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Autore: Kitri    17/04/2013    14 recensioni
"Ancora una volta il ragazzo non rispose. Si limitò a seguire con gli occhi quella meraviglia, che passando davanti al suo tavolo non si era sottratta ad un nuovo gioco di sguardi, regalandogli l’ultima intensa emozione".
Un colpo di fulmine e una serie di coincidenze, un amore che porterà i due protagonisti a riscoprire se stessi.
La mia prima fanfiction!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mamoru/Marzio, Usagi/Bunny | Coppie: Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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IL LATO OSCURO DI MAMORU 
 
 
Era passata una settimana e anche quella mattina Mamoru arrivò in ospedale svogliatamente.
Gli sembrava di vivere per inerzia, trascinato solo dalla routine e dal senso del dovere verso i suoi pazienti.
Di giorno, impegnato con il lavoro, riusciva a tenere a bada il turbinio di pensieri nella sua mente, anche se quella sensazione di inquietudine profonda non lo abbandonava mai.
Ma di notte, quando era solo con se stesso, tutto ciò che aveva cercato di soffocare riemergeva di colpo e lo sopraffaceva … Usagi, Hiroshi, Kaori … e ancora Usagi.
Erano stati sette giorni durante i quali aveva dormito pochissimo e, quando era riuscito a chiudere occhio, il suo sonno era stato agitato.
Il passato continuava a tormentarlo.
I ricordi erano ancora lì, nitidi, come se non fossero passati dodici anni, ma solo un giorno.
Era evidente che non fossero morti e sepolti, come credeva, ma solo nascosti in qualche angolo recondito della sua anima, pronti a saltar fuori alla prima occasione. E questa occasione si era presentata con l’arrivo di suo padre.
Benché Mamoru non l’avesse incontrato, avvertiva la sua presenza come una minaccia.
Da anni giocava a fare il funambulo su di un filo sottile e affrontare Hiroshi avrebbe significato dare il colpo di grazia al suo precario equilibrio.
Preferiva piuttosto continuare a starsene al sicuro nel suo nascondiglio, fatto di dubbi e sensi di colpa, ad aspettare che i fantasmi se ne tornassero in quell’angolo, in cui erano rimasti nascosti per tanto tempo.
Il suo era sicuramente un atteggiamento vile e Mamoru ne era consapevole.
Vigliacco, immaturo, egoista. Si sentiva tutto questo e non ne andava fiero.
Sapeva che stava semplicemente scappando, ancora, come aveva aveva sempre fatto.
Era stato un codardo con Hiroshi quando non gli aveva spiattellato in faccia quello che aveva scoperto sul suo conto, quando aveva nascosto a sua madre la verità per non ferirla, quando era andato via di casa senza mai voltarsi indietro, quando aveva giocato con i sentimenti di tutte le donne che lo avevano amato.
Persino con Usagi non si era comportato diversamente.
Eppure per quegli occhi color del mare, che, in un istante, gli avevano fatto vedere la vita da un’altra angolazione, aveva superato i suoi limiti e si era lasciato andare.
Per lei aveva liberato la sua parte migliore, per lei aveva combattuto quando il loro amore nascente non aveva futuro.
Usagi era stata la sua cura e la sua redenzione, era l’unico amore vero di tutta una vita.
Ma, quando si era trattato di dimostrarle quanto lei fosse importante, aveva fallito miseramente e ora rischiava di perderla, perché fuori dalla bolla di cristallo in cui vivevano insieme, Mamoru non era mai cambiato.
Da quando quella sera avevano litigato, non l’aveva mai cercata e non perché non ne sentisse il bisogno.
L’unico gesto nei suoi confronti era stato quello di inviarle, per il suo compleanno, un mazzo di rose rosse, venticinque come gli anni che compiva, accompagnate da una lettera a cui aveva affidato un lungo flusso di coscienza.
E la risposta di Usagi non si era fatta attendere, arrivando puntuale tramite un freddo e conciso sms.
