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Autore: Mary P_Stark    10/04/2013    3 recensioni
Brie e Duncan guidano il branco di Matlock, il Concilio di Anziani è stato destituito e un nuovo corso è iniziato. Assieme a questa nuova via, nuovi amici e vecchi nemici fanno il loro ingresso nella vita dei due licantropi e un'antica, mistica ombra sembra voler ghermire tra le sue spire Brie, che non sa, o non ricorda, chi possa volerla morta. SECONDO CAPITOLO DELLA TRILOGIA DELLA LUNA. (riferimenti alla storia presenti nel racconto precedente)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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12.

 
 
 
 
 
 
 


 

Sbadigliai sonoramente, mentre strigliavo Gabriel nel suo box – Duncan era in clinica assieme a Christine – e strillai di paura un attimo dopo, sentendo squillare il mio cellulare.
Supermassive Black Hole continuò a ululare per qualche altro secondo, prima che io riuscissi a prendere in mano il telefonino e accettare la chiamata con un: “Sì? Ciao, Ellie!”
“Ehi, ciao! Come stai? Il rientro è andato bene?” esclamò la mia super amicona con un tono di voce allegro e pieno di aspettative.
“Tutto bene, grazie” asserii, allargando il mio sorriso.
Per evitare problemi di qualsiasi genere, avevo cancellato dalla memoria di Maggie e Nancy ciò che era accaduto dopo il mio ferimento al pub.
Dopo averne parlato con Elspeth, le avevo fatto promettere di non accennare niente con loro, per non creare degli spiacevoli equivoci.
Naturalmente, Ellie aveva accettato con entusiasmo – il suo iniziale scetticismo era stato soppiantato da un’inguaribile quanto preoccupante curiosità – e aveva promesso con fervore il massimo riserbo su tutta la faccenda.
Aveva persino dato il suo numero di cellulare a Fred, per qualsiasi evenienza riguardante ‘la storia che non poteva essere raccontata’.
Fortunatamente, Becca l’aveva trovata immediatamente simpatica, e si era dichiarata d’accordo con la mia decisione di raccontare ogni cosa a Ellie e di cancellare, invece,  le memorie delle altre due mie amiche.
Avere il suo supporto, lo ammetto, mi aveva liberato da un peso non indifferente.
“Sai, pensavo a una cosa, Brie” mormorò Elspeth, con la sua voce sempre super eccitata e, devo ammetterlo, da cospiratrice.
“Cioè?” chiesi, un po’ sul chi vive.
“Il locale dove siamo andati ha un circuito interno di video sorveglianza e, da quel che so, registrano tutto e mantengono il girato in sede per un paio di settimane, prima di distruggerlo. Pensavo che, magari, visto che abbiamo evitato loro delle grane, potrebbero…” buttò lì, lasciando in sospeso la frase, come per pungolarmi a proseguire.
“…potrebbero farcele visionare per scoprire la faccia del mio assalitore, giusto?” terminai allora per lei, con un sorrisone stampato sul viso.
“Esatto!” esclamò, al settimo cielo.
Cercando di non entusiasmarmi fino ai suoi livelli – avevo una dignità da difendere, io – le domandai curiosa: “E tu come sei riuscita a scoprire questa perla?”
“Ehi! Mentre tu eri impegnata a strusciarti contro il tuo bell’uomo in mezzo alla pista, io facevo conquiste interessanti” ridacchiò, gongolando. “Stavo ballando con uno degli addetti alla sicurezza, fino a dieci minuti prima del gran casino, e lui mi stava appunto facendo vedere dov’erano installate le telecamere, spiegandomi tutto quello che c’è da sapere sui filmati, e su come farli sparire. Sai, non volevo prove compromettenti alle spalle, caso mai…”
Ridacchiai – che Nancy avesse contagiato Elspeth? – e mi premurai di dirle: “Non voglio sapere quanto sordido fosse il tuo tète-à-tète con Mister-Addetto-alla-Sicurezza, però la notizia è molto interessante. Visto che non abbiamo lo straccio di una prova, anche mezzo fotogramma potrebbe esserci utile. Grazie per la dritta, tesoro.”
“Di nulla. Speravo proprio di potervi essere d’aiuto” cinguettò, tutta contenta.
Ma che aveva preso? Red bull a secchiate?
“Sei sicura di sentirti bene, Ellie? Ti sento, come dire, su di giri” chiesi, cauta.
Ridacchiò con fare un po' esaltato, altro brutto indizio, ed esclamò: “Ma nooo! E’ che è eccitante, tutta questa situazione. Cioè, so che per te deve essere orrendo e tutto il resto, ma per me… Dio, io non pensavo che le mie fantasie si sarebbero trasformate in realtà, che avrei visto cose che noi umani non potremmo neppure immaginare.”
“Non hai visto i bastioni di Tannhäuser in fiamme, Ellie, frena” borbottai, riconoscendo al volo la sua citazione da Blade Runner.
“No, però ci sono andata vicino. E tu non sai come sia felice che sia successo. Per una vita, ho sempre pensato di essere pazza, di sognarmi le cose, e invece non erano solo impressioni, sensazioni illusorie, ma pura realtà.”
Aggrottando leggermente la fronte, le domandai dubbiosa: “Sensazioni? Che vuoi dire? Spiegati meglio.”
“Sì, dai, te l’avrò detto milioni di volte” rise divertita. “Quando ti dicevo, nel bel mezzo di una discussione, di aver percepito qualcosa di strano intorno a noi, per esempio.”
Aveva avvertito chiaramente il mio potere di wicca, quando l’avevo benedetta prima della partenza, quindi Ellie poteva benissimo essere più che semplicemente percettiva, poteva essere…
Scuotendo il capo, cercai di fare mente locale su quel che sapevo sulle Völva, ma nulla venne in mio soccorso, a parte il fatto che ero a conoscenza di alcuni licantropi che possedevano la Vista.
Se non ricordavo male, Lance mi aveva detto che anche gli umani potevano possedere quel dono, ma non ne ero certa. Dio, che memoria!
“Ellie, ti posso chiamare tra un minuto? Devo chiedere lumi a un mio amico, ma ti richiamerò subito, promesso” le proposi in fretta, rimuginando sempre più alla svelta su tutta quella faccenda.
