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Autore: Blackbird_    24/04/2013    2 recensioni
1544, ultimi anni del regno di Carlo I di Spagna. Don Juan Tenorio si trova nel bel mezzo della sfida contro Don Luis Mejia: chi sarà in grado di conquistare più donne e di uccidere più uomini sarà il vincitore.
Doña Celeste è una giovane nobile innocente e smaliziata, che non crede nell’amore ma odia l’idea di doversi sposare con un uomo scelto dai propri genitori. È proprio lei la nuova vittima scelta da Don Juan che utilizzerà la sua infallibile tecnica di corteggiamento.
"Quanti giorni impieghi in ogni donna che ami?" "Uno per farla innamorare, uno per averla, un altro per abbandonarla, due per sostituirla e un'ora per dimenticarla"
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
Capitoli:
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Primo giorno: Uno para enamorarlas.





Il giorno seguente venni svegliata di buon’ora. La colazione in camera era abbondantissima come al solito e, non appena ebbi finito, mi vestii velocemente per poter scendere nel grande salone del palazzo. Come ogni giorno della settimana, Curcio, il mio insegnante, mi attendeva per la solita lezione. Il lunedì era la giornata di astrologia, la mia materia preferita.
Curcio era davvero appassionato all’insegnamento e alle materie che ogni giorno era impegnato ad espormi. Il suo classico intercalare, alla fine di ogni frase che diceva era “Non lo trovi anche tu bellissimo?”. Bello, bellissimo, meraviglioso, stupendo: tutte parole che ripeteva continuamente, mostrandomi quanto amasse il mestiere che faceva. A me faceva sorridere quel suo entusiasmo, quella sua gioia di vivere e di lavorare. Mi piaceva starlo ad ascoltare ed il suo metodo mi coinvolgeva al massimo. Continuavo a riempirlo di domande e curiosità e rispondermi lo rendeva entusiasta.
Dopo due lunghe ore di lezione a parlare della storia della Stella Polare decise di darmi una pausa per potermi riposare; nel frattempo lui avrebbe cercato fra i suoi libri la risposta ad una domanda che gli avevo posto che lo aveva incuriosito in modo particolare. Mi affacciai alla finestra, per prendere una boccata d’aria. La giornata era bellissima. In giardino Placido, il nostro giardiniere, era occupato a controllare i boccioli di rosa, uno ad uno. Quell’uomo svolgeva ogni giorno il proprio lavoro in maniera minuziosa, e i risultati erano evidenti agli occhi di tutti. Il nostro giardino era, per me, come un paradiso in terra. Fiori profumati ovunque, erba fresca sempre perfetta, farfalle colorate ed uccellini canterini. Il giardiniere notò la mia presenza e mi salutò con una mano. Gli sorrisi e ricambiai il saluto.
Da quella mia postazione riuscivo a scorgere anche la strada oltre il nostro giardino. Notai un ragazzotto che faceva su e giù di fronte alle nostre mura. Sembrava stesse cercando qualcosa, o aspettando qualcuno. Le fattezze mi erano sconosciute, ma, dopotutto, ero anche molto lontana per poterlo scorgere bene. Non gli diedi molta importanza: in fondo il palazzo era un continuo via vai di mercanti e di servitù.
“Allora, Celeste, ricominciamo?” mi chiese Curcio, impaziente di ricominciare. Distogliendo lo sguardo dalla strada annuii e mi posizionai nuovamente al mio posto.
Quando Curcio finalmente chiuse tutti i suoi libri capii che era finalmente arrivata l’ora di pranzo. Come al suo solito mi ringraziò per l’attenzione che avevo mostrato durante la lezione e confermò la sua presenza nel giorno seguente. Anton, il maggiordomo, lo accompagnò fino alla sua carrozza e, affacciata dalla finestra, lo seguii con lo sguardo finché non svanì del tutto dalla mia visuale. Senza prestarci troppa attenzione, lasciai cadere gli occhi nell’angolo della strada dove, poche ore prima, si trovava quello strano ragazzo. Ovviamente non c’era più. “Signorina Celeste, il pranzo è servito” annunciò Anton appena tornò nella stanza. Lasciai la finestra e lo seguii fino in stanza da pranzo.
I miei genitori erano già sistemati ai loro posti, entrambi seduti a capo della lunga tavolata, uno di fronte all’altro. Mi accolsero con un cenno del capo, che ricambiai. Appena mi sedetti iniziarono la loro preghiera di ringraziamento per il pranzo. Li seguii a ruota, pur controvoglia. Anton e altri due camerieri portarono immediatamente le portate in tavola e svanirono in cucina, in attesa che avessimo finito la prima portata.