 
“Capisco il tuo dolore, ma anche io sto male. Dammi tempo! Grazie per le rose”
 
Usagi aveva bisogno di tempo, ma Mamoru aveva la necessità, invece, di specchiarsi nei suoi occhi azzurri, di sentire la sua risata cristallina, di sfiorare il suo candido corpo.
Ormai era diventato impossibile anche incontrarla in ospedale. Sembrava fatto di proposito, ma i loro turni non coincidevano mai.
Tuttavia, lui aveva la consapevolezza che fosse giusto non forzare gli eventi e provare ad attendere pazientemente.
 
Come ogni inizio turno, Mamoru si avvicinò al banco dell’accettazione per prendere le cartelle cliniche. Diede una rapida scorsa alle visite di controllo da effettuare e, nel frattempo, gettò un’occhiata di sottecchi al registro dei turni: Dott.ssa Tsukino Usagi, ore 14-21.
Pensò che se la fortuna fosse stata dalla sua parte, avrebbe potuto incrociarla tra le 14 e le 15, prima di finire il proprio turno.
«Ha insistito per assistere a un mio intervento oggi pomeriggio» esclamò la voce di Heles alle sue spalle.
Mamoru si voltò a guardarla con aria interrogativa.
«Mi riferisco a Usagi – continuò Heles – Credo che questo suo improvviso interesse per la chirurgia ortopedica abbia qualcosa a che fare con te».
Mamoru non rispose, fingendo dinteresse.
«Non vi siete ancora chiariti?» chiese ancora la ragazza, curiosa.
«No» fu la risposta secca e decisa di Mamoru.
«Non ha tutti i torti» esclamò Heles.
Mamoru sbuffò infastidito.
«Heles, non mi va di sentire anche la tua paternale!» le disse, continuando a leggere distrattamente le sue cartelle cliniche.
«Usagi non ti perdonerà mai se non risolvi i tuoi problemi. Vai da tuo padre e affrontalo una volta per tutte, chiudi per sempre questa storia!» lo rimproverò Heles.
Mamoru sospirò nervosamente alzando gli occhi al cielo.
«Ho già chiuso con lui dodici anni fa!» esclamò spazientito.
«Ma vai a raccontarlo a qualcun altro! Quando capirai che hai un problema e che devi risolverlo?».
«Il mio unico problema adesso è Usagi, il resto non mi interessa».
«Usagi è una ragazza intelligente. Fermo restando che lei perdoni le tue mancanze, resterà il fatto che c’è un lato oscuro di te che non accetterà mai, se non vedi di azzerare i conti col tuo passato».
Mamoru la guardò accigliato.
«Te l’ha detto lei?» chiese sospettoso.
Sapeva che Usagi era molto legata a Heles e sicuramente si era confidata con lei.
“Un lato oscuro di me che non accetterà mai!” pensò malinconico.
Heles trasalì pensando che forse si era lasciata andare, rivelando un po’ troppo di quello che le aveva confidato la stessa Usagi. Si affrettò perciò a rimediare.
«No, cosa dici! È  solo il mio punto di vista» rispose, sperando di essere credibile.
Mamoru abbassò di nuovo lo sguardo, piuttosto dubbioso.
«A proposito, – aggiunse Heles cambiando volutamente discorso – Il capo vuole tutte le nostre relazioni entro due giorni La tua è pronta?».
«Quasi» rispose.
Ma in quello stesso istante si ricordò di una cosa che gli era completamente sfuggita di mente: la prima parte della relazione era ancora sul pc di Usagi. Vi aveva lavorato tutta la sera, quando lei era uscita con i suoi colleghi per festeggiare la promozione al secondo anno. Era completa e doveva solo salvarla sulla sua pen-drive. Ma poi era stato distratto dal rientro di Usagi, dalla passione che li aveva travolti e, soprattutto, dalla proposta di matrimonio e da tutta l’euforia che ne era conseguita. A quel pensiero vacillò un attimo.
«Tutto bene?» chiese Heles preoccupata.
«Sì – rispose lui ancora pensieroso e cupo in volto – Ora devo andare. A dopo».
