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Autore: glendower    15/04/2013    3 recensioni
Fiabe nere prima di andare dormire.
Racconti tormentati che per finirsi non hanno bisogno del lieto fine – lo piegano e stravolgono, lo rifiutano e lo cambiano.
Amanti prima odiati e poi tormentati senza mai trovare felicità.
C’era una volta - disse un’indecenza scappata da una bocca - […] finché non vissero morti tormentandosi nei loro peccati.
[1#] Mele: rotondi cerchi d'infinito rotolano vivi lungo tutta la radura, coprendo il terriccio ruvido con mattonelle marce, sporcando gli stivali del cavaliere al suo passaggio. (RanTaku)
[2#] L’ultimo amante è forse il migliore di tutti, respira in rantoli e condensa di nuvole, ha il fisico del guerriero, del canide e del cacciatore... (Garshya/Vanfeny)
[3#] Manti, pelli di belva, piume colorate e pitture rupestri sulla fronte lo rendono creatura mitica, barbaro dai capelli scuri e i piedi di fumo, inesistenti sotto gambe d’osso e cartilagine viva. (HakuShuu)
Genere: Angst, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3 # | Pocahontas
di filastrocche infantili, tempesta di frecce e sacrifici per proteggere casa
(HakuShuu) ; la terza fiaba



 

Scintille di noce stemperano in liquida acqua il rosso acceso della terra, bruciandosi durante il volo in uno sbattere d’ali e di zampe, tizzoni di carbonella ardente come ceri accesi in chiesa per pregare divinità onnipotenti, santi che ignorano e fingono di non esserci il più delle volte. Quelle sono lucciole, gambe d’insetto e pancia di luce, scorticano l’aria grattando e penetrano con le unghie, scavando tunnel sotto la pelle degli stranieri, pungendo vene e gonfiando organi per ferire – per combatterli e cacciarli da ciò che per loro non sarà mai luogo dove fermarsi ma solo buca e culla, tomba e casa su di un’isola che proprio non li vuole accettare. Intrecci di seta color vino vermiglio, morbide farfalle mascherate da pagliacci da circo, planano sulle rocce e sull’armatura di peli e penne degli animali: tigri dotate di sciabole piratesche, pantere nere carbone e condor bavosi ad affamati, fauna palustre di bestie giganti create dall’ombra del cuore pompante dell’arcipelago; schiocchi e versi inumani li annunciano – li fanno avvicinare al nemico tra sfrigolar di foglie e sbattere di sassi.
     Grigi zampilli dalle nuvole spargono cenere, pioggia perlata di sabbia e vetro che acceca gli occhi ed indurisce la mente; è petrolio misurato in gocce – è rabbia altamente infiammabile, spugna imbevuta d’alcool e detersivo di bolle e bile. Fuori, nell’aria c’è puzza di zolfo, effluvio di legna secca ed essenza naturale, sale nel naso in granelli e fa tossire, sporca i polmoni e piega le gambe, martellando a metà gli apparati avvelenati che costringono gli umani a tormentarsi per trovare una via pulita in cui respirare.
     Nel semibuio un incendio divampa e strappa il verde, mangiando la giungla senza digerirla dove uno smeraldo di fiamme la risparmia, divampando sui tronchi intatti e sulle chiome ardenti, stoppini di candela al chiaro di luna; tutto brucia e niente si ferisce, il rogo dà solo spettacolo e decoro alla notte.
     Questa è una natura bislacca, si accende di fiaccole e fa piovere fiammiferi, larghe macchie di benzina sulle navi affondate nel mare e capovolte sottosopra lungo il bagnasciuga, corpi di legno distesi ad asciugare sulla superficie nera del mare da cui fanno capolino vele bianche morse dal sale. Reti di telline legano le ancore sul fondo ai relitti e rachitiche mani d’alga distribuiscono corpi morti, cercando tra i vivi altro cibo da lanciare nelle fauci degli squali.
     Un diadema di falò corona il cielo, acceso in un crepuscolo animato a mezzanotte dove gabbiani dorati si librano in cerchio e strillano impazziti – e beccano gli occhi dei morti, cercando la luce di sguardi presi e poi rovesciati nei laghi, tra i prati e sulle facce contratte dei guardiani di ferro rinchiusi dentro alle statue disseminate per i punti cardinali dell’oasi; nessuno dorme ed il chiasso saltellante di passi in corsa rende muta la cascata, vortice e pioggia in schizzi, pungiglioni freddi sulle dita e sulle gambe.
     Dalla bocca granitica del vulcano s’alzano grida di tamburo, ed alte voci si mescolano nel gorgogliare ruvido della lava; qualcuno batte le mani e massi di diamante si frantumano nella spuma schiumosa vicino agli scogli – qualcuno muove i piedi e tutto trema con assurda violenza in un terremoto a scatti. Sono avvertimenti, altri segnali, avvisi che invitano ad allontanarsi e a spingersi oltreconfine, dove solo bare di cemento potrebbero proteggere il nemico.
     A creare tutto quello scompiglio sono i selvaggi, indiani dalla pelle di cartapesta e gli occhi color pece, sono piccoli e uguali agli invasori ma le loro ombre sono vive, falchi di tenebra e croci sanguinanti; insieme combattono con lance di stelle e dardi di nuvola, hanno armi rampicanti con fiori e spine, usano la natura imbastita per lanciarsi all’attacco, ferendo soldati dai pugni chiusi guidati da mangiatori d’oro e ricchezze.
     In fila sulla pianura, la popolazione intona maledizioni, urla e sbraita sulla civiltà inquietante che vuole portarsi via lo Spirito Madre per farci l’amore e per sporcarlo dentro, piantando nella fertilità del suo grembo il seme della lussuria e della gola, segreti da popolo moderno e peccati da inferno. Tutti sanno che la sua scomparsa può portare la fine e perciò resistono, li cacciano, togliendo di mezzo  imbarcazioni e luridi gruppetti.
     Il custode Shuu è sulla vetta, i muscoli tesi come corde di violino sotto la carne – i tessuti tiepidi e tracciati da tatuaggi, formule e desideri dipinti su tele d’epidermide rame per utilizzarli al momento giusto; cigola tra i rami della quercia su cui è seduto e silenzioso prende la mira, emette fischi misurando la distanza, tende l’arco di spago ed infine centra con lo sguardo il petto di Hakuryuu. Manti, pelli di belva, piume colorate e pitture rupestri sulla fronte lo rendono creatura mitica, barbaro dai capelli scuri e i piedi di fumo, inesistenti sotto gambe d’osso e cartilagine viva da cui escono nebulose verdi, gioielli alle caviglie e bracciali attorno ai polsi. Presto colpirà, centrerà il bersaglio ed anche l’ultima pedina verrà abbattuta: il suo mondo nel cervello lo immagina di nuovo salvo, re in quella tranquillità di cui lui stesso possiede la chiave governativa.
     L’altro uomo, l’ultimo tra quelli rimasti vivi, in bilico sulle radici della pianta tiene gli occhi chiusi, non sa come piangere ma con le mani giunte prega, cerca la compassione di un amore cresciuto nei colori del vento e nelle spiegazioni di un popolo che precedentemente lo ha accolto ed acclamato come un figlio.
     «Tu mi hai mostrato l’isola, tu mi hai dato tutto di te e adesso?» fa il forestiero, ricordando qualcosa di cui nessuno vuole parlare, falsità indistinte che gli aleggiano sopra la testa. Sono le lampiridi, contenitori di sole infiammate di disperazione.
     «Hai usato la forza uomo e  nostra legge dice… dice: o tuo popolo in sacrificio, o noi » non ci sono sentimenti nelle sue parole – non esistono emozioni, solo la calma piatta del vento dopo l’uragano, spolverata di freddo sul dorso deserto «e noi scegliamo noi, voi rovinate nostro equilibrio creato con secoli di fatica»-
     «Non puoi aver dimenticato quello che c’è stato! »
     «Io ho memoria di anni e anni in mia testa, nostro incontro è solo un giorno alle centinaia che già mi porto dentro, non ha significato. Piccolo   uomo conosce indifferenza? »
     «Ti donerò monete, avrai tutti i tesori dei miei uomini ma vieni con me, parti e lascia questo posto!» attraverso una spinta dei reni, si getta per terra, sbatte le nocche sull’erba e si strappa i capelli, invoca il suo dio ma quello risponde con solo la voce dello Spirito Madre, del capo.
«Ora taci e vai, uomo, gli spiriti, miei fratelli, vogliono vendetta ed io devo agire in fretta» e quando l’altro si rialza, parte il colpo.
     La freccia del suo amante ne colpisce la fronte, apre un foro e trapassa dall’altra parte. A risposta di quell’attacco, altre saette spuntano da ogni spazio aperto senza origine, cozzano contro l’inglese e lo costringono ad arretrare, a morire lentamente mentre ancora sulle labbra c’è il suo vecchio bacio – il suo respiro, il gusto palliativo dell’amplesso.
     Un tonfo di peso caduto e intanto i canti si alzano un’ultima volta, funeree le parole vengono intonate da una bimba, il fantasma gemello di un Shuu che piange lacrime di gemme. Agitando la veste bianca, lei danza scalza sopra un piedistallo di girasoli gialli e pian piano, intorno tutto sparisce, il sangue si asciuga e i defunti mutano in entità del cosmo.
 

