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Autore: The queen of darkness    26/04/2013    1 recensioni
Quando la vita presenta ghirigori stranissimi prima di donare una felicità assoluta.
( questa storia è stata precedentemente cancellata per motivi di formattazione. Vi chiedo di portare pazienza; i capitoli verranno ricopiati e la storia procederà con lo sviluppo ideato precedentmente. scusate per il disagio.)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Se c’era una cosa che apprezzava di Hotch era la sua efficienza. Si poteva dire tutto di lui, ma non che non fosse un tipo puntuale e che, com’era prevedibile, non si aspettasse lo stesso dai suoi collaboratori.
Eva non avrebbe mai potuto ringraziarlo abbastanza per aver impedito a Reid di accampare qualche stupida e tremolante scusa: sarebbe stato un evento imbarazzante e a dir poco fuori luogo. Era riuscita a recarsi in aereoporto prima ancora che lui tornasse da dov’era stato, riuscendo ad avere un largo anticipo sulla sua apparizione.
Mentre aspettava la squadra al completo, aveva avuto modo di intrattenere una splendida chiacchierata con Rossi e Prentiss, ai quali si era presto unita anche JJ. Era stato difficile per la collega italiana fare commenti sul fascino perduto degli amanti mediterranei, e con l’arrivo di Morgan le cose erano peggiorate; poi l’attenzione era stata sviata sul suono della lingua, sulla grammatica e sulla disorganizzazione statale che dilagava nel bel paese.
Il tempo era trascorso piacevolmente, facendole quasi dimenticare la minaccia sottoforma di ragazzo che poteva piombarle addosso ad ogni angolo; alla fine era stata lei a cedere, ma non aveva avuto voglia di dilungarsi troppo. Si era fatta strappare la promessa di avere una conversazione in merito una volta risolto il caso davanti una tazza di caffè a casa sua, e l’educazione di Reid l’aveva lasciata in pace per il resto del tempo. Aveva smesso d’insistere o di tentare di parlarle, fortunatamente, perché sarebbe stato straziante doverlo evitare per tutta a durata della trasferta.
Così, dopo aver esibito il proprio tesserino un centinaio di volte e aver stretto la mano al prossimo responsabile delle sue nausee meglio conosciuto come “pilota”, si era ritrovata immersa nel lusso più sfrenato che potesse immaginare, soprattutto parlando di FBI. I sedili in pelle beige erano la cosa più comoda che avesse mai visto, l’angolo per le bevande si poteva facilmente chiamare paradiso e i tavoli bassi in legno scuro, lucidissimi, erano stati studiati per essere perfettamente bilanciati all’altezza degli schienali.
Decise di non fare commenti, accomodandosi in un angolo abbastanza tranquillo, lontana dal finestrino: fissare il cielo capovolgersi non l’avrebbe certo aiutata a sentirsi meglio.
Se doveva essere onesta, le dispiaceva molto aver lasciato Garcia alla centrale, perché era una donna con cui era facile stringere amicizia. Tuffandosi nel mondo dell’orrore come stava per fare avrebbe di sicuro avuto bisogno di un tocco di colore, di una battuta spiritosa o del suo famoso caffè al caramello, che non aveva ancora avuto modo di assaggiare. Sapendo dove fosse solita lavorare mentre loro si godevano il lusso di un jet privato la faceva sentire quasi in colpa; quello stanzone senza finestre e con schermi che proiettavano immagini lugubri aveva rischiato di farle venire un attacco di calustrofobia anche solo per i pochi minuti in cui gliel’aveva fatto vedere.
Capiva anche che Garcia era un elemento fondamentale per la squadra, e che sarebbe stata molto più utile a Quantico che non altrove. Era lei a garantire loro un modesto pernottamento, era lei che avvisava le autorità locali, era lei che effettuava i controlli, era lei che si occupava della documentazione, era lei che evitava loro di cercare fra migliaia di fogli gli interrogatori che i sospettati galeotti avevano fatto. Insomma, risultava fondamentale in molti passaggi delle indagini e si manteneva in perenne collegamento con loro tramite telefono, mail o webcam, rivoluzionando interamente la sua idea di tecnologia.
In quel momento, non appena Hotch ebbe posizionato al centro di un tavolo un portatile acceso, spuntò il suo sorriso solare a rinfrescare l’atmosfera dell’aereo.