“Aspetterò col cellulare incollato all’orecchio” mi promise, chiudendo la comunicazione.
Digitando il tasto di chiamata veloce per Lance, attesi trepidante che mi rispondesse e, dopo tre squilli, dichiarai: “Lance, ho una chicca per te.”
“Ciao. Di che tipo, principessa?” mi chiese allegro, forse divertito da quel mio esordio tanto strano.
“Le Völva possono essere anche semplici esseri umani, oltre che licantropi, vero?” gli chiesi, scrollando nervosamente la mano libera come se mi fossi ustionata le dita.
“Beh, sì, è possibile. La veggenza non ha a che fare con l’essere licantropi, anche se la percentuale è senz’altro maggiore, data la componente magica –  se così la vuoi chiamare – che abbiamo nel DNA. La veggenza ha a che fare con la possibilità di piegare le maglie del tempo, perciò non necessita dell’intervento dei poteri lunari, o terreni, ma soltanto divinatori. Perché me lo chiedi?”
“Perché credo che la mia amica Ellie sia una Völva o, quanto meno, credo ne abbia il potenziale. A parte il fatto che ha percepito il mio potere con maggiore intensità di quanto non mi sarei aspettata da una comune umana, ha anche fatto una cosa un po’ strana, e che potrebbe essere legata alla veggenza” borbottai, sempre più nervosa.
“Ti raggiungo. Tanto, ora sono libero. Sarò lì da te in cinque minuti” mi promise, chiudendo la chiamata.
Con un sospirone, richiamai alla svelta Elly e le chiesi: “Mi togli una curiosità? Come sei arrivata a chiedergli delle telecamere?”
“Beh, non so. Mi è venuto spontaneo, come se fosse importante chiederglielo, perché?” mugugnò, pensosa.
“Perché, forse, ci rivedremo presto, sai?” trillai, sempre più convinta che Ellie possedesse la veggenza.
Spiegherebbe come fece a trovarmi, quel giorno, quando ancora non conoscevo nessuno a scuola, pensai eccitata.
Rammentavo fin troppo bene quel periodo infame, in cui tutto mi era parso nuovo, ostile e minaccioso.
La scuola, i compagni, l’ambiente stesso. Mi era sembrato come se ogni cosa, attorno a me, volesse schiacciarmi, divorarmi, annullarmi.
Non mi sentivo gradita, amata, desiderata, ero in lotta con me stessa e con i sentimenti contrastanti che, all’epoca, provavo verso i miei genitori e la fine tremenda che avevano fatto.
Mi ero sentita fuori posto come un pesce su un ramo. Almeno, fino al giorno in cui Elspeth mi aveva trovata in lacrime, in un angolo buio della palestra.
Non pensavo mi avesse notata, lei, la bella della scuola, Miss Perfezione.
Eppure, mi aveva affiancata sulla panchina e, dopo essersi sistemata la lunga gonna, aveva sorriso e mi aveva detto: “Non essere triste, Brianna Ann. Lo so che questa scuola ti può sembrare orrenda, ora come ora, ma sono sicura che tutto si aggiusterà.”
L’avevo guardata male, accusandola di non sapere cosa si provasse a perdere i genitori, e a venire catapultati in un mondo completamente diverso, ma lei non se ne era curata.
Mi aveva cullata contro il petto finché non avevo smesso di piangere.
La nostra amicizia era iniziata quel giorno.
Aveva percepito il mio dono ancora sopito? Difficile dirlo, ma aveva avuto ragione. Tutto si era sistemato, anche grazie a lei.
“Beh, naturalmente io sarei contenta di vederti anche adesso ma, se vuoi i video, te li mando via e-mail” asserì, un po’ sorpresa.
“No, è meglio se vengo di persona” replicai con decisione.
Silenzio, e poi un risolino. “Sì, mi sa che hai ragione tu. E poi, certe cose, è meglio che non viaggino sul web, non si sa mai.”
In quel preciso istante, sentii chiaramente l’imprecazione mentale di Duncan e, più che mai sorpresa, chiosai: “Uhm, deve essere successo qualcosa in clinica. Ci risentiamo per i dettagli. Ciao!”
“Ciao, bella!” mi disse, allegra e pimpante.
Chiuso in fretta il cellulare, lo infilai in tasca e, lanciata la spazzola nel secchio, mi rivolsi a Gabriel.
“Torno subito. Tu non fare le bizze… beh, come un cavallo.”
Lui nitrì una volta, dondolando divertito il muso mentre io balzavo fuori dal box e correvo verso la clinica, chiedendomi cosa fosse successo di così grave da far imprecare Duncan a quel modo.
Non appena aprii, il campanellino sopra la porta richiamò l’attenzione di Duncan e Christine, fermi davanti al bancone, con un’identica espressione accigliata e furiosa assieme stampata in viso.
Non appena vidi i loro volti così adombrati, esalai: “Ma che è successo? Uno degli animali sta male?”
“Un idiota ha immesso un virus nella posta elettronica della clinica” brontolò scocciata Christine. “Abbiamo aperto una richiesta di aiuto per un cavallo e, … PAM!… tutto bloccato.”
Sbuffando contrariato, Duncan spinse via la tastiera del computer e ringhiò stizzito: “Va oltre le mie possibilità. Dovremo per forza chiamare un tecnico.”
“E meno male che ieri sera ho fatto un backup” brontolò Christine, passandosi nervosamente una mano tra i corti capelli tagliati alla paggetto.
Preso in mano il cordless, Duncan digitò in fretta un numero – probabilmente, quello della ditta cui erano appoggiati per il programma di contabilità e gestione dati – prima di dire: “Buongiorno, è la Clinica McKalister di Farley. Abbiamo un problema con un virus. Pensiamo sia un Trojan piuttosto robusto. Ci ha bloccato tutto il sistema.”
…certe cose, è meglio che non viaggino sul web… non si sa mai…
La frase di Elspeth mi balenò nella mente come un fulmine a ciel sereno e, aggrottando la fronte, borbottai tra me: “Se questa non è una prova...”
Duncan percepì quel mio brontolio strano e, fissandomi da sopra la testa di Christine – che stava gesticolando nervosamente all’indirizzo del computer – mi chiese mentalmente: “Che intendi dire?”
