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Autore: bebe    16/11/2007    9 recensioni
Li abbiamo lasciati neo genitori ed in procinto di sposarsi. Li ritroviamo sposati ed alle prese con un incidente che ha cambiato le loro vite, rischiando di allontanarli definitavamente.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Dominic Monaghan, Orlando Bloom
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Era da un pò che pensavo a come continuare questa ff, cui sono particolarmente legata, visto che è la prima che ho scritto. Ho deciso di darle un taglio malinconico e drammatico, almeno all'inizio, con tutta l'intenzione di farla finire bene, ovviamente. Spero che questo cambio di registro non vi disorienti! In questo periodo il mio umore è un pò altalenante, ed anche ciò che scrivo ne risente! Ringrazio anticipatamente chi vorrà leggere e commentare. Buona lettura!

DIECI ANNI DOPO…


Orlando e Victoria si erano sposati ed avevano avuto tre figli: Emma, 12 anni, Joel, 10, e la piccola Delia, 6 anni. Lui, 44 anni, aveva messo su uno studio di architettura con Dom, mentre lei, 38, aveva lasciato il lavoro di avvocato per dedicarsi alla famiglia.
Il loro matrimonio aveva attraversato fasi altalenanti, come succede a tutte le coppie. Erano subentrate le preoccupazioni per i figli, qualche litigio, soprattutto dovuto al fatto che Orlando viaggiava spesso per lavoro e tutto incombeva su Vicky, ma per il resto erano una famiglia unita e felice.
Purtroppo, però, sei mesi prima una tragedia aveva sconvolto le loro vite e rischiava di distruggere il loro matrimonio. Era una domenica di giugno, le scuole erano da poco finite, la famiglia si era riunita per pranzare tutti insieme, con Colin, la madre di Vicky, suo fratello con moglie e figlio, Samantha e suo marito. Dopo pranzo, si erano trasferiti in giardino, per godersi la bella giornata. I bambini giocavano, si rincorrevano e si divertivano.
All’improvviso una brusca frenata e poi un tonfo sordo. Un balordo, un pirata della strada aveva investito una bambina, che stava provando la sua bicicletta nuova.
Era Delia. A niente servì la corsa all’ospedale.
Quella dolorosa e straziante perdita aveva sconvolto famiglia ed amici, che cercarono in tutti i modi e per quanto possibile di stare vicino ai genitori.
Ma il loro dolore era troppo forte e li stava allontanando sempre più. Victoria si era sforzata di reagire, sentiva di doverlo fare per Emma e Joel; ovviamente non riusciva ancora ad accettare la perdita, e forse non l’ avrebbe mai fatto, ma cercava di essere forte. Aveva anche cominciato a collaborare con un centro che accoglieva bambini e donne vittime di violenza, tanto per sentirsi utile ed indirizzare il dolore verso qualcosa di buono ed aveva partecipato ad alcuni incontri per familiari di vittime di incidenti stradali. Orlando, invece, si era come estraniato da tutti, si rifiutava di parlare di quello che era successo, si era buttato nel lavoro. L’unico suo chiodo fisso era riuscire a far condannare chi aveva investito la sua bambina: si trattava di un ragazzo di soli 22 anni, che si era messo al volante dopo aver assunto delle sostanze stupefacenti. Era come ossessionato dall’idea che fosse fatta giustizia. Victoria avrebbe voluto poter parlare con lui, condividere quel dolore che era anche suo, ma si trovava davanti un uomo completamente diverso, che aveva reagito in una maniera del tutto inaspettata. L’Orlando che conosceva non si arrendeva mai, era caparbio ed ostinato; ora , invece, era distaccato, distante, dilaniato dalla rabbia e dal bisogno di vendicarsi di qualcuno. Era come se avesse rinunciato a lottare. Stava sempre in ufficio e quando tornava a casa, mangiava con loro spiccicando a malapena qualche parola, poi si rintanava in studio a lavorare ancora. Inizialmente aveva soprasseduto, consapevole che ognuno di noi reagisce in maniera diversa e con tempi differenti. Ma la situazione non accennava a migliorare.