-Salve, splendori! – salutò allegramente, beccandosi una battuta focosa da Derek. Dopo aver risposto in modo altrettanto spiritoso e irriverente, passò alle cose importanti, facendosi seria. –Prima di sparire volevo avvertirvi che nei vostri foglietti c’è tutto quanto quello di cui avete bisogno: foto, rapporti del coroner, modus operandi, orari e luoghi del ritrovamento….divertitevi! – mandò un bacio contro la telecamera poco prima che lo schermo implodesse, lasciandoli con i propri pensieri.
Da quel che le avevano spiegato, la donna lasciava loro il tempo di fare congetture e, in quel caso, il viaggio avrebbe assorbito anche lo spazio che di solito veniva dedicato al caso in centrale.
Emily aprì il proprio fascicolo per prima, scorrendo velocemente le pagine. –Quattro donne attorno ai vent’anni, corporatura media, prostitute – sentenziò, forse analizzando le foto a fronte.
Hotch annuì. –Vittime ad alto rischio; forse facevano parte della sua frequentazione.
Rossi lo guardò. –Credi che un sadico sessuale aggredisca persone con cui interagiva abitualmente?
L’altro uomo annuì, per poi alzare un sopracciglio. –Perché non dovrebbe?
L’agente alzò le spalle, tornando a guardare i fogli, dicendo solamente: -Congetture -. Eva non osava interrompere, e lanciò una fugace occhiata a Reid, seduto a pochi sedili di distanza da lei, con le gambe accavallate e l’espressione assorta: stava focalizzando così intensamente la sua attenzione su quei fascicoli che non si sarebbe stupita di vedere la carta sciogliersi.
Era diventato un ragazzo davvero bellissimo, dal vestiario classico e sobrio: in quel momento i capelli pettinati per modo di dire cadevano flosci sulla sua fronte, e gli occhi scuri brillavano d’intelligenza. La fronte alta era del tutto esposta, e l’incarnato pallido pareva splendere. Prima che potesse alzare lo sguardo, Eva decise di tornare al presente, per non distrarsi ulteriormente.
-Sono tutti vicoli ciechi, in una città dove il tasso di prostituzione è alto… - stava commentando Morgan. Dietro quella frase di poteva quasi sentire il muoversi degli ingranaggi nella sua testa.
-È vero – osservò JJ, - e questo non fa che allargare il campo -. Era stata l’unica, fra tutti i presenti, a non aver voluto aprire il plico e guardare le foto, ma Eva poteva capirla; una delle donne le assomigliava davvero moltissimo.
Hotch passò su un altro foglio, facendo una smorfia come per confermare le sue parole. Eva si concentrò sul primo scatto: ritraeva un cadavere freddo e bianco, i cui occhi vitrei fissavano un punto oltre il campo ripreso dalla camera. Al collo c’erano dei segni bluastri, e alcune ciocche di capelli d’un biondo sporco ricadevano flaccidamente sulla bocca semi-aperta o sulle guance esangui, esageratamente truccate.
L’unica cosa che apprezzò fu che non c’era sangue, non in quell’inquadratura. Sembrava fosse un’istantanea qualsiasi, forse un po’ lugubre, ma non esageratamente rossa. Come prima volta poteva dirsi soddisfatta, anche se non era il primo cadavere che vedeva.
-Tu che ne pensi, Eva? – chiese Hotch, distrattamente. Anche se appariva frettoloso in realtà non lo era affatto, e quella curiosità dissimulata con pura cortesia per inserirla nel giro delle opinioni era in realtà un modo come un altro per testare le sue capacità. Se meritava quel lavoro lo avrebbe scoperto dopo quel momento.
Si prese un attimo per riflettere: lasciò che i propri occhi cercassero ogni dettaglio, si colmassero del terrore della vittima, ne diventassero parte, si mise nella prospettiva del carnefice, colse le sue mosse e le riprodusse sul cadavere che aveva di fronte. Il resto del mondo venne del tutto cancellato.
-Secondo il mio parere si tratta di un uomo, difficile però determinarne l’età. Da ciò che dice il referto del medico legale, vi sono state diverse pugnalate nella zona pubica, il che potrebbe indicare impotenza; se è un fattore fisico dovuto ad un incidente, potrebbe essere connesso al fattore di stress. Non ha compiuto il suo crimine interamente nel vicolo, come dimostra l’assenza di traccie di sangue, e… - spremette le proprie meningi cercando un fattore che le stava sicuramente sfuggendo -…il fil di ferro usato per strangolarle è sicuramente un arma occasionale; viene solitamente usato per le recinzioni quando vi sono rifiuti speciali, o discariche. Nelle vicinanze del luogo del ritrovamento, però, vi sono dei fattori comuni molto interessanti.