“Che forse Elspeth è una Völva e, giusto un minuto fa, ha previsto che sarebbe successo qualcosa alla nostra e-mail” gli spiegai, storcendo la bocca.
Duncan mi fissò con aperta sorpresa ma io, il pensiero già rivolto ad altro, mi scusai con loro e mi catapultai in casa, percorsa da un dubbio ancora più grosso.
Quello della clinica, non era l’unico computer che avevamo in casa.

***

“Cosa? Sarebbe… una veggente?” esalò Duncan, dopo avergli spiegato il contenuto della mia telefonata con Elspeth.
Annuii, guardando nervosamente il mio computer portatile, poggiato sulla consolle della cucina, dove Duncan in versione lupesca era esibito sfacciatamente sul desktop.
Non avevo osato aprire la mia casella e-mail per paura che, anche sul mio portatile, ci fosse quel potenziale nemico, pronto a bloccarmi tutto l’hardware.
Certo, era più difficile che l’attentatore conoscesse anche il mio indirizzo di posta elettronica – mentre era stato semplice trovare quello della clinica di Duncan – , ma non intendevo correre questo rischio.
Il punto era un altro.
Possibile che avesse tratto le stesse deduzioni di Elspeth? A quanto pareva, sì.
O peggio. Aveva in qualche modo ascoltato la nostra telefonata, e aveva preso dei provvedimenti immediati per evitare di essere scoperto?
Preoccupata, avevo chiamato Fred per metterlo al corrente del potenziale pericolo che stava correndo Elspeth – vittima ipotetica del mio aggressore.
 Dopo aver ricevuto rassicurazioni circa la sua sicurezza, avevo pregato mentalmente Duncan di raggiungermi in casa per parlare più agevolmente con lui dell’intera faccenda, mentre Christine sarebbe rimasta in clinica per tenere aperto il negozio.
“Tutto lo farebbe pensare. Certo, finché non ho collegato i punti, neppure io ci avrei mai pensato, ma ora... no, non può essere solo un caso” terminai di dire, scuotendo il capo. “Senti, so che potrà sembrarti assurdo, ma ascolta. Appena arrivata a scuola, non conoscevo nessuno, ero triste e sconsolata, e me ne stavo sempre per i fatti miei. Fin quando ho conosciuto Elly. Lei mi ha trovata in un angolo della palestra non visibile dal campo di allenamento, o dalle tribune, mentre piangevo in silenzio tutto il mio dolore. E so per certo che nessuno mi ha vista andare lì, perché la palestra era deserta, al mio arrivo e, nel corridoio che ho usato per raggiungerla, non c’era anima viva. Inoltre, in quel momento Elly aveva lezione, quindi non può avermi intravista in nessun modo.”
Duncan annuì cauto, così continuai nella mia spiegazione con maggiore convinzione.
“Ho il sospetto che abbia sentito, percepito la mia condizione di wicca latente, e si sia avvicinata istintivamente per questo. Inoltre, mettici pure la sua fame smisurata e il fatto che non mette su un etto. Usare i poteri mentali sfianca in maniera assurda, lo sai, e lei divora più cose di quante un corpo umano normale potrebbe assimilare, senza ingrassare. Credimi, l’ho vista ingoiare così tanti dolci che, a quest’ora, dovrebbe essere un pallone aerostatico, eppure…”
“…eppure è magra come una betulla” annuì Duncan, con un mezzo sorriso.
“Aggiungici anche che, per tutta la durata del mio, come dire, viaggio imprevisto qui a Matlock, lei si è sempre sentita a disagio. Mi ha confidato di non aver creduto a una sola parola del mio racconto. Sapeva che non era vero, ma non me ne ha fatto parola per non offendermi. Quando ci siamo incontrate di nuovo, a Glasgow, ha continuato a fissare il mio anello con aria imbambolata. Sapeva che aveva un significato particolare, ne sono certa! E ora la faccenda delle telecamere e dell’e-mail. Sono un po’ troppe coincidenze, non ti pare?” borbottai, appoggiandomi alla consolle della cucina, intrecciando le braccia sotto il seno.
“Vero. Sono un po’ troppe. Ovvio che, senza guida, percepisca solo le sensazioni più forti…” mormorò pensieroso, rimuginando sulle mie parole. “… ma forse, se addestrata, potrebbe essere più precisa di così.”
“Appunto. E’ per questo che voglio tornare a Glasgow con Lance e Jerome” gli confidai con una certa veemenza.
Lui sollevò un sopracciglio con evidente sorpresa, prima di domandarmi ironicamente: “Lance posso capirlo, ma Jerome?”
“Come mia guardia del corpo aggiuntiva” sorrisi, scrollando le spalle. “Con te rimarrebbero Sarah e Branson, inoltre, mi sono permessa di dire a Anthony e Jessie di bazzicare qui più spesso, nei prossimi giorni.”
Il suo sorriso si allargò, nel commentare: “Hai pensato proprio a tutto, eh?”
“Togliendoti la tua guardia del corpo e il tuo vice, volevo essere tranquilla che fossi comunque adeguatamente protetto. Mi fido di Sarah e Branson, ma desideravo sapere al tuo fianco anche uno degli alfa più potenti della zona, oltra a una delle sentinelle più veloci che abbiamo” mi premurai di dire, avvicinandomi a lui per sfiorare il suo torace con una mano. “Così facendo, tranquillizzerei anche te, perché sapresti che sono controllata a vista da persone di cui ti fidi ciecamente, da ben due fulcri del nostro quartetto.”
“Verissimo” annuì, chinandosi a baciarmi i capelli. “Spero solo non ti sentirai soffocare da tutto questo testosterone, principessa.”
“Da loro, mai” sorrisi per contro, prima di chiedergli: “Può andarti bene come ho organizzato le cose?”
“Sei Prima Lupa. Mi fiderò sempre del tuo giudizio” assentì Duncan, scrollando leggermente le spalle.
“Beh, tu dimmi sinceramente se ti va bene” brontolai a quel punto, pretendendo una risposta da parte sua.
