manca la terza alias ultima e il pacchetto sarà terminato, concluso, finito. 
Come alcune di voi hanno letto nel messaggio che ho lasciato nella fanfiction Color My Life, ho deciso di prendermi una piccola pausa da efpfanfic come scrittrici, limitandomi al ruolo di lettrice. Ne sento davvero il bisogno, il allontanarmi da qui e anche da facebook, per un momento di riflessione: devo riordinare le idee che mi affollano la testa, poi tornerò di nuovo alla carica.
Con il prossimo aggiornamento porterò a termine la one shot e dopo, non mi sentirete per un bel po'. 

Grazie delle recensioni - lette tutte. Grazie tante.
Grazie a chi ha inserito questa one shot tra le seguite/ricordate/preferite.
Al prossimo (spero vicino) aggiornamento!
Alice.


 



Harry, in ritardo  per l'autobus.

   
 
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