E così salutò la sua amica, voltando le spalle, pronto a incominciare il suo giro di visite e desideroso di staccare momentaneamente la spina.
 
Aveva da poco terminato di visitare i suoi pazienti e, fortunatamente, non c’era alcuna urgenza. Tutto era sotto controllo.
Era quasi ora di pranzo e aveva deciso di mangiare qualcosa nel suo ufficio, così avrebbe cercato di risolvere il problema della prima parte della relazione, rimasta sul computer di Usagi. In fondo al corridoio riconobbe una figura femminile che lo guardava e nel contempo gli sorrideva, mentre si avvicinava.
«Dottor Chiba! È un vero piacere rivederti» lo salutò la donna.
«Setsuna! Che ci fai qui?» esclamò lui, sorpreso di vederla.
«Sono tornata dall’Africa pochi giorni fa e oggi ho ripreso a lavorare».
  •  
«E tu che mi racconti? Ho sentito dire in giro che ti sposi».
Mamoru sollevò le sopracciglia sorpreso.
“Cavoli! Le notizie corrono veloci!” pensò.
«Sì, più o meno» rispose vago, desideroso di chiudere subito l’argomento.
Setsuna lo guardò con aria interrogativa.
Che cosa voleva dire “più o meno”?
Era in procinto di sposarsi oppure no?
«Chi è lei? - chiese Setsuna. Poi, in tono allusivo, convinta di aver fatto centro, aggiunse - Scommetto che è la ragazza bionda per la quale scappasti via dal Crown quella sera, prima che io partissi».
Il ricordo di quella serata e di quello che di bello era successo dopo si palesò nella mente di Mamoru e gli fece piuttosto male.
«Sì, è lei! » rispose con una punta di tristezza nella voce.
«È molto bella» fu il commento della donna, che continuava a fissarlo come se volesse leggergli nei pensieri.
Aveva capito subito che c’era qualcosa che non andava.
«Sì, lo è! E non solo! - rispose Mamoru deciso. Poi cercando di tagliar corto e di liquidarla la salutò – Il dovere mi chiama. Mi ha fatto piacere incontrarti».
«Anche a me ha fatto piacere – rispose lei provocatoria come sempre – Se la tua futura moglie non è gelosa, qualche volta potremmo andare a prendere un caffè insieme».
Mamoru non le rispose, limitandosi ad abbozzare una specie di sorriso, più che altro di circostanza, mentre alzava la mano in segno di saluto.
“Sempre la solita!” pensò Mamoru, mentre si allontanava, scuotendo la testa, quasi infastidito dall’atteggiamento di Setsuna.
Continuò a camminare spedito per raggiungere le scale e arrivare finalmene nel suo ufficio. Ma quando, all’improvviso, sollevò lo sguardo distrattamente, una dolce sorpresa gli si parò davanti agli occhi. Il suo cuore perse un battito. Usagi era davanti alle scale, che parlava con qualcuno, e si era voltata proprio nel momento in cui lui l’aveva notata.
In quell’attimo furono ancora loro, occhi negli occhi, mare e cielo.
Mamoru rallentò il passo, pensando a una banale scusa pur di parlarle e udire ancora la sua voce, dopo una settimana.
«Ciao» le disse dolcemente quando le fu vicino.
«Ciao» rispose Usagi, con un leggero sorriso sulle labbra.
Ci furono pochi secondi di silenzio, in cui erano ancora persi l’una nello sguardo dell’altro, poi la ragazza si decise a rompere l’incantesimo.
«Mamoru, lui è il mio amico Takashi. Te ne ho parlato, se ricordi. È venuto per salutarmi. Pranziamo insieme prima che io inizi il turno e lui parta per gli Stati Uniti».
La voce di Usagi era quasi incerta. Sembrava volesse giustificarsi, mentre osservava l’espressione di Mamoru che di colpo era diventata cupa. Sapeva che lui era molto geloso, e l’ultima cosa che desiderava era una scenata da parte sua.
«Ciao» esclamò Mamoru freddo, senza neanche tendergli la mano.