Lui ridacchiò, annuendo con vigore e, dandosi un tono, decretò: “Sono d’accordo con te, Brie, stai tranquilla. Hai agito con lungimiranza, e con attenzione per i particolari. Sono fiero di te.”
“Grazie” sorrisi a quel punto, sentendomi tremendamente sciocca per aver cercato quell’approvazione a tutti i costi, ma gongolando dentro di me per averla ottenuta.
Duncan mi carezzò il viso con lo sguardo e con il tocco leggero delle dita di una mano, sussurrando: “Sarà uno strazio separarsi nuovamente da te, specialmente dopo esserci appena ritrovati.”
“Starò via solo qualche giorno” lo rassicurai in fretta, avvertendo un brivido in tutto il corpo. “Anche perché Lance non ha più di una settimana di permesso, per stare via dallo studio medico, e Jerome ha praticamente supplicato Erika di sostituirlo nel negozio, e non ho idea di cosa pagherà, per questo servizio.”
Sollevando ironicamente un sopracciglio, Duncan commentò: “Oh, pagherà sicuramente salato, ci puoi scommettere.”
Ne ero convinta anche io.

***

Il cielo plumbeo e scuro minacciava pioggia a secchiate, quando giungemmo alle porte di Glasgow.
Scrutando quei cumulonembi colmi di acqua, e bui come antri marini, sospirai afflitta dicendo: “Bella giornata davvero.”
“E’ tutta colpa di Lance e del suo sorriso idiota” brontolò Jerome, voltandosi verso di me dal sedile anteriore dell’Audi SW color antracite del nostro Hati.
Sorrisi divertita, sapendo bene a cosa si stesse riferendo Jerome.
Prima di partire per Glasgow, quella stessa mattina, Mary B aveva telefonato a Lance direttamente dall’ospedale.
Da quel poco che avevamo potuto capire, lei gli aveva augurato buon viaggio e promesso che, al suo ritorno, sarebbero andati a teatro assieme per vedere Otello.
Avevo scoperto con mia somma sorpresa che, non solo Lance amava l’opera, ma ne era anche un gran conoscitore.
Quando Mary B ne era venuta a conoscenza, ne era stata oltremodo contenta visto che lei, in gioventù, aveva recitato con buon profitto nella scuola dove aveva studiato.
“Non fare l’antipatico, J. Lance è felice, e tu devi essere felice per lui. Non è colpa mia se non hai ancora trovato la donna ideale per te” replicai pacata, sorridendogli però generosamente.
“Parli bene, tu, visto che sei già impegnata e il nostro stallone, qui, si è trovato una donna amabile, bellissima e interessante” brontolò nuovamente Jerome.
Lance gli lanciò un’occhiata fugace e ribatté ironico: “Sei tu che non ti guardi intorno, e preferisci saltare la cavallina con tutte le lupe che ti capitano a tiro.”
Sghignazzai spudoratamente – sapevo del suo stile da latin lover, e sentirne parlare dal pacato e serafico Lance era troppo divertente – e mi limitai a celiare: “J, lascia perdere, hai perso in partenza.”
“Lo so. Con voi due non si può parlare” borbottò Jerome, prima di chiedermi: “Credi che la tua amica Elspeth potrebbe piacermi?”
Rizzando subito le orecchie, lo fissai accigliata e dissi più seriamente: “Non siamo qui per farti da sensali, J, tienilo bene a mente. E poi, Elspeth ha la sua famiglia qui a Glasgow, e i suoi studi a… oh, cazzo!”
“Sì?” si interessò subito Jerome, sogghignando.
“A Cambridge” brontolai a quel punto, mettendo il broncio.
Davvero troppo vicino a Matlock, se Jerome avesse deciso di darle fastidio durante il periodo scolastico.
“Oh, bene” ridacchiò, sfregandosi le mani prima di tornare a guardarmi più seriamente e dichiarare: “Principessa, e dire che dovresti conoscermi, ormai. Pensi che farei del male a una persona a te cara?”
“Lo so, ma… cavoli, J, ho gli occhi, e pure Ellie ce li ha. Tu sei un gran bel ragazzo e, se solo ci provassi, o facessi il carino con lei, non pensi che si interesserebbe a te anche solo per pura curiosità? E poi, ora che conosce il nostro segreto, è ancora peggio. Ne è … abbagliata, per così dire. Tu saresti per lei come un frutto proibito, o qualcosa del genere” tentai di spiegargli, pregando che Ellie fosse abbastanza controllata, a livello ormonale, da non cadere vittima del fascino di Jerome.
Lui sollevò per contro un sopracciglio e commentò divertito: “Un frutto proibito?”
“Già. Lei ha sempre pensato di vedere cose che altri non vedevano, e si è sempre considerata strana, per questo. Ora, siamo quasi sicuri che questo dipenda dal fatto che sia una Völva. Se risultasse vero, si ecciterebbe ancora di più, e non so se sarebbe in grado di trovare la lucidità sufficiente per resistere ai tuoi sorrisi assassini” borbottai contrariata, passandomi nervosamente una mano tra i capelli rilasciati sulle spalle.
“Sorrisi assassini?” ripeté a pappagallo Jerome, ridacchiando.
“E piantala di ripetere tutto quello che ti dice!” sbottò Lance, ridacchiando suo malgrado.
Risi con lui, dicendo subito dopo: “Beh, in sostanza, cerca di contenerti, Casanova.”
“D’accordo. Se me lo chiede la mia Prima Lupa” ammiccò lui, improntando subito dopo il suo viso a una maschera di perfetto contegno.
Lo fissai scettica, decretando esasperata: “Non funzionerà mai.”
Ero più che sicura che Jerome, di fronte al bel visino di Elspeth, sarebbe crollato come una pera matura, finendo col fare quello che gli riusciva meglio; incantare le persone.
Non che vi fosse nulla di sbagliato, in questo, ma dovevo tenere d’occhio fin troppe cose e persone, senza dover badare anche ad altri due possibili amanti di razze diverse.
Ora Elspeth era eccitata, persino drogata da tutta questa situazione paradossale, ma non ero sicura che l’infatuazione per il nostro mondo sarebbe durata e, soprattutto, se sarebbe bastata per farle accettare pienamente un amante licantropo.
E io non volevo che nessuno dei due soffrisse.