“Cara, hai sentito le ultime notizie?” pronunciò mio padre, portandosi il tovagliolo alla bocca. “No, caro. Oggi non ho ancora visto le amiche del club, non ho avuto modo di informarmi. Cosa è successo?” chiese mia madre, senza alzare nemmeno lo sguardo. Io, dal canto mio, ero assolutamente disinteressata ai loro discorsi. Se anche avessi avuto un certo interesse sulla faccenda non avrei comunque potuto dire la mia, quindi semplicemente continuavo a mangiare senza prestare troppa attenzione alle loro chiacchiere. “Doña Hermosa di Chauchina è morta: mi hanno detto che si è gettata nel fiume. Fonti certe mi hanno informato che si sia suicidata perché aveva perduto la sua purezza con un forestiero, e tutto a pochi giorni dal suo matrimonio con Don Diego Hortega” continuò mio padre. Dal tono di voce sembrava davvero molto compiaciuto. “E’ davvero vergognoso. I giovani di oggi non sanno più dov’è il pudore. E’ sicuramente colpa dei genitori che non le hanno insegnato i valori della società in cui viviamo. Che vergogna, davvero. Immagino che quei due patiranno le pene dell’inferno, con tutto ciò che dirà loro la gente”. Mia madre sembrava veramente sconvolta dalla notizia. Probabilmente questa sarebbe stata la notizia del giorno, del giorno dopo e del mese intero. Mi venne quasi da ridere alla sua reazione, e mi nascosi dietro al tovagliolo per non essere vista. “Ringraziamo Dio per le nostre infinite doti da genitori che ci hanno permesso di educare in maniera impeccabile nostra figlia. Celeste non sarebbe mai in grado di fare una cosa simile. Ha ereditato tutto il mio buonsenso” continuavano a parlarne come se io non fossi lì. Dalle loro parole sembrava come se io fossi un animale ben ammaestrato a fare il suo dovere. “L’avevo detto io a Don Diego che avrebbe dovuto chiedere la mano a nostra figlia, e non alla figlia di Don Luis” commentò mio padre, infine. Ero sconvolta. Finii in pochi istanti di mangiare e, senza aspettare che Anton mi servisse la seconda portata, mi alzai e mi diressi verso la mia stanza, fingendo un malore improvviso.
Nella mia stanza Letitia, seduta su una sedia a cucire, mi aspettava. “Avete fatto presto, oggi” commentò alzandosi in piedi, mortificata. Le feci cenno di tornare a sedersi e mi sdraiai sul mio letto, guardando verso il soffitto. “Lo so. Parlavano di suicide, dote e matrimoni: mi hanno fatto venire la nausea. Detesto i loro stupidi discorsi. Poi mi mettono in mezzo. Non li sopporto!”. La mia amica si alzò e mi raggiunse, sedendosi a pochi centimetri da me. “Perché non andiamo a farci un giro? Così potrete sfogarsi un po’ e magari, col bel tempo che c’è, vi torna anche il buonumore” sentenziò, entusiasta.
Nonostante non fosse mia abitudine uscire di casa per due giorni di fila, accettai. In quattro e quattr’otto misi sottosopra l’intera servitù affinché organizzassero tutto nel migliore dei modi. Lasciai ad Anton un biglietto da recapitare ai miei genitori non appena si sarebbero risvegliati dal solo sonno della salute post pranzo in cui annunciavo loro le mie intenzioni, e feci chiamare Miguel, lo scudiere, per poter sellare El Dorado e Arco Iris in modo che fossero pronti il prima possibile. Indossai in un attimo la mia mantella e, insieme a Letitia, uscii in giardino dove rimasi per qualche minuto in attesa che tutto fosse sistemato. Un ragazzetto mai visto, probabilmente assistente di Miguel, ci raggiunse con i nostri due cavalli. El Dorado, riconoscendomi, iniziò a muovere velocemente le orecchie. Sembrava felice anche lui di poter uscire, finalmente. Il suo pelo nero era più luminoso del solito; ero entusiasta del suo meraviglioso aspetto. Gli accarezzai delicatamente il muso e salii in sella. La mia amica m’imitò e salì in groppa al suo cavallo pezzato. Ringraziai il ragazzo e, con un veloce colpo di briglie, partii al trotto.
Direzione: il boschetto a pochi minuti dal palazzo. Era una giornata talmente tanto calda che non potei rifiutare alla proposta di Letitia di andare lì, dove gli alberi avrebbero sicuramente oscurato il sole, concedendoci un po’ di frescura. Le grandi conifere emanavano un profumo di fresco, di buono, e il rumore del frusciare dei rami metteva di buon umore.
Letitia continuava a guardarsi intorno, furtiva, come se temesse l’arrivo di qualche bandito da un momento all’altro. Io, dal canto mio, lasciai che ogni pensiero e preoccupazione svanisse, respirando a pieni polmoni l’aria silvestre del bosco, ed inseguendo con lo sguardo gli scoiattoli che, di tanto in tanto, facevano la loro apparizione e svanivano in un istante.