-La presenza delle stazioni di polizia – disse Hotch, incoraggiandola a continuare. Nella stanza era calato un silenzio di piombo, che la ragazza non si accorse di infrangere.
-Esatto.
Derek intervenì esponendo una propria teoria. –Sembra voler esibire quello che fa, come se volesse sfidare la polizia. Erano tutte morte da poco, in fondo.
Eva si schiarì leggermenta la voce, imbarazzata all’improvviso: -Se posso permettermi, io credo che si tratti più di una consegna.
Rossi alzò lo sguardo. –Consegna?
-Esatto – confermò la ragazza. –Questa cosa mi suggerisce due ipotesi: o vuole ripulire le strade e giustificare così i propri omicidi, oppure vuole solamente appagare un bisogno di attenzione, di riconoscimento, facendole trovare subito.
L’uomo sorrise, forse intuendo che non era tutto: -E tu per cosa opti?
-Trattandosi di un sadico sessuale, violento, irascibile, organizzato e pieno di disprezzo fin sopra i capelli trovo che la seconda sia più verosimile.
-Ottima teoria – commentò Derek, in un complimento asciutto che era nient’altro che una semplice considerazione. Era poco, ma le pareva pur sempre un progresso. L’agente più anziano si riappoggiò compiaciuto sullo schienale chiaro, mentre Prentiss e Hotch chiarivano gli ultimi dettagli relativi al caso.
Eva si sentiva come una ragazzina alla prima cotta: non le pareva vero di aver trionfato in così breve tempo e di aver fatto una buona impressione, anche se magari a livello ridotto. Anche se non la ritenevano una brava persona, le bastava che la rispettassero come agente. E poi, trovarsi in mezzo a persone tanto esperte in casi del genere era assolutamente una goduria:  fra teorie che fioccavano come fiocchi di neve e pareri esperti e fondati, si sentiva una bambina in un negozio di caramelle.
Per quanto doloroso fosse rivivere il proprio passato tramite casi sempre diversi, l’eccitazione della caccia al responsabile appagava totalmente il suo desiderio di giustizia, e le pareva quasi che una ferita nel suo animo si rimarginasse.
Per i minuti successivi, Reid espose in breve un profilo geografico affrettato che aveva messo a punto in quei momenti. Sparava dati e cifre con precisione assoluta, e Rossi stava prendendo appunti per non perdersi nulla; le sue spiegazioni in merito alle zone degli omicidi erano dettagliate e precise, ma davano un territorio spaventosamente largo come probabile contenitore dell’ S.I, ma era impossibile stringere ancora. Anzi, aveva aggiunto, forse era stato fin troppo restrittivo con i margini.
-Bene, per il momento può bastare – sentenziò Hotch, - adesso riposatevi, fra quattro ore ci sarà l’atterraggio.
Eva era sorpresa. Sei ore di volo, da quel che le avevano detto, e in quelli che le erano parsi pochi minuti si erano già consumate due ore, senza che lei se ne accorgesse. Presa com’era dal lasciarsi trasportare dalle teorie sul caso non si era nemmeno accorta dello scorrere del tempo, e avrebbe volentieri continuato ancora. Ma Hotch aveva ragione, rendendosi conto degli istanti trascorsi si sentì stanca e spossata, bisognosa di una tazza di caffè fumante. Le tempie pulsavano fastidiosamente, e aveva il timore che la nausea per il volo minacciasse di farle fare brutta figura.
Prese la borsa e vi frugò un po’ dentro. Gli agenti si erano velocemente dispersi: Emily e Morgan stavano chiacchierando seduti davanti ad un tavolo, mentre Rossi continuava a guardare, assorto, fuori dal finestrino. Il capo aveva appena finito di prendere qualcosa da bere, JJ fissava i fogli chiusi con espressione persa e Reid era scomparso dal suo campo visivo. Era sicura, però, che non avrebbe cercato di parlarle, come per tenere fede a ciò che aveva promesso riguardo ad una conversazione fatta bene in seguito.
Prese un flaconcino arancione da una tasca interna, dopo essersi smarrita fra gli anfratti di stoffa. Fece cadere una pastiglietta sul proprio palmo, sigillò di nuovo il contenitore e rimise via il tutto, sul sedile accanto al suo. L’amosfera frizzante e brulicante di ipotesi di pochi attimi prima era del tutto evaporata, facendoli apparire come fantocci del tutto svuotati dai loro sentimenti. Immaginò che per loro non doveva essere facile doversi scontrare di nuovo con qualche altro caso cruento, e ognuno lasciava all’altro il proprio tempo per riprendersi.