Tutto torna ad essere solo calma.
 

 
 

A Gea non ci puoi arrivare
se prima vita e morte non fai incontrare.
Le creature sono misteriose,
le persone di certo non tra le più gioiose.
Nelle sue acque trovi sirene e, per i prati, fate e falene.
Corri, schiamazza, gioca su quelle altalene
che per i posti dell'Isola ti posson portare,
tanto sappiamo tutti che non puoi aspettare.
Quando l'astro nascente del sole fiammante
riuscirà a trovare il suo muto amante,
la nostra Terra rischierà di scomparire
e  gli invasori, dopo di Lui, dovranno morire.

 



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note dell'autrice: sono in ritardissimo ma ho avuto il mio bel d'affare con questioni in cui mi dilungherò, troppo pallose. Sono però di nuovo qui, adesso, a bazzicare nel fandom, benché sia passato più di un mese dall'ultimo aggiornamento. Cercherò di essere più puntuale, lo prometto, anche se la lista di pairing/fiabe inizia ad accorciarsi ed io devo inventarmi qualcosa il prima possibile. Per quest'ultima fiaba, ho faticato non poco per adattare la coppia  e alla fine il risultato è che ho... stravolto completamente tutto. Mi dispiace per Pocahontas ma per come vanno a finire le cose non mi piace neanche un po', come cartone Disney, quindi non stupitevi se il risultato è una fic basata sull'animazione ma totalmente diversa da come va sviluppandosi nel film e tra le righe. Mi dispiace, puzzo e non so se il risultato si adegua o supera le aspettative di chi mi segue, quindi incrocio le dita e vi ringrazio per il passaggio. Le note dell'autore sono pallose ed io non so scriverle, figuriamoci. Ness bacia tutti, abbraccia i brutti. Ps: probabilmente pubblicherò prestissimo con una sorpresa per le fans di Zanark e blablablablaSPOILERblabla.
 
  
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