“Volete fermarvi un po’ sulla radura?” domandò la mia amica, indicando un punto nascosto dietro agli alberi che la mia vista non riusciva a raggiungere. Annuii, cercando di non rovinare il momento catartico, e la seguii lungo il sentiero sconnesso. Lo scalpiccio degli zoccoli dei nostri cavalli era l’unico segnale della presenza umana in quel paradiso.
La radura, come al solito, era meravigliosa. Appena la scorsi scesi di cavallo con un rapido gesto e proseguii a piedi. Lasciai le briglie di El Dorado a Letita per permetterle di legarlo a qualche albero e corsi per il prato come una bambina.
Per quanto amassi la frescura dell’ombra degli alberi, il caldo sole era la mia fonte principale di gioia. Mi sdraiai sull’erba fresca, chiusi gli occhi e lasciai che i raggi solari raggiungessero il mio viso, provocando una piacevole sensazione di calore. Presi dei grossi respiri, per quanto il vestito strettissimo me lo permettesse. Sentii i passi leggeri della mia amica avvicinarsi a me. Con delicatezza, per evitare di disturbarmi, Letitia si sedette al mio fianco. Aprii leggermente un occhio per controllare cosa stesse facendo: aveva tirato fuori dalla tasca della sua mantella un libro, probabilmente lo stesso della mattina precedente. Con mia grande sorpresa, però, anziché divorarlo come al suo solito, non gli stava prestando la minima attenzione. Era occupata a guardarsi intorno, ancora e ancora. Era davvero un comportamento molto strano, da parte sua, essendo una ragazza assolutamente spensierata. Le diedi una botta con la mano. “Cosa c’è che non va?” domandai, aprendo entrambi gli occhi e mettendomi seduta. In tutta risposta scrollò le spalle, e si immerse nella lettura. La studiai per un periodo indefinito di tempo. Continuava a guardarsi intorno, seppur con la coda dell’occhio, per evitare di essere vista.
Stufa del suo silenzio finalmente mi alzai e raggiunsi il mio cavallo. Avevo appena iniziato a carezzagli il muso quando sentii un rumore indistinto provenire dal boschetto. Impaurita, tornai al centro della radura, dove la mia dama era ancora occupata a fingere di leggere. “Credo ci sia qualcuno, qui” le dissi, lasciando trapelare dal mio tono di voce un leggero spavento. “Chi volete che sia? Non viene mai nessuno in questa radura” cercò di tranquillizzarmi. “Preferirei tornare a casa, in ogni caso” insistetti. Con un sorrisetto malevolo si alzò per rispettare il mio ordine. Mi guardò negli occhi ed improvvisamente il suo sguardo venne catturato da qualcosa alle mie spalle. Mi voltai.
“Che bella sorpresa” “Don…” “Juan”. L’uomo scese da cavallo e consegnò le briglie ad un ragazzotto che si trovava al suo fianco, anche lui appena sceso da cavallo. Mi voltai verso Letitia ma non notai nessuna espressione sorpresa nel suo volto. Io, al contrario, ero assolutamente sconvolta. Mi si avvicinò velocemente e, esattamente come la mattina precedente, prese la mia mano . Questa volta, però, riuscì a poggiarci su le sue labbra.
“Che piacevole coincidenza” ironizzai a denti stretti. Era assolutamente ovvio che quella non fosse una coincidenza. Lanciai un’occhiataccia alla mia dama di compagnia che con un sorrisetto si allontanò da noi, raggiungendo lo scudiero di Don Juan. “Molto piacevole” mi sorrise quest’ultimo, riacquistando la mia attenzione. A causa della grande luce i suoi occhi apparivano più brillanti del solito. “Peccato che io e Letitia stessimo tornando a casa. Mi duole davvero, Don Juan. Davvero molto” mi portai una mano sul cuore per rendere la mia recitazione più enfatica. Con uno scatto cercai di allontanarmi dal disturbatore che, in tutta risposta, sbuffò contrariato.
“Che ragazza difficile, siete. Non voglio mica mangiarvi, sapete? Nessuno le ha mai insegnato le buone maniere?”. Mi fermai di scatto e mi voltai. Sembrava realmente offeso del mio comportamento schivo, ma al tempo stesso anche infastidito. “Mi state dando della maleducata?” domandai, ignorando totalmente il suo stato d’animo, qualunque esso fosse. Scrollò le spalle e si sedette sul prato.
Mi allontanai lentamente, continuando a mantenere lo sguardo ben fisso su di lui. Il cavaliere, dal canto suo, mi ignorò totalmente. Tirò fuori dalla tasca interna del mantello un piccolo libricino ed iniziò a sfogliare velocemente le pagine, alla ricerca dell’ultimo verso letto. Incuriosita al massimo da questo strano comportamento mi ritrovai desiderosa di avvicinarmi e dare un’occhiata a quel libro. Dall’intensità del suo sguardo su quei versi, doveva essere davvero una bella storia. La curiosità divenne più intensa del fastidio che quell’uomo mi trasmetteva. La sua sfrontatezza era seccante ma, dopotutto, sembrava un ragazzo per bene. Spinta da una forza misteriosa mi avvicinai e mi sedetti al suo fianco. Se solo i miei genitori lo avessero saputo… .