Non solo si era allontanato da lei, ma, cosa più importante, stava trascurando Joel ed Emma e questo non lo tollerava. Aveva portato pazienza, si era sforzata di capirlo, ma ormai non sapeva più come prenderlo. Pensò che la cosa migliore fosse rivolgersi ad un terapista di coppia, suggeritole dal fratello, specializzato nel trattare casi come il loro, che potesse aiutarli a superare insieme quel particolare momento.
Un mattina, dopo che Joel ed Emma avevano preso il pulmino per la scuola, mentre finivano di fare colazione, e prima che lui andasse in ufficio, pensò di parlargliene.
“Dovrei chiederti una cosa…”- esordì incerta Vicky.
Orlando alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo e rispose con tono incolore:
“Ti ascolto..”-
“Vorrei che sabato mattina venissi con me dal dottor Merkel…”-
“Chi?”-
“E’ un terapista, una persona seria…mio fratello me ne ha parlato molto bene…aiuta le persone che hanno subito perdite come la nostra ad elaborare il lutto…”- gli spiegò.
“Io non vengo da nessuna parte…”- concluse secco, dopodiché richiuse il giornale, si alzò e mise la tazzina nel lavandino, con la chiara intenzione di andarsene al più presto troncando la conversazione.
“Per favore…almeno andiamoci una volta…cosa ti costa tentare?”- gli disse, alzandosi ed avvicinandosi a lui.
“Non ho intenzione di parlare dei fatti miei ad un perfetto estraneo…se vuoi puoi andarci tu…”- ribadì.
“Almeno pensaci…credo che parlarne ti farebbe bene…”-
“Ti ho già detto che non ho niente da dire…a nessuno…”- rispose irritato.
“Neanche a me, vero? Ormai è come se non ci fossi…”- le scappò detto.
“Cosa c’entri tu ora? Stavamo parlando del terapista mi pare…”-
“C’entro, eccome se c’entro…Mi tratti come un’estranea..non mi parli, non mi dici niente…ti comporti come se fosse un dolore soltanto tuo, una cosa privata…anch’io sto male…e questo tuo atteggiamento rende tutto ancora più difficile, se possibile…”-
“Stai esagerando…”- rilevò lui.
“E’ la verità…io non ce la faccio più…pensi solo al lavoro…non ci sei mai..trascuri i ragazzi…non hai ancora visto una partita di pallone di tuo figlio ed Emma non sa cosa fare per attirare la tua attenzione…e trascuri me…stai alzato fino a tardi per lavorare al portatile, sembra che tu voglia evitare di venire a letto…e sembra quasi che ti infastidisca avermi vicino..”- lo riprese stizzita.
“Oh…è solo quello il problema? Se vuoi scopare basta dirlo…”-
Fu veramente troppo. Gli schioccò un sonoro ceffone, cercando di trattenere le lacrime.
“Sai proprio essere cattivo quando vuoi…”- gli disse fredda ed uscì.
Orlando sospirò a lungo. In fondo si rendeva conto che la situazione era pesante, sapeva bene quando andava oltre, ma era come se non riuscisse a fare diversamente, come se non avesse più la forza di cambiare le cose. Si limitava a vedere il suo mondo crollare pezzo dopo pezzo, senza fare niente per evitare la disfatta: ne era lo spettatore inerme, incapace di aiutarsi e di aiutare gli altri. Vedere che Victoria aveva reagito meglio di lui, aveva accentuato la sua condizione, spingendolo a chiudersi in se stesso, anziché invogliarlo a parlarne con lei. Sentiva un gran freddo dentro, era come svuotato, sfinito.