Reid superò il suo posto, lanciandole un’occhiata con la coda dell’occhio e sedendosi più avanti, dandole le spalle. Decise di ignorarlo; sbadigliò e appoggiò la mano davanti alla bocca, ingerendo in fretta la compressa candida.
-Cos’era? – chiese Hotch, spuntandole davanti. Quell’apparizione la sorprese e per poco non sputò fuori tutto, ma si costrinse a mantenere un contegno. Riuscì ad afferrare il flacone e glielo mise sotto agli occhi.
-Pastiglie per la nausea. Non ho mai avuto un buon rapporto con gli aerei – spiegò. Spostò la borsa per un tacito invito a sedersi, visto che era intenzione dell’uomo parlarle.
Sembrò tranquillizzarsi. Essendo stata lei vittima di abusi in passato forse temeva che fosse sotto cura di qualche psicofarmaco, indicazione che non era presente in nessun fascicolo sul suo conto. Eva era pulita, detestava assumere medicinali e quelle pastiglie sarebbero state le acerrime nemiche del suo mal di testa, ma nulla di più.
-Potevi avvertirmi. Caffè?
-Grazie – accettò la tazza fumante con entrambe le mani, sfiorandogli piano le dita in un movimento involontario. Aggiunse due cucchiaiate di zucchero, preferendo non usare il dolcificante. Forse Hotch si sarebbe spaventato a notare altre pastiglie.
Per un po’ non disse nulla, limitandosi ad osservarla. C’era una notevole differenza d’età, fra loro, ed era per questo che lei lo aveva esplicitamente invitato a darle del “tu”. Ovviamente lei non avrebbe mai ricambiato, per lo meno non nel primo periodo, e preferiva evitare di rivolgersi a lui direttamente, onde evitare troppa o troppo poca formalità.
L’inglese era una lingua estremamente ambigua da questo punto di vista, ed era molto difficile per lei modulare bene il tono e scegliere le parole giuste. L’italiano, per quanto intricato, su quest’aspetto era infinitamente meno complesso.
-Complimenti per prima – disse lui, prendendo un lungo sorso dalla sua tazza.
-Era un test, e mi piace superarli. Inoltre da oggi in poi sarà il mio lavoro.
-Ben detto – sentenziò, e da lì capì che il momento congratulazioni era finito. Di fatto, il capo sarebbe anche potuto andarsene, ma ormai che era lì entrambi trovarono saggio scambiare parole meno formali. Era un gioco a studiare i propri comportamenti, ma con due persone tanto abili era quasi impossibile prevedere o compiere delle mosse.
Eva fece una smorfia dopo aver preso la prima sorsata. Aggiunse un’altra bustina di zucchero. –Non credo mi abituerò mai al caffè americano.
Hotch sollevò le sopracciglia, riuscendo stranamente a mantenere un’espressione ancora indagatrice. –Troppo forte?
La ragazza scosse la testa, sorridendo. –Troppo annacquato. In Italia si beve in tazzine che non sono nemmeno un quarto di queste ed è molto più concentrato – spiegò.
-Non ci sono mai stato, in Italia – confessò Hotch, fissando le nuvole oscurate dalla notte fuori dal vetro.
-È un paese bellissimo, ma difficile da sopportare – ammise Eva. Si lasciò cullare dalla stanchezza e dal torpore, dimenticando per un momento che il giorno dopo le sarebbe aspettata una giornata intensa all’insegna della follia umana.
-Mi piacerebbe portarci mio figlio – aggiunse Hotch. Poi sorrise impercettibilmente, come se fosse restio a far trapelare qualcos’altro di sé. –Se le ferie me lo permettono.
La ragazza ridacchiò. –Se i serial killer lo permettono.
-Beh – commentò l’uomo, alzandosi con un sorriso divertito e appena accennato, - in effetti anche loro hanno una certa responsabilità in questo.
Fu l’ultima battuta della conversazione, Eva ne era certa. Avevano interagito e lui le aveva detto quello che doveva, quindi potevano dire di aver fatto tutto ciò che dovevano fare. Tuttavia, l’uno aveva guadagnato un paio di punti in più nella testa dell’altra, e viceversa.
-Buonanotte – disse Hotch.
-Buonanotte – rispose gentilmente Eva.
Anche se l’atmosfera invitava al sonno e l’aria si era fatta più rilassante, nessuno dei due riuscì a chiudere occhio.  
  
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