“Cosa leggete con tanta passione?” chiesi, cercando con gli occhi il suo sguardo. “Sempre che la mia domanda non vi risulti indiscreta” mi affrettai a sottolineare, sperando di non sembrargli una ragazzina capricciosa e curiosa. Alzò lo sguardo ed i suoi occhi mi paralizzarono, tanto erano belli. Sorrise leggermente, mostrandomi l’intestazione del libro. ‘Lancillotto e Ginevra’. Non poteva essere. Non avrei mai potuto pensare che un cavaliere come lui potesse leggere simili storie con tanto ardore. “Leggenda meravigliosa, come meraviglioso è l’amore dei due protagonisti” disse, interrompendo i miei pensieri. Annuii, sporgendomi leggermente per poter leggere quelle parole a me fin troppo familiari. Con un altro sorrisetto, Don Juan tornò a leggere.
Per molti minuti non ci furono interruzioni di nessun tipo. Dimenticai totalmente ogni cosa intorno a me. La radura, il canticchiare degli uccellini tutt’intorno, il ridacchiare di Letitia con lo scudiero, le campane che rintoccavano lontane: nulla riuscì a distrarmi da quelle parole. La vicinanza con quel cavaliere non mi turbava più. In realtà avevo già smesso di farci caso: ero come assuefatta di lui.
“Questa è la parte che preferisco” interruppe il silenzio, indicando alcune righe del libro. Le sue parole mi riportarono alla realtà, così lontana dalla fantasia della storia nella quale mi ero immersa. Mi accorsi di essere poggiata con la testa sulla sua spalla: quando era successo? Non me ne ero nemmeno resa conto. Stordita dai miei stessi comportamenti cercai di riprendermi, allontanandomi da lui. Credendo di apparire irrimediabilmente stupida, però, cercai di comportarmi in maniera disinvolta e mi avvicinai nuovamente, stavolta mantenendo una certa distanza di sicurezza, per poter leggere i versi che mi stava indicando.
Lessi d’un fiato e, sorpresa, mi voltai a guardarlo. Era sorprendente la coincidenza che entrambi adorassimo la stessa parte dello stesso libro. Mi sorrise senza dire una parola, intuendo cosa avessi da dire. “La nobiltà dell’amore di Lancillotto, talmente potente da non lasciargli sentire alcun dolore” recitò, con tono sognante. Annuii. “E Ginevra scopre il significato del vero amore” aggiunsi.
Ci guardammo per qualche istante, lasciando che il discorso svanisse nell’aria. Quegli occhi meravigliosi mi avevano paralizzata lì. Improvvisamente sentii come se non potessi più smettere di guardarli. Non riuscivo a lasciar cadere il mio sguardo, ero come legata al lui. Aspettai quindi che fosse lui a fare la prima mossa: dopo qualche attimo, distolse lo sguardo, riprendendo a leggere. Mi sembrava di aver percepito un retrogusto compiaciuto nel suo sorriso, ma non gli diedi peso.
Improvvisamente, animato da un pensiero a me sconosciuto, si alzò in piedi, rimettendo a posto il suo libro. “Ricardo, porta immediatamente qui il mio cavallo e quello di Celeste!” ordinò al suo servo, con tono severo. Quello, che era ancora occupato a parlare con Letitia, scattò in piedi e si affrettò a raggiungere i cavalli. Sembrava terrorizzato, come se l’esaudire il desiderio del suo padrone fosse una questione vitale.
“Mi concedete l’onore di una passeggiata nel bosco in sua compagnia?” mi chiese, prendendomi la mano. Senza nemmeno pensarci troppo su annuii.
Ricardo ci raggiunse in tutta velocità, seguito da Letitia, che mi fissava quasi angosciata. “Saremo di ritorno fra qualche manciata di minuti, Leti” la rassicurai. “Tu divertiti con Ricardo, poi al castello facciamo i conti” le sussurrai ad un orecchio. Mi diede una mano a montare su El Dorado e mi salutò con una mano.
Dopo il bagno di luce nella radura, ritornare all’oscurità del boschetto fu un’esperienza quasi traumatica. I miei occhi ci misero un po’ a metabolizzare il calo di visibilità. Tutto ciò sembrava non scalfire minimamente il cavaliere in mia compagnia che, al contrario di me, si muoveva tranquillamente fra le boscaglie. Notando la mia iniziale difficoltà nel stargli dietro si fermò, permettendomi di abituarmi del tutto a quella situazione. Non era solo il passaggio fra luce ed ombra a scombussolarmi, a dirla tutta. Per quanto fossi stata apparentemente tranquilla nell’accettare la proposta di Don Juan, trovarmi ora da sola con lui, lontana da tutto e da tutti, aveva lasciato nuovamente che la paura mi invadesse le membra.