“Ti prego, Madre, metti del sale in zucca a entrambi” sussurrai tra me, prima di vedermi addosso gli occhi gelidi di Jerome.
Sogghignai al suo indirizzo, ma non mi scusai. Avevo davvero paura per loro due.

***

Circumnavigammo quasi tutta la città, per raggiungere la casa di Fred – avevamo deciso che sarebbe stato più sicuro parlare con Ellie in un luogo protetto come l’abitazione di un licantropo – Lance parcheggiò l’auto di fronte all’entrata del villino in stile Tudor del capoclan di Glasgow.
Dopo essere scesi, ci dirigemmo alla porta d’ingresso per suonare il campanello.
A volte dimentico quanto certe cose, per un licantropo, siano inutili.
Prima ancora di aver allungato la mano verso il pulsante del campanello, la porta si aprì e Becca ci salutò con un sorriso stampato sul viso.
Lanciato poi uno sguardo alle nubi minacciose che vorticavano in cielo, ci invitò a entrare dicendoci: “Fred ha preferito andare a prendere di persona Elspeth. Non si fidava a lasciarla venire qui da sola.”
“Ha fatto bene. Non si può mai sapere. Quel pazzo potrebbe essere ancora nei dintorni” annuii, prima di prendere in braccio un trotterellante Matt e trillare: “Ciao ometto, come stai?”
“’ao, Bii” gorgogliò, con la sua vocetta squillante e il suo vocabolario limitato quanto creativo.
Sorrisi deliziata e gli stampai un bacio sulla guancia, prima di rimetterlo a terra e mormorare: “Grazie per l’ospitalità, Becca, e scusami ancora per questa riunione dell’ultimo minuto.”
Lei scosse il capo e, tranquilla, replicò: “Se non ci aiutiamo tra di noi...”
Jerome, nel frattempo, si era impadronito di Matt e lo stava facendo saltare allegramente tra le braccia.
Lo guardai con ironia, chiedendomi se, un’eventuale paternità, gli avrebbe fatto passare certi grilli che aveva per la testa.
Dopo un momento dissi tra me che, forse, sarebbe scappato a gambe levate.
Becca ci fece accomodare nel suo ampio salone in stile ultramoderno e, dopo averci offerto the e pasticcini, si accomodò su una delle poltrone, accavallando le lunghe gambe fasciate da neri fuseaux.
Affondando nel morbido divano di pelle, afferrai uno dei cuscini per stringermelo al petto – era un vizio che non avevo mai perso – e, guardando Lance accomodarsi al mio fianco, gli chiesi: “Come pensi di procedere, con Ellie?”
“Sostanzialmente, parte dei poteri di una veggente assomigliano a quelli di una wicca per cui, prima di tutto, ci assicureremo della portata del suo dono, analizzando la sua mente” mi spiegò Lance mentre, con il nostro udito finissimo, avvertimmo l’arrivo della Mercedes di Fred.
Un paio di portiere vennero aperte e chiuse e, avvolti dal rombo cupo di un tuono in lontananza, i passi cadenzati dei nuovi arrivati avanzarono sul selciato fino a salire i gradini della veranda, dove si fermarono un secondo per aprire la porta d’entrata.
“Eccola” mormorai, percependo il suo profumo e il battito vagamente accelerato del suo cuore.
Pochi attimi dopo, Fred ed Ellie entrarono in casa.
Vedendola avvicinarsi a noi, vagamente pallida e coi lunghi capelli rilasciati mollemente sulle spalle, non potei esimermi dall’alzarmi per abbracciarla e darle due sonori baci sulle guance.
Lei ricambiò con gioia prima di guardarsi intorno e dire, piuttosto confusa: “Oh, vedo facce nuove. Duncan non è con te, stavolta?”
“No, ma ho due fide guardie del corpo, al suo posto” le spiegai, facendo un cenno a Jerome e Lance perché si avvicinassero a noi. “Jerome Rowley e Lance Rothshield”
Ellie sbatté le palpebre un paio di volte, ora più meravigliata che spaventata, prima di ridacchiare vagamente divertita.
“Ma… è una prerogativa di voi licantropi, quella di essere bellissimi e giganteschi?”
Fred scoppiò a ridere mentre Lance e Jerome, sorridendo tra loro, le strinsero la mano prima di scrollare impotenti le spalle.
“Diciamo che, l’essere enormi, è una prerogativa di certi lupi, non di tutti. L’essere belli dipende dai geni, né più né meno come per gli umani” le spiegò Lance, sorridendole gentilmente.
“Beh, allora, complimenti alle mamme” ridacchiò Ellie prima di tornare seria.
Infilando  una mano nella sua borsetta, dichiarò: “Ecco i filmati di cui ti parlavo. Ho pensato di andarli a prendere prima che, al nostro comune amico, venisse in mente di fare una visita al pub. Quando Fred mi ha chiamata, dicendomi del pericolo, ho pensato di non dover perdere tempo ulteriore.”
Consegnandomi un cd-rom, mi chiese poi con curiosità: “Ora, mi vuoi spiegare cosa c’era di così misterioso che non potevi dirmi al telefono?”
“Lance” dissi per contro, guardando il mio Hati con un sorriso incerto.
Lui annuì, invitando Ellie a sedersi sul divano ed Elspeth, seguendolo guardinga, mi domandò: “Cosa mi farà, scusa?”
“Nulla. E’ un medico, quindi ti puoi fidare” la rassicurai, sfiorandole le braccia con le mani per darle coraggio.
Ellie allora mi sorrise più tranquilla e si accomodò, mentre Becca conduceva Matt in camera sua per lasciarci lavorare in santa pace.
Fred si sistemò sul divano di fronte al nostro, assieme a Jerome e io, lanciando un’ultima occhiata tranquillizzante alla mia amica, mi rivolsi a Hati per dargli l’okay a procedere.
“Comincia pure, Lance.”
“D’accordo, principessa” mormorò, sorridendomi lievemente.
Ellie si volse a mezzo verso di me e domandò divertita: “Perché principessa? Ho notato che anche Duncan ti chiama così.”
“E’ un nomignolo che mi hanno affibbiato Jerome, Lance e Duncan, tutto qui” scrollai le spalle, sorridendo.
