Era da un pò che pensavo a come continuare questa ff, cui sono particolarmente legata, visto che è la prima che ho scritto. Ho deciso di darle un taglio malinconico e drammatico, almeno all'inizio, con tutta l'intenzione di farla finire bene, ovviamente. Spero che questo cambio di registro non vi disorienti! In questo periodo il mio umore è un pò altalenante, ed anche ciò che scrivo ne risente! Ringrazio anticipatamente chi vorrà leggere e commentare. Buona lettura!
DIECI ANNI DOPO…
Orlando e Victoria si erano sposati ed avevano avuto tre figli: Emma,
12 anni, Joel, 10, e la piccola Delia, 6 anni. Lui, 44 anni, aveva
messo su uno studio di architettura con Dom, mentre lei, 38, aveva
lasciato il lavoro di avvocato per dedicarsi alla famiglia.
Il loro matrimonio aveva attraversato fasi altalenanti, come succede a
tutte le coppie. Erano subentrate le preoccupazioni per i figli,
qualche litigio, soprattutto dovuto al fatto che Orlando viaggiava
spesso per lavoro e tutto incombeva su Vicky, ma per il resto erano una
famiglia unita e felice.
Purtroppo, però, sei mesi prima una tragedia aveva sconvolto
le loro vite e rischiava di distruggere il loro matrimonio. Era una
domenica di giugno, le scuole erano da poco finite, la famiglia si era
riunita per pranzare tutti insieme, con Colin, la madre di Vicky, suo
fratello con moglie e figlio, Samantha e suo marito. Dopo pranzo, si
erano trasferiti in giardino, per godersi la bella giornata. I bambini
giocavano, si rincorrevano e si divertivano.
All’improvviso una brusca frenata e poi un tonfo sordo. Un
balordo, un pirata della strada aveva investito una bambina, che stava
provando la sua bicicletta nuova.
Era Delia. A niente servì la corsa all’ospedale.
Quella dolorosa e straziante perdita aveva sconvolto famiglia ed amici,
che cercarono in tutti i modi e per quanto possibile di stare vicino ai
genitori.
Ma il loro dolore era troppo forte e li stava allontanando sempre
più. Victoria si era sforzata di reagire, sentiva di doverlo
fare per Emma e Joel; ovviamente non riusciva ancora ad accettare la
perdita, e forse non l’ avrebbe mai fatto, ma cercava di
essere forte. Aveva anche cominciato a collaborare con un centro che
accoglieva bambini e donne vittime di violenza, tanto per sentirsi
utile ed indirizzare il dolore verso qualcosa di buono ed aveva
partecipato ad alcuni incontri per familiari di vittime di incidenti
stradali. Orlando, invece, si era come estraniato da tutti, si
rifiutava di parlare di quello che era successo, si era buttato nel
lavoro. L’unico suo chiodo fisso era riuscire a far
condannare chi aveva investito la sua bambina: si trattava di un
ragazzo di soli 22 anni, che si era messo al volante dopo aver assunto
delle sostanze stupefacenti. Era come ossessionato dall’idea
che fosse fatta giustizia. Victoria avrebbe voluto poter parlare con
lui, condividere quel dolore che era anche suo, ma si trovava davanti
un uomo completamente diverso, che aveva reagito in una maniera del
tutto inaspettata. L’Orlando che conosceva non si arrendeva
mai, era caparbio ed ostinato; ora , invece, era distaccato, distante,
dilaniato dalla rabbia e dal bisogno di vendicarsi di qualcuno. Era
come se avesse rinunciato a lottare. Stava sempre in ufficio e quando
tornava a casa, mangiava con loro spiccicando a malapena qualche
parola, poi si rintanava in studio a lavorare ancora. Inizialmente
aveva soprasseduto, consapevole che ognuno di noi reagisce in maniera
diversa e con tempi differenti. Ma la situazione non accennava a
migliorare.
Non solo si era allontanato da lei, ma, cosa più importante,
stava trascurando Joel ed Emma e questo non lo tollerava. Aveva portato
pazienza, si era sforzata di capirlo, ma ormai non sapeva
più come prenderlo. Pensò che la cosa migliore
fosse rivolgersi ad un terapista di coppia, suggeritole dal fratello,
specializzato nel trattare casi come il loro, che potesse aiutarli a
superare insieme quel particolare momento.