“Non ho alcuna intenzione di uccidervi, o di violentarvi, o di farvi qualsiasi altra cosa, Celeste” mi tranquillizzò mentre trottavamo fianco a fianco. Erano i miei pensieri ad essere così trasparenti o era lui ad essere un ottimo lettore della mente?
“Non ho mai pensato questo” mentii spudoratamente “è semplicemente poco morale passeggiare con uno sconosciuto nel buio del bosco, tutto qui”. Le mie parole lo fecero ridere a crepapelle, tanto da arrivare alle lacrime. Dovette fermare il proprio cavallo per non perdere il controllo.
“La cosa vi diverte?” domandai, infastidita e quasi offesa da quella reazione esagerata. Non avevo avuto intenzione di essere presa così poco sul serio, nel pronunciare quelle parole.
“Decisamente sì, Celeste, decisamente sì” continuò a sghignazzare “in primo luogo io non sono uno sconosciuto. Voi sapete chi sono io e io so chi siete voi, ci siamo presentati ieri, ricordate?”. Non ebbi tempo di controbattere a questa inutile obiezione che continuò “secondo, la morale non mi ha mai interessato granché. E nemmeno a voi, dato che avete accettato così di buon grado di venire con me. Per non parlare poi di ieri: una ragazza del suo rango, se avesse avuto della morale, non sarebbe mai andata alla Messa del paese, mescolandosi con dei popolani, pur di non rimanere rinchiusa in casa”.
Colpita e affondata. Rimasi in silenzio ad incassare il colpo per un bel po’ di tempo, dopo aver ripreso a trottare lungo il sentiero affiancati. Nel suo volto una nota di soddisfazione nell’avermi zittita mi infastidiva terribilmente, senza un apparente motivo valido.
“Per quale motivo mi avete chiesto di passeggiare insieme?” domandai, infine. Fu l’unica domanda che mi venne in mente e che mi permise di non mantenere quel silenzio che lo rendeva così fiero di se stesso. Mi guardò sorridente e alzò le spalle. “Puro corteggiamento” ammise, divertito, come se quella fosse la risposta più ovvia del mondo. Mi sentii improvvisamente stupida ed inesperta. Ed al tempo stesso puramente soddisfatta ed onorata di tutte quelle intenzioni.
“Ma voi stesso avete appena detto che della morale non v’interessa nulla, che bisogno c’è di seguire i cliché della società?” proseguii, cercando di riprendermi. Arrestò il cavallo nuovamente ed io lo imitai. “Touchè, madamoiselle” sorrisi nell’ascoltare nuovamente quel suo buffo accento francese. “Questione di cavalleria mia cara, non di morale, né tantomeno di cliché” concluse, con un tono suadente.
Maggiore era il tempo che passavo in sua compagnia, maggiore era il grado di assuefazione che mi comportava la sua presenza. Per il resto del tempo trascorso insieme lasciai che mi parlasse tranquillamente senza stuzzicarlo o senza controbattere in modo acido. Il suo blando metodo di corteggiamento mi rendeva euforica, nonostante non lo dessi a vedere: era la prima volta in vita mia che mi relazionavo con un ragazzo che non facesse parte della mia servitù, nonché la prima volta che venivo stregata in modo tale da qualcuno. Quella sorta di attrazione psicofisica che provavo nei suoi confronti era appagata dalla consapevolezza che quel ‘sentimento’ fosse ricambiato, sempre se di sentimento si potesse parlare.
Sentire il rintocco delle campane provenire dal paese mi fece tornare alla realtà. Erano già le cinque, ed io dovevo tornare immediatamente a casa. Galoppammo fino al limite del bosco, dove ricominciava la radura. Nessuno dei due, però, ebbe il coraggio di varcare quella soglia, consapevoli che, una volta tornati alla luce, sarebbe terminato l’idillio di quel pomeriggio meraviglioso.
“Quando potrò rivedervi?” mi domandò, con un filo di voce. Con un’abile mossa di redini si avvicinò. “Non saprei, è difficile fare previsioni sugli accordi altalenanti concessimi dai miei genitori” replicai, insoddisfatta io stessa delle mie stesse parole. “Vi scriverò, allora, in attesa di potervi rivedere” tornò a sorridere. Mi incantai nuovamente sui suoi occhi, come avevo fatto all’incirca per tutto il tempo trascorso in sua compagnia. “Sarò lieta di rispondervi” gli sorrisi.
Senza lasciarmi tempo di fare alcunché allungò un braccio verso di me e mi prese il mento. “Alla faccia dei clichè” disse con tono beffardo, avvicinandomi a sé con vigore.
I brividi mi assalirono come se fossi appena stata morsa da un serpente dal veleno letale. Incapace di fare qualsiasi cosa lasciai che facesse ciò che più gli aggradava, non avendo la più pallida idea di come ci si comportasse in tali situazioni. Mi sentivo come un agnello che si sacrificava di sua spontanea volontà al proprio predatore.