“Carino” ammiccò, tornando a guardare Lance. “Vai, dimmi tutto.”
Lui annuì brevemente. “Allora, poiché Brie mi ha detto che ti piacciono l’occulto, la magia e la mitologia, partiremo da qui. Conosci bene i miti norreni?”
“Molto più di Brie, questo è sicuro” ridacchiò la mia cara amica, ammiccando un momento nella mia direzione prima di tornare a guardare Lance.
“Ottimo, quindi avrai sentito parlare delle Völva, giusto?” si informò Lance, con un mezzo sorrisino.
“Sì, certo, sono veggenti e…” cominciò col dire, prima di sgranare gli occhi, portarsi la mano di fronte alla bocca spalancata e sussurrare: “…no, non è possibile!”
“Direi di sì” replicò Lance, guardandomi soddisfatto. “Ho avvertito chiaramente un picco nelle sue onde cerebrali.”
“Puoi farlo?” esalò Ellie, guardandolo sempre più costernata.
“Solo con chi ha un dono come il tuo, o con altri licantropi” le spiegò gentilmente Lance. “Emettiamo onde di energia al di fuori dello spazio ristretto della scatola cranica. E quello che ti ho detto prima ha scatenato una reazione nella tua corteccia prefrontale.”
“Oh, cazzo” sbottò, prima di guardarsi intorno per sincerarsi che Matt non ci fosse.
Fece la lingua con aria infantile, nel rendersi conto di aver evitato per un soffio di farsi sentire dal bambino.
Tornando poco alla volta nuovamente seria, si rivolse a Lance, chiedendogli: “Quindi, non mi sono sognata tutte le cose che pensavo di vedere?”
“Direi di no. Puoi farmi qualche esempio di ciò che hai visto, o percepito?” le domandò a quel punto Lance, prendendole una mano quasi senza accorgersene.
Ellie vi fece caso, però e, guardando quella mano enorme che teneva debolmente la sua, dichiarò: “Curioso. Lo fate tutti?”
“Che cosa?” chiese Lance, distrattamente.
Ridacchiando, Ellie gli spiegò cosa intendesse dire.
“Brie non è mai stata smancerosa, o maniaca degli abbracci, dei baci, delle strette di mano,… di quelle cose lì, insomma. Mentre adesso ho notato che, invece, le viene spontaneo, e tu mi hai preso per mano, pur senza minimamente conoscermi, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E non credo sia stato per auscultarmi il cuore. Lo percepisci tranquillamente anche senza toccarmi, no?”
Lance la guardò ammirato, annuendo, prima di sorridermi. “La tua amica è un portento. Molto intuitiva. Il che mi lascia pensare che abbia un dono piuttosto sviluppato.”
“Non tanto, se non ho visto la fuga di Brie” brontolò Ellie, per contro.
“Ma hai detto di essere stata sicura che la storia che avevo raccontato fosse tutta una frottola” precisai, eccitata mio malgrado all’idea che Ellie potesse far parte del mio mondo molto più di quanto non avessimo in un primo momento ipotizzato.
Lei annuì, dubbiosa, socchiudendo gli occhi e mormorando: “Quando sei andata via, e tutti dicevano che eri scappata per un capriccio, io vedevo solo boschi, nei miei sogni, e tu che vi correvi all'interno. Oppure, branchi interi di lupi che procedevano al fianco di una figura di donna. Tu. Ero nella confusione più nera, lo ammetto. Quando poi tornasti e raccontasti di essere scappata per un viaggio on the road, sentii nella mia testa un coro di ululati e un rombo di tuono. Assurdo, eh?”
Seria, borbottai: “Mica tanto. Hai predetto ciò che sarebbe successo di lì a poco; il temporale, l’arrivo di Jerome e il mio mutamento in licantropo.”
“Colpa mia” ridacchiò Jerome, levando la mano come uno scolaretto.
Ellie lo fissò divertita, dicendo: “Ora finalmente vedo in faccia il fautore di tutto.”
“Ebbene sì” ammiccò Jerome, prima di farsi serio.
Lance riportò l’attenzione  della mia amica su di sé, decretando: “Bene, abbiamo chiarito che il dono c’è, ma non è sempre attivo.”
“Da cosa dipende?” chiesi allora io.
“Dall’esercizio. Emozioni molto forti possono risvegliare in lei la veggenza, ma non sempre avviene. Lavorando sulla concentrazione e la riflessione, il dono si dovrebbe stabilizzare”  ci spiegò Lance.
“Siete venuti qui apposta per questo, vero? Non solo per il video” dichiarò allora Ellie, apparendo più che mai sorpresa.
“Sarebbe imprudente lasciare una Völva senza addestramento” intervenne Fred, con un sorriso. “E a me farebbe molto piacere avere una veggente nel branco.”
“Anche se sono umana?” esalò lei, gli occhi illuminati dalla gioia, mentre fissava Fred con aria speranzosa.
Anche se sei umana” annuì Fred, intrecciando soddisfatto le braccia sul torace. “Non avrai gli stessi poteri della nostra primadonna qui presente ma, di sicuro, hai le tue carte da giocare, Elspeth.”
Fu in quel momento che compresi l’unica vera pecca, nella vita apparentemente perfetta di Elspeth.
Si sentiva sola, fuori posto.
Per tutta la sua breve vita, si era sempre sentita come un pesce fuor d’acqua.
A parte me, Maggie e Nancy, non aveva mai avuto nessuna amica sincera, pur essendo una vera bellezza e una delle ragazze più desiderate della scuola.
Ma a lei, tutte quelle attenzioni non erano mai interessate. Era altro ciò che cercava.
Un posto dove essere se stessa, un luogo dove il suo essere così singolare non fosse un fatto negativo, ma tutt’altro.
Stringendola a me in un abbraccio rassicurante, le sussurrai all’orecchio: “Perché non mi hai fatto capire quanto ti sentissi isolata e sola?”
“Non sapevo come fare. Tu sei sempre stata così coerente, così pragmatica, così… beh, coi piedi ben saldati per terra. Mi sarebbe sembrato di fare la figura dell’idiota, a parlartene più del dovuto eppure, con te, mi trovavo così bene” mi spiegò lei, tremante nel mio abbraccio. “Mi ascoltavi assorta quando ti accennavo qualcosa, e non mi davi mai della fuori di testa, nonostante sapessi che la tua mente analitica stava cercando senza sosta una spiegazione scientifica alle astrusità che ti dicevo.”