Un mattina, dopo che Joel ed Emma avevano preso il pulmino per la
scuola, mentre finivano di fare colazione, e prima che lui andasse in
ufficio, pensò di parlargliene.
“Dovrei chiederti una cosa…”-
esordì incerta Vicky.
Orlando alzò gli occhi dal giornale che stava leggendo e
rispose con tono incolore:
“Ti ascolto..”-
“Vorrei che sabato mattina venissi con me dal dottor
Merkel…”-
“Chi?”-
“E’ un terapista, una persona seria…mio
fratello me ne ha parlato molto bene…aiuta le persone che
hanno subito perdite come la nostra ad elaborare il
lutto…”- gli spiegò.
“Io non vengo da nessuna parte…”-
concluse secco, dopodiché richiuse il giornale, si
alzò e mise la tazzina nel lavandino, con la chiara
intenzione di andarsene al più presto troncando la
conversazione.
“Per favore…almeno andiamoci una
volta…cosa ti costa tentare?”- gli disse,
alzandosi ed avvicinandosi a lui.
“Non ho intenzione di parlare dei fatti miei ad un perfetto
estraneo…se vuoi puoi andarci tu…”-
ribadì.
“Almeno pensaci…credo che parlarne ti farebbe
bene…”-
“Ti ho già detto che non ho niente da
dire…a nessuno…”- rispose irritato.
“Neanche a me, vero? Ormai è come se non ci
fossi…”- le scappò detto.
“Cosa c’entri tu ora? Stavamo parlando del
terapista mi pare…”-
“C’entro, eccome se c’entro…Mi
tratti come un’estranea..non mi parli, non mi dici
niente…ti comporti come se fosse un dolore soltanto tuo, una
cosa privata…anch’io sto male…e questo
tuo atteggiamento rende tutto ancora più difficile, se
possibile…”-
“Stai esagerando…”- rilevò
lui.
“E’ la verità…io non ce la
faccio più…pensi solo al lavoro…non ci
sei mai..trascuri i ragazzi…non hai ancora visto una partita
di pallone di tuo figlio ed Emma non sa cosa fare per attirare la tua
attenzione…e trascuri me…stai alzato fino a tardi
per lavorare al portatile, sembra che tu voglia evitare di venire a
letto…e sembra quasi che ti infastidisca avermi
vicino..”- lo riprese stizzita.
“Oh…è solo quello il problema? Se vuoi
scopare basta dirlo…”-
Fu veramente troppo. Gli schioccò un sonoro ceffone,
cercando di trattenere le lacrime.
“Sai proprio essere cattivo quando
vuoi…”- gli disse fredda ed uscì.
Orlando sospirò a lungo. In fondo si rendeva conto che la
situazione era pesante, sapeva bene quando andava oltre, ma era come se
non riuscisse a fare diversamente, come se non avesse più la
forza di cambiare le cose. Si limitava a vedere il suo mondo crollare
pezzo dopo pezzo, senza fare niente per evitare la disfatta: ne era lo
spettatore inerme, incapace di aiutarsi e di aiutare gli altri. Vedere
che Victoria aveva reagito meglio di lui, aveva accentuato la sua
condizione, spingendolo a chiudersi in se stesso, anziché
invogliarlo a parlarne con lei. Sentiva un gran freddo dentro, era come
svuotato, sfinito.
Al centro di accoglienza, Victoria non riusciva a non pensare a quanto
accaduto poche ore prima. Non ritrovava più in Orlando
l’uomo di cui si era innamorata e che aveva sposato; nei suoi
occhi leggeva indifferenza, distacco, rabbia. Sembrava che ce
l’avesse con il mondo e che volesse sfogarsi con chi gli
stava intorno. Non c’era niente che potesse smuoverlo, fargli
abbassare la guardia, era sempre più chiuso e taciturno. E
non era certa di poter reggere ancora a lungo quella situazione.
Era persa in questi pensieri, quando bussarono alla porta del suo
ufficio.
“Si…avanti…”- disse.