Mi lasciai baciare senza opporre resistenza alcuna. Sentivo il cuore battere precipitosamente nel petto, entusiasta di provare una nuova esperienza esaltante come quella. Per una volta anche la mia mente si annebbiò totalmente, lasciando che l’istinto prevalesse sulla ragione.
Quando Don Juan mi lasciò, mi scoprii quasi abbracciata a lui, con le mani imprigionate fra i suoi capelli. Tornai composta ed arrossii. “Siete una sorpresa continua” si burlò di me, ridacchiando, e con una mossa veloce fece ripartire il cavallo verso il fitto del bosco.
Leggermente intontita tornai nella radura, con la mente ancora annebbiata e il cuore molto vicino al voler uscire dallo sterno. Non trovando la mia dama da compagnia in quel piccolo appezzamento erboso iniziai a chiamarla. Era tardissimo: il tempo in compagnia di lui era terribilmente volato in un soffio. Non ricevendo alcuna risposta da parte di Letitia iniziai a preoccuparmi: l’avevo lasciata sola in compagnia del servo di Don Juan Tenorio, poteva esserle accaduta qualunque cosa. Iniziai a sentirmi in colpa e il batticuore di poco prima si tramutò in una vera e propria tachicardia dovuta al terrore che le fosse successo qualcosa di terribile.
Continuai a chiamarla, quasi in lacrime, finché non sbucò da dietro un cespuglio, al limite fra la radura ed il boschetto. I suoi corti capelli corvini erano completamente fuori posto, scompigliati come se si fosse trovata nel bel mezzo di una bufera. Anche il suo abito era stropicciato, fuori posto, e sporco di terra. Nella mia mente passarono in rassegna svariati pensieri terribili: immaginai che il servo del mio cavaliere avesse tentato di farle qualcosa e lei, nel tentativo vano di fuggire, fosse inciampata a terra. Ma era quasi evidente che probabilmente non le era accaduto nulla di tutto ciò che temevo: il sorriso stampato sulle sue labbra dissipò una buona parte delle mie preoccupazioni.
“Dove eri finita? È mezz’ora che ti chiamo!” la rimproverai duramente, anche se dentro di me un enorme peso si era volatilizzato. La raggiunsi a passo di cavallo. “Ero solo andata a prendere un po’ di fresco e mi sono addormentata, perdonatemi” si scusò. Corse verso il proprio cavallo e montò su.
Quando si avvicinò nuovamente notai alcune macchie di sangue che le sporcavano il vestito. “Leti, stai sanguinando! Cosa ti è successo?” mi preoccupai, pervasa nuovamente dai sensi di colpa. Notando lei stessa quelle macchie alzò le spalle, come se nulla fosse. “Ricardo” si limitò a pronunciare, e fece partire Arco Iris alla volta del palazzo. Diedi un colpo di briglie a El Dorado e la raggiunsi in pochi istanti. “Cosa vuol dire “Ricardo”? Ti ha fatto del male? Sapevo che non avrei dovuto lasciarti sola con uno stupido servo invaso dai più bassi desideri! Scusami Leti, davvero”. Si limitò nuovamente a sorridere e a fare segno di no con la testa.
Continuai a farle domande su domande per tutto il resto del tragitto. Sembrava come se la preoccupazione per lei avesse totalmente cancellato dalla mia testa i bei momenti appena trascorsi.
“Celeste, davvero, non è accaduto nulla. O almeno… nulla di tragico come voi credete!” rispose infine, quando eravamp già quasi a casa. Le scongiurai di essere meno criptica e, in tutta risposta, alzò gli occhi al cielo, come se fossi una povera sciocca alla quale vada spiegato sempre tutto chiaramente.
“E’ successo, Celeste, è successo. Non come succede nei libri, come raccontano i poeti, ma è successo” ammise sospirando, liberata di un enorme peso che non riusciva più a tenere dentro, data la mia insistenza.
Rimasi letteralmente senza parole. Io credevo di aver superato ogni limite della decenza nell’aver contraccambiato il bacio di uno sconosciuto –perché sì, per quanto le teorie di Don Juan fossero allettanti, per me era pur sempre uno sconosciuto- e lei… lei aveva lasciato succedere l’indicibile.
“Ma Leti… sei pazza? Ti ha presa con la forza? Ti ha costretta?” domandai balbettando. Immaginare una tale violenza nei confronti della mia amica mi fece rabbrividire. Anche solo il pensiero dell’indicibile mi metteva in soggezione. Non era di certo un argomento di conversazione usuale, né era una situazione che mi era mai balzata per la mente.
“Perché dite così? Ricardo è un bravo ragazzo, credo di essere innamorata di lui!” replicò senza esitazioni.
“Innamorata? Vi conoscete a malapena da due ore, come fai a pensare di essere innamorata di lui” tornai a rimproverarla come fossi la sua mamma. “Da questa mattina, in realtà” mi corresse, facendo spallucce. Si comportava come se fosse tutto assolutamente ovvio.