Takashi! Ricordava benissimo chi era!
Usagi gli aveva accennato del suo arrivo e lui, come c’era da aspettarsi, non aveva gradito. Si morse un labbro cercando di soffocare la gelosia crescente.
«Devo consegnare la mia relazione tra due giorni ma ho lasciato la prima parte dello scritto sul tuo pc. – le disse, provando a cambiare argomento per non pensarci – Ho dimenticato di trasferirla sulla mia pen-drive. Potresti farmela avere, per favore?».
«Hai le chiavi di casa mia, potresti andare oggi pomeriggio a prendere quello che ti serve. Io non ci sarò, lavoro fino a tardi».
Mamoru ascoltò la risposta di Usagi. Sembrò quasi avesse voluto sottolineare il fatto che non era in casa e di conseguenza che non gradiva incontrarlo.
«Ok» le rispose serio.
Seguirono pochi secondi di imbarazzante silenzio, poi Mamoru decise di uscire dalla pesantezza di quella situazione.
«Bene, io vado – disse accingendosi a salire le scale – Buon pranzo».
Parlò con sarcasmo e con un sorriso sardonico disegnato sulle labbra, mentre pensava al fastidio che aveva provato a sentirsi di troppo davanti a quella che considerava, e di fatto lo era ancora, la sua donna.
 
«Non credo di essere molto simpatico al tuo fidanzato!» esclamò Takashi, mentre si dirigevano insieme verso la mensa dell’ospedale.
«Scusalo! – rispose lei, ancora agitata dall’incontro avvenuto poco prima – Il fatto è che ultimamente ci sono un po’ di problemi tra noi».
«L’avevo capito – rispose il ragazzo deciso. Poi aggiunse con premura – Vuoi parlarne con un amico?».
Usagi tentennò un istante.
«Ecco, non posso raccontarti tutto per rispetto verso Mamoru. È una faccenda sua privata. Diciamo che mi ha mentito su alcune cose e io non so se posso perdonarlo».
Takashi la osservò pensieroso.
«Bugie gravi?».
«Mhm, più o meno … diciamo che più che mentirmi, ha omesso alcune cose che riguardavano la sua vita».
«Ma tu lo ami, vero?».
Usagi abbassò lo sguardo sospirando.
«Dal primo momento in cui l’ho incontrato – disse con decisione - Non ho mai amato nessuno quanto lui!»
«E allora mettici una pietra sopra e perdonalo, no?».
«La fai troppo facile, tu! – l’ammonì Usagi – Proprio perché lo amo così tanto, non credo di meritare tutto questo. E poi, se anche col tempo riuscissi a dimenticare e a perdonare, credo che debba ritrovare se stesso. Solo allora, forse, potremmo parlare di un “noi”».
«Stai dicendo che è finita?».
Gli occhi di Usagi divennero lucidi.
«Per il mio cuore no, per la mia mente sì!» rispose con un po’ di esitazione.
«Pensaci bene, Usa-chan! – le raccomandò Takashi accarezzandole affettuosamente il viso– Per come ti conosco io, tu non sei una persona che si lascia andare tanto facilmente ai sentimentalismi. E se lui è stato capace di sciogliere il tuo cuore, io ci rifletterei bene prima di buttare questa possibilità solo per uno stupido orgoglio».
Usagi annuì.
«È quello che sto cercando di fare, ma non è facile» rispose seria, mentre dentro di sé continuava a rimbombare il frastuono, che facevano la sua mente e il suo cuore che combattevano l’una contro l’altra.
 
Mamoru, dopo il suo turno, aveva fatto un giro in centro per sbrigare alcune commissioni, poi, nel tardo pomeriggio, si era incontrato al Crown con Motoki ed Heles.
Mentre i due amici non gli risparmiavano l’ennesima predica, lui li ascoltava silenziosamente e, nel frattempo, mandava giù un paio di drink. Al terzo bicchiere decise di fermarsi, ricordandosi che era in moto e che stava esagerando. Così, un po’ sbronzo, aveva salutato per andarsene e, benché Motoki avesse fatto storie per convincerlo a farsi accompagnare, lui non ne aveva voluto sapere.