“Ciao…ti disturbo?”-
“No, David…entra pure…”-
David Geller era un suo collega, un avvocato che a sua volta svolgeva
del lavoro pro -bono al centro, occupandosi prevalentemente di denunce
per maltrattamenti e violenze domestiche. Era un uomo sulla quarantina,
di bell’aspetto, alto, con i capelli castani e gli occhi
azzurri; rimasto prematuramente vedovo, stava crescendo da solo sua
figlia Alexis, di 8 anni. Tra lui e Victoria si era instaurato da
subito un buon rapporto, tant’è che spesso
riusciva a confidarsi con lui.
“Potresti dare un’occhiata a questi documenti
quando hai tempo? Sono per la signora Spencer…finalmente si
è decisa a denunciare l’ex
marito…”- si fermò ad osservarla e
notò che aveva l’aria stanca-
“Ehi…tutto bene?”- le domandò.
“No…non va bene niente…”-
ammise stancamente.
“C’entra tuo marito, vero?”-
“Stamattina abbiamo litigato…il che potrebbe anche
essere positivo, visto che ultimamente mi rivolgeva a malapena la
parola…ma è stato così
odioso…Gli ho solo chiesto di andare insieme da un
terapista…tanto per provare e vedere se può
esserci utile, ma non ha voluto sentire ragioni…Poi sai come
succede in questi casi…alla fine non ci ho visto
più e gli ho detto tutto quello che
penso…”- concluse.
“E lui? Cosa ti ha detto?..”-
“Che esagero…sembra che non si renda conto della
situazione…Mi estromette, si comporta come se fosse un
dolore soltanto suo…e quando inizierà il processo
a quel ragazzo sarà anche peggio…”-
continuò.
“Mi spiace..pensavo che col tempo si sarebbe riavvicinato a
te…Cerca di pazientare ancora un po’, so che
è difficile, ma non gettare la spugna…se fra
qualche mese la situazione sarà
invariata…prenderai i provvedimenti
necessari…”- le suggerì.
“Dio…solo l’idea di separarmi mi mette
l’angoscia…non tanto per me, ma per i
ragazzi…ma anche andare avanti così non
è possibile…”-
“Stai tranquilla, vedrai che si sistemerà
tutto…”- la confortò l’amico.
Rientrata a casa nel primo pomeriggio, trovò in segreteria
un messaggio di Orlando, che la avvisava che avrebbe tardato anche
quella sera. Per niente sorpresa, sbrigò alcune faccende,
passò l’aspirapolvere in salotto, mise un
po’ d’ordine nelle camerette dei figli, poi
uscì per fare la spesa ed andò a prendere Emma e
Joel a scuola.
Tornati a casa, i ragazzi si misero a fare i compiti in cucina, mentre
lei preparava la cena.
“Mamma…”- la richiamò Emma.
“Si tesoro..”-
“Ho finito…posso andare a giocare da
Jenny?”- chiese.
“Va bene…ma mi raccomando, fra non più
di due ore ti rivoglio a casa per cena, ok?”-
La lasciò andare, ma appena fu uscita, controllò
dalla finestra. Jenny era la figlia dei loro vicini di casa,
perciò Emma non avrebbe nemmeno dovuto attraversare la
strada, ma ormai non riusciva a stare tranquilla.
Ritornò in cucina e vide che Joel era pensieroso. Gli si
avvicinò premurosa, carezzandogli la testa e gli chiese:
“Che c’è campione? Ti sei bloccato sulle
divisioni?”-
“No…ho quasi finito…”-
“Non ti senti bene?”- si sincerò.
“Mamma…papà non torna per
cena?”- le chiese con la schiettezza tipica dei bambini.
E la prese decisamente in contropiede.
“Non so…forse farà tardi…ha
molto da lavorare..”-
“E non viene a vedermi giocare domani?”- aggiunse.
“Sono sicura che farà il possibile per esserci
amore…”- In realtà non ne era affatto
certa, ma detestava vedere suo figlio così triste.
“Non ci vuole più bene?”- le
domandò ancora.
“Perché dici così
Joy?…Papà vi adora…”- lo
rassicurò.
“Non gioca più con me…non è
mai venuto alle partite…non è quasi mai a
casa…”- osservò candidamente.
Come dargli torto? Aveva 10 anni, ma non era certo uno stupido.
“E’ solo un brutto periodo…ma
passerà presto, vedrai…Si butterebbe nel fuoco
per te e per tua sorella…Ora finisci i compiti”- e
gli diede un bacio sulla fronte per tranquillizzarlo.