Ridacchiai, sapendo che era vero.
Le poche volte che Elspeth si era sbottonata con me, parlandomi delle sue strane sensazioni, avevo sempre cercato di spiegarmele con gli studi di Freud, o di altri psicanalisti altrettanto famosi.
Rimanendo ferma nel mio abbraccio, continuò dicendo: “Mi accettavi per come ero, anche se ti dicevo delle cose strane. Non cercavi di farmi cambiare idea, o di farmi capire che stavo scambiando lucciole per lanterne. Neppure a Maggie o a Nancy ho mai detto quello che dicevo a te.”
“Sapevi di potermele dire” convenni, stringendola ancora di più. “Mi spiace soltanto di non averti potuto dare tutto l’appoggio che speravi. All’epoca, ero piuttosto limitata.”
Lei ridacchiò nervosamente, chiosando: “Evidentemente, puntai su di te fin dall’inizio perché sapevo che, prima o poi, mi avresti capita come le altre non avrebbero mai potuto fare.”
“Già” annuii, prima di chiedere a Lance: “Che tipo di addestramento dovrà fare?”
“Respirazione e concentrazione. Come se stesse facendo una seduta di yoga” asserì Lance, sorprendendoci entrambe.
“Solo questo? Niente cose strane come ho dovuto fare io?” esalai, stupefatta.
Lance ci sorrise divertito, spiegandoci il perché delle sue parole. “Vedi, la mente di Elspeth è già pronta ad accettare ciò che è, contrariamente alla tua che, diciamolo, era piuttosto ermetica.”
“Vero” ammisi, facendo la lingua a Jerome, che stava sghignazzando.
Fred riuscì in qualche modo a non ridere e io, piccata, sbottai: “Ehi, dico! Un po’ di rispetto!”
Ellie ridacchiò di quel nostro allegro battibecco ma, dopo qualche istante, chiese a Lance: “Se mi concentro, i pensieri saranno più lineari e potrò capire meglio cosa vedo?”
“Esatto. Chiudi gli occhi e pensa a un foglio bianco, per cominciare. Quieta il respiro e ascolta il battito del tuo cuore” le spiegò Lance, con voce suadente.
Ellie sorrise mentre Lance prendeva tra le sue entrambe le mani di lei e, ironica, gli confidò: “Sai che potresti lavorare in radio, con una voce così?”
“Concentrati” ridacchiò Lance, ammiccando leggermente.
Lei annuì e io, scostandomi da Elspeth, mi sedetti a terra per guardarla meglio in viso, sfiorandola con il mio potere per leggere la sua mente.
Ora che sapevo di poterlo fare senza problemi, fu facile trovare l’entrata.
Come Lance aveva chiesto, la sua mente era un’immensa distesa di un bianco lattiginoso, dove alcune pagliuzze scure volteggiavano come pulviscolo portato dal vento.
Mano a mano che i secondi passarono, però, quelle pagliuzze informi e microscopiche presero una forma più definita.
Provai all'improvviso un atavico terrore e mi mossi per uscire dalla sua mente, trovandomi però imbrigliata da sottili fili nerastri che mi cingevano il corpo, reso come solido nel cervello di Ellie.
Gridai senza realmente emettere fiato, tendendo allo spasimo i muscoli per riuscire a liberarmi da quelle esili quanto diaboliche trappole, mentre memorie di un passato che non mi apparteneva, o almeno così credevo, mi affliggevano con la loro forza inusitata.
All’esterno della mente di Elspeth, strinsi convulsamente le mani sul morbido tappeto damascato di Fred, mentre rivoletti di sudore inumidivano il mio viso contratto dalla paura.
Subito, Jerome e Fred si alzarono per venire in mio soccorso, mentre Lance si occupava di Elspeth che, a occhi ora sgranati e con il panico dipinto sul viso, esalava frasi incoerenti come ‘il giorno del giudizio’ o ‘stavolta non ti perderò’.
Scuotendo con forza il mio corpo fisico, mentre quello mentale cercava di liberarsi dalla rete in cui ero caduta, Jerome mi prese il viso tra le mani.
Sorprendendo probabilmente tutti – me compresa – mi diede un bacio, schiacciandomi con forza le labbra.
Mi ripresi alcuni istanti dopo e mi scostai da lui, esalando sconvolta e vagamente sconcertata dal terrore che ancora stavo provando: “Wow! Meglio del risveglio della Bella Addormentata.”
Lui mi fissò con un suoi occhi cerulei, il sollievo stampato a caratteri cubitali sul viso mentre Elspeth, ora libera dalla mia presenza e dalla visione che l’aveva intrappolata al pari mio, ci fissò spaventata per alcuni istanti.
“Ma che diavolo è successo?!”
Presi un gran respiro, lasciando che le mani allentassero la stretta convulsa sul tappeto e, con voce un po’ impastata dalla paura residua che ancora sentivo serpeggiare in me, borbottai: “Era una visione molto potente e mi riguardava da vicino, visto che ci sono rimasta invischiata di brutto.”
Lei rabbrividì leggermente, annuendo con fare nervoso mentre Fred, scrollandosi come avrebbe fatto in forma di lupo, borbottò ansioso: “Ragazzi, queste cose mi fanno venire i brividi. Non so come Duncan riesca a sopportare tutto questo sfoggio di magia. Ho la pelle d’oca, a causa di tutto il potere che avete sprigionato in questa stanza.”
Come per dar credito alle sue parole, sollevò il braccio muscoloso, mostrandoci la sottile peluria chiara ben eretta sulla carne tesa e leggermente tremante.
“Cos’avete visto, ragazze?” chiese a quel punto Jerome, senza mai mollare lo sguardo dal mio viso.
Fece bene. Probabilmente, se avessi perso il contatto con la realtà in quel momento, sarei ripiombata in quella visione tremenda che mi aveva terrorizzata a morte.
Sollevai una mano per stringere quella di Jerome e lui, avvolgendola nelle proprie, se la portò alle labbra, sussurrando: “Tranquilla, principessa, ci siamo noi qui con te.”