Entrò nell’appartamento di Usagi che erano quasi le otto di sera. Ci avrebbe messo pochi minuti, giusto il tempo di prendere i suoi appunti e poi se ne sarebbe andato, così non si sarebbero incontrati, proprio come Usagi desiderava.
Prima, però, aveva bisogno di una birra fresca. Così andò direttamente in cucina, prese una Tennent’s, la aprì e si diresse quindi verso la camera di Usagi, dove si trovava il computer.
Quando vi entrò, provò una fitta al cuore.
Quella stanza era impregnata dell’odore di lei.
Quanto gli mancava il suo dolce profumo!
Quanto gli mancava quella pelle di luna che mille volte aveva accarezzato proprio in quella stanza!
Sospirò per mandare via la malinconia.
Senza accendere la luce, ma lasciando che fossero i caldi raggi di quel tramonto di luglio a illuminare la stanza, si avvicinò alla scrivania e avviò il pc.
Pensò a quante notti aveva lavorato, proprio seduto su quella sedia, mentre Usagi dormiva beatamente davanti ai suoi occhi.
La sua attenzione fu catturata da qualcosa che brillava sul comodino. Si avvicinò lentamente e, quando capì di cosa si trattava, qualcosa gli morì dentro: erano l’anello con il quale le aveva chiesto di sposarlo e la collanina che le aveva regalato a Natale e dalla quale Usagi non si separava mai.
Il fatto che fossero lì furono un chiaro segnale di quanto stesse accadendo tra loro.
Forse per lei era realmente finita e stava solo aspettando il momento giusto per dirglielo.
Stare in quella casa, dopo tutto quello che aveva vissuto con lei e che, forse, non sarebbe più tornato, era una tortura.
Realizzò che, per la sua salute mentale, doveva fare in fretta a prendere ciò di cui aveva bisogno e andare via prima possibile.
Trovò la sua relazione e collegò la pen-drive.
Mentre aspettava il trasferimento del file sul dispositivo, il suo sguardo si posò sull’icona della posta elettronica. L’idea di aprirla lo tentò. Pensò che non fosse corretto ficcare il naso negli affari di Usagi e, poi, così, avrebbe perso altro tempo.
“Solo una sbirciata!” si disse, alla fine, giustificando a se stesso quel gesto infantile e di totale sfiducia nei confronti di Usagi, mentre apriva la posta.
Una sfilza di nuovi messaggi in arrivo, ma niente di interessante: pubblicità, lavoro, aggiornamenti di medicina. Eppure non era soddisfatto, cercava qualcosa, anche se non sapeva esattamente cosa.Si fidava di Usagi, ma era degli altri che proprio non si fidava.
«Bingo!» esclamò, quando un nome attirò la sua attenzione: Takashi.
Era proprio il tizio che Usagi gli aveva presentato quella mattina e davanti al quale si era sentito un perfetto estraneo.
Erano una ventina di messaggi in tutto, il più recente risalente alla settimana precedente, prima che scoppiasse tutto quel casino. Sapeva che quello che stava facendo era sbagliato, ma in quel momento poco gli fregava che Usagi si sarebbe arrabbiata. Doveva assolutamente sapere cosa le scriveva quel Takashi.
Cominciò proprio dall’ultimo messaggio.
 
“Arrivo venerdì prossimo in mattinata e riparto nella stessa giornata. Pranziamo insieme? sempre che il tuo dottore non sia geloso. Non vedo l’ora di rincontrarti. Takashi.
PS. Sai già che se un giorno ti dovessi stancare di lui io sarò qui ad aspettarti a braccia aperte ;) ”
 
Re:”Ok, va bene, vedrò di spostare il turno e non ti preoccupare di Mamoru, sa già del tuo arrivo. Usagi.