Le sue parole mi permisero di collegare ogni avvenimento di quella giornata senza troppa difficoltà. Avrei dovuto capire tutto molto prima. Avrei dovuto immaginare che quella fosse tutta una sua architettura per poter rivedere il suo ‘amato’. Il modo in cui parlavano sulla radura, poco prima, avrebbe dovuto lasciarmi intendere tutto questo molto prima.
“Mi hai chiesto di passeggiare con te questo pomeriggio solo per poterlo rivedere?” la accusai, sconvolta da questo suo insolito comportamento arrivista.
Scosse la testa, decisa, con un’espressione più che dispiaciuta. “E’ stato Don Juan Tenorio, il suo padrone, ad organizzare tutto questo. Io ho solo eseguito ciò che mi era stato richiesto, senza doppi fini. L’ho fatto per voi, Celeste: credevo che quell’uomo vi piacesse; vi avrei portata qui in ogni caso, anche se non ci fosse stato nessun Ricardo a fare da interlocutore” cercò di spiegarmi nel miglior modo possibile.
“Anche se mi piacesse Don Juan non lascerei mai che una cosa simile accada al nostro secondo incontro. Né tantomeno credo di essere innamorata di lui dopo solo due volte che lo vedo e che ci parlo. Tu ti sei donata a quel servo pur conoscendolo da un giorno a malapena. Che fine ha fatto l’amore dei libri che tanto cercavi? Dov’è finita la Letitia che attende che un principe la venga a salvare?”.
“Celeste, io sono una semplice dama di compagnia, nessun principe verrà mai a salvarmi. Voi siete la ragazza nobile, di buona famiglia, che può aspirare ad un marito facoltoso, ricco e appassionato, non io. Ricardo è la cosa più vicina ad un principe che io possa permettermi e, sì, credo di amarlo. E credo che anche lui mi ami. Non sono così sciocca da andare col primo che passa, non ho mai avuto il pensiero di perdere il mio onore con un uomo qualsiasi. È stato un colpo di fulmine per entrambi, esattamente come quello di Lancillotto e Ginevra. Non avete mai criticato la loro storia d’amore, perché ora vi ostinate a rimproverare la mia?”
La sua argomentazione impeccabile mi lasciò nuovamente senza parole. Per quanto le volessi bene, non potei fare a meno di provare una nota di disgusto per ciò che aveva fatto, per come si era comportata. La storia di Lancillotto e Ginevra era una favola, era fantasia. La realtà era ben diversa.
“Ti sei cacciata in un bel guaio. Non voglio essere messa in mezzo se qualcuno ti dovesse chiedere come tu ti sia ridotta così” puntualizzai.
Varcammo l’enorme portone in legno che limitava il palazzo dal ‘mondo di fuori’ e ci dirigemmo verso la scuderia. Miguel ci raggiunse di corsa, domandandoci come fossero andate le nostre ore di libertà. Non che gli interessasse davvero, è chiaro. Squadrò da capo a piedi Letitia che con un sorrisetto innocente si dileguò da ogni suo sguardo e si precipitò all’interno del castello.
Esterrefatta dal suo comportamento rimasi nella stalla per un po’, dando una mano allo scudiero a togliere la sella e strigliare il mio amato El Dorado. I suoi occhi color nocciola mi fissavano severi. “Ho forse esagerato?” gli chiesi non appena fui certa che Miguel non mi sentisse. Mi avrebbe presa per pazza se solo mi avesse sentito parlare col mio cavallo. Il purosangue continuava a fissarmi; ero certa che quello sguardo fosse il suo modo per rispondermi, per rimproverarmi per la mia reazione esagerata. “Dovrei scusarmi con lei. Dopotutto anch’io ho combinato un bel pasticcio con Don Juan…” continuai. Le sue orecchie si mossero velocemente indietro e in avanti, mentre con la zampa anteriore batteva a terra, producendo un gran baccano. Gli carezzai il muso, ringraziandolo, e corsi verso le stanze.
Corsi lungo il corridoio e trovai Letitia intenta a discutere con Anton. La stava rimproverando, ed ero certa che il motivo fosse il suo aspetto ambiguo e poco consono. Il viso di lei era mortificato ed era chiaro che non riuscisse a dare una giustificazione all’accaduto. Li raggiunsi a grandi passi.