Lance si mosse prima di me e, afferrando la mia mano libera, se la strinse al petto, aggiungendo con un sorriso: “Non ti lasceremo in balia del pericolo.”
Elspeth ci guardò confusa, forse chiedendosi il perché di quel comportamento.
Sorridendole più tranquilla, le spiegai ciò che stavano facendo per me, in quel momento.
“Duncan, Lance e Jerome sono la mia Triade di Potere. E’ un evento più che raro, anche tra licantropi. Solitamente, una wicca ha un legame di spirito con un solo lupo, mentre io sono legata alle loro tre anime.”
“Sono una specie di… cassa di risonanza?” chiese allora Elspeth, aggrottando leggermente la fronte, mentre il suo cuore tornava lentamente alla normalità.
“Sì. Amplificano il mio potere molto più velocemente, e in maniera più efficace, di qualsiasi altro licantropo. Posso attingere da qualsiasi mannaro, ma da loro è più facile, e l’energia che posso prelevare e molto maggiore. In casi come questo, è una gran cosa” annuii, sorridendo a entrambi i miei compagni.
“Eri veramente tu, quella che ho visto nella mia mente?” mi domandò allora Elspeth, con un leggero brivido.
Annuii. Era inutile girarci intorno.
Doveva sapere, visto il mondo in cui ormai, volente o nolente, era entrata a far parte di diritto.
 “Era la mia proiezione mentale, sì. Stavo curiosando per vedere se avresti predetto qualcosa, ma non immaginavo di rimanere imbrigliata nel tuo subconscio.”
“Ti sentivo annaspare nel tentativo di liberarti” annuì Elspeth, socchiudendo un poco gli occhi, come per concentrarsi sul ricordo della visione. “Una voce continuava a ripetere strane parole. Ho capito solo che tu hai tradito la sua fiducia, impedendogli qualcosa, e che ora otterrà la sua vendetta.”
“Hai mormorato qualcosa sulla fine del mondo, Elspeth. Rammenti altro?” le chiese gentilmente Lance, restando sempre in contatto con me.
Scuotendo il capo, lei sospirò dicendo: “No, mi spiace, quella parte proprio non la ricordo.”
Passandomi una mano sul viso, esalai un sospiro sconfortato proprio mentre Becca ricompariva in salotto, il viso pallido e gli occhi leggermente sgranati.
“Si può sapere che avete combinato, qui? Avevo una pelle d’oca di proporzioni bibliche” esalò, prima di accorgersi delle nostre facce peste. “Incontro di box, tesoro?”
“Qualcosa del genere” ammisi con un sospiro. “D’accordo, diamoci da fare con il computer prima di…”
Elspeth sorrise spiacente, e mormorò con occhi leggermente velati: “Temo non si potrà usare quello di Fred.”
Un attimo dopo, la luce saltò in tutto l’isolato, facendo scattare l’impianto di illuminazione d’emergenza.
Imprecando tra i denti, esclamai nervosamente: “Cazzo, è qui! Deve essere per forza da queste parti, se sapeva che eravamo da te!”
Fred si levò in piedi, nervoso e irritato e, aggrottando più e più volte la fronte mentre camminava avanti e indietro sul tappeto, ringhiò: “Deve trovarsi vicino alla centralina di zona, a qualche isolato da qui. Non può avere staccato la luce che da lì, per isolare tutto il quartiere.”
Becca annuì, intrecciando le braccia sotto il seno e, guardandoci accigliata, ipotizzò: “Deve averti vista con il video in mano, Elspeth. Oppure ti ha seguita al pub ma, per qualche motivo, non ti ha attaccata.”
Fred sollevò un sopracciglio con ironia e commentò: “Beh, quello posso spiegarlo io. Elspeth è sotto scorta fin da quando è uscita da questa casa, qualche giorno fa.”
“Oh, chiedo venia, tesoro, questa parte mi era sfuggita. Con Matt e tutto il resto, ho la testa un po’ in disordine” ridacchiò Becca, prima di borbottare pensierosa: “Evidentemente, immaginava avremmo visionato il video, così ha deciso di bloccarci.”
“Beh, non potrà togliere la corrente a tutta Glasgow” brontolai, alzandomi in piedi con fare deciso. “Porta la Mercedes in garage. Non voglio che ci veda.”
“Che intendi fare?” chiese Fred, curioso.
“Chiama qui un paio dei tuoi lupi. Giocheremo un po’ a guardie e ladri” gli spiegai, sogghignando. “Fortunatamente per noi, le tue auto hanno i vetri oscurati. Con un po’ di fortuna, riusciremo a ingannarlo.”
“Spiegati meglio” disse Fred, ghignando non meno di me.
“Io, Ellie, Jerome e Lance andremo in cerca di un computer. Escluderei quello di casa di Elspeth, perché sicuramente sarà già fuori uso, o pieno di virus come quello di Duncan” spiegai succinta. “Una biblioteca o un internet-point sarebbero l’ideale, per controllare il contenuto del cd-rom. Mi inventerò qualcosa sul momento. Voi, nel frattempo, andrete con il SUV e il furgone in due direzioni opposte. Avremo più possibilità di non essere seguiti, a questo modo. Azzerando l’aura, non avvertirà la nostra presenza in auto e, con un po’ di profumatori d’ambiente in più in macchina, non potrà percepire neppure il nostro odore.”
Storcendo il naso, Fred si lagnò di quella soluzione. “Odio i profumatori d’ambiente.”
“Dobbiamo tutti sacrificarci per il bene comune” ridacchiai, dandogli una pacca su un braccio.
Becca sorrise divertita e asserì: “Vado a prendere un po’ di Arbre Magique.
Detto ciò, si defilò lungo un corridoio e io, volgendomi a guardare Elspeth, le chiesi: “Te la senti?”
“Eccome, bella. Siamo sulla stessa barca, adesso, come ai vecchi tempi” mi sorrise, guardando ironicamente Jerome per poi confidargli: “Potevi risvegliare pure me con un bacio, sai?”
Lui scoppiò a ridere e, annuendo, celiò: “Lo terrò a mente per la prossima volta.”

 

  
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