PS. Sì, lo so! ma so anche che non mi scoccerò mai del mio dottore ”
 
Il volto di Mamoru si rabbuiò. Doveva aspettarselo che quel ragazzo fosse invaghito di Usagi. Del resto, quando mai è esistita l’amicizia tra uomini e donne, a parte quella tra lui e Heles. Ma quello era un discorso decisamente differente, dato i diversi gusti sessuali.
Beh, quanto meno Usagi aveva subito messo a posto quel damerino da strapazzo!
Aprì il messaggio precedente, risalente al 25 dicembre. Non c’era la risposta di Usagi, ma la richiesta da parte del ragazzo di passare il Capodanno insieme, fece sorgere in Mamoru qualche sospetto.
Cominciò a leggere uno alla volta tutti i messaggi, comprese le risposte di Usagi.
E sarebbe stato meglio se non lo avesse mai fatto!
Aveva appena scoperto che Usagi e quel bellimbusto avevano avuto una storia, anche abbastanza lunga, solo ed esclusivamente fisica.
Il contenuto dei messaggi era più che esplicito e al terzo messaggio Mamoru non ebbe più il coraggio di andare avanti a leggere e torturarsi.
Gli aveva sempre dato fastidio che Usagi avesse avuto altri uomini in passato, ma vederselo spiattellato in faccia, così crudamente, era davvero un supplizio.
L’immagine di Usagi, nuda sotto quell’essere schifoso, in balia della sua eccitazione, gli lacerava l’anima. Il pensiero che tutti i desideri espressi in quei messaggi fossero stati soddisfatti, magari proprio lì, in quella stessa stanza dove si trovava adesso e dove aveva fatto l’amore con Usagi fino a una settimana prima, lo facevano impazzire. Per non parlare poi delle risposte compiaciute della ragazza. Quelle lo mandavano in bestia! E poco contava che fosse una storia passata.
La folle gelosia che lo rodeva, come un mostro tremendo radicato nel suo corpo, cominciò a insinuare nella sua mente dubbi tremendi. Chi lo rassicurava che non fosse successo anche quella mattina, che Usagi si fosse concessa alle perversioni di quell’uomo? Ecco spiegato il motivo per cui non indossava l’anello e la collanina!
Mamoru era furioso. La gelosia, unita all’effetto dell’alcol e alla tensione di quei giorni, avevano ormai fatto partire completamente la sua razionalità.
Con uno scatto si alzò, rovesciando tutta la birra sul pavimento.
Guardò l’orologio. Erano le nove.
Usagi sarebbe rientrata tra non molto e lui l’avrebbe aspettata. Al diavolo la sua richiesta di non incontrarsi! Si era messo in testa che voleva delle spiegazioni e, se lei aveva intenzione di chiudere definitivamente con lui, doveva dirglielo subito.
A peso morto si gettò sul letto, in attesa che lei tornasse a porre fine a quell’inutile supplizio.
 
Usagi finì di lavorare prima del previsto e, stanchissima, il suo unico desiderio era solo quello di tornare a casa e andare a dormire, nella speranza di riuscire finalmente a chiudere occhio.
Anche per lei non erano stati giorni facili. Stare lontano da Mamoru era un’agonia. Quando quella mattina l’aveva rincontrato avrebbe tanto voluto gettargli le braccia al collo e ripetergli quanto l’amasse e quanto sentisse la sua mancanza.
Ma a che sarebbe servito fare finta di niente?
Lei era delusa e, più passava il tempo e ci rifletteva su, più si sentiva tradita.
Non trovava un motivo plausibile per cui Mamoru le avesse negato una parte della sua esistenza, per lei era inconcepibile il suo comportamento. L’unica spiegazione possibile era il dolore che lui aveva provato e che forse lei non avrebbe mai compreso fino in fondo. Ma se anche l’avesse perdonato, vinta dall’amore infinito che provava per lui, come avrebbe fatto a convivere con la convinzione che lui nascondesse altro? Qualcosa che si ostinava a tenere nascosto in fondo al cuore?
Quando infilò la chiave nella serratura, si accorse che la porta era già aperta. Possibile che lui fosse ancora in casa? Eppure gli aveva fatto capire che non voleva incontrarlo.