Al centro di accoglienza, Victoria non riusciva a non pensare a quanto accaduto poche ore prima. Non ritrovava più in Orlando l’uomo di cui si era innamorata e che aveva sposato; nei suoi occhi leggeva indifferenza, distacco, rabbia. Sembrava che ce l’avesse con il mondo e che volesse sfogarsi con chi gli stava intorno. Non c’era niente che potesse smuoverlo, fargli abbassare la guardia, era sempre più chiuso e taciturno. E non era certa di poter reggere ancora a lungo quella situazione.
Era persa in questi pensieri, quando bussarono alla porta del suo ufficio.
“Si…avanti…”- disse.
“Ciao…ti disturbo?”-
“No, David…entra pure…”-
David Geller era un suo collega, un avvocato che a sua volta svolgeva del lavoro pro -bono al centro, occupandosi prevalentemente di denunce per maltrattamenti e violenze domestiche. Era un uomo sulla quarantina, di bell’aspetto, alto, con i capelli castani e gli occhi azzurri; rimasto prematuramente vedovo, stava crescendo da solo sua figlia Alexis, di 8 anni. Tra lui e Victoria si era instaurato da subito un buon rapporto, tant’è che spesso riusciva a confidarsi con lui.
“Potresti dare un’occhiata a questi documenti quando hai tempo? Sono per la signora Spencer…finalmente si è decisa a denunciare l’ex marito…”- si fermò ad osservarla e notò che aveva l’aria stanca- “Ehi…tutto bene?”- le domandò.
“No…non va bene niente…”- ammise stancamente.
“C’entra tuo marito, vero?”-
“Stamattina abbiamo litigato…il che potrebbe anche essere positivo, visto che ultimamente mi rivolgeva a malapena la parola…ma è stato così odioso…Gli ho solo chiesto di andare insieme da un terapista…tanto per provare e vedere se può esserci utile, ma non ha voluto sentire ragioni…Poi sai come succede in questi casi…alla fine non ci ho visto più e gli ho detto tutto quello che penso…”- concluse.
“E lui? Cosa ti ha detto?..”-
“Che esagero…sembra che non si renda conto della situazione…Mi estromette, si comporta come se fosse un dolore soltanto suo…e quando inizierà il processo a quel ragazzo sarà anche peggio…”- continuò.
“Mi spiace..pensavo che col tempo si sarebbe riavvicinato a te…Cerca di pazientare ancora un po’, so che è difficile, ma non gettare la spugna…se fra qualche mese la situazione sarà invariata…prenderai i provvedimenti necessari…”- le suggerì.
“Dio…solo l’idea di separarmi mi mette l’angoscia…non tanto per me, ma per i ragazzi…ma anche andare avanti così non è possibile…”-
“Stai tranquilla, vedrai che si sistemerà tutto…”- la confortò l’amico.


Rientrata a casa nel primo pomeriggio, trovò in segreteria un messaggio di Orlando, che la avvisava che avrebbe tardato anche quella sera. Per niente sorpresa, sbrigò alcune faccende, passò l’aspirapolvere in salotto, mise un po’ d’ordine nelle camerette dei figli, poi uscì per fare la spesa ed andò a prendere Emma e Joel a scuola.
Tornati a casa, i ragazzi si misero a fare i compiti in cucina, mentre lei preparava la cena.
“Mamma…”- la richiamò Emma.
“Si tesoro..”-
“Ho finito…posso andare a giocare da Jenny?”- chiese.
“Va bene…ma mi raccomando, fra non più di due ore ti rivoglio a casa per cena, ok?”-
La lasciò andare, ma appena fu uscita, controllò dalla finestra. Jenny era la figlia dei loro vicini di casa, perciò Emma non avrebbe nemmeno dovuto attraversare la strada, ma ormai non riusciva a stare tranquilla.
Ritornò in cucina e vide che Joel era pensieroso. Gli si avvicinò premurosa, carezzandogli la testa e gli chiese:
“Che c’è campione? Ti sei bloccato sulle divisioni?”-
“No…ho quasi finito…”-
“Non ti senti bene?”- si sincerò.
“Mamma…papà non torna per cena?”- le chiese con la schiettezza tipica dei bambini.
E la prese decisamente in contropiede.
“Non so…forse farà tardi…ha molto da lavorare..”-
“E non viene a vedermi giocare domani?”- aggiunse.
“Sono sicura che farà il possibile per esserci amore…”- In realtà non ne era affatto certa, ma detestava vedere suo figlio così triste.
“Non ci vuole più bene?”- le domandò ancora.
“Perché dici così Joy?…Papà vi adora…”- lo rassicurò.
“Non gioca più con me…non è mai venuto alle partite…non è quasi mai a casa…”- osservò candidamente.
Come dargli torto? Aveva 10 anni, ma non era certo uno stupido.
“E’ solo un brutto periodo…ma passerà presto, vedrai…Si butterebbe nel fuoco per te e per tua sorella…Ora finisci i compiti”- e gli diede un bacio sulla fronte per tranquillizzarlo.










  
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