“Leti, ti senti un po’ meglio? Cosa ci fai ancora in piedi, ti avevo detto di andare a riposare” le dissi non appena fui a pochi passi dai due. Lei mi guardò dubbiosa, ma ad un mio cenno non disse nulla. “Cosa succede qui?” chiesi ad Anton, che nel frattempo si era semi inchinato al mio arrivo. “Letitia non vuole raccontarmi come è accaduto tutto questo” disse rigido, indicandola da capo a piedi. Il suo sguardo severo quasi terrorizzò anche me, e non osai immaginare cosa sarebbe potuto accadere alla mia povera amica se non fossi arrivata al momento giusto. “Leti, so che ti vergogni, ma devi dirlo ad Anton” quasi la rimproverai. Dopodiché mi rivolsi nuovamente al maggiordomo “E’ caduta da cavallo mentre facevamo una gara di corsa. Credo sia imbarazzata ad ammetterlo: dopotutto riuscire a cadere dalla groppa di Arco Iris è davvero un affare difficile! E le corse non sono una prerogativa di noi donne, ma per questo dovreste prendervela con me: è stata mia l’idea” inventai di sana pianta, cercando di essere il più convincente possibile.
Notando che il cipiglio severo di Anton iniziava a cambiar forma mi tranquillizzai. Aveva creduto alla mia bugia senza problemi. “Vai a riposare, ci vediamo dopo cena nella mia stanza” ordinai alla mia dama di compagnia che, con uno sguardo riconoscente e quasi commosso, obbedì immediatamente, dileguandosi dietro l’angolo.
Evitai qualsiasi genere di discussione con Anton e anch’io mi chiusi nella mia stanza. Rimasi a fissare il soffitto finché non venni chiamata per la cena, circa un paio d’ore più tardi.
Come di routine i miei genitori erano già posizionati e non appena mi sedetti a tavola ricominciarono con le loro solite preghiere. Stavolta non li seguii, mi limitai a fissare il piatto vuoto di fronte a me, cercando di non farmi notare. Una volta giunte le portate iniziarono con la loro solita conversazione senza senso. Come sempre era come se non notassero nemmeno minimamente la mia presenza. Se fossi stata da tutt’altra parte probabilmente a loro non sarebbe cambiato nulla. Presumibilmente non si sarebbero nemmeno accorti della mia assenza. Non mi chiesero nulla riguardo la mia passeggiata. Sembrava che le ulteriori notizie riguardo al suicidio di quella povera ragazza fosse molto più interessante della giornata della loro unica figlia. Durante la giornata, durante quelle che mi erano parse ore interminabili ma fugaci, avevano avuto modo di informarsi ulteriormente riguardo l’accaduto, ed ora non potevano fare a meno di scambiarsi informazioni.
Li lasciai fare. Non m’importava granché delle loro attenzioni, né tantomeno del loro argomento di conversazione. Fissare senza toccare ciò che avevo nel piatto appariva molto più interessante. Sentivo ancora le labbra calde di Don Juan sulle mie, tanto che il terrore di mangiare qualsiasi cosa che potesse togliermi quella piacevolissima sensazione di dosso mi pervase. Lasciai le posate al loro posto, tanto nessuno si sarebbe accorto che non avevo toccato cibo.
“Celeste” mi chiamò mio padre. Sussultai. Ero talmente assorta nei miei pensieri –e in quegli occhi verdi che avevo stampato nella memoria- che mi spaventò. Mugolai interdetta quando tornai alla realtà, e mi voltai verso mio padre che mi fissava con in mano il suo bicchiere di vino. “Ho parlato con Don Diego Hortega questo pomeriggio” mi informò. Annuii, come se la cosa mi interessasse. Io avevo parlato con Don Juan Tenorio, e allora? “E’ disperato dalla morte della sua promessa sposa, ma mi ha chiesto di te. Mi ha chiesto la tua mano”. Mia madre fece un urlettino compiaciuto ed iniziò a battere le mani soddisfatta.
“Si consola facilmente” asserii, atona. “Spero che voi gli abbiate detto di no, padre” lo supplicai.
Fece di no con la testa, proprio come temevo. “Don Diego è un uomo molto facoltoso, è stato davvero un onore per me ricevere una tale richiesta” sostenne, sornione. Era orgogliosissimo di ciò che era accaduto.
“A me non interessa che sia un uomo facoltoso, non voglio sposarmi con un uomo solo perché la sua vera promessa sposa si è suicidata poco prima delle nozze!” urlai, furiosa.
Entrambi mi sgridarono per i miei toni accesi. Non era mia abitudine comportarmi in quel modo con loro.
“Non è una tua scelta, Celeste. Tuo padre gli ha concesso la tua mano e la sua parola. Dopodomani, durante il funerale della ragazza vi conoscerete e ne parlerete insieme” mi rimproverò mia madre, dura come al suo solito.
“Ma io…” “Non è una tua scelta. Smettila di lamentarti”.


Angolo autrice:
Finalmente eccoci entrati nel vivo della storia! Come avrete notato ho deciso di pubblicare un capitolo a settimana, quindi ogni mercoledì. Spero di riuscire a mantenere il ritmo.
Ma veniamo a noi: cosa ne pensate? Non siate timidi, scrivetemi qualsiasi cosa. Anche un 'mi fa schifo' è ben accetto, purchè mi diate pareri a riguardo.
Un bacione a tutti,
J.

   
 
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