Sbuffò e lentamente si avviò verso la camera da letto. Lo trovò addormentato.
«Mamoru, svegliati!» gli disse e, nel frattempo, notò che il pc era ancora acceso e la posta era aperta. Mamoru aveva letto tutta la sua corrispondenza con Takashi!
«Mamoru!» lo chiamò di nuovo, arrabbiatissima, scuotendolo perché si svegliasse.
La voce di Usagi gli arrivò come un’eco lontana. Mamoru aprì gli occhi piano e si accorse che non era un sogno. Usagi era proprio lì.
«Ma cosa hai fatto? – disse lei – Pensavo che l’avessi capito che non volevo trovarti qui al mio rientro».
«Non urlare! Ho mal di testa» rispose lui portandosi una mano sugli occhi.
« Perché ti sei messo a leggere la mia posta? Mi vuoi spiegare?» continuò, infischiandosene del suo mal di testa.
Un attimo per mettere a fuoco la situazione e poi Mamoru ricordò tutto.
Un sorriso sardonico comparve su suo volto.
«Ah, io dovrei spiegare? E tu che mi dici del tuo amico? O forse dovrei dire del tuo amante!».
Usagi trasalì.
«Non è il momento per una delle tue stupide scenate di gelosia» disse, mentre lo tirava per un braccio per costringerlo ad alzarsi.
Mamoru si mise in piedi e si pose diritto davanti a lei, sovrastandola con la sua altezza e fissando i suoi occhi blu nei suoi.
«Credi che io mi diverta, Usagi?» le disse con un tono che alla ragazza sembrò quasi minaccioso.
«Qui nessuno si sta divertendo! Credi di farmi paura con questo tuo atteggiamento spavaldo?» rispose lei con sicurezza sostenendo il suo sguardo.
«Lungi da me metterti paura! – esclamò il ragazzo – Voglio solo che tu capisca quanto sono arrabbiato adesso. Mi sento di impazzire, Usagi! Che hai fatto con quel Takashi, oggi? Dimmelo!».
Usagi alzò gli occhi al cielo sbuffando.
«Hai bevuto!» esclamò.
«Rispondimi, Usagi!» disse afferrandole le spalle e scuotendola.
«Niente, abbiamo solo pranzato insieme – rispose lei cercando a stento di mantenere la calma – E ora ti prego, vattene, lasciami stare!».
E così dicendo si liberò dalla sua presa e voltò le spalle per uscire dalla stanza.
Ma Mamoru le afferrò con forza un polso costringendola a voltarsi e, in un attimo, le serrò anche l’altro, tenendoglieli entrambi stretti per non lasciarla scappare.
«Mamoru, lasciami! Mi fai male!» gridò lei, più per rabbia che per paura.
«Voglio la verità!».
«Te l’ho detta la verità!» esclamò lei ancora più decisa e continuando a tenere i suoi occhi azzurri fissi in quelli di lui.
Lentamente Mamoru allentò la presa e si chinò su di lei tentando di baciarla. Ma Usagi lo scansò prontamente, voltando la testa di lato.
Il ragazzo non si arrese e con decisione l’avvinghiò con le sue forti braccia. In meno di una frazione di secondo, Usagi si ritrovò sdraiata sul letto sotto di lui, che in tutti modi cercava di baciarla e di farsi strada tra i suoi vestiti.
«Mamoru, smettila! Non mi va!» gridò cercando di respingerlo, facendo pressione sul suo torace. Ma la sua era una forza ridicola rispetto a quella del ragazzo e non serviva a niente, se non ad accenderlo ancora di più.
«Non è vero, lo so che ti va! Voglio solo riprendermi quello che mi appartiene» rispose lui schiacciato sul viso di Usagi, mentre con le mani continuava ad accarezzarla bramoso.
«Io non sono tua! E tu sei ubriaco! Smettila» continuò a gridare la ragazza.
Ma era inutile, Mamoru sembrava non sentirla.
Eccolo il lato oscuro di Mamoru, pensava Usagi.
L’uomo che aveva davanti non era lo stesso che lei amava. Possibile che in realtà fosse una persona così diversa da quella che aveva conosciuto?
Lui, che aveva sempre cercato di avere il controllo su tutto, era crollato per una banalità.
Ma quanto grande poteva essere lo squarcio nella sua anima, tanto da spingerlo a perdere totalmente il controllo di se stesso e della sua vita?
Usagi provò una fitta al cuore, forse per rabbia e delusione, o forse per empatia nei confronti dell’uomo che continuava ad amare.
Priva di forze, smise di respingerlo e si abbandonò totalmente, cominciando a piangere. Una dopo l’altra le lacrime scendevano copiose, rigandole il viso.
E fu proprio quando si ritrovò ad assaggiare il sapore amaro di quelle lacrime, che Mamoru tornò in sé.
D’improvviso, si rese conto di cosa stava facendo.
Alzò la testa e guardò quegli occhi in cui amava specchiarsi e che ancora una volta stavano piangendo a causa sua. Ma come aveva potuto fare una cosa del genere alla sua Usako?
Si vergognò di se stesso.
«Scusami, io non so che mi è preso! » disse mortificato con un filo di voce, mettendosi a sedere. Poi l’aiutò a rialzarsi e l’attirò in un profondo abbraccio.
«Scusami, scusami!» continuava a ripetere mentre la cullava tra le sue braccia e le accarezzava i capelli.
«Perché, Mamoru?» chiese Usagi continuando a singhiozzare.
«Perché … perché ero pazzo di gelosia! Lo so, non è una giustificazione, ma non ci ho visto più».
«Ma è una storia vecchia, è passato tanto tempo».
«Lo so! Scusami! È solo che io non ce la faccio più a vivere così, nel dubbio. Io ti amo e voglio stare con te, ma se tu non vuoi più ho bisogno di saperlo ora» le disse sciogliendo l’abbraccio e guardandola negli occhi, cercando di carpire una risposta dalle sue espressioni.
Usagi fece un lungo sospiro.
«Anche io ti amo e credimi quando dico che capisco il tuo dolore. Col tempo potrei imparare ad accettare i tuoi errori e le tue mancanze e perdonarti … ».
«E allora, qual è il problema? Ho sbagliato, ma ti ho spiegato il motivo» disse Mamoru cingendole le spalle.
«Mamoru, io non posso pensare di vivere accanto a una persona che non ha risolto i conti col passato e che alla prima difficoltà cambia totalmente».
Fece una piccola pausa, poi continuò.
«Non si può pensare di suturare delle ferite senza pulirle, rischierebbero di infettarsi. Me l’hai insegnato tu, ricordi?».
Mamoru abbassò lo sguardo, comprendendo perfettamente la metafora di Usagi. E lei, portandogli delicatamente una mano sotto al mento, lo costrinse a guardarla ancora.
«Mamoru, le tue ferite sono infette da troppo tempo, non cicatrizzeranno mai, se non ti decidi a pulirle».
«E cosa dovrei fare?» chiese il ragazzo, pur conoscendo già la risposta.
«Non lo so! Vai da tuo padre, affrontalo, gridagli pure quanto lo odi, se ti fa stare bene. Ma fai qualcosa!».
«Non posso … o forse non voglio!».
«Perché? Dimmelo!».
Mamoru si alzò dal letto.
«Mio padre è … - cominciò a dire stringendo i pugni, ma poi si bloccò di colpo – Scusami, Usako! Scusami per tutto!».
Le accarezzò il viso e, alla fine, andò via, prima di cedere alla tentazione di rivelarle tutto, coinvolgendola ancora.
 
Usagi non reagì in alcun modo.
Che cosa stava per dirle Mamoru?
Stava diventando tutto sempre più complicato e lei, ormai, non ci capiva più nulla. Se lui non voleva contribuire a fare chiarezza, allora avrebbe dovuto cercarsi le risposte da sola.
Prese il telefono e compose il numero dell’ospedale.
«Buonasera, sono la dottoressa Tsukino! Ho bisogno di un favore».
  
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